Ucraina, Giacomo Gabellini: Le sanzioni alla Russia fanno male solo all’Europa

I solerti sanzionatori occidentali hanno visibilmente sottostimato le potenzialità dell’arsenale difensivo facente capo al Paese destinatario delle misure punitive, dotato di un debito pubblico pari ad appena il 12,5% del Pil, di una posizione finanziaria netta positiva e di poco meno di 2.300 tonnellate d’oro.

Vale a dire il tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella determinata dall’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali. Fino ai fertilizzanti.

La rivalutazione combinata delle materie prime e dei prodotti raffinati che garantiscono alla Federazione Russa una posizione dominante o semi-dominante nei relativi mercati di riferimento genera un volume di proventi da export talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal con-gelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere. Ma soprattutto, penalizza enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientrano praticamente tutte le nazioni appartenenti all’Unione Europea ed anche una potenza industriale aderente alla campagna sanzionatoria occidentale come il Giappone.

L’enorme disponibilità di materie prime su cui può contare la Russia garantisce al Cremlino la possibilità di attingere a un vasto assortimento di contro-sanzioni dagli effetti potenzialmente devastanti per le economie europee dolorose.

Oltre a decretare una riduzione improvvisa dei volumi di petrolio e – soprattutto – gas in transito attraverso i gasdotti che approdano nel “vecchio continente”, Mosca potrebbe ricorrere al blocco delle esportazioni di titanio e palladio, metalli imprescindibili non solo per la fabbricazione di motori e componentistica degli aerei, ma anche per la produzione di automobili, computer, telefoni cellulari e apparecchiature elettroniche di vario genere.

L’azienda russa Vsmpo-Avisma occupa da sola il 25% del mercato mondiale del titanio (e copre il 35 e il 65% del fabbisogno di – rispettivamente – Boeing e Airbus), mentre le imprese russe operanti nel settore del palladio assommano complessivamente il 50% della produzione su scala globale.

«Qualora cessassimo di vendere palladio all’Occidente e ai giapponesi, il prezzo delle apparecchiature aumenterebbe inevitabilmente condannando molte imprese al fallimento», ha concluso un gruppo di economisti interpellato in proposito dal quotidiano «Komsomolskaja Pravda». A detta dei quali il Cremlino potrebbe anche rispondere alla chiusura dello spazio aereo europeo imposta da Bruxelles alle compagnie russe attraverso un provvedimento speculare i cui effetti risulterebbero giocoforza pesantissimi in termini squisitamente economici, vista la porzione gigantesca di territorio occupata dalla Federazione Russia.

 

Giacomo Gabellini

05/03/2022

 

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