[Sinistrainrete] Enrico Vigna: Ucraina, le colpe di Zelensky, le ragioni di Putin

Intervista anti Nato: un Paese sempre più povero, con troppi nazisti, una tragedia che dura da 8 anni, parla Enrico Vigna. Sulla Ucraina e i suoi tragici lunghi conflitti Enrico Vigna ha scritto tre libri. Giornalista e saggista, nella vita di tutti i giorni lavora in una cooperativa di distribuzione e consegne libri.

Ma la sua passione sono la testimonianza e documentazione dei fatti e misfatti delle guerre dei nostri tempi non solo in Europa.

Guerre sulle quali ha scritto molti libri e dossier. Sulla ex Jugoslavia, Palestina, Tibet, Libia, Siria, Priednestrovie, Abkhazia, Krajina, Ucraina, Scozia, NovoRossya, Chavez, Mandela, Siria, Saharawi, NagornoKarabakh.

Che lo hanno portato ad essere l’attivissimo Coordinatore dei Progetti di Solidarietà Concreta di SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija, di SOS Donbass–Ucraina Resistente, di SOS Siria, di SOS Afghanistan e di SOS Palestina.

Nel 2012 per l’attività umanitaria in Serbia/Kosovo ha ricevuto il Premio Novosti di Belgrado assieme al regista Emir Kusturica e al sacerdote Padre Irinei.

I suoi libri sull’Ucraina si intitolano

– Ucraina, tra golpe e neonazismo;

– Ucraina, Donbass – I crimini di guerra della Giunta di Kiev;

– Noi sotto le bombe in Donbass, scritto assieme a N. Popova e V. Shilova.

L’intervista che segue è la sintesi di un testo lungo quasi il doppio. La ritengo molto interessante perché, nel quadro delle informazioni e opinioni disponibili, essa riporta un importante complemento sulla realtà ucraina. Visto da Mosca, si potrebbe dire, ma un importante complemento di verità.

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Roberto Fineschi: “La logica del capitale. Ripartire da Marx”

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“La logica del capitale. Ripartire da Marx”

intervista a Roberto Fineschi

Roberto Fineschi: La logica del capitale. Ripartire da Marx, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Press, 2021

a94dfff6f328b3b3fb36c05ac1dc4c87 XLProf. Roberto Fineschi, Lei è autore del libro La logica del capitale. Ripartire da Marx edito dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: quali condizioni consentono oggi una nuova lettura dell’opera di Karl Marx?

Le condizioni sostanziali sono due. La prima è di carattere scientifico: la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, MEGA2) sta mettendo a disposizione per la prima volta nella storia della ricezione marxiana una serie di testi fondamentali prima inaccessibili. Essi hanno cambiato la faccia di alcune delle opere fondamentali di Marx come i cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del ‘44, L’ideologia tedesca e, soprattutto, Il capitale. Il Marx che possiamo leggere oggi non è quello che è stato letto fino ad oggi.

La seconda è di carattere storico-politico. Senza esprimere sommari giudizi sulla storia novecentesca, è un dato di fatto che qualunque movimento politico organizzato ha bisogno di una dottrina certa e immutabile su cui basare la propria azione. Il marxismo inevitabilmente aveva ingessato il pensiero di Marx. L’ortodossia sovietica aveva poi finito per influenzare anche le posizioni anti-sovietiche o eclettiche. Al di là della valutazione che si voglia dare di queste esperienze (e sarebbe insensato liquidarle con sufficienza), è evidente che il venir meno di questo contesto nel suo complesso ha senz’altro permesso un più libero approccio al testo di Marx.

Quali nuove interpretazioni un’analisi filologicamente rigorosa della teoria marxiana?

