Lunedì sera, il Presidente Macron ha aggiornato i francesi sul nuovo giro di vite sui loro diritti. Lo ha fatto, come è ormai costume, con un annuncio a reti unificate per radio e televisione.
Dal 21 luglio per accedere ai luoghi di svago e di cultura, tutte le persone non vaccinate di più di 12 anni dovranno produrre un test PCR negativo di meno di 48 ore. A inizio agosto, queste misure si estenderanno a bar, ristoranti, centri commerciali, ospedali (!), treni e aerei. Il 15 settembre scatterà l’obbligo di vaccinarsi per il personale infermieristico e non medico di ospedali, cliniche, case di riposo, istituti per disabili e per tutti i professionisti e i volontari in contatto con gli anziani e le altre categorie a rischio. A settembre, sarà anche predisposta una campagna di richiamo per permettere a quelli che si sono vaccinati per primi, che “vedranno presto diminuire il loro livello di anticorpi, di beneficiare di una nuova iniezione” (sì è proprio così: mentre ci dicono che il vaccino è la soluzione finale, danno per scontato che il suo effetto protettivo dura solo pochi mesi!). Nelle scuole saranno lanciate specifiche campagne di vaccinazione all’inizio dell’anno scolastico. I test PCR, finora gratuiti, “saranno resi a pagamento, al fine di incoraggiare la vaccinazione”. Già da oggi, sono inoltre rinforzati i controlli alle frontiere. Infine, cercando di prendere la faccia della maestrina buona, Macron ammonisce con chiarezza: “dovremo senza dubbio porci la questione della vaccinazione obbligatoria per tutti i francesi, ma per ora io scelgo di essere fiducioso”.
Questo per quanto riguarda repressione e sanità. Ma Monsieur le President sa benissimo che tutte queste misure socio-sanitarie da sole non risolvono la crisi economica se non si traducono in un inasprimento dello sfruttamento dei lavoratori. Nella seconda parte del suo discorso, Macron ha dunque affrontato qualche tema economico non esattamente secondario.
Jacopo Anderlini: Che cos’è il Metaverso?
Che cos’è il Metaverso?
di Jacopo Anderlini
Il termine “Metaverse” deriva da “Snow Crash”, un racconto cyberpunk di Neil Sephenson del 1992, in cui questo spazio ha tratti distopici. Quello che ha presentato Mark Zuckerberg il 28 ottobre 2021, quando ha comunicato il cambiamento del nome della società da lui fondata da Facebook, Inc. a Meta Platform Inc. – secondo molti osservatori e osservatrici non riuscendoci tanto bene – è invece una sorta di utopia tecnoentusiasta di un futuro dove saremo costantemente connessi. Uno spazio e un tempo dove non ci sarà quasi la necessità di fare logout e dove in buona sostanza il nostro avatar virtuale coinciderà con la nostra identità “reale”. Il confine, anzi, tra reale e virtuale, come già avviene adesso, andrà sempre più ad assottigliarsi.
In realtà questa non è un’idea nuova. Facebook sin dall’inizio propugna a livello “ideologico” – che si innerva e viene incarnato dal design della piattaforma e delle applicazioni a essa collegate – l’idea della trasparenza radicale. Non c’è nulla da nascondere – questa è la narrazione – quindi gli utenti devono mettere su Facebook e su tutte le altre piattaforme la propria vera identità, il proprio nome e cognome, i propri veri interessi: creare insomma una sorta di copia virtuale, di riproduzione delle loro interazioni. Seguendo questa idea di trasparenza radicale, Zuckerberg e i suoi collaboratori intendono dare forma a quello che loro chiamano Metaverso, cioè una proiezione, un’estensione del mondo “reale” fatta di app e servizi vari. Ovviamente, a uno sguardo critico, l’etichetta Metaverso risulta essere uno specchio per le allodole, una buzzword, un significante il cui significato rimane indeterminato.
Innanzittuto, potremmo dire che Internet – o meglio, parti di esso – per come adesso lo conosciamo sia una sorta di metaverso. Siamo in una fase storica dove molti servizi digitali sono già connessi tra loro.
