Mentre i media generalisti sono impegnati a costruire la nuova narrazione bellica, quella pandemica sta progressivamente crollando come un castello di carte. Il giornalismo monotematico si concentra sull’argomento di tendenza, forgiando in questo modo le menti dei lettori. Le persone non vengono così a conoscenza di tematiche altrettanto importanti, ma che sono ben volentieri omesse dal mainstream.
Era settembre 2021 quando l’associazione no profit Public Health and Medical Professionals for Transparency (PHMPT) aveva intentato una causa legale contro l’ente regolatore del farmaco statunitense, la Food and Drug Administration (FDA). L’associazione voleva vederci chiaro riguardo ai trial del vaccino anti-Covid prodotto da Pfizer e BioNTech. L’FDA aveva dichiarato di non riuscire a pubblicare la documentazione in loro possesso, vista l’ingente mole di file da elaborare. E aveva individuato il 2076 come data entro la quale i documenti sarebbero stati resi integralmente di dominio pubblico.
Pfizer: zero trasparenza, tanti dubbi
Tuttavia, un giudice federale ha respinto la proposta dell’FDA, ordinando il rilascio di 55.000 pagine al mese a partire dal primo di marzo. In realtà, alcuni documenti erano già stati diffusi sul sito dell’associazione no profit a metà novembre del 2021. Il documento intitolato “post-marketing experience” del farmaco mRna di Pfizer e BioNTech aveva già messo in luce una certa trascuratezza nelle analisi di laboratorio e nella raccolta degli effetti avversi. Quanto emerso da questi primi documenti supporta la tesi espressa in un’inchiesta pubblicata il 2 novembre 2021 sul British Medical Journal e portata avanti dal giornalista d’inchiesta Paul D. Thacker.
Un whistleblower di Ventavia Research Group, la società incaricata a verificare uno dei trial clinici del farmaco, ha infatti confidato a BMJ che l’azienda avrebbe “falsificato i dati, smascherato i pazienti (riferito ai pazienti se fossero vaccinati o meno ndr.), assunto vaccinatori non adeguatamente qualificati, e sarebbe inoltre stata troppo lenta a seguire gli effetti avversi riportati da Pfizer nel trial di fase III”.
Il trial clinico di Pfizer non era in “doppio cieco”?
Secondo quanto emerso dall’ultima tranche di documenti diffusi sul sito di PHMPT, il trial clinico di Pfizer non era in “doppio cieco”. Lo riporta Josh Guetzkow, professore nel dipartimento di Sociologia, Antropologia e Criminologia, presso l’Università di Gerusalemme. Che cosa significa che il trial non era “doppio cieco”? Che sia il gruppo che ha ricevuto la somministrazione del farmaco, sia quello placebo erano a conoscenza di cosa gli fosse stato inoculato. Inoltre, anche i ricercatori scientifici avrebbero saputo se stessero somministrando il placebo, oppure il vaccino anti-Covid. Un dettaglio di non poca importanza, che invaliderebbe ogni esito di qualsiasi trial clinico concernente l’approvazione di un farmaco.
Le “violazioni di protocollo”
Secondo il protocollo interno di Pfizer e BioNTech, il direttore scientifico dello studio, così come i ricercatori clinici erano “smascherati”. Persino l’equipe di ricercatori responsabili per la verifica degli eventi avversi e delle possibili violazioni di protocollo erano al corrente di chi avesse ricevuto il placebo e chi il vaccino. Che cosa significa? Che a Pfizer bastava inserire conseguenze gravi del vaccino nella tabella delle “violazioni di protocollo”, per evitare di mettere in cattiva luce il farmaco da loro prodotto. Cosa che sarebbe impossibile da fare in un trial a “doppio cieco”. Per “violazione di protocollo” si intende errori nella somministrazione di un preparato, ad esempio una dose più elevata di quanto prestabilito. Stranamente, il numero di “violazioni di protocollo” è risultato di gran lunga più alto nel gruppo dei vaccinati, rispetto al placebo. (331 nel gruppo vaccinati, 61 nel placebo).
E a riguardo viene in mente la storia della piccola Maddie de Garay, la bambina di 12 anni che aveva partecipato al trial del vaccino, rimanendo disabile a vita appena ventiquattro ore dopo aver ricevuto la seconda dose. L’FDA ha cercato di nascondere in tutti i modi l’esito dannoso del siero su Maddie, perché avrebbe dovuto ammettere che il vaccino non era tanto sicuro quanto affermato, in particolare proprio sui bambini.
“Il vaccino è efficace al 95%”, era una fakenews?
E sempre dagli Stati Uniti arriva l’ennesima bomba anche riguardo all’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech. Per mesi i quotidiani mainstream hanno cavalcato il postulato: “Il vaccino è efficace al 95%”. A quanto pare, anche questa affermazione sembra essere stata un po’ tirata fuori dal cilindro perché veniva comodo. Il 5 marzo 2022, la direttrice dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Rochelle Walensky, ha dichiarato che la statistica “era un po’ troppo ottimista”.
“Quando la CNN ha detto che il vaccino era efficace al 95%, molti di noi volevano che funzionasse, così tanti di noi volevano dire: ‘Va bene, questa è la nostra via d’uscita”, ha commentato Walensky. Insomma, visto che le case farmaceutiche stavano facendo di tutto per celare i dati, la direttrice dei Centri di Controllo e Prevenzione delle Malattie statunitensi basava le sue conoscenze scientifiche su notizie riportate dal mainstream? Risulta lecito chiedersi se obblighi vaccinali e ricatti nei confronti dei cittadini in caso di mancata vaccinazione, si fondano sulle “speranze” dell’industria farmaceutica, oppure su evidenze scientifiche.
Franz Becchi
8 Marzo 2022
PFIZER, TRIAL CLINICI NON VALIDI? ECCO I DOCUMENTI NASCOSTI (byoblu.com)