Molti anni fa ho visitato un macello. Non ricordo che anno fosse, probabilmente il 2003. Ho raccontato le mie sensazioni nel libro “Diventa vegan in 10 mosse”, pubblicato nel 2005. Rileggendo il mio racconto, ho riprovato le sensazioni di allora, anche se sono passati quasi vent’anni.
Le ripropongo oggi, perché sono, purtroppo, più attuali che mai. L’appetito di noi umani per la carne non si placa… per questo è importante ricordare chi era quella carne e cosa provavano gli animali uccisi per farne bistecche.
Leggete e condividete, per favore. Grazie.
Il mio racconto
Arriviamo alle nove del mattino in quel piccolo paese mai visto prima. Entriamo con l’auto dal cancello. Siamo in quattro. Tutti vegan. Forse nessuno di noi sa perché è lì. Io, di certo, non lo so. Tramite conoscenze comuni, eravamo riusciti a ottenere una visita presso quel posto. I proprietari non sapevano che eravamo vegan, solo che volevamo… informarci su come avvenivano le cose. «Ah, eccovi, pensavamo non arrivaste più. Abbiamo interrotto il lavoro per aspettarvi».
Oddio. Il lavoro. Intendono il massacro di animali. Sgozzare e fare a pezzi. È un lavoro normale. È un trauma, ogni volta che me lo sbattono in faccia. Ci guardiamo. Ci sentiamo male ad aver solo causato un prolungamento dell’agonia di questi animali, che non possiamo salvare. Ci danno dei camici per coprirci, dei sovrascarpe per non macchiarci. Di sangue. Il padrone ci dice che per i bovini, pazienza, ma quando portano lì i capretti, gli agnellini, o i cavalli, allora ci sta male anche lui, a pensare che queste creature vengano uccise. Mi viene la nausea. Anche lui, «ama gli animali». Il padrone di un macello, «ama gli animali». Come i cacciatori, i pellicciai, i vivisettori. È un mondo di zoofili. Di zoofili e di miliardi di animali massacrati.
Entriamo. Ci sono due bovini, «vitelloni» forse si chiamano, non lo so, non importa, so che hanno grandi occhi spaventati. I bovini sono sempre tranquilli e fiduciosi, questi no, tendo stupidamente la mano verso di loro per una carezza, ma si scostano terrorizzati. Stanno aspettando la morte, hanno visto i loro fratelli morire prima di loro, io non posso fare nulla per salvarli e ho prolungato la loro agonia arrivando in ritardo. Perché sono qui? Non voglio esserci. Ma ormai ci sono, devo guardare.
Il primo viene sospinto verso una specie di piccolissimo recinto, dove deve avvenire lo stordimento. Il macellaio gli appoggia sulla testa una specie di pistola cilindrica, spara. L’animale stramazza. Viene agganciato per una zampa, posteriore, e sollevato da terra. Un animale enorme, tutto il suo peso che strazia quella zampa, esile in confronto al corpo poderoso… quanto reggerà? Si spezzerà? Davvero non sente nulla? Come si fa a saperlo?
E mi tornano in mente le cose che ho letto sui macelli americani. Dei macellai che andavano al lavoro vestiti con le protezioni da hockey perché tanti animali non venivano storditi a dovere, a causa della fretta (migliaia di animali ammazzati al giorno), e si dimenavano, pazzi di dolore, appesi a quei ganci che gli spaccavano i tendini. E gli operai che man mano li «smontavano», come macchine allo sfascio, dovevano proteggersi dai loro zoccoli e dai loro corpi agonizzanti e scalcianti.
Questo è un piccolo macello. Gli animali uccisi ogni giorno sono pochi. Lo stordimento funzionerà, vero? E in tutti gli altri macelli, i grossi macelli comunali, quelli dei grandi allevamenti intensivi… funzionerà?
Arriva un altro macellaio con un lungo coltello, e taglia di netto la gola. Il sangue inizia a sgorgare, ma io ormai ho già la vista annebbiata dalle lacrime. Di pena, non ancora di rabbia. La rabbia magari dopo, ma adesso no, è più forte la pena, il desiderio di andare lì a staccare dal gancio quell’animale, di portare via l’ultimo rimasto e tenerlo fra le braccia, rassicurarlo… nessuno ti farà del male. Ti proteggo io. Invece no, io sono impotente. La realtà è quella della morte. Che ormai è anche dentro di me.
Lasciano scorrere il sangue per un po’, poi iniziano a fare a pezzi l’animale, gli staccano del tutto la testa, gli tolgono la pelle, lo fanno a pezzi con le seghe elettriche. E fischiettano, tranquilli. Tutto normale. La cosa più agghiacciante è forse questa. La normalità. «Se i macelli avessero le pareti di vetro, tutti diventerebbero vegetariani». È una frase che ricorre, che ai vegetariani piace ripetere, che dà sicurezza, che ci dice «Possiamo farcela a salvare gli animali, basta far vedere a tutti cosa avviene nei macelli, e tutti capiranno, e smetteranno».
Non è così. Perché se una persona viene a vedere un macello, vede tutto normale. Vede operai che fischiettano tranquilli. Avrà forse una breve fitta di pena per l’animale, ma scaccerà il pensiero, sovrastato dalla normalità della situazione. È la cosa più orribile, la normalità. Toglie ogni speranza.
La stessa sorte tocca al secondo animale. E poi basta, quel giorno c’è poco lavoro. Ci mostrano le celle frigorifere, piene di cadaveri appesi. Una stanza con tutte le teste mozzate. Usciamo fuori all’aria aperta, ci offrono un caffè, ma per carità, non vogliamo niente da voi, non sappiamo nemmeno perché siamo venuti a vedere questo orrore.
Ma basta, andiamo via, andiamo via da quel posto, e non ci diciamo niente tra noi, non abbiamo nulla da dire. Sappiamo che quello è uno dei macelli «migliori», perché è piccolo, e più controllato. Figuriamoci gli altri.
Altre letture
Il libro in cui compare questo racconto è di 15 anni fa, ma c’è un mio libro più recente che vi invito a leggere, se ancora non lo conoscete: è un e-book gratuito e si intitola Perché vegan – una scelta per il bene di tutti: animali, ambiente, noi stessi.
Vi invito a scaricarlo e leggerlo per saperne di più sui motivi della scelta vegan. È pensato per chi non ha ancora compiuto questa scelta e offre moltissime informazioni. Ma è utile anche per chi è già vegan e vuole approfondire. Scaricalo da qui:
In aggiunta ai perché è utile sapere il come: questo è il compito del nostro Vegan Starter Kit, la guida pratica che si può richiedere in pdf oppure stampata, gratuita in entrambi i casi.
Marina Berati
26/05/2020
(Foto di copertina di Aussie Farms)