Roberto Finelli & Luca Micaloni: Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io
Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io
Psicoanalisi della storia o scienza della storia?
di Roberto Finelli & Luca Micaloni
Introduzione a Consecutio rerum n. 11, anno VI (1/2021-2022), Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io a cura di Roberto Finelli e Luca Micaloni
1. Lo scorso anno è caduto il centesimo anniversario di Massenpsycholo- gie und Ich-Analyse, il testo pubblicato da Freud nel 1921 sulla psicologia collettiva e la cui composizione s’intreccia profondamente con la stesura di Al di là del principio di piacere, apparso qualche mese prima nel 1920. La nostra rivista dedica il suo numero 11, nella sezione monografica, al tema di questa ricorrenza, avendovi visto una occasione da non perdere per tornare a riflettere sulla questione del rapporto tra psicoanalisi e storia e su quella, ad essa intrinseca, della relazione tra psicologia individuale e psicologia collettiva, o psicologia sociale.
Psicologia delle masse e analisi dell’Io è componente fondamentale di quel quadrilatero con il quale Freud ha inteso stringere e definire una teoria psicoanalitica della storia e che accomunava, oltre al saggio del ’21, Totem e tabù, Il disagio della civiltà e Mosè e il monoteismo: opere dotate ognuna di una peculiarità di oggetto e di ambito di studio, ma tutte e quattro riconducibili a un impianto concettualmente unitario di fondazione e di spiegazione della storia umana, che facilmente si riassume nella centralità, per usare la celebrata espressione di J. Lacan, del “Nome del padre”.
La proposta freudiana d’interpretazione del formarsi di masse in cui predominano l’affettività e uno psichismo inconscio è, com’è ben noto, fondata sulla centralità di un legame libidico che lega un gruppo umano, regredito a una dimensione fusionale e priva di libertà del singolo, al padre/ padrone/capo. Nella massa, inoltre, ogni individuo appare libidicamente legato, da un lato, al capo attraverso identificazione/introiezione e, dall’altro, a tutti gli altri individui che esperiscono il medesimo innamoramento e formano con lo stesso contenuto oggettuale l’Ideale dell’Io.
comidad: Un’Europa non meno guerrafondaia degli USA
Un’Europa non meno guerrafondaia degli USA
di comidad
Se una guerra nucleare fosse scoppiata cinquanta o sessanta anni fa, essa avrebbe avuto il crisma e la solennità di uno scontro ideologico, mentre nell’attuale contrapposizione nella crisi ucraina non si riscontra niente del genere, semmai una miseria di motivazioni. Ci sono stati goffi tentativi di inquadrare l’attuale situazione di conflitto tra sedicente “Occidente” e Russia nell’ambito di una dicotomia tra globalismo da un lato e società tradizionaliste/identitarie dall’altra. Questa interpretazione si regge esclusivamente sul rovesciamento della propaganda occidentale, in quanto la Russia da trenta anni sta operando un sistematico tentativo di integrazione nell’economia globale e nelle sue istituzioni di riferimento. L’adesione della Russia al Fondo Monetario Internazionale data al 1992 e quindi potrebbe essere liquidata come un tradimento da parte dell’occidentalista Eltsin. L’adesione alla World Trade Organization però è del 2012, perciò sarebbe farina del sacco di Putin; ammesso, e non concesso, che sia lui l’unico decisore.
Liberiamo l’Italia: Prima che sia troppo tardi!
Prima che sia troppo tardi!
di Liberiamo l’Italia
Dopo oltre due mesi di combattimenti, è sempre più chiaro quanto avevamo affermato fin dall’inizio: quella in corso non è una guerra tra due paesi, bensì il risultato di un’aggressione politica, militare ed economica condotta dall’intero blocco Usa-Nato-Ue contro la Russia.
Insieme a sanzioni economiche sempre più pesanti, l’incessante fornitura di armi, istruttori e contractors, nonché il supporto logistico e di intelligence che questo blocco fornisce all’Ucraina, ha lo scopo di prolungare il più possibile il conflitto per indebolire la Russia e favorire un colpo di stato a Mosca.
Non pensiamo che questi obiettivi verranno conseguiti, ma con l’escalation guidata da Washington ben difficilmente la guerra potrà essere breve e limitata.
Con la criminalizzazione della Russia, con la propaganda sui “crimini di guerra”, con lo scatenamento di una razzista campagna di russofobia, il blocco Usa-Nato-Ue vuole impedire qualsiasi trattativa, qualunque soluzione politica che non sia la semplice capitolazione di Putin.
