Dalla Gran Bretagna, con l’estradizione di Julian Assange negli Usa dove rischia fino a 175 anni di carcere, non è morta solo la Libertà di Stampa, in quanto è già defunta da molto. Ma, un messaggio, un avvertimento definitivo è stato lanciato. Qualcuno, ancora oggi, come il Fondatore di Wikileaks non lo aveva evidentemente afferrato: chiunque divulghi informazioni dei governi occidentali sui loro crimini o malefatte nei loro paesi o all’estero deve in qualche modo morire.
Perché oggi, Julian Assange, è vero che può fare ricorso, ma al momento la decisione della Gran Bretagna di estradarlo negli Stati Uniti d’America equivale ad una condanna a morte. Non importa quanto saranno gli anni di prigione 175 anni o 1 giorno di carcere, per lo stato psicofisico in cui si trova il giornalista australiano non fanno la differenza, potrebbe deciderla di farla finita.
Questa è la strategia del potere. Se in Italia la notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 misero in moto una macchinazione incredibile per uccidere un intellettuale come Pier Paolo Pasolini che stava denunciando coni suoi articoli sul Corriere della sera e la pubblicazione del suo libro ‘Petrolio’ gli scandali, il marcio del potere democristiano con le connivenze dei servizi segreti e della CIA con le stragi fasciste, facendolo passare per un omicidio compiuto da un ragazzino per difendersi dalle molestie di un pervertito, così oggi Assange è condotto verso la morte fisica e civile, ordendo una campagna diffamatoria, facendolo passare per una spia al servizio dei russi, negando anche il so ruolo di giornalista ed editore.
Nel clima in cui ci troviamo si conta su un’opinione pubblica disorientata, modellata a immagine e somiglianza di quello che il potere vuole che si sappia. Così, per giustificare questo omicidio de facto, come si fece con Pasolini, dicendo “era un depravato, se l’è cercata”, si crea una giustificazione di fondo, per far accettare la versione ufficiale della loro morte.
Una versione così ufficiale e granitica che il solo che si permette ad insinuare dubbi e perplessità è accusato di complottismo. Non importa quanto sia autorevole chi li ponga, parte la macchina del fango della delegittimazione.
Come Pasolini, anche Assange probabilmente ha sempre saputo che occorre sporcarsi le mani, arrivare all’inferno, toccarlo con mano. Rivelarlo a tutti però ha un costo, un sacrificio che può portare alla morte.
Vuoi parlare dell’Eni, di Cefis, Mattei, delle Stragi e le collusioni con i servizi deviati e la CIA con i fascisti, fare il Processo alla Dc e restare in vita?
Riveli i crimini di guerra commessi da coloro che si professano come il mondo libero e democratico e farla franca?
Non solo non si può, ma deve avvenire con una mistificazione mediatica e mettendo dei marchi di infamia che devono restare negli anni affinché nessuno più si permetta di osare tanto.
Ma non si facciano illusioni, come Pasolini è più vivo che mai a cento anni dalla sua nascita, se dovesse morire in una prigione statunitense Assange, da morto, sarebbe ancora più pericoloso, la sua vicenda dalle rivelazioni dei cable, alla farsa dell’arresto nell’ambasciata dell’Ecuador fino al processo peseranno come un macigno sulla coscienza sporca dell’occidente.
Non vogliamo perdere la possibilità che le cose possano prendere un corso diverso. Ma non potrà accadere nulla senza una mobilitazione generale che faccia capire cosa è in gioco.
L’ultima possibilità di salvare Assange siamo noi! Non c’è più tempo!
Francesco Guadagni
18/06/2022