Per cercar di comprendere la situazione attuale e le sue tendenze di sviluppo è necessario alzare lo sguardo almeno all’altezza degli ultimi tre lustri, ricollegandoci alla crisi finanziaria del 2007-2008.
La crisi subprime ha mostrato, innanzitutto, nella maniera più chiara, chi detiene la sovranità effettiva nel mondo odierno. Alle origini della crisi sta la deregolamentazione del sistema finanziario americano avvenuto almeno a partire dall’abolizione dello Glass-Steagall Act (1999, presidenza Clinton), con cui si sono aperte le ultime dighe al predominio della finanza speculativa (processo iniziato sin dagli anni ’70). Quell’atto di delegificazione era stato auspicato da tempo dai principali attori finanziari statunitensi, ma solo alla soglia del 2000 le pressioni ottennero pienamente l’esito desiderato.
Da allora si è avviata una stagione di speculazione ruggente che ha prodotto un incremento costante del peso dell’economia finanziaria rispetto all’economia reale, promuovendo la creazione della pazzesca bolla immobiliare esplosa a fine 2007.
In quell’occasione per il sistema finanziario si trattava di capire una sola cosa, ovvero se, o in quale misura, gli stati avrebbero compensato per i rischi speculativi privatamente presi. Quando il governo americano decise (con molti tentennamenti) di lasciar fallire la Lehman Brothers, come “esempio” contro il “moral hazard” del sistema bancario, i vertici del sistema finanziario presero un discreto spavento. Per qualche lunghissimo giorno si percepì la possibilità di un effetto domino, di un collasso totale con il successivo fallimento del gigante AIG, che sarebbe stato incontenibile nelle conseguenze. Questa propagazione venne sventata dal governo USA all’ultimo momento, con la prima di una prodigiosa serie di “iniezioni di liquidità”.
Leo Essen: L’ordo-liberalismo e il «77-pensiero»
L’ordo-liberalismo e il «77-pensiero»
di Leo Essen
I
Per il 1978-79 Foucault aveva deciso di tenere un Corso sulla Biopolitica. Nel résumé del corso, redatto per l’Annuaire del Collège de France – i résumés sono gli unici testi riguardanti i corsi resi pubblici dallo stesso autore – Foucault dice quanto segue: In origine il tema stabilito per il corso era la Biopolitica, termine con il quale intendevo fare riferimento al modo con cui si è cercato, dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, longevità, razze. È noto quale spazio crescente abbiano occupato questi problemi a partire dal XIX secolo e quali poste politiche ed economiche abbiano costituito sino a oggi.
Nel Corso, contrariamente a quanto annunciato dal titolo, Foucault non si occuperà direttamente della biopolitica. E ciò in quanto, dice, mi è sembrato che la biopolitica non potesse essere dissociata dal quadro della razionalità politica entro cui sono apparsi e hanno assunto il loro rilievo, vale a dire il «liberalismo».
Il liberalismo tedesco della scuola di Friburgo, raccolto intorno alla rivista Ordo – da qui ordo-liberalismo o neo-liberalismo – e il neo-classicismo economico austriaco (soprattutto Mises e Hayek) sono al centro dell’analisi.
Foucault si avvicina a questo tema con tutta la cautela che gli è propria. Il liberalismo, dice, non è una teoria, non è un’ideologia, non è un modo di rappresentarsi, non è una rappresentazione, non è una tecnica del governo, governo inteso in quanto istituzione o momento istituzionale. Il neo-liberalismo è una pratica di governo, se si intende per pratica un modo di fare e di comportarsi, un modo di agire che non è un praticismo, che non esclude un intento teorico ma che non si riduce alla mera teoria o a una teorizzazione su una presunta pratica – è una pratica-teorica di governo delle popolazioni.
Fausto Sorini: Note sulla questione comunista in Italia
Note sulla questione comunista in Italia
di Fausto Sorini
Credo che abbia fatto bene Marco Pondrelli, direttore del nostro sito, ad aprire con un editoriale il dibattito sulla questione comunista, con una particolare attenzione all’Italia. Perchè se è vero – come scrive – che “oggi nell’Unione europea la forza dei comunisti è marginale, … se guardiamo al caso italiano la situazione è ancora peggiore, desolante” e “di scissione in scissione oramai gli iscritti ed i militanti dei tanti partiti sono sempre meno e i gruppi dirigenti sono sempre più litigiosi e lontani dal mondo del lavoro”, privi di autentico radicamento nella società e nei luoghi del conflitto sociale.