Simone Fana: Lavoro, salario minimo, tempo rubato e informazione
Lavoro, salario minimo, tempo rubato e informazione
Intervista a Simone Fana
Ormai il triste e famoso e “There is no alternative” della Thatcher è stato accettato e condiviso sia dalle forze neo liberiste sia da quelle di centro sinistra che dovevano fermare questo processo senza uscita; il capitale ormai è inconscio collettivo introiettato ed è “più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” (M. Fisher).
Il capitalismo si riflette e si alimenta attraverso mille linee e mille piani della nostra società: la ristrutturazione selvaggia del lavoro, il ruolo del capitalismo finanziario in grado d’innescare crisi economiche e guerre reali ovunque, il mondo tecnologico e digitale che sta ormai conquistando soggetti politici e immaginari collettivi, la catastrofe ambientale, il sistema scolastico e sanitario a pezzi, la burocrazia infinita, la perdita di memoria collettiva e di futuro condiviso. In questa crisi senza fine e indefinibile, moltiplicata dalla pandemia ancora in corso e dalla guerra in Ucraina, dove domina soltanto la narrazione neoliberista e occidentale con ristrutturazioni e soluzioni dettate soltanto dall’agenda del capitale, non riesce a nascere una forza politica reale, partito, movimento o sindacato, che possa quanto meno modificare e trasformare i rapporti di forza attuali.
Guido Salerno Aletta: L’incubo di Faust
L’incubo di Faust
di Guido Salerno Aletta
Non sarà altra moneta creata dal nulla che fermerà la nuova crisi
L’Occidente è di fronte alla fine dell’illusione iniziata con la Greenspan Put, poi denominata Qe: quella di superare le crisi determinate dagli squilibri economici e finanziari incontenibili con la immissione massiccia di nuova moneta da parte delle Banche centrali, in primo luogo di dollari, ma ormai da un decennio anche di euro.
Abbassare i tassi di interesse aiuta chi ha debiti ed è in difficoltà per onorarli, ma così lo si incoraggia a contrarne altri: per evitare un piccolo fallimento, si lastrica la strada ad uno ancora più grande.
Acquistare titoli del debito pubblico o altri asset garantiti già in circolazione, a fronte della creazione di nuova moneta, consente al mercato che li ha ceduti alle banche centrali di finanziare altri investimenti, di sottoscrivere la emissione di altri titoli, di creare altro credito. Tutto funzionerebbe se questa nuova moneta fosse utilizzata per sanare gli squilibri sottostanti, quelli che hanno determinato le crisi, e non a riprodurli sempre più gravi.
Mauro Casadio: Crisi sistemica e crisi militare
Crisi sistemica e crisi militare
di Mauro Casadio
Stallo come accumulo di contraddizioni
Se siamo chiamati a fare una analisi della situazione attuale rischiamo di essere parziali se non si analizzano le condizioni che hanno portato all’oggi. Dunque per descrivere la dinamica che ora porta alla “formalizzazione” delle contraddizioni in atto dobbiamo delineare per sommi capi il percorso fatto da queste nell’ultimo decennio.
Certamente dopo la fine dell’URSS si è determinata una fase di stabilità dovuta alla possibilità per il capitale di autovalorizzarsi utilizzando gli enormi spazi materiali che si erano creati, inclusa la Cina, e lo sviluppo delle forze produttive causato da scienza e tecnologia e dal forte ridimensionamento della lotta di classe, dal basso, a livello internazionale.
Questa condizione “virtuosa” si è protratta fino alla crisi finanziaria del 2007/2008, anche se è stata preceduta da altri momenti di caduta per la finanza, segnando una prima modifica della linea di crescita, curvandosi verso un andamento più “piatto”; e nel decennio passato questa tendenza si è ulteriormente accentuata.
Questa stato delle cose, caratterizzato da una crisi latente, però non ha rimesso in discussione l’egemonia statunitense e gli equilibri internazionali, ma ha fatto crescere competitori potenziali portando di fatto ad uno stallo dei rapporti di forza internazionali.
Va chiarito che per “rapporti di forza” non intendiamo eminentemente quelli militari ma, oltre ovviamente a questi, intendiamo anche quelli economici, sociali, ideologici, etc, cioè dello sviluppo complessivo dei diversi soggetti in campo.