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Giorgio Paolucci: La guerra imperialista permanente infuria in ogni angolo del mondo e si configura ormai come una vera e propria guerra mondiale

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La guerra imperialista permanente infuria in ogni angolo del mondo e si configura ormai come una vera e propria guerra mondiale

di Giorgio Paolucci

La narrazione corrente tende a rappresentare tutte le guerre in corso come ognuna a sé stante e ognuna figlia di specifici contenziosi (religiosi, territoriali, etnici ecc. ecc.) in realtà, poiché la posta in palio è il sistema dei pagamenti internazionali, ognuna di esse si configura in tutto e per tutto come uno dei tanti capitoli della più generale, e ormai mondiale, guerra imperialista permanente

guerra986La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente, Faceva la fame.
Fra i vincitori Faceva la fame la povera gente,
egualmente.
Bertolt Brecht

Ovunque c’è anche una sola traccia di petrolio, di gas o di qualche altra materia prima strategica infuria la guerra.

Anche il conflitto fra Israele e Hamas – il cui ultimo round si è appena concluso – seppure sullo sfondo di un’annosa e irrisolta questione territoriale, si è ulteriormente acuito da quando sono stati scoperti importanti giacimenti di gas nei fondali di Gaza Marine.[1] Si sarebbe, dunque, tentati di concludere che non c’è nulla di nuovo in questa ultima ondata di conflitti che, estendendosi dall’Ucraina, all’Iraq; dalla Striscia di Gaza alla Libia e, di fatto, all’intera Africa, non risparmia ormai nessun continente e vede coinvolte tutte le maggiori potenze imperialistiche. Ma non è così o, quanto meno, lo è solo in parte, nel senso che alle cause di sempre se ne sono aggiunte almeno altre due specifiche di questa fase della crisi strutturale in cui da qualche decennio si dimena il modo di produzione capitalistico: il fallimento delle politiche monetarie attuate dalle maggiori banche centrali, in funzione anticiclica e l’ormai conclamata tendenza alla depressione permanente.[2]

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Barbara Spinelli: Gli orrori neonazisti in Ucraina e la guerra senza fine della Nato

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Gli orrori neonazisti in Ucraina e la guerra senza fine della Nato

di Barbara Spinelli

Man mano che passano i giorni, i neonazisti che combattono a fianco delle truppe regolari ucraine, e in particolare quelli asserragliati nell’acciaieria Azovstal, sono chiamati con nomi più benevoli: vengono presentati come eroici partigiani, difensori ultimi dell’indipendenza ucraina. Zelensky che inizialmente voleva liberarsi dei neonazisti oggi dipende dalla loro resistenza e li elogia. La loro genealogia viene sistematicamente occultata e anche i giornalisti inviati tendono a sorvolare, ricordando raramente che nel Donbass questa maledetta guerra non è nata nel 2022 ma nel 2014, seminando in otto anni 14.000 morti. Oppure si dice che il battaglione Azov è una scheggia impazzita, certo pericolosa ma non diversa da roba tipo Forza Nuova in Italia.

Invece il battaglione Azov è tutt’altra cosa: è un reggimento inserito strutturalmente nella Guardia Nazionale ricostituita nel 2014 dopo i tumulti di Euromaidan e ha legami organici con i servizi (Sbu, succedaneo ucraino del sovietico Kgb). Così come sono tutt’altro che schegge le formazioni neonaziste o i partiti vicini al battaglione: Right Sector (Settore di Destra), Bratstvo, National Druzhina, la formazione C14, il partito Svoboda oggi in declino, e vari drappelli militarizzati.

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Andrea Zhok: L’Occidente moderno è la società più aggressiva della storia

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L’Occidente moderno è la società più aggressiva della storia

di Andrea Zhok

Ogni tanto trovi ancora gente che continua a contrapporre l’Occidente – guidato dalla difesa dei diritti umani, dall’implementazione della democrazia, dal principio di autodeterminazione dei popoli, e dalla pratica del “dolce commercio” – al rimanente mondo non-occidentale: oscuro, autoritario, oppressivo e, diciamocelo, in fondo disumano (praticamente Mordor).

Ora, sappiamo tutti che la storia oramai non la studia davvero più nessuno e che essa è stata sostituita dall’opinione volante dell’ultimo tiggì. E tuttavia, anche per il nostro stesso bene, sarebbe il caso che noi occidentali capissimo una cosa.

L’Occidente moderno è la società più aggressiva della storia.

Nessuna civiltà nella storia è stata maggiormente votata all’espansionismo, alla conquista militare, e allo sfruttamento sistematico degli altri della civiltà occidentale moderna e in particolare della sua recente versione “liberale”.

