[Sinistrainrete] Scienze sociali e gestione pandemica: un invito al dibattito

Siamo un gruppo di scienziate/i sociali, appartenenti a diverse discipline, indipendenti o variamente inquadrati nelle università italiane o estere.

 

 

Scienze sociali e gestione pandemica: un invito al dibattito

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Scienze sociali e gestione pandemica: un invito al dibattito

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Estrattivismo e pandemiaSiamo un gruppo di scienziate/i sociali, appartenenti a diverse discipline, indipendenti o variamente inquadrati nelle università italiane o estere. Ciascuno di noi è quindi professionalmente abituato ai tempi lunghi della ricerca, alla verifica dei dati e delle fonti, alla responsabilità autoriale, al rigore argomentativo e al confronto con i colleghi. Siamo abituati anche a riconoscere i limiti, gli errori, le storture e la piattezza di narrazioni basate sull’uso opportunistico dei dati, sulla riduzione della complessità e su contrapposizioni manichee – che si tratti della versione mainstream o di narrazioni complottiste.

Proprio per la valenza critica e anti-egemonica delle nostre discipline, riteniamo che oggi chi le pratichi non possa eludere quantomeno una discussione aperta e franca sulle politiche autoritarie, discriminatorie e arbitrarie con cui il governo italiano, e non solo, sta affrontando la diffusione del Covid-19. Siamo coscienti del fatto che gran parte dei nostri colleghi e colleghe, implicitamente o esplicitamente, non abbiano considerato un problema il fatto che il governo abbia puntato esclusivamente sulla campagna vaccinale come via di uscita dalla pandemia. I vaccini anti-Covid sono utili per diminuire l’incidenza di morte e forme gravi di malattia per le persone anziane e/o con maggiori rischi; ma gran parte delle scelte politiche adottate in questi due anni hanno ignorato gli effetti sociali, politici e culturali delle misure prese in nome della salute pubblica.

L’intreccio fra pandemia e gestione della pandemia sta erodendo in profondità il mondo intorno a noi, irrigidendo la struttura delle soggettività che lo abitano e lacerando la trama relazionale fra umani, così come fra umani e non-umani, nonché i rapporti di fiducia e riconoscimento reciproco che chiamiamo “società”. Questa disgregazione avviene proprio quando l’enormità del collasso climatico richiederebbe all’umanità intera di mettere da parte divergenze, conflitti e interessi specifici, nel tentativo di evitare insieme una catastrofe ecologica. Non esprimerci a riguardo significherebbe colludere con la distruzione in corso.

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Sandro Moiso: Gli altri volti della Rivoluzione: considerazioni di un antimarxista

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Gli altri volti della Rivoluzione: considerazioni di un antimarxista

di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani. Vol.I – Dal Manifesto del partito comunista alla Rivoluzione d’Ottobre, WriteUp Books, Roma 2021, pp. 484, 28,00 euro

Lasciate oltrepassare al vostro pensiero i limiti di questo mondo, perché vada a contemplarne un altro completamente nuovo, che farò nascere in sua presenza negli spazi immaginari. (Descartes, Le Monde de M. Descartes ou le Traité de la lumière)

mangia anans mastica fagianiPer chi, come il sottoscritto, crede che il politico costituisca principalmente null’altro che uno dei tanti territori dell’immaginario, non è difficile condividere l’idea di Diego Gabutti che anche la Storia non sia altro che un aspetto, forse il più antico e meglio conservato, della narrazione letteraria e che come tale vada trattata.

I due aspetti, il politico come una delle tante espressioni dell’ immaginario e la Storia come uno dei generi letterari possibili, si intrecciano profondamente infatti nella monumentale opera in due volumi, di cui si recensisce qui il primo, dedicata alla ricostruzione dei percorsi del marxismo e delle sue rivoluzioni attraverso aforismi letterari e filosofici, recensioni di saggi e di romanzi, divertite e divertenti analisi di testi che da sempre dovrebbero costituire il “canone” marxista, che si accavallano nelle sue pagine, non concedendo al lettore un attimo di tregua (ma in compenso regalandogli numerosi motivi per sorridere oppure riflettere su “verità” date troppo spesso per scontate).

