Di fronte alle recenti immagini dell’assalto alla sede romana della Cgil dello scorso 9 ottobre, ci siamo chiesti in quale misura l’evidente partecipazione di organizzazioni neofasciste avesse incontrato la protesta di corpi sociali meno smaccatamente politicizzati e più direttamente legati, in quel frangente, alla contestazione per le politiche di emergenza sanitaria adottate dal governo (greenpassin testa). Abbiamo riflettuto, di fronte a quelle stesse immagini, sul peso specifico di alcune figure tribunizie, colte dai medianell’atto di incitare i presenti o, come si direbbe con lessico giornalistico, di aizzare la folla. Ed è stata dai più condivisa, probabilmente, la sensazione di trovarsi di fronte a retori casuali, finanche folcloristici, a pose tanto prevedibili quanto consumate, a un gioco di ruoli persino meccanico e tuttavia capace di scatenare una furia distruttiva simbolicamente orientata. Così come a non pochi dev’essere sfuggito il profilo fin troppo vario di quella folla, la cui costituzione sembrava caratterizzata da un’aperta provvisorietà degli attori partecipanti. Quasi che a vestire i panni dell’aggressore potesse essere, in fondo, chiunquee che la violenza risultasse come il naturale compimento di un modo d’esserci, come un tentativo di partecipare all’atto, di manifestare in quel momento – e solo in quel momento – la propria presenza. Che ad essere colpita sia stata la sede del maggior sindacato italiano dei lavoratori, è un dato di fatto incontrovertibile e nello stesso tempo carico di significati, che deve essere compreso insistendo su un’altra constatazione, relativa al carattere estremamente spurio e ibrido di quel chiunque.
Pierluigi Fagan: Il congelamento di agosto
Il congelamento di agosto
di Pierluigi Fagan
Raccolgo qui una serie di informazioni, articoli, opinioni lette in questi giorni sulla stampa internazionale, per tentare la risposta alla domanda su quanto manchi alla fine del conflitto russo-ucraino. Sviluppiamo il ragionamento in forma ovviamente ipotetica, sebbene riteniamo di aver solide ragioni che limitano il campo delle ipotesi. E la risposta alla domanda è simile a quella data, se ben ricordo, poco tempo fa da un generale ucraino ed altri analisti che indicava agosto come termine dello scontro armato. Perché?
Chiariamo innanzitutto che con “termine del conflitto” intendiamo non la pace, ma la sospensione delle operazioni sul campo, quello che chiamano “congelamento del conflitto”, il conflitto rimane, diventa diplomatico o prende altre forme politiche ed economiche e perde quelle militari. Agosto è la stima del tempo che i russi potrebbero impiegare per prendere territorio dell’est fino ai confini amministrativi pieni dei due oblast del Donbass. Quasi raggiunto l’obiettivo per il Lugansk, manca ancora un bel po’ per il Donestsk. A quel punto, i russi potrebbero vantare appunto tutto il Donbass, la striscia sud fino all’antistante di terra della Crimea, il Mar d’Azov trasformato in un lago russo, la Crimea che già avevano annessa, il blocco navale completo nell’antistante Odessa, Kherson, la centrale di Zaporizhzhia (la più grande d’Europa) e altri annessi.
I russi avevano dato gli obiettivi dell’operazione militare speciale già il 7 marzo in una intervista Reuters a Peskov e da allora sono stati ribaditi ogni volta che ne hanno avuto occasione. Che fossero i veri obiettivi o gli obiettivi di minima qui non ci interessa, ci interessa fossero la versione ufficiale perché è rispetto a questa che il Cremlino chiederà alla propria opinione pubblica e quella internazionale, di esser giudicato.
Alessandro Visalli: Preparativi di un nuovo mondo: circa la “trasformazione strutturale” dell’economia Russa
Preparativi di un nuovo mondo: circa la “trasformazione strutturale” dell’economia Russa
di Alessandro Visalli
Giovanni Arrighi descrive la svolta degli anni ottanta che produsse il ridisciplinamento dei lavoratori occidentali (il cui reddito reale è da allora stagnante[1]) come ultimo effetto di una lunga catena di cause e conseguenze il cui punto focale è la decolonizzazione. La svolta i cui alfieri furono Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margareth Thatcher in Gran Bretagna è quindi letta nel contesto della lotta egemonica tra Est ed Ovest. La crisi dei profitti e della competitività delle merci occidentali, attivata dal cambiamento delle ragioni di scambio, in particolare di alcuni prodotti chiave (in primis energetici), determinò allora uno squilibrio fondamentale della bilancia dei pagamenti e fiscale. Squilibrio che fu aggravato dalle politiche di compensazione che si accumularono per tutti gli anni sessanta e settanta giungendo, alla fine, ad un punto di rottura. Politiche rivolte a salvare il grande capitale e cercare di conservare, allo stesso tempo, la pace sociale. Allora, con la svalutazione del dollaro (e della sterlina) del 1969-73 e con il distacco del 1971 dalla parità con l’oro derivarono un gioco di reciproco scaricabarile tra alleati. Un gioco a chi alla fine si sarebbe trovato a pagare la crisi. Toccò a noi.
