L’articolo del Corriere della Sera sui presunti influencer “putiniani” ha scatenato nuovamente il putiferio sulle liste di proscrizione delle opinioni sgradite. Mentre il Copasir si trincera dietro il no comment, uno dei giornalisti citati, Alberto Fazolo, attivista comunista con due anni alle spalle in Donbass, liquida il dossier: “Fesserie, cercano di stroncare ogni forma di dissenso”. E sul Battaglione Azov dà una versione inedita: “Non è il peggiore, ce ne sono altri. Ha solo un ottimo ufficio stampa”
Secondo un articolo del Corriere della Sera del 5 maggio, dal titolo “Influencer e opinionisti, ecco i putiniani d’Italia”, a firma di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini, esisterebbe in Italia una “rete complessa e variegata” di quinte colonne filo-russe da snidare attraverso un’indagine ad hoc, ora “nella fase cruciale”, affidata ai servizi segreti dal Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica). Singoli reporter come Giorgio Bianchi, analisti come Manlio Dinucci, freelance sul campo come Maurizio Vezzosi, siti d’informazione come L’Antidiplomatico, gruppi social su Telegram, Instagram, Tik Tok, Vk, nonché gli immancabili novax ed estrema destra generica, sarebbero attenzionati dall’intelligence con l’accusa di “orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo Draghi”. Il presidente del Copasir, Adolfo Urso (FdI), non ha confermato né smentito, trincerandosi dietro un “no comment”. Nella lista compare anche il nome di Alberto Fazolo, comparso più volte negli ultimi mesi nei talkshow auto-qualificandosi come “comunista internazionalista”. Economista e attivista antifascista, autore di un libro sulla sua esperienza nel Donbass come sostenitore delle repubbliche di Donetsk e Lugansk (di cui ha la cittadinanza), Fazolo nel pezzo del Corsera è citato, in particolare, per aver sostenuto in un post su Facebook che negli ultimi 8 anni in Ucraina sono stati ammazzati 80 giornalisti, mentre secondo il dossier sarebbero “circa la metà”, ma il numero di condivisioni online è stato da tale da suscitare l’allarme della vigilanza anti-putiniana.
Fazolo, lei si considera un putiniano?
Per nulla. Sono un comunista. La Russia di Putin è in antitesi rispetto all’Unione Sovietica, e il mio referente politico russo è il Partito Comunista di Gennady Zyuganov, anche se non sono del tutto in sintonia perché io ho posizioni più radicali.
Quali contatti ha in Donbass?
Io sono stato in Donbass dal 2014 al 2017. Sono in contatto con fonti di ogni ordine e grado del partito comunista omologo di quello russo.
Ma lei cosa faceva esattamente quand’era in Donbass?
Questo non lo dico. Posso dire che c’era una guerra in corso fra fascismo e antifascismo. Nel 2017 la galassia di formazioni antifasciste da politico-militare si è trasformata in militare tout court, e ci sono stati elementi che si sono smarcati.
L’accusa specifica che le viene rivolta è di aver diffuso un numero falso di giornalisti assassinati, correlandolo alla presenza di neonazisti in Ucraina. Non sarebbero 80, ma circa 40.
Anzitutto occorre sottolineare che c’è un problema di nazismo, in Ucraina, non di neonazismo. Perché esistono gruppi nazisti egemoni non sotto il profilo numerico, ma sul piano dell’egemonia in senso stretto, cioè dell’orientamento dell’opinione pubblica.
Si riferisce al Battaglione Azov?
Bisogna sciogliere un malinteso: il Battaglione Azov non è né il più grande e neanche il peggiore dei gruppi nazisti ucraini.
E quali sarebbero gli altri?
Ce ne sono vari, all’interno dell’esercito ucraino. Come la formazione Aidar, per esempio, nel settore frequentato da me. In quanto a ferocia non hanno nulla da invidiare all’Azov. Dell’Azov si parla molto per due motivi: perché ammette volontari stranieri, e perché ha un’eccezionale ufficio stampa. Questo per dire che la denazificazione del Paese non è finita a Mariupol.
Lei è giornalista pubblicista, è corretto?
Corretto. Probabilmente la precisazione contenuta nell’articolo si deve al fatto che si vuole rimarcare una differenza con i professionisti. C’è stato chi, negli anni passati, ha chiesto la mia espulsione dall’Albo, cosa che ovviamente non è riuscita. A me comunque non interessa nulla, il tesserino serve solo per andare alle conferenze stampa. Il problema è se si rende onore alla professione di giornalista. Ci tengo a dire che di recente mi è stata notificata una querela perché sottolineavo il fatto che, mentre qualcuno provava a dire che il collega Andrea Rocchelli è stato ucciso perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, per me invece si trovava nel posto giusto al momento giusto, essendo lui un buon giornalista.
Chi l’ha querelata?
Cristiano Tinazzi, che scrive sul Messaggero.
Ma di mestiere, per campare, cosa fa?
Lavoro nel cinema, scenografie. Con il Covid c’è stata una grande espansione in realtà, perché c’era da intrattenere la gente chiusa in casa. E poi il cinema è un mondo dove tradizionalmente non si fanno troppe domande su cosa abbia fatto uno in passato.
E che lavoro faceva, prima di andare in Donbass?
Lavoravo nelle Camere di Commercio.
