[Sinistrainrete] Nico Maccentelli: Antagonisti… filoimperialisti

È di queste settimane l’attacco politico “da sinistra” a quelle compagne e compagni che da anni sostengono l’autodeterminazione della popolazione russofona del Donbass e dell’Ucraina in generale e che denunciano l’operazione che l’imperialismo USA-NATO sta conducendo contro la Russia e sulla pelle dell’Ucraina.

All’accusa di “putinismo” che i media di regime portano avanti nella loro propaganda contro chiunque osi tematizzare il conflitto in Ucraina e rompere la coltre di luoghi comuni eterodiretti che girano attorno al concetto “aggressore-aggredito”, si aggiunge così quella di “rossobrunismo” sia verso i sovranisti di sinistra, sia verso quelle forze comuniste “nostalgiche” e “vetero soviettiste”, che non fanno di tutta un’erba un fascio, pardon un nazi, ma analizzano le cause e gli sviluppi di questa guerra, individuando le vere responsabilità in campo. Un j’accuse che va da La Repubblica e arriva agli anarchici “duri e puri”, passando per i “disobba” e per vari nodi e tribù di un certo antagonismo che ragiona per principi.

Ma andiamo con ordine. La polemica è saltata fuori nella sua virulenza, guarda caso, in concomitanza con due fatti: l’avvio di un’attività di delinquenza politica da parte degli ucronazi in Italia e la necessità di sostenere la politica delle armi all’Ucraina e della cobelligeranza italiana da parte del governo Draghi e di ambienti euroimperialisti come quelli del PD. Due aspetti collegati tra loro: la politica guerrafondaia di regime il secondo aspetto e il suo braccio armato informale il primo.

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Paolo Ferrero: La crisi della globalizzazione: la guerra di Putin e la guerra di Biden

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La crisi della globalizzazione: la guerra di Putin e la guerra di Biden

di Paolo Ferrero

Progetto senza titolo 2048x1075La guerra è una aberrazione disumana, non è mai giustificabile. Come saggiamente avevano capito i padri e le madri costituenti, la guerra non può essere considerata una soluzione per risolvere le controversie internazionali. I problemi debbono essere risolti in altro modo e noi ci impegniamo in tal senso. In primo luogo perché il livello di sofferenza prodotto dalla guerra è inumano e la pagano soprattutto i soggetti più deboli, dagli anziani ai bambini alle donne, verso cui la violenza di genere si somma a quella del conflitto armato. In secondo luogo perché oltre a sofferenza e terrore, la guerra genera odio, tende a riprodurre se stessa, distruggendo la politica, la democrazia, la libertà. La guerra genera guerra, ed è la più grande aberrazione prodotta dagli umani, una specie di cannibalismo su scala industriale. La guerra è un prodotto umano che nega completamente l’umanità. Per questo siamo contro la guerra, sempre, senza se e senza ma.

La guerra va combattuta in radice ma va analizzata nelle sue cause – cause, non ragioni – e nei suoi molteplici effetti. Capire la guerra per costruire la pace, una pace duratura, perpetua, è il nostro obiettivo. Con questo sguardo guardiamo alle guerre in corso.

 

La guerra di Putin e i suoi complici

Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo ha invaso militarmente l’Ucraina. Come abbiamo ripetuto mille volte si tratta di una scelta sbagliata e criminale che ha aggravato drammaticamente i problemi dell’area e che apre al rischio della terza guerra mondiale.

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Francesca Fiorentin e Guy van Stratten: Le ferite notturne del potere: “Esterno notte”

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Le ferite notturne del potere: “Esterno notte”

di Francesca Fiorentin e Guy van Stratten

La frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto «al momento giusto».
Elias Canetti

