Con i neonazisti non si parla. Vi sono popoli che hanno tenuto alto l’onore e con esso mantenuta la memoria dei propri cari e dei propri compagni e che, infine, di fronte alla disperazione e alle sfide, alle perfide ingiustizie, ai lutti, alla persecuzione, non si sono lasciati andare, vinti, ma hanno risposto con coraggio, unendosi, senza mai dichiararsi né sconfitti né omologati.
Altri popoli hanno perso il coraggio con l’arrivo del benessere e oggi sono in mare aperto, se tira vento ci si sposta, se è bonaccia si galleggia, inermi. Di fronte “all’operazione speciale militare” della Federazione Russa nei confronti dell’attuale governo-fantoccio insediatosi a Kiev, in Ucraina, i popoli che abitano le nazioni d’Europa non hanno trovato di meglio che esercitare i propri diritti scendendo in strada per obiettare che: “No alla guerra, no alla Russia, no a Putin”. Questo passeggiare senza soluzione di continuità, banalizzando, a ritmo di musica, le atroci sofferenze (immagino, ignorate da centinaia di milioni di ignoranti) patite dal popolo del Donbass in otto lunghi e terribili anni di (quasi) solitudine in balìa dei colpi di mortaio, quotidiani, senza che ve ne sia stata quasi mai traccia in un telegiornale o in un approfondimento, non può aver giovato alle decine di migliaia di laureandi nei corsi di storia del novecento, alle centinaia di migliaia di giovani iscritti nei cosiddetti “partiti di sinistra” di ogni parte d’Europa, né ai subordinati trascinati in piazza dai sindacati senza neanche capire cosa stessero facendo là, né contro cosa stessero realmente manifestando.
C’è parecchio di cui vergognarsi se ciò avviene. La scandalosa gestione dei media italiani (europei, mondiali!) ha creato un immenso schema senza possibilità di uscita. Dietro a questo schema vi sono ingegneri e psicologi che studiano con astuzia come indottrinare decine di milioni di persone ogni giorno, ad ogni ora del giorno. Quando si vede una esplosione non si deve capire né chi ha sparato, né contro chi, né dove. Quando si mostra una foto satellitare che rileva il movimento di mezzi militari, si dice contestualmente: “Stanno per attaccare i civili!”. Dentro questo schema vi abitano figure di tutti i tipi che noi non conosciamo: sono dei manipolatori che riescono in imprese sovrumane, con l’utilizzo di sistemi di avanguardia, algoritmi, intelligenza artificiale, tecnologie che non sono, probabilmente, studiate per usi civili ovvero meccanismi che possono distruggere la psicologia di una persona, demotivandola, rendendola in buona parte inabile a pensare con rigore, omologandola in sottosettori, per sesso, tipo di professione, età, appartenenza politica, censo, etc. Certamente sanno, questi manipolatori, che chi ha tempo riesce a leggere più notizie, chi non ne ha di tempo, riesce a malapena a mangiare in venti minuti di fronte ad un tg, alla solita ora. Dunque: “C’è una guerra, e diversa dalle altre, i Russi invadono e uccidono, sono in Ucraina per prendersi uno Stato e asservirlo, sono feroci e possono usare l’arma atomica, stanno uccidendo anche i civili”. Questo il canovaccio ripetuto da sette giorni, per 24 ore consecutive, con sfumature grigio scuro e polvere marrone, incartando il tutto con scene apocalittiche. Ad oggi, non è stato chiesto ad un professore di Storia militare o di diritto internazionale (di qualunque provenienza geografica, beninteso) di intervenire in un dibattito vero sulle reti di informazione pubblica, né sono stati interpellati, congiuntamente, gli operatori OSCE che hanno operato in questi anni lungo l’area “cuscinetto” nel Donbass. Si sarebbe così potuto trasmettere, con documenti alla mano di fonte certa, il consuntivo delle infrazioni agli accordi sottoscritti a Minsk dalle Autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk e dal governo ucraino e il numero di vittime civili che i bombardamenti ordinati quotidianamente da Kiev hanno prodotto in questi otto anni.