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Fabio Marcelli: Ucraina: la posta in gioco non è la vittoria di uno dei contendenti, ma quella tra guerra e pace

fattoquotidiano

Ucraina: la posta in gioco non è la vittoria di uno dei contendenti, ma quella tra guerra e pace

di Fabio Marcelli

La guerra di informazione in corso attorno al conflitto ucraino assume tinte sempre più surreali e paradossali.

Tutti si concentrano sulle baggianate del ministro degli Esteri russo Lavrov sulla presunta ebraicità di Hitler, ma nessuno, quantomeno nel “libero” Occidente, sugli azzardati paragoni di Zelensky tra invasione russa e occupazione dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, che fu contrassegnata dallo sterminio di più di un milione e seicentomila ebrei da parte dei nazisti col fattivo supporto degli ausiliari ucraini guidati dall’eroe nazionale redivivo Bandera.

Ma secondo l’ascaro della Nato Enrico Letta l’intervista a Lavrov costituisce un’onta per l’Italia e potrebbe presumersi che i suoi collaboratori siano all’opera per silenziare ogni possibile opposizione alla guerra in corso e ogni possibile riferimento alla campana russa, impedendo così a noi tutti di capirci qualcosa in questa guerra senza precedenti di menzogne, dato che, come giustamente affermato dall’ex vicesegretario alla Difesa statunitense Freeman, “chi è esposto solo alle bugie occidentali, e non anche a quelle russe, non ha modo di capire la realtà”.

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Pierluigi Fagan: E l’Europa?

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E l’Europa?

di Pierluigi Fagan

Fotografia a più livelli della condizione europea. Macron, che ha ancora la presidenza europea fino a giugno, si è liberato del silenzio elettorale ed ha presentato diverse novità nel discorso di ieri sul futuro dell’Europa.

Poco tempo fa, segnalai l’uscita di Letta in favore di un allargamento delle convenzioni europee a paesi come la Georgia, l’Ucraina e la Moldova ed i balcanici occidentali, progetto già presentato da Michel poco tempo prima. Attualmente, l’adesione dell’Ucraina all’UE, superata la marmellata idealista buona per le conferenze stampa, dovrebbe fare i conti con procedure che semplicemente durano decenni. Altresì, pur essendoci la volontà espansiva di coinvolgere queste periferie per lo più orientali, non è affatto detto, anzi è certo il contrario, che questi candidati abbiamo semplicemente i requisiti minimi per equipararsi al plotone dei 27. Che fare? Ecco allora l’idea di associarli con uno statuto limitato, meno integrativo in senso ampio, ma idoneo per condividere alcuni interessi.

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Fernanda Mazzoli: Cittadinanza a punti

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Cittadinanza a punti

di Fernanda Mazzoli

Ci sono fondati motivi di ritenere che il green pass non sia veramente destinato all’archiviazione in un piccolo museo degli orrori dedicato alla storia recente, né si può fare affidamento sulla benevolenza dei nostri governanti che hanno deciso, dal primo maggio e ultimi in Europa, di allentare un pochino la pressione sui sudditi, sempre a condizione che questi non abusino della libertà vigilata cui sono sottoposti.

Non importa nemmeno che le tante varianti del Covid 19 abbiano smentito l’efficacia del Green pass quanto a controllo e limitazione dei contagi e neppure che esso abbia sostanzialmente fallito come soluzione finale per indurre alla vaccinazione i renitenti, i quali, in gran parte, hanno preferito subirne le pesanti discriminazioni piuttosto che il ricatto. Il green pass ha, comunque, raggiunto il suo scopo primario, che è quello di plasmare un nuovo habitus mentale capace di ridisegnare nuovi rapporti fra le persone e fra queste e le istituzioni e di preparare il terreno ad un passaggio il più possibile indolore dalla condizione di cittadino, frutto di secoli di lotte politiche, sociali e culturali, a quella di suddito di un neofeudalesimo postmoderno.