Un’opera che se, nei suoi tratti essenziali, potrà infastidire più di un lettore, da un altro lato potrebbe rivelarsi davvero necessaria e stimolante in ambienti sinistresi in cui, ancora e forse soprattutto oggi, il dibattito sul fallimento delle rivoluzioni novecentesche rifiuta troppo spesso il peso avuto nello stesso dall’autentica controrivoluzione staliniana e dagli eccessi ideologici, che ebbero però risvolti drammatici nelle scelte politiche, sociali e culturali che ne derivarono, di coloro che dissero di ispirarsi a Marx e ancor più al marxismo-leninismo (non importa qui se di stampo bolscevico o maoista). Una sinistra che, fingendo si averlo digerito e superato, così come aveva già fatto il PCI nei confronti dello stesso retaggio storico, ogni qualvolta si approccia allo stalinismo afferma che ormai qualsiasi diatriba che lo riguardi è un fatto meramente ideologico. Appartenente ad un passato ormai morto e sepolto.

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Roberto Artoni: Passo d’addio

moneta e credito

Passo d’addio

di Roberto Artoni

cover 2Abstract. Nelle scuole di danza il passo d’addio è il saggio finale che chiude il periodo di formazione dei giovani ballerini, ormai pronti a intraprendere la carriera professionale. Nel mio caso il passo d’addio ha un significato del tutto diverso: è il momento finale di una lunga esperienza, rappresentando la presa d’atto dell’itinerario culturale che è stato seguito nel corso di cinque decenni.

 

Quadro iniziale

Se torno indietro alla fine degli anni ’60, i riferimenti sono agevolmente sintetizzabili. Da un lato, la microeconomia con i due teoremi dell’economia del benessere e, dall’altro, la macroeconomia nella versione IS-LM, fissata nei suoi termini essenziali da Hicks e Modigliani.

Ovviamente, la sistemazione della microeconomia, per le condizioni molto stringenti che garantivano l’efficienza nella produzione e nello scambio e per la indeterminatezza distributiva, lasciava ampio spazio per ulteriori approfondimenti e articolazioni. Per quanto mi riguarda, il primo approfondimento è stato il teorema di impossibilità di Arrow. Il teorema, sulla scia di Sen, è stato da me interpretato come la dimostrazione che al di fuori di giudizi di valore (le comparazioni interpersonali di utilità) in una società articolata in gruppi sociali non è possibile, se si escludono soluzioni dittatoriali, individuare un assetto distributivo appropriato e condiviso.

La macroeconomia, come veniva allora impostata, portava a sua volta ad attribuire la responsabilità della disoccupazione alla rigidità dei salari.

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Claudio Conti: Germania in retromarcia, l’export oriented non funziona più

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Germania in retromarcia, l’export oriented non funziona più

di Claudio Conti

E’ una sorpresa solo per chi crede alle favole dell’ordoliberismo, ripetute da oltre venti anni su tutti i media come “verità scientifica”: la Germania, campione del bilancio in ordine, dei bassi salari e dei mini-job, tutta “orientata all’esportazione” e perciò modello di firerimento della politica monetaria della Bce nonché delle “raccomandazioni imperative” dell’Unione Europea… è rientrata in crisi.

Momentaneamente, certo, perché nel quarto trimestre del 2021 il prodotto interno lordo tedesco è diminuito dello 0,7% rispetto al terzo trimestre del 2021, in base al dato destagionalizzati dell’ufficio statistico Destatis pubblicato peggio del -0,3% atteso dagli economisti.

Ma anche la “ripresa” era stata molto momentanea: in pratica solo nel trimestre corrispondente all’estate. Di solito quello meno brillante, data la chiusura per ferie di parecchie attività, non compensata da afflussi turistici particolari.

Per l’istituto di statistica è tutta colpa della pandemia, che ha imposto nuove restrizioni (e qualche lockdown, mirato però soltanto ai non vaccinati, che in Germania sono davvero tanti, ancora).

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Fabrizio Marchi: Nulla deve cambiare affinchè tutto resti come è

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Nulla deve cambiare affinchè tutto resti come è

di Fabrizio Marchi

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Questa la celebre frase pronunciata da Tancredi, il nipote prediletto del principe Fabrizio Salina, nel celebre romanzo “Il Gattopardo”, di Tomasi di Lampedusa.

Nel caso della rielezione di Mattarella a Presidente della Repubblica potremmo invece dire “che nulla deve cambiare affinché tutto resti così come è”.

Devo dire che è anche abbastanza deprimente commentare un evento così piatto e scontato, che si è consumato in un clima di generale indifferenza da parte di tutti, con l’eccezione, ovviamente, degli “addetti ai lavori” preoccupati per le conseguenze politiche e per le ricadute personali dovute alla possibile elezione di Draghi alla Presidenza della Repubblica.