Sappiamo bene che le ragioni più profonde di questa situazione, nel Paese che pure fu patria del partito di Gramsci, di Togliatti, di Longo, di Secchia, vengono da lontano e rimandano ai processi degenerativi insiti nella “mutazione genetica” del PCI, nella sua dissoluzione, nella incapacità dei gruppi dirigenti sorti dopo la fine del PCI di ricostruire una forza comunista anche piccola nelle sue dimensioni, ma solida ed espansiva, relativamente omogenea sul piano ideologico, della collocazione internazionale, della concezione dell’organizzazione, espressione dei settori di avanguardia del mondo del lavoro, dei giovani, degli intellettuali (cioè leninista non solo a parole).
A oltre 30 anni dalla fine del PCI – essendo pure stati alcuni di noi protagonisti di esperienze che risalgono già agli anni ’70 del secolo scorso (Interstampa nel PCI, l’Ernesto in Rifondazione, MarxXXI prima serie nel PdCI) – possiamo dire responsabilmente che tutti questi tentativi sono falliti o sono stati sconfitti: sia per limiti soggettivi interni a loro stessi, sia per una inferiorità troppo grande nei rapporti di forza con chi è sceso in campo per osteggiarli, dall’interno e dall’esterno.
Jack Orlando: Banlieue del Garda
Banlieue del Garda
di Jack Orlando
Nella tempistica tritatutto del giornalismo mainstream, come sempre, le notizie finiscono per dominare le prime pagine per pochi giorni, massimo una settimana, salvo poi sparire nel flusso indistinto delle news. Gli eventi, si sa, appaiono così auto generati ed indipendenti, perdendo completamente il loro significato complessivo.
Ritorniamo quindi in controtendenza, a distanza di un mese, a un episodio che ha dominato i telegiornali nostrani per una settimana con consueti toni isterici apocalittici. E che ha calamitato su di sé l’evergreen dell’emergenza.
Peschiera del Garda, località balneare per lo struscio del fine settimana in quel del motore d’Italia.
Il 2 giugno un raduno di ragazzini, dalle proporzioni certamente notevoli, ha finito per diventare agli occhi del paese poco meno che un invasione barbarica.
La dinamica è semplice: una chiamata su Tik Tok aperta alla community per un raduno spontaneo aggrega, come d’altronde successo da altre parti e in altri momenti, centinaia se non migliaia di ragazzini.
Savino Balzano: Great reset: alla fine saremo noi a chiedergli il lockdown
Great reset: alla fine saremo noi a chiedergli il lockdown
di Savino Balzano
L’informazione italiana mente sapendo di mentire, raccontandoci la storia di una Russia che starebbe perdendo la guerra militarmente ed economicamente, per nascondere la catastrofe di una strategia che sta mettendo in ginocchio i popoli più fragili in occidente, tra i primi il nostro, parte di un fronte guidato da un anziano signore poco lucido e telecomandato, letteralmente posto a capo del più potente e allo stesso tempo decadente paese del mondo.
È tutta una menzogna: sull’inizio e sulle origini del conflitto, su chi lo stia esacerbando e prolungando, su chi lo stia perdendo e vincendo. Persino sui valori che noi occidentali rappresenteremmo: come se si potessero cancellare con scialbe e banalissime parole le storie di Julian Assange o di Shireen Abu Akleh.
Quello che però ancora una volta colpisce enormemente è la capacità di un’oscura (mica tanto) regia di approfittare di parentesi emergenziali per proseguire la propria lotta di classe dall’alto verso il basso, rubando ai poveri per dare ai ricchi, ridisegnando complessivamente la società ad immagine e somiglianza dei propri squallidi interessi di parte.
Alceste De Ambris: Per chi sei disposto a morire?
Per chi sei disposto a morire?
di Alceste De Ambris
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dai Giadisti agli Ucronazi: l’Impero finanz-capitalista alla ricerca di una fanteria.