Ciò non è avvenuto. Tutti i media, stampa compresa, il governo e il Parlamento italiano hanno dipinto una gigantesca tela, così grande che non si può andare da nessuna parte senza guardarla ed infrangersi contro. Ma non basta. Incredibilmente, con una delle mosse più eversive della moderna storia europea, si stanno mettendo in atto sanzioni inedite che colpiscono il territorio, l’economia, il popolo e il governo russo in un solo colpo: stop ad una serie di operazioni con istituti di credito russi, chiusura dei cieli europei ai vettori russi, congelati i beni di alcuni membri del governo, restrizioni per i deputati russi che hanno votato la legge che riconosce le autoproclamate Repubbliche Popolari del Donbass, industria aeronautica e spaziale russa sotto embargo, no all’accesso della Russia ai mercati finanziari europei, restrizioni all’esportazione di beni a duplice uso (civile e militare), più l’enormità di voler estromettere la Federazione Russa dal Consiglio d’Europa, per non parlare dell’esclusione da eventi sportivi e culturali.
Questi fatti raccontano come lavora la diplomazia europea ovvero strozzando un popolo di circa 150 milioni di persone. Ricordate sia avvenuto niente di simile, voi cari cittadini europei che manifestate innalzando una bandiera che si è ornata recentemente di svastica, durante o dopo le decine di guerre scatenate dagli Stati Uniti d’America senza motivo, senza essere stati attaccati, senza che suoi cittadini siano stati messi in pericolo, o trucidati? Rammentate, per caso, che lo Stato di Israele sia sottoposto a censura e sanzioni da quando massacra sistematicamente (ormai da settanta anni) il popolo di Palestina? Potete correre a comperare un paio di libri di storia mentre arrossite.
Dal rovesciamento del governo per mezzo del colpo di stato in Ucraina, anno 2014, e dal seguente referendum popolare che ha stabilito la volontà della Crimea di aderire alla Federazione Russa, le sanzioni piovute addosso a Mosca hanno tentato di annichilire l’export e la valuta (il rublo). Il 21 marzo del 2014 un dollaro era scambiato con 36,23 rubli; oggi, marzo 2022, con l’arrivo delle stravaganti sanzioni imposte alla Russia da mezzo mondo, un dollaro è scambiato con 115 rubli e la borsa di Mosca è chiusa per evitare il tracollo.
Cosa sta avvenendo, allora? È in atto, da tempo, un tentativo di demolire la Federazione Russa, di fare a pezzi uno Stato, una potenza nucleare che siede nel Consiglio di sicurezza ONU (seggio permanente), per affermare, anche, che la Russia non è figlia dell’URSS che ha vinto la Seconda Guerra mondiale ma è altro, ossia un “giovane” Stato di trenta anni che non può vantare pretese geopolitiche. Per fare a pezzi uno Stato così grande non si può dichiarare guerra, quella convenzionale, e chi ci provato in passato a farlo è stato duramente sconfitto, ma occorre destabilizzare o indottrinare i paesi che compongono la cintura più prossima al suo confine (l’Est Europa, vedi Ucraina, Polonia, Paesi baltici) intavolando vari scenari possibili.
Un fiume di denaro è affluito nei Paesi baltici, in Polonia e in Ucraina utile a foraggiare la manovalanza fascista e neonazista utilizzando allo scopo, come copertura, associazioni e ONG. Così tanto dagli Stati Uniti che addirittura alcuni membri del Congresso USA, durante le votazioni per l’approvazione del bilancio annuale, hanno voluto vederci chiaro, sollevando accuse molto precise e presentando, puntualmente, emendamenti. Il solo fatto che si sia dovuto discutere in un luogo simbolico della istituzione americana se sostenere, con milioni di dollari, o meno, entità neonaziste ucraine fa accapponare la pelle. L’Unione europea non ha mai battuto ciglio su queste schifezze che si è fatta passare con benevolenza sotto il naso. Oggi tutto è più chiaro e contiamo le reazioni delle cancellerie che si affannano a piazzare sanzioni, lustrarsi la chioma nelle dichiarazioni TV, quando non riescono a trattenere il deretano sulla sedia pur essendo pagati per questo, “diplomatici” a targhe alterne, che si sollevano in piedi per uscire dall’aula se parla il ministro degli esteri russo, Lavrov, restando seduti se parla un qualsiasi signore della guerra oggi non al centro delle attenzioni. C’est ainsi que va le monde.