Dopo Buongiorno notte, del 2003, Marco Bellocchio, con Esterno notte, riporta sullo schermo la vicenda del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Ma se il film del 2003 era marcatamente pervaso di un habitus onirico, adesso, la ricostruzione della vicenda sembra delinearsi all’interno di un impianto cronachistico più accentuato. Spicca anche stavolta, nel titolo, la parola “notte”. E se l’accostamento “buongiorno notte” rimandava ad una vera e propria antitesi presentata in forma ossimorica, il nesso “esterno notte” riecheggia invece un gergo cinematografico, con una precisa allusione alle tecniche di ripresa. Come se si trattasse di una messa in scena cinematografica il più fedele possibile (un “esterno”) ma girata di notte. Si tratta infatti di vicende ambientate durante la “notte della Repubblica”, sulle quali sembra essere stato posto una sorta di filtro cinematografico appunto per creare l’“effetto notte”, come nell’omonimo film di François Truffaut (il cui titolo originale è La nuit américaine, 1973).

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Alexandre Lemonine: Che cosa nasconde l’adesione improvvisa alla NATO di Svezia e Finlandia?

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Che cosa nasconde l’adesione improvvisa alla NATO di Svezia e Finlandia?

di Alexandre Lemonine

Questo articolo, preso da Observateur Continental, propone una diversa lettura per la richiesta di rapida adesione dei due paesi scandinavi alla NATO

La rapida e imminente adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO sembra essere collegata ai fatti recenti, ma solo a prima vista. Comunque sia, è attraverso l’operazione russa in Ucraina che di solito viene spiegata la rapida integrazione di Stoccolma e Helsinki nella NATO.

Tuttavia, è impossibile immaginare un pericolo che derivasse dagli obiettivi dell’operazione speciale per questi due paesi. Un altro stato neutrale, l’Ucraina, minimizzerebbe solo i limiti del confronto diretto tra le organizzazioni militari occidentali e la Russia. Coloro che cercano di passare il più rapidamente possibile sotto l’ombrello della NATO lo capiscono. Il presidente finlandese ammette apertamente che Mosca non ha un piano di attacco contro il suo Paese, ma questo non è di importanza decisiva ai suoi occhi.

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Donatella Di Cesare: Il mito dell’Ucraina sovrana e la questione dei confini

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Il mito dell’Ucraina sovrana e la questione dei confini

di Donatella Di Cesare

Oggi il mio articolo sul Il Fatto Quotidiano

Sebbene lo scenario politico internazionale sia più che mai cupo e confuso, si vanno delineando due tendenze diverse nel modo di affrontare questo nuovo conflitto europeo.

Da una parte c’è chi lo racconta come la guerra di Putin contro il mondo, ricorrendo a consolidate antitesi: la follia contro la ragione, la barbarie contro la civiltà, la tirannide contro la democrazia. Il novello Gengis Khan, lo Hitler di turno, minaccia il progresso, semina distruzione, provoca l’apocalisse. In questa visione gli ucraini “si sacrificano per noi” costituendo un avamposto del mondo, una barriera indispensabile, prima che dilaghi ovunque la violenza cieca. Si tratta di un modo di interpretare gli eventi che, oltre a essere astorico, depoliticizza il conflitto, ignorando i motivi che lo hanno scatenato. Ciò non significa che questa tendenza, sostenuta soprattutto dagli Stati Uniti, non persegua un obiettivo ultrapolitico, che è l’estensione della guerra, presentata nella sua naturale ineluttabilità. Dall’ordine mondiale di qualche mese fa si passa allora a una confusione cosmica, a un caos illeggibile, dove ogni male, dalla recessione alla carestia, appare fatale, senza rimedio.

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Paolo Bartolini: Otto direzioni verso una politica radicale e sostenibile

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Otto direzioni verso una politica radicale e sostenibile

di Paolo Bartolini*

Il mondo, sotto la guida di élite confuse e poco lungimiranti, sta andando verso il riarmo globale, con anni e anni di conflitti a bassa, media e alta intensità che ci aspettano. Le lotte egemoniche non si curano dei cambiamenti climatici e dei problemi reali di miliardi di persone (il cibo, l’acqua, l’istruzione, la qualità del lavoro, i diritti civili, la violenza contro le minoranze, …). La politica classica – diciamocelo – è morta e sepolta. Il futuro non è roseo e dobbiamo domandarci cosa sia possibile fare, visto che esistono parecchi gruppi umani che criticano l’esistente, ma non riescono ad opporre all’andazzo generale una forma di resistenza efficace.