Il finanz-Capitalismo occidentale ha bisogno di “carne da cannone” per combattere la propria terza guerra mondiale “a pezzi”, ma fatica a trovarla. Chi mai sarebbe disposto a morire per difendere la Nato, o l’Unione europea, o questo o quel governo “tecnico” che procede con il “pilota automatico” a perseguire interessi estranei alla propria cittadinanza ?
Abbandonata ogni promessa di un futuro migliore, ogni progetto di emancipazione umana, l’Occidente, tramite media, governi e “intellettuali”, promette solo perdita di diritti (cd. “riforme”) con pretesti economici, misure liberticide e di controllo sociale con pretesti sanitari, miseria con presti ecologici, guerre a ripetizione contro nemici sempre nuovi (i terroristi, i virus, le “dittature”…) La disoccupazione è ormai cronica, si susseguono le crisi, lo stato sociale è al collasso, subentra infine l’inflazione. Gli Stati, indebitati e privatizzati, sono sotto il controllo dei poteri finanziari e dei “mercati”. La democrazia è vanificata da vincoli esterni immodificabili. La libera informazione è sostituita dalla propaganda e dalla censura. Le Oligarchie del pensiero unico hanno parassitato anche la società civile, snaturandola.
Roberto Buffagni: Il conflitto ucraino e le classi dirigenti italiane: un test (radiofonico)
Il conflitto ucraino e le classi dirigenti italiane: un test (radiofonico)
di Roberto Buffagni
Stamattina ho fatto un test, obiettivo: capire che pensano le classi dirigenti italiane del conflitto ucraino.
Telefonato a “Prima Pagina” di RadioTre, conduttore F. Fubini.
Sintesi mia domanda: “Che vuol dire ‘non possiamo permettere che la Russia vinca’? Quali sono gli obiettivi strategici occidentali nel conflitto ucraino? Il 23 giugno scorso la Commission on Security and Cooperation in Europe, nota anche come Helsinki Commission, un organismo del governo federale USA, ha tenuto un briefing dal titolo ‘Decolonizzare la Russia. Necessità morale e strategica di frammentare politicamente la Russia’, con tanto di cartina dove la Federazione Russa appare divisa in una decina di staterelli. D’altronde hanno implicato lo stesso obiettivo strategico di regime change e frammentazione politica della Russia anche i Ministri della Difesa e degli Esteri, e il Presidente degli Stati Uniti, che hanno dichiarato: ‘Dobbiamo indebolire la Russia e far sì che non possa mai più rifare qualcosa come l’invasione dell’Ucraina’. L’unico modo per raggiungere questo obiettivo è espellere la Russia dal novero delle grandi potenze, ossia frammentarla politicamente.
Paolo Favilli: Mondo esplosivo, senza cautele e sonnambuli lucidamente folli
Mondo esplosivo, senza cautele e sonnambuli lucidamente folli
di Paolo Favilli
Scenari. In questa crisi emerge il paragone con il 1914, mentre tornano in scena, con il salto di qualità delle tecnologie belliche, imperi mai sopiti e l’irrazionale vento del nazionalismo
«Dopo la fine della guerra fredda un sistema globale di stabilità bipolare ha lasciato il posto ad una più complessa e imprevedibile varietà di forze, ivi compresi imperi in declino e potenze in ascesa, una situazione che invita al confronto con l’Europa del 1914» (Christopher Clark, I sonnambuli, 2013). Nota ancora Clark: «Coloro che ebbero la responsabilità delle principali decisioni (…) camminarono verso il pericolo con passi guardinghi e calcolati».
OGGI SI PUÒ LEGGERE sulla stampa che l’Ue potrebbe sparire prima dell’ingresso dell’Ucraina (Medvdev); che l’esercito inglese deve prepararsi a combattere in Europa (il Capo dell’esercito britannico); che saranno ripresi i sacri confini del 1991 (Zelensky); che la Lituania blocca i treni per Kaliningrad dopo aver sentito Bruxelles; che la Russia avrà operativi entro la fine dell’anno i missili ipersonici Sarmat, armi di incredibili potenza distruttiva (Putin); che la Russia è il nemico e la Cina è avvertita (Ambasciatore italiano alla Nato), che per avere la Nato allargata ad ex Paesi neutrali come Finlandia e Svezia vendiamo, letteralmente, il popolo curdo al massacratore Erdogan baluardo sud atlantico. Dove stanno i limiti della «cautela»?