La soluzione escogitata (e ampiamente prevedibile) in fondo accontenta un po’ tutti o quasi tutti, e comunque è quella che fa sicuramente meno danni per la gran parte degli attori sulla scena. Compresa e forse soprattutto Giorgia Meloni, che finge di sbraitare ma è forse quella più contenta perché così può continuare a recitare la parte dell’unica leader di una forza di opposizione, succhiare consensi alla Lega e agli ex elettori del M5S e candidarsi alle prossime elezioni politiche come leader indiscussa del centrodestra.

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Giuseppe Sottile: Hic Rhodus, hic salta!

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Hic Rhodus, hic salta!

di Giuseppe Sottile

Sono milioni i morti causati dall’inquinamento atmosferico e dal riscaldamento globale, una quota di questi sono bambini con precoci problemi alle vie respiratorie. Altrettanti quelli che ogni giorno muoiono sulle strade mentre vanno o tornano dal lavoro, oltre a quelli che sul lavoro muoiono. Ma si contano i cinque milioni per Covid e li si ricordano ogni giorno sui mass-media, onde vantare il soccorso delle “magnifiche sorti e progressive”.

I primi non fanno testo, poiché di fatto mettono in discussione il sistema del lavoro-capitale, i secondi, invece, “naturalizzano” la patologia (un virus, niente che sembra abbia a che fare col mostruoso regime alimentare da cui le epidemie originano) e consentono il solito sporco affare che consegue alle patologie create dal sistema industriale capitalistico. L’uno sostiene l’altro, che poi il risvolto sanitario diretto prenda una forma pubblica o privata, non ha alcuna importanza.

Il nostro modus vivendi è immagine e somiglianza dei rapporti sociali, il residuo naturale ci aiuta a decifrare il grado di follia a cui siamo giunti. La polemica vax – no vax, green pass – no green pass, in tal senso, è puramente ideologica, serve spontaneamente al sistema per consolidare la “farmacolizzazione” dei nostri corpi e nel contempo per darsi una patina di liberalità.

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Lelio Demichelis: La vita agra 4.0

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La vita agra 4.0

di Lelio Demichelis

“Come qualcuno forse ricorderà, in quegli anni si parlava moltissimo di automazione, di produttività, di seconda rivoluzione industriale e di relazioni umane. Pareva che tutti i rapporti, produttivi e umani, dovessero cambiare, mentre poi hanno ricominciato – e forse non avevano mai smesso – a prendere gli operai, senza tante inutili storie, a calci nel culo”.

È un brano tratto da La vita agra, romanzo ampiamente autobiografico di Luciano Bianciardi, uscito da Rizzoli nel 1962, prezzo: 1.800 lire – con dedica al nobile amico Carlo Ripa di Meana (e ora in edizione Feltrinelli). Rileggendolo (il brano e l’intero romanzo), sembra la descrizione delle retoriche del management anche di oggi (le relazioni umane…) e in fondo basta sostituire quarta a seconda rivoluzione industriale per avere la descrizione del mondo anche di oggi, perché ciò che descriveva allora Bianciardi è anche l’oggi; perché sempre e da sempre il tecno-capitalismo ama ingannarci offrendosi come sempre nuovo e diverso (nuove merci, nuove tecniche di marketing e di organizzazione scientifica del lavoro, la nuova quarta rivoluzione industriale, la nuova Fabbrica 4.0 che è in realtà il vecchio taylorismo ma digitale, il nuovo smart/home-working che non è diverso dal lavoro a domicilio descritto da Marx, con un pc invece di un telaio) – un nuovo che in realtà è sempre il vecchio tecno-capitalismo.

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Marco Di Geronimo: Dalla crisi economica all’entropia sociale

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Dalla crisi economica all’entropia sociale

“Come finirà il capitalismo?” di Wolfgang Streeck

di Marco Di Geronimo

Finalmente in italiano, Come finirà il capitalismo? (Meltemi, 2021) raccoglie in volume alcuni saggi di Wolfgang Streeck, sociologo ed economista tedesco, erede della Scuola di Francoforte e direttore del Max Planck Institut di Colonia, ma anche uno dei più autorevoli critici del neoliberismo, soprattutto nella sua versione europea. Non una monografia sistematica, ma un insieme di riflessioni autonome che ruotano tutte intorno allo stesso tema: l’attuale crisi del sistema capitalista, le sue origini e il suo decorso.