Nico Maccentelli: La peste nera in Europa
La peste nera in Europa
di Nico Maccentelli
In occasione dell’anniversario della strage di Odessa, avvenuta il 2 maggio del 2014, e che è possibile approfondire sulla stessa Carmillaonline qui e su L’Interferenza qui, intendo mettere in rilievo un fenomeno preoccupante che si stagliando in Italia e in Europa in generale e che sostanzialmente si basa sullo sdoganamento, e direi la “santificazione”, da parte dei media mainstream del nazismo ucraino.
Partirei dall’episodio avvenuto a Bologna, alla festa partigiana Oltre il ponte, organizzata da Potere al Popolo: ore 19,00, un ucraino inizia a inveire contro i compagni del banchetto del Comitato Ucraina Antifascista, si cerca di contenerlo con le buone, questi chiama i suoi compari al telefono, nel giro di mezzora arriva una trentina di facinorosi i quali iniziano a fotografare e filmare gli astanti e cercano di attaccare il banchetto del comitato, qualcuno di questi si è qualificato come aderente a Pravy Sektor (Settore Destro), qualcuno parlava bene l’italiano, i compagni presenti alla festa erano in numero preponderante e sono riusciti a respingere l’attacco oltre le transenne che limitano lo spazio della festa.
Questi sono i fatti accaduti il 23 aprile a Bologna, ma gli episodi analoghi come l’ostruzione aggressiva alla presentazione del libro di Sara Reginella a Senigallia “Donbass una guerra fantasma”, ormai non si contano più. A questo si aggiungono aggressioni e cartelli intimidatori contro cittadini russi: chiare forme di razzismo che non fanno fare una piega a quella “sinistra” soprattutto dem che parla tanto a vanvera di razzismo. È un fatto estremamente grave che i “paladini” dirittoumanitaristi, vieppiù in una società che vanta di essere civile, non potrebbero tollerare. E invece tollerano.
Emilia Margoni: L’inconscio della fisica
L’inconscio della fisica
di Emilia Margoni
Per quanto implausibile, l’intuizione di Leonardo Sciascia è suggestiva: parlare di scomparsa in riferimento a Majorana ha un che di sviante e rivelativo a un tempo. Sviante, perché dissimula i segni di un progetto studiatissimo; rivelativo, perché quel progetto contemplava la dissimulazione delle proprie tracce. In questa chiave, quello di Majorana fu un gesto di duplice sottrazione: sottrarre sé stesso al peso di una svolta epocale e ingovernabile e sottrarre un peso così poco sostenibile a un mondo che aveva intuito, ma non ancora elaborato, un piano strategico per l’autodistruzione, la cui première sarebbe andata in scena a Hiroshima il 6 agosto 1945.
Sciascia proietta sul fisico catanese una capacità anticipatoria che non è né chiaroveggenza né pura sensazione, ma una ponderatissima logica deduttiva che da certe premesse portava a certe conclusioni. In risposta all’inconsapevole cupio dissolvi dei suoi colleghi, secondo Sciascia, Majorana decise di inscenare la sua scomparsa (“perché la sua scomparsa noi la vediamo come una minuziosamente calcolata e arrischiata architettura” – L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Torino: Einaudi, 1975, p. 54) per dare massimo risalto alla “cecità” improvvida e fatale della comunità scientifica e per trovar riparo in ben altre comunità. Insomma, mentre i giovani fisici in fermento degli anni Venti e Trenta rompevano i protocolli della fisica classica con sconsiderata esuberanza e avviavano la nuova fisica verso quel futuro che oggi è presente, Majorana, Pizia riluttante, preferiva sottrarsi a quelli che, ai suoi occhi giudiziosi, sarebbero stati di lì a breve gli esiti deflagranti di quegli entusiasmi giovanili: la fissione nucleare.
Francesco Piccioni: La guerra è un rasoio
La guerra è un rasoio
di Francesco Piccioni
La guerra è un rasoio affilatissimo. Separa la Storia, con un prima e con un dopo, ponendo fine a una fase – i trenta anni della “seconda globalizzazione”, in questo caso – e aprendo un “periodo costituente” che dipenderà dagli esiti, sul campo, nelle economie e nei negoziati.
Taglia gli schieramenti senza alcun riguardo per il quadro di “valori” che si credeva condiviso. Recide relazioni personali e vecchie amicizie. Spacca movimenti e collettivi. Attraversa le classi sociali orizzontalmente (tra “alto” e “basso”, tra chi ci guadagna e chi ci perde) e verticalmente (tra presunti progressisti e autentici conservatori).