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Fabio Ciabatti: Black Flag, speranza e distopia. Ricordando la meraviglia del primo incontro con Valerio Evangelisti

carmilla

Black Flag, speranza e distopia. Ricordando la meraviglia del primo incontro con Valerio Evangelisti

di Fabio Ciabatti

Evangelisti 4Quando il mio ricordo va a Valerio Evangelisti la prima immagine che mi viene in mente è quella di un grande narratore, di una persona capace di raccontare storie meravigliose. Storie che non avevano una conclusione definitiva, ma che potevano ricominciare sempre, continuare all’infinito perché avevano un carattere aperto e multilineare. Storie pensate per costituire una sorta di memoria collettiva degli oppressi e degli sfruttati e per consentire loro di riappropriarsi delle proprie passate gesta, cancellate dalla storia scritta dai vincitori. Insomma, nel mio ricordo Valerio più che apparire come uno scrittore in senso stretto assomiglia un po’ al narratore di cui ci parla Walter Benjamin.

Sono ben consapevole che questo paragone ha dei limiti. A cominciare dal fatto che raramente i suoi romanzi hanno per protagonista l’uomo giusto e semplice di cui ci parla il filosofo berlinese. È più frequente che il motore della narrazione proceda dal “lato cattivo della storia”. Basti pensare al suo personaggio più famoso, l’inquisitore Nicolas Eymerich. I suoi racconti, in questo modo, sono in grado di dissezionare i fondamenti antropologici, ideologici, psicologici del potere, mettendosi dalla parte del potere stesso. È poi ovvio che il suo mezzo espressivo principale era il racconto scritto e non quello orale, per quanto sia anche vero che, sentendolo parlare con il suo tono di voce basso e leggermente cantilenante, non si poteva non rimanere affascinati dalla sua capacità affabulatoria e dalla sua sottile ironia.

Rimane il fatto che Valerio non si accontentava di cristallizzare in forma letteraria l’insanabile scissione tra significato e vita, come accade al romanziere tipo benjaminiano.

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Fausto Di Biase e Paolo Di Remigio: Il danno scolastico di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

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Il danno scolastico di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

recensione di Fausto Di Biase e Paolo Di Remigio

AdobeStock 303396497 1200x800.jpegPaola Mastrocola, già autrice di uno dei libri più lucidi e tempestivi sulla deriva dell’istruzione in Italia[1], e Luca Ricolfi hanno pubblicato qualche mese fa uno studio, Il danno scolastico, in cui rilevano che i frequenti cambiamenti per rendere democratica e ugualitaria la scuola, nell’umiliarla sul piano culturale, l’hanno trasformata in un danno per i ceti inferiori: omettendo di istruirli, essa li priva di un mezzo efficace di ascesa sociale, e indirettamente avvantaggia chi proviene dai ceti elevati, a cui è rafforzato il consueto monopolio delle posizioni più ambite. In una parola, la scuola ugualitaria non solo fa mancare le condizioni necessarie al riprodursi della civiltà, ma realizza il contrario di quello che vuole instaurare, esaspera cioè la disuguaglianza sociale.

Aver tematizzato l’uguaglianza ha consentito agli autori di chiamare in causa il ruolo che i suoi fautori svolgono nella crisi della scuola. Benché ispirate da istituzioni sovranazionali orientate al neoliberalismo, le riforme dell’istruzione hanno acquisito il loro furore palingenetico perché sono state implementate da una burocrazia ministeriale erede dell’ideale ugualitario e legata alla prassi della rivoluzione dall’alto. Mastrocola e Ricolfi individuano con precisione il mezzo con cui essa ha scatenato la rivoluzione pedagogica: le sue innovazioni si sono spinte oltre il diritto allo studio, fino ad affermare un nuovo, inaudito, diritto al successo formativo.

Difficile non avvertire la loro differenza: diritto allo studio è la forma preliminare del diritto al lavoro, è il diritto alle condizioni iniziali necessarie a padroneggiare i mezzi con cui la libertà provvede a sé rendendosi utile agli altri; diritto al successo formativo è invece il dono del fine senza la fatica del mezzo, senza la durezza della disciplina.