C’è ancora qualcosa da dire su un modello economico che sembra sempre più malato e al tempo stesso incomprensibile? Molto, a quanto pare. Il libro di Streeck affronta con originalità i problemi più scottanti dell’economia contemporanea: il rapporto (sempre più contraddittorio) tra capitalismo e democrazia, le ragioni economiche della fine dei Trenta gloriosi (gli anni 1945-1975, caratterizzati da crescita e forti politiche sociali), le croniche difficoltà dell’euro. E ancora: la funzione politica della moneta, gli strumenti sociologici per indagare l’economia, l’intreccio perverso tra consumo, cultura e società.

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Emiliano Brancaccio: Critica e crescita della conoscenza in economia

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Critica e crescita della conoscenza in economia

di Emiliano Brancaccio

Prolusione tenuta per l’inaugurazione dell’anno accademico 2021-2022 dell’Università degli studi del Sannio

1280px Kandinsky 8In questa giornata di celebrazione, di festa, saluto la nostra comunità di Unisannio. Gli studenti, in primo luogo, quindi i tecnici, gli amministrativi, i bibliotecari, i colleghi ricercatori e docenti, il Magnifico Rettore e il Pro Rettore, e poi i Rettori ospiti, il dottor Farinetti e gli esponenti delle istituzioni che sono oggi qui con noi.

 

1. Ho deciso di far partire questa mia prolusione una domanda perturbante che da qualche tempo aleggia nell’aria, come uno spettro che si aggira per il mondo. La domanda è: cosa può esser definito “scientifico” e cosa invece va considerato “non scientifico”? E’ in interrogativo cruciale, attualissimo, che talvolta, come sappiamo, può persino assumere i tratti tragici della questione di vita o di morte.

Cosa è scientifico, e cosa no? In effetti l’università è il luogo storicamente deputato per tentare di rispondere a questa domanda fondamentale. Fin dai tempi dell’accademia platonica, già prima dell’avvento del metodo galileiano, l’università è sempre stata l’istituzione chiamata a stabilire cosa davvero possa esser definito scientifico e cosa no. Dunque, in questo luogo deputato, in questo momento celebrativo, dovremmo provare a rispondere.

Il problema è che, come ci insegna l’epistemologia moderna, che va da Kuhn a Popper, a Lakatos, fino a Feyerabend, rispondere a questa domanda, purtroppo, è meno semplice di quanto vorremmo.

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Alessandro Visalli: Giacomo Gabellini, “Krisis”

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Giacomo Gabellini, “Krisis”

di Alessandro Visalli

bretton woodsL’importante libro di Giacomo Gabellini[1] reca l’ambizioso sottotitolo “Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense”. L’oggetto dello studio, informatissimo, è dunque “l’ordine economico statunitense”, l’arco della sua estensione è dalla genesi allo sgretolamento. La narrazione è orientata lungo la freccia del tempo.

L’ordine economico non è chiaramente l’unica forma di ordine, né l’economico l’unico ordinatore possibile o attivo nella successione degli eventi storici. Anzi, come del resto si rileva anche dalla lettura di Gabellini, l’economico è sempre in qualche misura intrecciato e talvolta incorporato nel politico e nel sociale (e culturale). Si relaziona profondamente, quando non promana nella sua forma concreta, al sapere tecnico ed alle tecnologie dominanti (non solo direttamente produttive, anzi una delle forme di ordine emergente è connessa intimamente con tecnologie che non sono apparentemente produttive, ma egualmente hanno una dimensione ‘economica’, come quelle del ‘capitalismo della sorveglianza’[2]), e ha una storica simmetria, nella sua forma moderna, con il razionalismo e la scienza[3]. Per fare un esempio di prospettiva del tutto diversa dell’ordinatore, se pure rivolta alle correnti profonde e non agli eventi superficiali (secondo la famosa immagine di Braudel), Emmanuel Todd inquadra il senso di declino che è anche alla radice della interpretazione per cicli ripresa nel testo nel contesto di una predazione demografica in corso da quaranta anni da parte dell’occidente ricco ed anziano nei confronti dei paesi periferici. La transizione è letta con occhiali antropologici e punta la sua attenzione sulle trasformazioni che si sono accumulate al termine del trentennio ‘glorioso’[4], trasformazioni che muovono tutti gli strati più profondi della società, partendo dall’economico e dal politico per arrivare alla sua cultura ed alle strutture familiari.

