25/08/2022
Alberto Sgalla: L’anti-positivismo rivoluzionario e il ruolo del partito nel pensiero di Lenin
L’anti-positivismo rivoluzionario e il ruolo del partito nel pensiero di Lenin
di Alberto Sgalla*
Positivismo, Empiriocriticismo
Il Positivismo è un indirizzo filosofico che si è sviluppato a partire dalla prima metà del sec. XIX accompagnando l’organizzazione tecnico-industriale, capitalistica, della società. Il termine, coniato da Saint-Simon, fu poi adottato da Comte per designare lo stadio scientifico del sapere umano in contrapposizione agli stadi precedenti, teologico e metafisico. La scienza era posta come unico fondamento possibile della vita degli esseri umani, garanzia infallibile del loro destino, suo compito era scoprire le “leggi” dei fenomeni. Comte riteneva razionalmente inevitabile il progresso, cioè il perfezionamento incessante che la società umana subisce nella sua storia.
La scoperta di Darwin del principio dell’evoluzione biologica comportò una diffusione del Positivismo nella seconda metà del sec. XIX, con una conclusione ottimistica della dottrina darwiniana: l’evoluzione è il fatto fondamentale della natura e della storia, è ineluttabile il progresso anche biologico dell’uomo. Spencer, il maggiore esponente del Positivismo inglese, ritenne il principio evoluzionistico valido per ogni campo della realtà, la legge universale dell’evoluzione doveva essere applicato anche alla vita sociale e alla vita psichica. Lo sviluppo graduale della società era ritenuto possibile lasciando libero gioco al conflitto tra le classi sociali e vietando ogni forma di dirigismo pubblico, ritenuto contrario al progresso. Il Positivismo inglese, individualistico-liberale, fu tipica espressione della borghesia che vedeva il progresso nel pieno dispiegamento degli appetiti speculativi e della libera concorrenza nel mercato.
Il Rovescio: Tabula rasa, o della scuola digitale
Tabula rasa, o della scuola digitale
di Il Rovescio
Pubblichiamo volentieri questo testo a proposito del «Piano Scuola 4.0», il quale prosegue le riflessioni cominciate con PNRR: Piano Nazionale di Radiazione di ogni Resistenza (umana), uscite su questo sito nell’ottobre scorso (https://ilrovescio.info/2021/10/21/pnrr-piano-nazionale-di-radiazione-di-ogni-resistenza-umana/)
Scuola: dal greco skholé, «tempo libero», dedicato allo svago della mente, e in seguito (XIII secolo) «luogo ove si attende allo studio».
Scuola quindi come ambito politico, cioè che riguarda le relazioni tra «i molti», legato all’educazione in senso letterale, che idealmente rappresenta l’occasione per i “nuovi nati” di ricevere da parte del mondo degli adulti (nella lingua giapponese il termine sensei, tradotto con quello di «maestro», significa «colui che è nato prima») cure (spazi e tempi caratterizzati dall’agio) e quel nutrimento che deriva dalla trasmissione delle conoscenze, indispensabile per l’espressione delle potenzialità autentiche di ogni individuo.
Scuola che, come tutti gli altri ambiti della realtà, è specchio delle tendenze in atto all’interno della società che la produce e in tal senso ambito di interesse generale. Interesse ancor più evidente se si considera che l’animalità della specie umana dovrebbe evidenziarsi anche nell’istinto di tutelare i nuovi venuti come prosecuzione di un sé collettivo e come aspirazione a qualcosa di meglio.
La distanza tra il significato e la concretizzazione dell’istituzione-scuola è talmente marcata e radicata da indurre a pensare che si tratti di oggetti differenti; ma la riflessione sul senso delle parole, nonostante il capitalismo si spenda sistematicamente per adeguarle alle sue esigenze, di questi tempi rappresenta un’opportunità per attingere da visioni capaci di orientare i passi (un riferimento alle origini a volte aiuta a ricordare un futuro).