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Gaspare Nevola: Dietro la guerra tra Ucraina e Russia. Il Giano bifronte dell’ordine internazionale liberale in crisi 

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Dietro la guerra tra Ucraina e Russia. Il Giano bifronte dell’ordine internazionale liberale in crisi

di Gaspare Nevola

liberale 1È guerra tra Russia e Ucraina. Il conflitto, da oltre due mesi, ha spodestato la pandemia, e i suoi enigmatici annessi e connessi, dal trono mediatico. Lo scontro armato che tanto fa discutere e indigna si inscrive in una lunga vicenda di crisi e di tensioni nell’area di confine tra i due Paesi, e coinvolge aree contese tra i due Stati confinanti. Lungo questo confine si è ispessita, però, anche una nuova “cortina di ferro”: una linea di demarcazione ipersensibile tra Europa occidentale e americanofila, da una parte, ed Europa russofila o post pansovietica, dall’altra; e non solo. Siamo di fronte a un contenzioso che risale al “dopo 1989-1992”, ai tempi del disfacimento della Federazione Sovietica: tra rivendicazioni territoriali e sovranità nazionali, tra micro-etnonazionalismi, secessionismi e irredentismi, tra interessi geopolitici e geoeconomici. Si tratta di conteziosi non solo mal accomodati tra gli Stati-nazioni confinanti (Russia e Ucraina), ma che sono anche fonte di contrasto tra le pretese di stampo imperiale di Stati Uniti e di Russia (e della Cina, per ora sulla riva del fiume). Porre la questione in termini di “buoni” contro “cattivi” ha una sua efficacia nella cultura politica e nella narrazione dominanti, un’efficacia che si fa forte della distinzione tra l’aggressore e l’aggredito. Tuttavia, questa lettura in termini morali finisce per semplificare e schematizzare troppo un conflitto innescato da una molteplicità di fattori, e da una visione contrapposta degli “interessi vitali” delle varie parti in gioco. In questo conflitto nessuno ha le “mani pulite” o la patente di innocenza, le responsabilità variano a seconda del variare del punto di riferimento storico e politico, del casus belli o dello snodo critico dal quale si considera la vicenda.

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Alberto Bradanini: “Gli Usa temono un asse Russia-Cina e un mondo multipolare”

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“Gli Usa temono un asse Russia-Cina e un mondo multipolare”

Luciana Borsatti intervista Alberto Bradanini

Parla l’ex ambasciatore, autore di “Cina. L’irresistibile ascesa”

“Pur non concordando sulla decisione di Putin di invadere l’Ucraina, poiché qualsiasi conflitto anche lontano genera insidiose turbolenze, la dirigenza cinese condivide nella sostanza il giudizio di Mosca: che la genesi del conflitto vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e se possibile causarne persino la frantumazione, rendendola facile preda degli avvoltoi di Wall Street”. A dirlo in una conversazione con chi scrive è Alberto Bradanini, Ambasciatore a Pechino dal 2013 al 2015, dopo esservi stato consigliere commerciale e console generale a Hong Kong. L’ex diplomatico, che ora presiede il Centro Studi sulla Cina Contemporanea, ha appena pubblicato “Cina. L’irresistibile ascesa” (Sandro Teti Editore), che fa seguito a “Oltre la Grande Muraglia. Uno sguardo sulla Cina che non ti aspetti” (Università Bocconi, 2018) e “Cina, lo sguardi di Nenni e le sfide di oggi” (Anteo, 2021).

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Pierluigi Fagan: Il grande conflitto per il regolamento del mondo (Asia)

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Il grande conflitto per il regolamento del mondo (Asia)

di Pierluigi Fagan

Le forme associate di vita umana che possiamo chiamare “società” se lette al loro interno, “stati” se dal lato esterno, hanno sempre avuto scambi tra loro a tre raggi: breve, medio, lungo. Sebbene la retorica della globalizzazione abbia dato una superficiale impressione che le distanze e quindi la geografia, non contassero più, la realtà misurata (che a volte o spesso è diversa da quella percepita se non si approfondisce l’analisi e si prendono acriticamente per buone le “narrazioni”) dice diversamente.