Così tuonano da Bruxelles, da Parigi, dagli scappati di casa di Downing Street, da Berlino, persino da Roma. Non riescono a vedere paramilitari nazisti ucraini massacrare gente nei villaggi del Donbass per otto anni, coperti da fiumi di denaro occidentale, ma sono efficientissimi nel dichiarare guerra per procura stracciando leggi che lo vietano. Nella fattispecie, ricapitolando, ad oggi abbiamo questa situazione: UK, il ministro degli esteri, Liz Truss, che in visita a Mosca non ha saputo riconoscere i confini della Federazione Russa generando sconcerto fra i presenti, è stata tra i primi politici in ambito NATO a garantire risorse, uomini e mezzi alla Ucraina farneticando anche di appoggiare, work in progress, “brigate internazionali” nel teatro di guerra: “Il popolo ucraino sta lottando per la libertà e la democrazia, non solo dell’Ucraina ma dell’intera Europa. E se vi sono persone che vogliono partecipare a quella lotta, le sosterrei nel farlo”, siamo alla follia!; Francia, Emmanuel Macron, presidente di turno della UE e probabilmente l’uomo europeo che più ha avuto modo di incontrare e di dialogare con Vladimir Putin in queste settimane convulse, ha deciso di inviare in Ucraina armi antiaeree e digitali, più carburante; Germania, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, inizialmente molto cauto rispetto all’invio di materiale bellico ed anzi determinato a non coinvolgere il suo Paese nel pantano ucraino, così da tenere una strada aperta con la Russia e salvaguardare il gasdotto “Nord Stream 2” strategico per la Germania, ora cede ai partner europei più guerrafondai e prepara l’invio di un migliaio di lanciarazzi anticarro, 500 missili “Stinger” terra-aria (micidiali perché permettono ad un adolescente di buttare giù un Mig), 14 veicoli corazzati, una decina di obici e 10.000 tonnellate circa di carburante; la Repubblica Ceca, piccola e non te la aspetti proprio, manda in Ucraina otto milioni di euro di materiale bellico: 7.000 fucili d’assalto e tremila mitragliatrici; BeNeLux, tra un biscotto al burro e un giro in barca o in bicicletta, non potevano mancare i Paesi che tengono stretti per le palle tutti gli altri (a Bruxelles c’è la sede della Commissione europea, in Lussemburgo si svolge il Consiglio europeo (siamo nel semestre di presidenza francese) e il Consiglio dei Ministri europei (che ha potere legislativo assieme al Parlamento europeo): questi Paesi inviano, per migliorare i rapporti nel Continente e con il vicinato russo e aderire con forza ai principi europei, esaltati e propinati ogni giorno, di pace e prosperità comune e coabitazione, quantità industriale di armi anticarro, fucili di precisione e automatici, carburante, equipaggiamento tattico militare, e qualche centinaio di missili “Stinger” che ci stanno sempre bene (tanto, mi chiedo, ma ce li vedete i festeggiamenti di capodanno ad Amsterdam a colpi di “Stinger” e granate anticarro, che se fanno?); Svizzera, perde la verginità il Paese elvetico, e dopo aver fatto da cassa continua per decenni gestendo in segreto una girandola di centinaia di miliardi di franchi svizzeri, dollari, euro, fiorini, rubli, petroldollari, etc. dando così copertura ai mafiosi e ai papponi di mezzo mondo, ha deciso di riprendere le sanzioni adottate dall’Unione europea nei confronti della Russia il 23 e 25 febbraio scorso; Turchia, è un importante attore della scena mediorientale che porta avanti una guerra intestina che dura da 40 anni contro i popoli del Kurdistan che massacra con una violenza inaudita quotidianamente senza che l’Unione europea abbia mai mosso un solo dito ed è il più forte esercito NATO in Europa eppure, ha scelto una terza via, dichiarando: “Non stiamo pianificando un pacchetto di sanzioni, vogliamo tenere un canale aperto di dialogo con la Russia”. Questo atteggiamento politico-diplomatico le costa, è evidente, tanto da non potersi sottrarre, sotto pressione, ad intromettersi nel Bosforo ostruendo il passaggio delle navi da guerra russe che premono passare lo stretto dei Dardanelli per raggiungere il mar Nero.