I punti dirimenti, per andare in direzione di una politica radicale che non sia estremista e non cada neanche nell’illusione riformista, oggi mi sembrano questi:

1) il pacifismo e la nonviolenza sono le vie da percorrere, per motivi non solo ideali, ma concretissimi: se pensi di usare la “forza” trovi che i tuoi avversari ne hanno infinitamente più di te e sono abituati ad esercitarla da secoli. E poi, se li segui sullo stesso terreno, diventi come loro;

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Raffaele Gorpìa: L’inchiesta sociale militante

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L’inchiesta sociale militante

Il compito da rilanciare dei comunisti

di Raffaele Gorpìa

fr4Sono decenni che si è rinunciato alla capacità di analizzare seriamente la struttura del corpo sociale mentre ci si è persi invece dietro a tatticismi politici, a suggestivi “immaginari e a “nuove narrazioni”, quando al contrario si ha sempre più la necessità di sapere precisamente come sono fatte le classi subalterne e come sono fatti i nostri nemici che, invece, hanno convenienza a far sparire le classi sociali poiché senza di esse rimangono solo gli individui o tutt’al più i gruppi di interesse.

Se vi è un elemento sintomatico della crisi del movimento operaio e delle organizzazioni che un tempo ad esso facevano riferimento, certamente questo risiede nella scarsa presenza se non nella totale assenza di produzione di inchieste sociali sulla composizione di classe in epoca contemporanea. L’inchiesta non può essere solo concepita come lo strumento che l’organizzazione politica di sinistra deve utilizzare per non perdere il contatto con la realtà, quanto come un vero asse strategico attorno al quale costruire, appunto, la strategia politica; l’inchiesta diviene strumento fondamentale per cogliere da un lato la struttura di classe nelle sue diverse articolazioni e nella sua componente soggettiva e di coscienza, per un altro verso è il modo per raccogliere, secondo l’impostazione maoista, le “idee giuste” delle masse rielaborandole come linea politica.

Tale assenza dal campo politico rimanda sicuramente all’assenza dell’intellettuale organico prefigurato da Gramsci, una figura politica immaginata come interna alla classe e allo stesso tempo avanguardia della stessa capace di guardare al complesso della società senza perdere l’orientamento del punto di vista di classe e ispiratore del proletariato affinché lo stesso possa liberarsi dalle idee delle classi dominanti per sviluppare una propria coscienza di classe e così cambiare lo stato di cose presenti.

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Carlo Formenti: Per rileggere Federico Caffè da una prospettiva rivoluzionaria

perunsocialismodelXXI

Per rileggere Federico Caffè da una prospettiva rivoluzionaria

di Carlo Formenti

copertinadfgthNella collana Meltemi “Visioni eretiche” è appena uscito il nuovo libro (1) di Thomas Fazi, che quattro anni fa aveva inaugurato la serie con Sovranità o barbarie (2), dedicato al grande eretico della scienza economica, quel Federico Caffè che, dopo la sua misteriosa scomparsa (in data 15 aprile 1987), si è sollecitamente provveduto a rimuovere dai programmi di studio della disciplina perché la lucidità con cui aveva denunciato i rischi della svolta neoliberista – e previsto i disastri che ne sarebbero derivati – è imbarazzante per gli economisti e i politici (in particolare se di sinistra) che di quella svolta si fecero promotori e apologeti. Senza entrare nei dettagli dell’accuratissima ricostruzione che Fazi fa del pensiero e dell’impegno politico e sociale di Caffè, le pagine che seguono si propongono di: 1) ricordare quale fosse il senso comune condiviso dalla maggioranza degli economisti occidentali fino agli anni Settanta del secolo scorso; 2) riassumere i fondamenti teorici su cui si fondava, cioè la teoria keynesiana (e la lettura che ne diede Caffè, il primo a diffondere il pensiero di Keynes nel nostro Paese); 3) ricostruire a grandi linee della svolta neoliberista degli anni Ottanta, legittimata dalle “innovazioni” teoriche della sintesi “neokeynesiana” e della scuola neomonetarista; 4) rievocare la tenace quanto disperata opposizione di Caffè nei confronti del nuovo corso, con particolare attenzione alla sua irritazione nei confronti della conversione del PCI e del sindacato ai paradigmi del pensiero liberal/liberista.