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Gavin Mueller: “Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro”

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“Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro”

di Gavin Mueller

Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione delle amiche e amici di Nero Not, un estratto del libro di Gavin Mueller Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro, uscito il 26 gennaio, e tradotto per l’edizione italiana da Valerio Cianci. La questione luddista, il rapporto con le nuove tecnologie e l’urgenza di una nuova “ecologia del lavoro” sono temi già emersi sulla nostra rivista (qui), che riteniamo importante continuare a diffondere e divulgare. Le note sono omesse per favorire la leggibilità [Ndr]

ludd 2La storia non è stata clemente con i luddisti. L’eredità della loro resistenza alle macchine è stata generalmente intesa come una forma di tecnofobia; e, per via della contemporaneità fra le loro rivolte e l’avvento della produzione di massa, sono spesso stati associati a un irrazionale terrore del progresso. I critici della tecnologia finiscono o con il disconoscere enfaticamente l’eredità luddista, o a professare simpatie fin troppo incontrollate. E se da una parte lo scrittore di tecnologia Andrew Keen, parlando della sua avversione ai social media, insiste a ribadire che «non sono un luddista», dall’altra le «confessioni di un luddista» sono diventate un genere letterario vero e proprio, al cui interno troviamo tanto educatori quanto musicisti e persino specialisti delle tecnologie dell’informazione. L’associazione tra luddismo e tecnofobia è stata essa stessa motivo di una simpatia diffusa. Nel 1984, per esempio, Thoms Pynchon domandava ironicamente se fosse «ok essere un luddista», mentre gli anni Novanta hanno assistito alla nascita del cosiddetto movimento neoluddista che, in una nebulosa coalizione contro le tecnologie allora contemporanee, accorpava critiche sociali assortite e ambientalismo radicale. Benché nel loro manifesto specificassero che non rinnegavano la tecnologia in quanto tale, la generalizzata ostilità dei neoluddisti per l’ingegneria genetica, la televisione, i computer e le «tecnologie elettromagnetiche» tradiva un debito nei confronti delle politiche anticivilizzatrici tipiche dell’anarco-primitivismo.

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Marco Cattaneo: Le premesse sbagliate di certi eurocritici

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Le premesse sbagliate di certi eurocritici

di Marco Cattaneo

Ho già detto varie volte che apprezzo l’onestà intellettuale di Wolfgang Munchau, un sincero europeista, ormai da tempo completamente disilluso in merito alla possibilità che il processo di integrazione europea arrivi da qualche parte.

Però è anche giusto sottolineare che, se Munchau ha ragione per quanto attiene alle conclusioni, spesso e volentieri basa le sue argomentazioni su presupposti tecnicamente sbagliati.

Ne è un esempio questo articolo, che contiene, su temi di macroeconomia, diversi errori marchiani.

Il primo sta nel seguente passaggio: “I see no trajectory whatsoever for Italy to generate the degree of productivity growth needed to render its foreign debt sustainable”. Che indicherebbe che l’Italia ha un problema di debito ESTERO.

Totalmente errato. L’Italia ha una Net International Investment Position positiva: i residenti italiani possiedono più attività patrimoniali all’estero di quante gli stranieri ne detengano in Italia. E il saldo è in continua crescita perché l’Italia, dal 2014 in poi, continua a generare decine di miliardi all’anno di surplus commerciali esteri.

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Ferdinando Pastore: La memoria e i cattivi

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La memoria e i cattivi

di Ferdinando Pastore

In una trasmissione di approfondimento storico andata in onda sulla Rai, il dibattito si chiedeva se ricordare l’orrore fosse ancora sensato. Il coro è stato unanime. Avrei aggiunto con convinzione la mia voce al coro. Ma non avrei taciuto su alcuni aspetti della questione.

Un interrogativo ragionevole da porsi consiste nell’identificare in che modo quella memoria possa offrire strumenti di interpretazione dei fatti storici per la formazione di una coscienza critica pronta ad allarmarsi di fronte alla percezione di un pericolo attuale. Stranamente questo dubbio non viene mai sollevato nelle lunghe ore che i mezzi di comunicazione dedicano alla memoria.

In particolare esiste una narrativa fuorviante, ma ormai consueta, sullo sterminio, sulla nascita del nazional-socialismo, sulla crudeltà. Ogni anno difatti irrompono sulla scena i cattivi. Che certo cattivi furono, ma non nella rappresentazione schematica che viene proposta ai nostri occhi. Come se esistesse un preconfezionamento della disumanità.