Fabio Ciabatti: La guerra e il lato oscuro dell’Occidente
La guerra e il lato oscuro dell’Occidente
di Fabio Ciabatti
Qui i capitoli 1. e 2.
3. A proposito di oligarchie
Nella saga di Star Wars, vera e propria fabbrica di moderni archetipi, l’intero universo è permeato e governato da una sorta di misterioso campo di energia, la “forza”. Questa però ha anche il suo lato scuro, che, in ultima istanza, genera il più terrificante dei nemici, l’Impero. C’è un momento di verità in questo modo di concepire il nemico. Ed è per questo che può essere utilmente applicata alla Russia di Putin che, al di là dei punti di scontro, condivide con l’Occidente l’accettazione dei principi del capitalismo neoliberista, a differenza di quanto avveniva con l’URSS che proponeva un sistema socioeconomico diverso da quello capitalistico (quanto poi fosse migliore è un’altra questione). Rimanendo all’allegoria cinematografica, possiamo considerare la forza come i flussi di valore capitalistici che oramai attraversano e plasmano l’intera realtà producendo anche il tenebroso capitalismo russo. Ovviamente il meccanismo narrativo e quello ideologico funzionano finché lo scontro tra il bene e il male è raffigurata come la lotta tra Davide e Golia. Nella realtà i rapporti di forza sono ribaltati, ammesso che la guerra attuale è uno scontro tra Usa e Russia per interposta Ucraina.
Potrebbe sembrare frivolo, di fronte alle tragedie della guerra, chiamare in causa Hollywood, ma la guerra si combatte anche sul piano dell’immaginario. Continuiamo perciò ad approfondire gli elementi che la metafora del nemico come lato oscuro ci consente di cogliere. A questo proposito un’obiezione sorge immediata: cosa c’entra un sistema statalista, oligarchico, autoritario con l’Occidente caratterizzato da mercato, concorrenza e democrazia?
Marco Duò: Il Grande Contraccolpo: ascesa e prospettive del neostatalismo
Il Grande Contraccolpo: ascesa e prospettive del neostatalismo
di Marco Duò
Recensione di Paolo Gerbaudo: Controllare e proteggere. Il ritorno dello Stato, Milano, Edizioni nottetempo, 2022 (ed. orig. The Great Recoil: Politics After Populism and Pandemic , Brooklyn, Verso Books, 2021)
Chi ultimamente ha prestato attenzione alla cronaca avrà forse notato uno shift notevole nel comportamento delle più grandi istituzioni economiche, finanziarie e governative incaricate di gestire la crisi attuale; la Bce, ad esempio, la cui principale prerogativa è sempre stata la solidità dell’euro e il contenimento dei prezzi, sembra oggi aver assunto un atteggiamento più che tollerante nei confronti dell’inflazione. Tale atteggiamento può lasciare perplesso chi ha sempre creduto che la Banca centrale europea fosse un baluardo delle politiche economiche ultraliberiste improntate sull’austerity. Tuttavia, le motivazioni dietro a questa scelta sono chiare: l’unico modo per far ripartire l’economia sono gli investimenti e l’accesso facilitato al credito, ma, com’è noto, questo richiede che i tassi d’interesse rimangano il più possibile vicino allo zero, il che, a sua volta, implica un aumento dell’inflazione dovuto alla crescente quantità di moneta in circolazione. Questa situazione viene a crearsi, fra le altre cose, con il ricorso al Quantitative Easing (Qe) e alla continua introduzione di spese per il sostegno della domanda e misure d’assistenza sociale, fattori che non sono di certo mancati negli ultimi mesi. Sebbene, proprio in questi giorni, la Fed abbia deciso di distaccarsi da questo indirizzo, annunciando un imminente rialzo dei tassi d’interesse, si ricorderà senza dubbio il ruolo che essa ha giocato nel finanziamento dello stimulus check trumpiano e dei recenti piani multimiliardari di Biden. Insomma, pare che di comune accordo banche e governi abbiano abbandonato le politiche di contenimento della spesa degli ultimi anni, arrivando persino a sospendere il Patto di Stabilità, il tutto in nome della ripresa postpandemica.