Come ricorda Fazi (3) quando venne avanzata per la prima volta la proposta di istituire una moneta unica europea – con il cosiddetto piano Werner – fu bocciata come una bizzarria se non come una vera e propria follia.

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Sara Nocent: Lettera aperta a noi ventenni

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Lettera aperta a noi ventenni

di Sara Nocent

I. “Cito qualcuno per non stare zitto”

nero scaledCos’ha detto? Ho capito / Chi l’ha detto? Condivido / Leggo poco, guardo i video / Non mi vanto, sono un mito / E se non so cosa dire, cito qualcuno per non stare zitto
(Selton, Pasolini)

Ai ventenni di oggi. Nati dagli eterni figli della “Generazione X” ed eredi di rivoluzioni fallite, di una depressione romanzata dissoltasi ormai in una diffusa, indefinibile ansia. Siamo i post-figli, cresciuti senza conoscere la differenza tra le realtà sociali e lavorative stabili di più di quarant’anni fa e la disgregazione, l’accelerazione applicata a ogni campo, il desiderio autoimprenditoriale. Non abbiamo avuto neanche la delusione di una promessa mancata, quella di un’occupazione a tempo indeterminato, con ritmi e paghe decenti, e della possibilità di farsi una casa e una famiglia. Il verbo della flessibilità e del perfezionismo ci è stato infatti impartito fin dall’infanzia, già ai tempi delle maestre che elogiavano chi poteva permettersi di fare più attività extrascolastiche e riusciva a essere bravissimo in tutti i campi. Non che all’università le cose migliorino: dire “sono anche uno studente universitario” è quasi diventata un’abitudine per campioni di varia sorta, come se impegnarsi nello studio non fosse sufficiente di fronte al bisogno di eccellere il prima possibile. Professori e professoresse ci hanno insegnato che è necessario competere, ma manca un dettaglio: competere per cosa? Per quel fantomatico “mercato del lavoro” spesso rappresentato come un brutale stato di natura, quello stesso contesto che poi ti chiede, fra le varie soft skills, di essere empatico, causativo, creativo. Devi insomma essere quello che fai, mentre la qualità con cui lo fai e le tue risorse mentali sono oggetto di valutazione performativa e morale, capacità che possono essere addestrate.

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Per un Fronte unito contro la guerra

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Per un Fronte unito contro la guerra

Pubblichiamo questo comunicato-appello del Fronte contro la guerra e chiediamo massima diffusione

Dalla nebbia che è calata con l’inizio della guerra in Ucraina, che non è solo mediatica ma fatta anche di ambigua interpretazione degli avvenimenti, non è ancora emersa una indicazione chiara sul programma su cui organizzare un vasto movimento di lotta contro la guerra. La debolezza di un movimento contro una guerra che ha la sua origine sostanziale nella politica Usa di espansione ad est della Nato (e di minaccia alla sicurezza della Russia), dipende da presupposti che danno per scontata la condanna unilaterale dell’azione della Russia ed una rappresentazione della crisi ucraina preparata e sedimentata nel tempo. Ciò depotenzia l’orientamento e la stessa combattività di quanti sono contro la guerra, contro la NATO e contro le forniture militari all’Ucraina. Ma come si fa a combattere duramente un nemico che ha la possibilità di accreditare la tesi di una Russia espansionista, minacciosa verso l’Europa e di un Putin “criminale” e “macellaio”? E come si fa a combattere questa battaglia quando tutti dimenticano che in un contesto analogo ma rovesciato (la crisi dei missili a Cuba) Kennedy minacciò la guerra nucleare?