Per evitare la distruzione di capitali, questi si rifugiarono nel loro “quartier generale”, ovvero nei mercati finanziari, cercando di moltiplicarsi senza passare per la produzione. Ma, come scrive Arrighi in “Adam Smith a Pechino”, in questo modo alla fine “gli Stati Uniti passarono dal ruolo di principale sorgente mondiale di liquidità e di investimenti diretti all’estero che avevano coperto durante gli anni Cinquanta e Sessanta, a quello di principale nazione debitrice e di pozzo di liquidità che non hanno più abbandonato dagli anni Ottanta”[2].
Gianmarco Oro: Il keynesismo militare nel ciclo economico-politico
Il keynesismo militare nel ciclo economico-politico
di Gianmarco Oro
Nelle sue pubblicazioni transuenze ha dedicato, e continuerà a farlo, molto spazio alle elaborazioni sulle trasformazioni dell’economia «post-covid». Il contributo di oggi di Gianmarco Oro, dottorando di ricerca in economia politica presso l’Università degli Studi di Macerata, introduce un tema che rischia di diventare quantomeno attuale: la crescita degli investimenti nell’industria di guerra come modalità di fuoriuscita dalla crisi. Nel prossimo futuro proveremo a dedicare un certo spazio al tema. L’articolo di oggi è molto utile perché aiuta a contestualizzare storicamente il keynesismo militare nel ciclo economico-politico e perché fornisce delle chiavi di lettura molto interessanti per decodificare alcuni aspetti strutturali delle politiche economiche del dopoguerra.
* * * *
I paesi occidentali si trovano oggi nella fase di restaurazione capitalistica dei rapporti sociali ed internazionali nel post pandemia. Contestualmente, i governi europei sono allineati e concordi sul fatto che questa restaurazione, ovvero l’uscita dalla crisi economica, debba avvenire a mezzo di spesa pubblica fatta in disavanzo e finanziata con nuova moneta (via istituto di emissione o via banche commerciali). Sembrerebbe dunque la fine delle austerità e delle restrizioni monetarie usate come mezzo di disciplina per i governi, se non fosse che l’indirizzo prioritario di spesa pubblica sia diventato (complice la destabilizzazione dell’area est-europea con l’invasione russa dell’Ucraina) l’aumento della spesa in armamenti (con obiettivo al 2% del Pil entro il 2024 nel bilancio dei paesi Nato). Questa scelta ha suscitato una varietà di opinioni a favore o contro. Qui vogliamo lasciare che altre penne si prodighino a dare sostanza geopolitica, sociale e morale a queste decisioni, per fornire esclusivamente un’analisi critica dei fatti di politica economica per come si manifestano nell’attuale congiuntura storica.
Fabrizio Casari: Europa, la nuova frontiera USA
Europa, la nuova frontiera USA
di Fabrizio Casari
Tra propaganda e storytelling addomesticati, tra narrazioni improvvisate e verità negate, nell’ubriacatura di chi scambia nazisti per irredentisti e la resa con l’evacuazione, se c’è una cosa chiara in questa guerra per procura che gli Stati Uniti fanno combattere agli ucraini, è che Kiev è completamente asservita – e non da oggi – agli interessi statunitensi. Sono venuti alla luce le totali influenze di Washinton su Kiev, il cui inizio risale a prima del golpe di Euro Maidan. In principio l’attività USA è stata dedita all’organizzazione del colpo di stato, poi è proseguita con una continua e profonda ingerenza nelle vicende interne del Paese, al punto dall’esibirne l’eterodirezione dello stesso.
Londra e Washington hanno riempito i depositi di armi dell’Ucraina e la quantità del suo esercito (330.000 uomini) come il suo livello di armamento, ad una analisi neutrale risultavano poco compatibili con il bilancio di un Paese coperto dai debiti e con un PIL affatto entusiasmante. Ma non solo: l’addestramento tanto della sua milizia nazista come dell’esercito regolare, la formazione dei suoi servizi segreti, il saccheggio delle sue risorse minerarie e l’uso del suo territorio per creare laboratori di guerra batteriologica – pericolosi da tenere in patria, ma eccellenti se vicino alla Russia, hanno rappresentato l’esatta dimensione della presenza USA in Ucraina.