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Pierluigi Fagan: La questione anglosassone

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La questione anglosassone

di Pierluigi Fagan

La nostra civiltà è detta “occidentale”, un concetto tra l’altro formatosi piuttosto tardi, compiutamente solo l’indomani della Seconda guerra mondiale e che ha anche una versione geopolitica, detta “atlantica”. Si tratta dell’insieme messo a sistema tra Europa occidentale ed anglosfera, quest’ultima composta da UK, USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda. Si noti come tre di queste componenti siano isole, mentre i due nordamericani possono ritenersi qualcosa di simile a due condomini di isola continentale avendo oceani e mari su tre lati e solo un innocuo confine di terra che va a stringersi al lato sud. Tra l’altro, i due oceani a lato est ed ovest sono quelli a volume maggiore sulla Terra.

Il vantaggio di esser isolani si mostrò con chiarezza in uno di quegli snodi di potenziale storia controfattuale che fu l’assalto all’Inghilterra da parte della potenza egemone del tempo, la Spagna, in quel del 1587. Se l’assalto spagnolo dell’Invincibile Armata avesse avuto successo, la storia avrebbe preso tutt’altro corso, con una Inghilterra cattolica, pienamente europea, senza la successiva sequenza di Guerra civile e Gloriosa rivoluzione, che diede il via al moderno sistema di ordinamento occidentale da parte del fatto economico.

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Alessio Ramaccioni: Sanità: “La prevenzione? Trascurata perchè in conflitto con il mercato”

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Sanità: “La prevenzione? Trascurata perchè in conflitto con il mercato”

di Alessio Ramaccioni

Nel corso di un convegno Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, fotografa con una frase un aspetto inquietante – ma nota – della sanità italiana: la prevenzione. Trascurata perchè “in conflitto con il mercato”.

A volte basta una frase, una battuta, una dichiarazione colta tra i tanti lanci di agenzia per accendere un enorme riflettore e spalancare gli occhi (qualora fossero socchiusi) su una realtà evidente e macroscopica. O ricevere conferme su un qualcosa che esiste, c’è, ma forse anche inconsciamente si tende a rimuovere pur avendo ben presenti le nefandezze del capitalismo e dell’obbligo di mettere tutto e sempre “a profitto”, a qualunque costo. Questa sorta di epifania laica ed oscena, questa sensazione di rivelazione è parzialmente capitata anche a noi, quando ci è finita sotto gli occhi una notizia di qualche giorno fa. Eccola:

La prevenzione “è un problema che riguarda tutta la medicina. E’ un aspetto molto trascurato, questo perché è in conflitto di interesse con il mercato della medicina che vuole espandersi. E la prevenzione, invece, tende a ridurre spazio prevenendo le malattie.

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Fabrizio Tuveri, Sara Gandini: I dati sulla mortalità degli ultimi dieci anni suggeriscono di investire in una nuova sanità

fattoquotidiano

I dati sulla mortalità degli ultimi dieci anni suggeriscono di investire in una nuova sanità

di Fabrizio Tuveri, medico, Sara Gandini, epidemiologa/biostatistica

Nel 2020 l’Istat ha registrato 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019, il 99,5% dei quali sopra i 60 anni, il 76% sopra gli 80. I numeri assoluti possono però essere fuorvianti in quanto non tengono conto dei rapporti percentuali con la popolazione e del trend della mortalità. La popolazione anziana negli ultimi anni è costantemente aumentata: il trend è proseguito persino nel 2020: nonostante la pandemia la Lombardia ha registrato +2702 over 80 a gennaio 2021.

L’analisi dei dati Istat evidenzia che la mortalità nelle fasce di età più anziane negli ultimi 10 anni risulta seguire un trend discendente. Questo andamento comporta, in modo sorprendente, che persino alcune fasce di età over 80, nonostante la pandemia, abbiano raggiunto nel 2020 livelli di mortalità inferiori ad alcuni anni precedenti. La fascia 80-84 anni per esempio ha avuto un incremento rispetto agli anni precedenti, ma senza superare i livelli del 2012.

Nelle fasce 85-89 e 90-94 la mortalità è stata invece superiore ai 9 anni precedenti, ma eccedendo solo del 3,5 per mille la mortalità del 2012 nella fascia 85-89, e del 10 per mille la mortalità 2015 nella fascia 90-94. Nella fascia over 95 invece la mortalità dell’annata 2015 risulta leggermente superiore a quella del 2020.

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