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Marco Cattaneo: Debito pubblico e debito privato come indicatori di stabilità

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Debito pubblico e debito privato come indicatori di stabilità

di Marco Cattaneo

Durante i primi anni dell’euro, l’Italia veniva additata a “cattivo esempio” e a “paese da mettere sotto controllo” per via dell’alto rapporto tra debito pubblico e PIL. Esattamente come oggi.

Rispetto a oggi, tuttavia, si sentiva spesso replicare (per esempio da Giulio Tremonti) che molti paesi considerati “virtuosi” avevano sì meno debito pubblico, ma molto più debito privato. E quindi non erano affatto finanziariamente più stabili dell’Italia.

E in effetti dei quattro “PIGS” originari (che, ricordo, non comprendevano l’Italia: erano Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) almeno due (Irlanda e Spagna) hanno attraversato nel 2010-2 una violenta crisi originata da altissimi livelli di DEBITO PRIVATO VERSO L’ESTERO, nonostante il debito pubblico si attestasse “virtuosamente” (prima della crisi) a livelli molto bassi, tipo il 30-40% del PIL.

Quella crisi fu tamponata emettendo debito pubblico (sottoscritto ANCHE dei paesi dell’Eurozona che NON erano creditori dei “PIGS originari”: tra cui ahinoi l’Italia) per rimborsare i creditori privati.

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Ferdinando Pastore: Memoria corta

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Memoria corta

di Ferdinando Pastore

Tutti ricorderanno le filippiche dei sapientoni che ammonivano le plebi sulla svolta europea. Il grande coraggio dimostrato dai venerati tecnici che improvvisamente scioglievano il loro cuore nello zucchero. Tutta quella immacolata retorica sull’epocale svolta che li esaltava a padri fondatori di un’era contrassegnata dalla giustizia. Il PNRR, con la sua resilienza dottrinaria, quel termine così pedagogico che impone all’essere umano predisposizioni caratteriali ottuse ma propositive, inclinazioni mansuete e pazienti, sguardi ottimisti nella penuria, era strumento equivalente al dono. Le condizionalità un’invenzione di strani topi impolverati dalla biblioteca virtuale, cavillosi complottisti che mal interpretavano il diritto di critica. Oppure di arnesi novecenteschi, sudati e ineleganti marxisti che ancora scartabellavano di salari, eguaglianza, investimenti pubblici o addirittura di classi sociali.

Ebbene oggi quel regalo presenta il conto. Approvare subito le Riforme; fisco e concorrenza. Essenziali. “Limitare la spesa per ridurre il debito”. Ma va? Insomma la nuova strada europea d’incanto sembra la copia carbone di quella vecchia.

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Fabio Marcelli: I pataccari del pensiero vogliono fare continuare la guerra sine die

la citta futura

I pataccari del pensiero vogliono fare continuare la guerra sine die

di Fabio Marcelli

Le opposte retoriche dei contendenti che si accusano a vicenda di nazismo costituiscono un ostacolo al raggiungimento di una soluzione negoziata del conflitto ucraino

Forse stanco di parafrasare Heidegger e Jaspers (attività peraltro commendevole e utile) il filosofo Umberto Galimberti si è arruolato anche lui nelle file dei guerrafondai che vogliono vedere Putin mordere la polvere e sconsiglia fortemente, anzi proibisce, di provare a intraprendere ogni negoziato colla Russia. Per giungere a questa apocalittica conclusione Galimberti fa sua la parola d’ordine che viene proclamata a ogni piè sospinto dai combattenti da poltrona che affollano i ranghi di giornalisti, politici e, meno, intellettuali: Putin è il nuovo Hitler e quindi non ha senso perdere tempo colle trattative di pace, il male assoluto va sradicato finché si è in tempo, altrimenti ringalluzzito dai successi il Satana del Cremlino muoverà alla conquista del mondo e, per riprendere la scialba retorica di Enrico Letta, ci ritroveremo i soldati russi dentro casa. I più colti richiamano i precedenti di Danzica, la cui cessione alla Germania avrebbe solleticato gli appetiti del Terzo Reich e più in generale il tentativo fallito di appeasement condotto da Daladier e Chamberlain colla Conferenza di Monaco, che precedette di poco lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

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