Guido Barbi: Lavrov-Brindisi vs Krusciov-Lippmann: la libertà di stampa e la volontà di comprendere
Lavrov-Brindisi vs Krusciov-Lippmann: la libertà di stampa e la volontà di comprendere
di Guido Barbi*
L’intervista televisiva di Giuseppe Brindisi a Sergej Lavrov è stata denunciata da molti commentatori, politici e personaggi istituzionali come inappropriata e pericolosa – rea di fornire una tribuna alla disinformazione di Mosca, di diffondere pericolose teorie complottiste, o addirittura di minare la sicurezza nazionale italiana.
Per fortuna questa condanna non è stata unanime.
Di fronte al biasimo per un’intervista colpevolizzata per avere dato la parola all’intervistato, non pochi hanno ricordato l’importanza della libertà di stampa e di informazione per una democrazia. Ma anche fra chi si è sforzato di sottolineare l’importanza della libera informazione – particolarmente in un tempo permeato di retorica bellicistica, se non proprio bellica –, molti si sono comunque affrettatati a fare delle specificazioni. Lo spazio dato al ministro Lavrov sarebbe stato importante proprio per dimostrare – a mo’ di esibizione simbolica – quanto la Russia non sia disposta a trattare e quanto la guerra in Ucraina non abbia altra radice che quella di un male assoluto congenito al sistema putiniano.
Vincenzo Comito: Le sanzioni non sembrano ottenere grandi risultati
Le sanzioni non sembrano ottenere grandi risultati
di Vincenzo Comito
Tolto per ora il gas dal tavolo, perché impraticabile il blocco in tempi rapidi almeno per alcuni paesi tra cui l’Italia, le sanzioni alla Russia sembra che non contribuiranno a far deviare Mosca dai suoi obiettivi, mentre si cerca di aggirarle
Gli obiettivi delle sanzioni
Sono passati quasi tre mesi da quando le sanzioni alla Russia sono state avviate dai paesi occidentali e ci si può cominciare a chiedere se e quali risultati esse stiano ottenendo e se, in particolare, esse stiano raggiungendo gli obiettivi in qualche modo indicati all’inizio; tra questi, vengono elencati dalla stampa l’intento di punire la Russia per l’invasione dell’Ucraina, poi di obbligare il paese a terminare la guerra – e questo per mancanza di risorse finanziarie, per il fatto che si priva così anche l’esercito di rifornimenti di base – o, per altro verso, l’obiettivo di spingere affinché siano le sofferenze del popolo indotte dalle stesse sanzioni a costringere Putin a cambiare le sue decisioni, anche persino sperando che le difficoltà conducano a rovesciare il presidente russo e il suo gruppo di potere. Curiosamente le sanzioni colpiscono, a parte molti oligarchi, anche la supposta amante di Putin, la ex-moglie e persino sua nonna (Wright, Cameron-Chileshe, 2022).
Fabio Mini: Kharkiv né occupata né liberata. A Mariupol niente più resistenza
Kharkiv né occupata né liberata. A Mariupol niente più resistenza
di Fabio Mini
Chi vince – I russi hanno ciò che vogliono: il Donbas. Oltre la propaganda. Le tattiche contrapposte di Mosca e Kiev non sono risolutive: aumenta il rischio che si passi all’uso di armi strategiche
La situazione militare sul terreno ucraino appare stabilizzata su una linea di contatto tra ucraini e russi leggermente variabile a seconda non dei combattimenti ma di quello che ci viene detto. Ci viene detto che a Mariupol la resistenza ancora combatte nell’acciaieria. In realtà in tutto il complesso industriale è in atto un sistematico rastrellamento russo di un’area completamente circondata e controllata. Ciò che si sta eliminando non è la resistenza dei combattenti ma la loro disperazione, che sarebbe un fatto umano da comprendere, se non sfruttasse la passività e la disperazione degli innocenti.
Ci viene detto che finalmente un convoglio di duecento-mille automezzi privati provenienti da Mariupol ha potuto attraversare il fronte armato ed è giunto a Zaporizhzhia. Grande vittoria ucraina, con il piccolo particolare che il convoglio era stato fatto uscire da Mariupol dai russi da giorni e si era arrestato là dove gli ucraini li hanno fermati e hanno iniziato una sorta di selezione tra chi passa e non passa. Inoltre, è curiosa la stima di duecento-mille automezzi passati e alcune centinaia arrivati: uno scarto del 60-80% nelle stime vuol dire che non li hanno nemmeno contati.
Leonardo Mazzei: Non ci sono alternative
Non ci sono alternative
di Leonardo Mazzei
Ci avviciniamo ai 3 mesi di guerra, e tutto si può immaginare tranne la sua fine. La narrazione iniziale si sta risolvendo nel suo contrario. A febbraio l’ipotesi prevalente era quella di un conflitto breve, che la Russia avrebbe vinto militarmente, per poi perderlo in maniera rovinosa sul piano economico. Non è andata così. E non poteva andare in quel modo per un semplice motivo: qui non siamo di fronte ad uno scontro tra Russia e Ucraina, che se così fosse stato si sarebbe chiuso in una settimana. Quella in corso è piuttosto la guerra scatenata dal blocco Usa-Nato-Ue contro la Russia; l’inizio di una Terza Guerra Mondiale combattuta per ora prevalentemente sul suolo ucraino.