Torniamo, purtroppo, alla triste contabilità dei colleghi uccisi in Ucraina.
Primo passo: non sono 80. Sono di più. Il numero 80 si riferiva a qualche mese fa. È stato sempre negato da tutti gli organi di stampa, incluso il dossier annuale sulla libertà d’informazione nel mondo, che li ha fissati in 7. E allora tutti a dire che erano 7. Ora invece sono diventati 40. In realtà 40 corrisponde ai giornalisti assunti, mentre ce ne sono stati altrettanti, e anche di più, fra gli operatori dell’informazione intesi per lo più come blogger. Il fatto che la nostra stampa non li consideri al pari degli altri giornalisti solo perché non hanno in tasca un regolare contratto di lavoro lo trovo un caso di razzismo, eurocentrismo e una serie di altri disvalori che non mi va nemmeno di nominare. E poi, c’è un’altra questione: non sono 80 ma 40? Allora 40 vanno bene, no? Sono solo 5 l’anno. Siamo arrivati al paradosso grottesco che sia ammissibile che vengano uccisi 5 giornalisti all’anno.
Uccisi da chi, poi?
Guarda, esiste un sito, Myrotvorets, che stila una lista, curata da Anton Gerashenko, un consigliere del ministero degli interni ucraino, che dal 2015 raccoglie informazioni su tutti quelli che considera nemici della patria schedandoli con profili online. Proprio un paio di giorni fa è uscita un’intervista in cui questo personaggio dice che è stato creato una sorta di Mossad ucraino, così lo chiama lui, una specie di Gladio per eliminare gli avversari politici che si trovano dall’altra parte del fronte, nel Donbass, e quindi può essere responsabile di omicidi, anche se di politici, al momento si tratterebbe di politici. Diciamo in generale che l’Ucraina di questi ultimi 8 anni è il Paese che assomiglia di più al Cile di Pinochet, con assassini, sparizioni, liste di proscrizione.
Lei dice di non poter essere putiniano, in quanto comunista. Ma è schierato con la parte delle due repubbliche del Donbass sostenute dalla Russia. Oggettivamente un filo-russo.
Rivendico la cittadinanza della Repubblica di Lugansk. Ma in Italia i filo-russi erano quelli che sostenevano l’integrazione tra Europa e Russia, e io a quest’idea non ho mai creduto perché irrealistica: gli Stati Uniti non l’avrebbero mai permesso.
D’accordo ma oggi è da quella parte.
Putin è tutt’altro che un comunista. Il fatto è che in Italia si fa confusione fra antifascismo e sinistra.
Cioè? Lei è antifascista, ma non di sinistra?
Sono antifascista e comunista. L’antifascismo non era né di destra né di sinistra: includeva liberali, monarchici, cattolici. Ridurlo alla sinistra è un modo per depotenziarlo. Anzi è una vera boiata.
Lasciamo stare ora una discussione che ci porterebbe off topic. Il punto è: la libertà di opinione e di stampa che difendiamo qua, ovvero la democrazia liberale, non deve valere anche in Russia?
Scusi, ma Draghi, noi, quando lo abbiamo votato? Voglio dire: se per democrazia intendiamo il processo elettivo, la Russia è una democrazia a tutti gli effetti. Il consenso di cui gode Putin è reale.
Sì ma i diritti minimi non sono rispettati.
Secondo me questa insistenza sui diritti civili è far torto alla verità per coprire la mancanza di diritti sociali, da noi. Anche in Germania o in Israele per manifestazioni non organizzate ci sono stati arresti.
Fare paragoni può essere scivoloso.
Esatto, e infatti a mio parere è pericoloso prendere la china dello scontro di civiltà, perché anche noi abbiamo i nostri mostri nell’armadio. Tanto è vero che qui si stilano liste inventando inesistenti “reti”.
Lei chi conosce o che rapporti ha con gli altri nomi comparsi nell’articolo del Corriere?
Guardi, Giorgio Bianchi l’ho visto una volta nel 2017 a un incontro pubblico, e fra l’altro non eravamo molto in sintonia. Vezzosi l’ho visto nel 2015 e l’ho risentito in due messaggi su Whatsapp da poco. Dinucci credo di averlo incontrato una volta, vari anni fa, quand’era con Giulietto Chiesa. Gli altri non li conosco, se non per averne sentito o letto sui giornali, come il professor Orsini. È una fuffa completa, e anche un grande autogoal, questo articolo. Ma vorrei dire una cosa da semplice cittadino.
Dica.
Ma è possibile che nella cornice di uno scontro globale fra potenze, i nostri servizi devono perdere tempo dietro a queste fesserie? E non parlo della professionalità dei nostri agenti, su cui non ho dubbi, ma del problema di una parte della politica che usa istituzioni dello Stato per tornaconto personale, cercando di stroncare ogni forma di resistenza.
Mi sta dicendo che in fondo lei e gli altri “putiniani” non siete in fondo così importanti, non esattamente tipi da smuovere le masse?
Prima dell’ultimo periodo, su Facebook avevo 2000 “mi piace”. Poi ho scoperto addirittura di essere diventato un… influencer. Quel che posso dirle è che questa non è la stessa guerra di 8 anni fa, perché il rischio è uno scontro da potenze nucleari, e che l’Europa ci perderà in ogni caso.
Alessio Mannino
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