L’Italia, un caso da studiare. È evidente che il professor Draghi si è trovato tra l’incudine e il martello. La scelta storica di affidarsi al gas russo, per l’Italia, è stata una buona strategia, indubbiamente. Un alleato affidabilissimo, la Russia, che ha sempre rispettato i contratti e le consegne, garantendoci prezzi più che accessibili per le nostre casse malandate. Così vero che solo oggi, nell’ultimo trimestre, stiamo risentendo delle oscillazioni dei mercati, del rialzo del prezzo degli idrocarburi, anche se non ci fosse stata una escalation in Ucraina: tutto noto già da giugno dello scorso 2021 per molteplici fattori che qui non affronto. L’Italia ha fatto quasi nulla negli ultimi venti anni per ammodernare il Paese e rendere attive nuove politiche energetiche tanto che per correre ai ripari, oggi, ed aumentare i volumi di gas in entrata corriamo in Nord Africa a trattare e mettiamo dure sanzioni alla Russia che rimarrà, deve essere chiaro, nostro partner visto che ci vende una quota che oscilla attorno al 40% del nostro fabbisogno annuo, irrinunciabile e insostituibile del medio periodo. L’asprezza delle parole del capo del governo verso la Russia non ci lasciano dormire sonni tranquilli e vanno analizzate un minimo. Innanzitutto Draghi mente di fronte al Parlamento italiano sia quando dice che l’iniziativa militare russa “riporta l’Europa indietro di almeno 80 anni” scegliendo di dichiarare il falso, pubblicamente, perché non ricorda la distruzione dei Balcani, i lunghi bombardamenti in Serbia, la partecipazione dell’Italia in decine di missioni di guerra in Iraq, la guerra in Libia e la cessione di sovranità territoriale italiana per il lancio di missioni militari USA/NATO che hanno colpito diversi Paesi sovrani, sia quando afferma: “Nel breve termine, anche una completa interruzione dei flussi di gas dalla Russia a partire dalla prossima settimana non dovrebbe comportare problemi. L’Italia ha ancora 2,5 miliardi di metri cubi di gas negli stoccaggi e l’arrivo di temperature più miti dovrebbe comportare una significativa riduzione dei consumi da parte delle famiglie”, dimenticando il tessuto industriale che lavora h24, 365 giorni l’anno, che non riesce più a sostenere il costo delle utenze più che quadruplicato; l’incertezza sul fronte energetico non attrae di certo nuovi investimenti esteri a scapito della occupazione. In più, attendiamo zero turisti dalla Russia questo anno (e sarebbe il terzo consecutivo, dopo il tracollo a causa della pandemia).
Il comunicato stampa a corollario del Consiglio dei Ministri n. 65 dello scorso 28 febbraio 2022 rende noto quanto segue: “Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Mario Draghi, del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio, del Ministro della difesa Lorenzo Guerini, del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, del Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani e del Ministro dell’università e della ricerca Maria Cristina Messa, ha approvato un decreto-legge che introduce ulteriori misure urgenti sulla crisi in Ucraina. Il decreto interviene, alla luce dell’emergenza in atto, in diversi ambiti [-] Difesa – In particolare, il provvedimento contiene una norma abilitante che, dopo una preventiva risoluzione delle Camere, consente al Ministro della difesa di adottare un decreto interministeriale per la cessione alle autorità governative dell’Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari. È prevista peraltro una deroga specifica ad alcune disposizioni vigenti”. Dunque armi e materiale per l’esercito ucraino dall’Italia in spregio dell’articolo 11 della nostra Costituzione. Ma quali armi e quante? Il ministro della Difesa, Guerini, afferma che sia stato tutto messo nero su bianco in un decreto interministeriale, (forse per dividere meglio la responsabilità futura tra le varie forze politiche italiane che oggi si dicono in accordo) e che questo decreto sia secretato. Staremo a vedere, visto che il ministro chiama in causa il Parlamento italiano. Rispetto a questa decisione del Governo che toglie l’Italia da una posizione di neutralità e la avvia, insieme agli altri Paesi europei, ad infilare l’elmetto e a non potersi più, in futuro, discostarsi da responsabilità che le rimarranno appiccicate per sempre, così come rimarrà uno stigma per tutto il popolo italiano (anche per chi riconosce il diritto della Russia a difendere il suo territorio e il suo popolo e per chi è contro la guerra in linea generale), bisogna essere radicali e rimarcare la immotivata scelta belligerante e pro-sanzionatoria. Dobbiamo mandare a casa Draghi e il suo governo, subito!
Va notata infine una coincidenza, guarda un po’!, che fa riflettere e che svela come le istituzioni europee (un ruolo manipolatore, anche questo, senz’altro) siano state sull’uscio di palazzo Chigi, lo scorso 28 febbraio, per chiarire meglio chi comanda. Come si nota il Consiglio dei Ministri si è riunito nel primo pomeriggio del 28 febbraio. Poco prima di questo, alle 13 e 46 minuti giunge dall’account personale di Ursula von der Leyen un twitt scritto in lingua italiana accompagnato da un video di un minuto e 16 secondi in lingua inglese pieno di lusinghe per Draghi, il suo governo e le istituzioni italiane. La presidente della Commissione europea informava tutti noi che erano pronti 21 miliardi cash del Next Generation EU, primo pagamento per aver compiuto “progressi sufficienti nell’attuazione del PNRR”. Insomma, bastone e carota. Così va il mondo.
Juri Carlucci (esperto di questioni internazionali)
3 Marzo 2022
Draghi e Ue alla guerra | cumpanis