Naturalmente la situazione sul campo va valutata in maniera oggettiva, che se dessimo retta alla propaganda occidentale potremmo anche pensare che l’esercito ucraino si accinga a prendere Mosca… L’evoluzione di questa propaganda è tuttavia interessante. Mentre in un primo momento si insisteva sull’esigenza di sostenere la “povera” Ucraina aggredita dall’Orso russo, si è ora passati a toni più bellicosi e risolutivi: la Russia va sconfitta, punto e basta; la guerra va portata fino in fondo costi quel che costi.
Aldo Meccariello: Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica, di Rosaria Catanoso
Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica, di Rosaria Catanoso
di Aldo Meccariello
Parlare degli intellettuali e del loro ruolo o come si diceva una volta, del loro mandato sociale non è sempre facile. Il dilemma è sempre lo stesso: anime belle o corpi sporchi e imbrattati sulle barricate? Vili o coraggiosi? Indipendenti o engagés? La pandemia prima, la guerra poi, ha mostrato la pigrizia degli intellettuali a capire e a rendere intellegibili questi arendtiani anni bui. Se questi nostri anni coincidono con una cesura netta tra parola e prassi, tra impegno e abbandono della sfera pubblica, allora forse è tempo che vada condotto un serio esame della condizione dell’intellettuale moderno. Un utile e stimolante contributo alla discussione di questi temi è il documentatissimo lavoro di Rosaria Catanoso, L’intellettuale nel tramonto della politica (presentazione di Teresa Serra, con un denso e istruttivo saggio introduttivo di Alberto Aghemo), edito dalla Fondazione Giacomo Matteotti, Roma 2021). L’autrice sviluppa la sua articolata riflessione in più direzioni peraltro esplicitate nelle prime pagine del volume: una prima direzione si muove lungo la ricostruzione storica della figura dell’intellettuale negli ultimi tre secoli; una seconda mira ad indagare il complesso legame tra il lavoro dello spirito e la prassi politica; la terza diagnostica il tramonto e la fine del mandato sociale dell’intellettuale.
Paolo Ferrero: Guerra in Ucraina, l’Europa stacchi la spina prima che sia troppo tardi
Guerra in Ucraina, l’Europa stacchi la spina prima che sia troppo tardi
di Paolo Ferrero
A leggere i giornali mainstream a proposito della guerra in Ucraina c’è da rimanere stupiti. Infatti il messaggio che viene dato è che la Russia, che ha colpevolmente iniziato la guerra, è in crisi nera, che l’esercito si sta sfaldando, che in Russia c’è una rivolta contro il reclutamento e che i raid delle controffensive ucraine fanno danni enormi. Il tutto per non parlare di Putin che sta messo da far paura tra follia, tumori e non so che altro.
Il quadro che ci viene presentato è che grazie ai miliardi di armi che l’Occidente sta fornendo al governo ucraino, questo sta vincendo la guerra e addirittura ci sarebbe la discussione tra i “buonisti” che vogliono permettere a Putin di salvare la faccia e i “realisti” che invece vogliono andare fino in fondo… Insomma, i buoni vincono e i cattivi stanno perdendo, la guerra e la faccia.
Guardando ai fatti la realtà appare un po’ diversa.
A Mariupol cos’era rimasto del battaglione Azov, che dopo aver dovuto rinunciare agli scudi umani della popolazione civile si è arreso ed è stato preso in consegna dalle forze armate russe?
lorenzo merlo: Il signor Mario
Il signor Mario
di lorenzo merlo
Stupido o comandato? In ogni caso, anello della catena del nuovo ordine della vita a punti, imperativo categorico per un’egemonia occidentale tanto in sgretolamento quanto disposta a tutto per mantenere la posizione.
L’opera del signor Mario
Il signor Mario ci rassicura che il vaccino è indispensabile per non morire e che il grinpaz permette di ritrovarsi in ambiente asettico dal Sars-Cov2. Ma tanta fluida impudenza allude a essere presi dall’esaltante emozione del dominio. Un’esperienza ordinaria quando si ha a che fare con chi consideriamo senza valore, impaurito, impotente.
“L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, contagi, lui o lei muoiono” e “Il Green pass è una misura con i quali i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose. È una misura che dà serenità, non che toglie serenità”(1).
Il signor Mario si esprime nei confronti del parlamento come nei confronti di un sottoposto. E intima anche di non fargli perdere la pazienza sennò pianta tutto e ci lascia a piedi.
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