Straccia gli ideali fasulli, i castelli di parole scelte con cura nel politically correct, per nascondere più che per rivelare. La guerra è un fatto, il più brutale e inaggirabile dei fatti.
La guerra è un rasoio. E’ bipolare, non ammette terzietà. Costringe a stare da una parte o dall’altra. L’unica scelta che rimane, agli esseri umani pensanti, è se stare dentro il campo disegnato da chi muove guerra e chiama a schierarsi senza farsi domande, oppure stare contro la guerra e chi la muove.
Piccole Note: Azovstal: il mistero dei bus spariti
Azovstal: il mistero dei bus spariti
di Piccole Note
Evacuazione con giallo quella avvenuta nelle acciaierie di Mariupol, dal momento che dei 14 bus partiti dalle Azovstal assediate dai russi, solo tre sono arrivati alla destinazione stabilita, mentre dei restanti undici non si sa nulla. A riferirlo sono le autorità ucraine, mentre i russi tacciono,
Tale silenzio è bizzarro, dal momento che avrebbe risolto il giallo in fretta e senza dare spazio a ulteriori polemiche. E però, stranamente, la scomparsa di questi undici bus, pur segnalata, non ha fatto granché notizia nonostante sia una vera enormità.
Proviamo, dunque, a dipanare la matassa riprendendo quanto avevamo scritto in una nota precedente, nella quale riferivamo che diversi indizi indicavano che era in corso una trattativa segreta per far esfiltrare i militari Nato nascosti, in incognito, nelle viscere delle acciaierie.
Rimandando alla nota pregressa per il dettagli su tali indizi, ci sembra che la sparizione di questi undici bus confermi la trattativa e indichi che l’accordo Nato – Russia è andato a buon fine, consentendo al personale militare occidentale (e forse di altri Paesi) di lasciare indenni le acciaierie.
Enrico Euli: Come in una grande tempesta
Come in una grande tempesta
di Enrico Euli
La situazione si è fatta più chiara e angosciante: nei giorni scorsi il cambio di passo militare e politico deciso dal Pentagono con la costituzione di un «gruppo di contatto» formato da 43 Paesi, al comando del quale si sono messi gli Usa, rende evidente che non si tratta di resistere ma di sconfiggere la Russia. Scrive Enrico Euli: “La prosecuzione della guerra con altri mezzi (più pesanti, più distruttivi, più offensivi, più disastrosi, più irreversibili) dà la sensazione al timoniere di divenire più potente e di controllare meglio il corso e gli esiti, ma in realtà li affida (e ci sottopone) a una serie di evenienze e imprevisti assolutamente fuori dalla sua e nostra portata, come avviene in una grande tempesta nell’oceano…”
Chi volesse pretendere di presentarsi come un intellettuale o un politico intellettualmente e politicamente onesto dovrebbe ora ammettere che la situazione si è fatta più chiara. Se prima poteva ancora nascondersi dietro il dito del diritto a resistere, della guerra umanitaria, del sostegno legittimo al debole aggredito, dovrebbe almeno riconoscere che ora la situazione è cambiata.
Megas Alexandros: Rublo e gold standard: facciamo un po’ di chiarezza
Rublo e gold standard: facciamo un po’ di chiarezza
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Esponenti del Cremlino – e buona parte dell’informazione indipendente – prefigurano un ritorno al “gold standard” per il rublo. In verità, gli ultimi mesi ci dimostrano che la valuta russa è perfettamente “fiat” ed utilizza in modo esemplare la politica del cambio fluttuante
Qualche settimana fa, assieme all’economista Warren Mosler, abbiamo analizzato i molteplici articoli riguardanti le dichiarazioni dell’economista russo Sergey Glazyev.
Pur considerando i grossi progressi che la Russia sta facendo a livello di comprensione dei sistemi monetari, abbiamo convenuto che se i suoi esperti di spicco avessero letto i lavori di Mosler e della MMT, sarebbero già molto più avanti nel loro lavoro.
Cerchiamo di capirci bene, un conto sono le proposte e le tesi, presunte innovative e risolutive, dei vari economisti e studiosi della materia monetaria, altra cosa è la realtà di quello che avviene nel mondo reale che è caratterizzato dalle scelte dei vari governi.
Il tema scottante e con più “appeal” nel mondo dell’informazione indipendente sui temi monetari è oggi il “fantomatico” ritorno del rublo al gold standard.
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