Pietro Basso: Sulla guerra in Ucraina, dal punto di vista dell’internazionalismo
Sulla guerra in Ucraina, dal punto di vista dell’internazionalismo
di Pietro Basso
Questo è il testo di un intervento che il compagno Pietro Basso (della redazione di questo blog e della rivista Il Cuneo rosso) ha tenuto a Lucca venerdì 24 giugno ad un’iniziativa sulla guerra in Ucraina, volta a denunciare il bellicismo pro-NATO che ogni giorno di più impazza in Italia, con i suoi risvolti maccartisti tra l’orrido e il grottesco. Essendo un intervento di 15-20 minuti, non poteva essere, né pretende di essere in alcun modo, esauriente – tanto per dirne solo una, non tratta delle questioni dell’autodeterminazione degli ucraini e degli abitanti del Donbass. Ma intende, questo sì, guardare alla guerra in corso dal punto di vista dell’internazionalismo militante. Ed è, perciò, del tutto fuori dai cori. Contro, anzitutto, l’assordante coro militarista e bellicista del capitale nazionale e dell’imperialismo occidentale; ma senza concessioni ai piccoli, molteplici cori campisti e simil-campisti, anch’essi soggiogati dalle logiche e dagli interessi statuali (capitalistici, cioè), e lontani, se non lontanissimi, dalla logica e dagli interessi di classe. (Red.)
* * * *
Ho da fare tre premesse. La prima, ovvia; la seconda, un po’ meno; la terza, insolita.
La prima. Quella che si sta combattendo in Ucraina non è una guerra tra Russia e Ucraina. È una guerra tra NATO/Occidente e Russia (con dietro la Cina), ed è il seguito dell’infausto 2014 di Euromaidan, lo sbocco della contesa globale cominciata nel 1991 per arraffare le smisurate ricchezze naturali e di forza-lavoro dell’Ucraina. Una contesa in cui la “nostra” squallida Italia è stata ed è in prima fila, appropriandosi della vita di 200.000 donne di ogni età e di terre fertili, impiantandovi più di 300 aziende, seminando corruzione e germi di guerra.
Fabrizio Casari: Ucraina tra propaganda e realtà
Ucraina tra propaganda e realtà
di Fabrizio Casari
Media mainstream e politicanti atlantisti si ostinano ad auspicare una vittoria militare ucraina che spinga i soldati di Mosca dentro i confini russi, che si sia la resa delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk e, magari, anche della Crimea. Il difetto della trasformazione dell’informazione in propaganda, però, è che quest’ultima, come le bugie, ha le gambe corte e infatti, dopo circa 4 mesi di fantascienza sulle sorti del conflitto, la supremazia russa è visibile e palpabile.
L’idea di una guerra lunga per consumare la Russia non ha conforto sul campo. La situazione sul terreno indica la vittoria militare russa come questione del quando e del come, non certo del se. Il perdurare del conflitto sembra poter vedere solo una crescita della quota di territorio ucraino in mano a Mosca che poi non sarà semplice ottenere indietro. E c’è chi ritiene che il proseguire del conflitto per altri mesi possa motivare Mosca a prendere Odessa, lasciando così l’Ucraina senza sbocchi al mare. Condizione che la condannerebbe ad un sottosviluppo cronico e irreversibile.
Guido Ortona: L’Europa e “i conti in ordine” dell’Italia
L’Europa e “i conti in ordine” dell’Italia
di Guido Ortona
In Europa (Commissione e BCE) è ripreso lo scontro fra falchi e colombe. Lo scontro è abbastanza aspro da trasparire sui media, il che evidenzia tra l’altro come le diverse posizioni sono anche, probabilmente soprattutto, determinate dalle questioni di politica interna dei vari paesi. Nella attuale difficile situazione, destinata inevitabilmente a diventare ancora più difficile, una parte della maggioranza che sostiene il governo italiano ha bisogno di far vedere che l’Europa è buona. Invece in altri paesi, come da recenti dichiarazioni di personalità olandesi, tedesche e austriache, bisogna far vedere che non si è più disposti a tollerare gli sprechi dell’Italia: è prioritario, si dice, che l’Italia “metta in ordine i suoi conti”. È possibile raggiungere un compromesso? Forse; ma credo che sia difficile, perché lo spazio per “mettere in ordine i conti” senza traumi politici eccessivi per l’Italia è molto piccolo. Vediamo perché.