Tranne pochissime eccezioni, ogni stato dei poco meno di 200 che abitano il mondo, in termini di classifica dei primi tre partner per export o import, segnano quasi sempre stati partner vicini, confinanti. Non c’è solo una “ragione della distanza” di mera geografia, ci sono anche ragioni storico-culturali che tuttavia ribadiscono che la diversità tra simili è minore che con i dissimili e poiché lo scambio è tra umani, tale ragione conta.

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Marco Della Luna: Poker d’atomi

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Poker d’atomi

di Marco Della Luna

Tutta la comunicazione sull’Ucraina è fuorviante perché inculca nell’opinione pubblica un metodo irrealistico e ingannevole di inquadrare il tema, ossia giudicando le mosse geostrategiche secondo categorie di legittimità morale e giuridica, di tutela della sovranità nazionale, della democrazia, delle libertà, mentre le decisioni di politica e strategia internazionale e domestica non vengono prese, ed è infantile pensare che vengano prese o possano venir prese, a tutela della morale o del diritto. Gli USA e i loro satelliti (Italia in testa) non lo fanno, anzi hanno regolarmente infranto il diritto internazionale (Iraq, Libia, Afghanistan). Esse vengono prese in base a calcoli di forze e convenienze, sebbene ovviamente chi le prende le ammanti di moralità e legittimità per ottenere consenso e per delegittimare l’avversario. Lo spiegava già mezzo millennio fa Niccolò Machiavelli dicendo che il principe, cioè il politico che vuole governare, per essere competitivo non deve porsi limiti morali o legali, però deve accreditarsi come buono e legittimo per ottenere appoggi e fiducia.

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Paolo Ferrero: Draghi appiattito sulle scelte Usa

fattoquotidiano

Draghi appiattito sulle scelte Usa

L’unica strada per la pace che vedo è far cadere il governo

di Paolo Ferrero

Mario Draghi è negli Stati Uniti per incontrare il presidente Biden e per ricevere il “Distinguished Leadership Award” da parte dell’Atlantic Council. Questo riconoscimento celebra “le persone con i risultati più alti che incarnano l’essenza dei pilastri delle relazioni transatlantiche” e ogni anno “salutano un gruppo esemplare di individui che hanno contribuito alla missione dell’Atlantic Council di plasmare insieme il futuro globale”.

Draghi riceverà questo premio insieme a due ucraini e al presidente dell’Eni. Direi che mai premio è stato più meritato.

Quest’anno infatti il riconoscimento, con ogni evidenza, premia i più fedeli alleati nella guerra globale scatenata dagli Stati Uniti in risposta alla guerra regionale cominciata da Putin. Se il riconoscimento all’Ucraina non ha bisogno di spiegazioni, più interessante è cogliere le ragioni del riconoscimento a Draghi. Il punto mi pare evidentissimo: tra i “grandi” paesi europei, l’Italia è l’unica completamente sdraiata sulla posizione statunitense.

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Ugo Giannangeli: C’è un limite a tutto e si chiama decenza

pressenza

C’è un limite a tutto e si chiama decenza

di Ugo Giannangeli

La propaganda a sostegno dell’Ucraina ha raggiunto livelli insopportabili e indecenti.

In questi giorni abbiamo in tour (sarebbe il caso di dire “tournee”) quattro donne, mogli e fidanzate di quattro importanti esponenti del reggimento Azov. Il Corriere della Sera del 29 aprile dedica a loro un’intera pagina. Toccato inevitabilmente nell’intervista il punto dolente dell’appartenenza del reggimento alla galassia neonazista, la moglie del comandante Prokopenko nega con fermezza l’appartenenza e dice del marito che è un nazionalista, non un nazista. L’intervistatrice, una donna solidale, si guarda bene dal fare la sola domanda necessaria a questo punto: come mai il reggimento fa aperto uso della simbologia della Germania nazista tra cui il Wolfsangel usato dai nazisti durante l’invasione dell’Urss? Ma non si può mettere in imbarazzo una giovane moglie in apprensione per la sorte del marito!

La signora Prokopenko adduce poi un argomento a suo parere risolutivo a dimostrazione della falsità dell’accusa di neonazismo al reggimento: ne fanno parte anche ebrei. La ventisettenne Kateryna evidentemente non ha letto l’interessante libro “ Relazioni pericolose.

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