La spesa pubblica in Italia era il 48,6% del PIL, un valore poco superiore alla media non ponderata dei paesi OCDE europei (46,6%) ma inferiore a quello (nell’ordine) di Francia, Finlandia, Belgio, Norvegia, Svezia e Danimarca ed eguale a quello dell’Austria.
Serena Capponi: Metaverso, una nuova forma di bovarismo
Metaverso, una nuova forma di bovarismo
di Serena Capponi
E si generò il caos…
Una confusione, un disordine, un disorientamento.
Sembra ormai diventato sempre più difficile comunicare con l’altro.
Il relazionarsi e parlare sembrava già da tempo pratica obsoleta, oggi sembra quasi una pratica del tutto sconosciuta.
Negli ultimi due anni a causa della situazione che stiamo vivendo legata al Covid il distanziamento sociale che ci è stato imposto sembra quasi aver del tutto eliminato l’interazione sociale tradizionale.
La strada che stiamo intraprendendo, in parte obbligati delle circostanze, in parte in modo spontaneo, sta trasformando l’uomo da un animale sociale ad un essere che vive in piena solitudine, timoroso dell’altro, che trova rifugio in un mondo irreale che risiede nell’etere.
Forse la pandemia ha più che mai evidenziato le fragilità che caratterizzano la cultura sociale moderna. Tutto questo ha trovato la sua massima espressione con la nascita del metaverso, una realtà virtuale, inesistente quindi, che rischia di divenire un mondo reale fittizio che in molti però possono scambiare per vero e tangibile.
Piccole Note: La crisi ucraina e la miopia dell’Occidente
La crisi ucraina e la miopia dell’Occidente
di Piccole Note
A volte anche i siti che la propaganda d’Occidente bolla come cospirazionisti possono pubblicare articoli in grado di passare il vaglio di tale propaganda, perché inattaccabili. È il caso di un articolo di Moon of Alabama che spiega due grandi errori di valutazione dell’Occidente riguardo alla crisi ucraina.
Il primo è palese ormai a tutti: le “sanzioni infernali” avrebbero dovuto incenerire l’economia russa, col risultato di costringere Putin a chiedere in ginocchio la pace. Non è andata così, e l’articolo di Helmholtz Smith spiega il perché.
I media d’Occidente, afferma Smith, da tempo raccontano che “l’economia russa può essere paragonata a quella del Texas o del Belgio o del Lussemburgo o a qualcos’altro di simile; semplicemente traducono i rubli in dollari e galoppano verso la conclusione prestabilita”.
“Non si chiedono mai quanto sia grande il programma spaziale russo […] o quanti sottomarini nucleari produce, o nuove stazioni della metropolitana, nuovi aeroporti o ponti, o se quel paese produca svariati modelli di aeroplani e camion, o come molto cibo viene coltivato ed esportato o, infine, qualsiasi altra cosa che misuri effettivamente un’economia reale“.
Ludovic Lamant: “Eurafrica”: l’eredità tossica del colonialismo per capire le origini dell’UE
“Eurafrica”: l’eredità tossica del colonialismo per capire le origini dell’UE
di Ludovic Lamant
Gli svedesi Peo Hansen e Stefan Jonsson portano alla luce l’origine coloniale dell’Unione Europea, in un saggio incentrato sul concetto poco noto di Eurafrica. Questa nozione controversa godette di una gloria fugace fino alla conclusione del Trattato di Roma nel 1957 prima di essere cancellata dalla memoria
La seconda stagione della serie del Parlamento, online da maggio, si apre con una mappa del Congo belga, appesa al muro da un eurodeputato nel suo ufficio di Strasburgo; le sue convinzioni politiche si possono facilmente immaginare. Questo piano furtivo non è privo di eco al progetto del saggio di due accademici svedesi appena pubblicato da La Découverte: riscrivere la storia gloriosa degli inizi dell’integrazione europea, incorporando l’eredità tossica del colonialismo.
Peo Hansen e Stefan Jonsson guidano questa impresa concentrandosi su un concetto che ebbe un successo di breve durata, in particolare sotto la Quarta Repubblica in Francia (1946-1958), ma anche in altri paesi vicini, quello di “Eurafrica”. A riprova dell’impatto di questo concetto svanito, c’è questa prima pagina di Le Monde del 21 febbraio 1957, nel bel mezzo delle trattative per il Trattato di Roma: “Primo passo verso l’Eurafrica”.