In questi giorni sono state pubblicate dal ministero dell’Istruzione – che si occupa di organizzare le nuove leve rendendole idonee all’inserimento sociale – le linee guida del Piano scuola 4.0; si tratta della “risposta forte”, condivisa nel suo complesso da tutte le forze partitiche, alle criticità palesi in questo comparto (lo definiamo tale poiché siamo purtroppo abituati a considerare la realtà come un insieme di comparti stagni).
Nico Maccentelli: Siamo già in guerra
Siamo già in guerra
di Nico Maccentelli
Lo capisci veramente quando di fronte a un atto terroristico di criminali ucraini al soldo del loro governo, nel quale Daria Dugina figlia di Dugin salta in aria, nessun media di regime occidentale lo qualifica come terrorismo e, di conseguenza, nei commenti dei vari post di HuffItalia e del Corriere, viene fuori tutta la merda del compiacimento.
Questa è una guerra che si combatte in Occidente con la propaganda a senso unico, per aprire la strada alla gestione militare della fornitura di armi, per creare un bacino di consenso, per relegare in secondo piano le ricadute economiche già stiamo iniziando a subire sui prezzi dei prodotti energetici e in generale.
E’ una guerra semantica, dove parole come “terrorismo” vengono usate a senso unico come si fa già con la Palestina, assolvendo Israele dai suoi crimini genocidari di stato. Parole come “putiniano”, che non significano nulla perché servono per spalmare la merda su ogni voce dissenziente sono la prosecuzione del grande esperimento di controllo sociale che ha usato la parola “no-vax”.
Massimo Zucchetti: Un piano di pace “nucleare” per la guerra in Ucraina
Un piano di pace “nucleare” per la guerra in Ucraina
di Massimo Zucchetti
Da quando è mancato Piero Angela ho sentito particolarmente il suo ultimo appello “Io ho fatto la mia parte, fate anche voi la vostra”. Eccomi. Sono professore universitario di impianti nucleari. Eh già, come alcuni sanno.
La centrale nucleare di Zaporizhia (Zapo, per noi che la conosciamo) è in zona di guerra. Dista 45 km dalla città omonima che è ancora in mano ucraina ed è bombardata dall’esercito russo e delle repubbliche.
La Centrale è dai primi di marzo in mano ai russi e finora aveva continuato a funzionare. Sono in realtà ben SEI impianti VVER (il moderno PWR russo, nulla a che vedere con Chernobyl) costruiti da URSS (5) e Russia (1) in Ucraina a fine anni 80 e primi 90.
Ognuno ha una potenza di 950 MWe, e nel complesso è la più grande centrale in Europa. Può tranquillamente produrre fino a 45 miliardi di kWh di energia: da sola, per dire, produce un sesto di tutte le centrali elettriche italiane messe assieme.
Federico Dezzani: Terra contro Mare: il Medio Oriente in divenire
Terra contro Mare: il Medio Oriente in divenire
di Federico Dezzani
Mentre quasi tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina e su Taiwan, in Medio Oriente si assiste ad importanti sviluppi: la regione, infatti, salderà il fronte russo a quello cinese, specie dopo il probabile ritorno al potere di Donald Trump che metterà Cina ed Iran in cima all’agenda. La contrapposizione tra un Medio Oriente “centrale” a guida turco-iraniana ed uno “periferico” a guida israeliano-saudita è sempre più evidente e rispecchia il dualismo di fondo Germania-Francia.
Scenari mediorientali da Prima Guerra Mondiale
Molta carne sul fuoco nell’estate del 2022. In Ucraina, la guerra per procura tra Russia e anglosassoni procede senza sosta e l’attenzione è rivolta sopratutto alla centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto controllo russo: ci si domanda se il regime di Kiev, armato e sobillato dai britannici, voglia innalzare ad un livello superiore lo scontro, orchestrando un attacco alla centrale che ripeta “l’incidente” di Chernobyl del 1986.
F. William Engdahl: Di chi è il grano che arriva dall’Ucraina?
Di chi è il grano che arriva dall’Ucraina?
di F. William Engdahl – New Eastern Outlook
Il grande clamore umanitario delle ultime settimane, che richiede la spedizione sicura di grano ucraino per alleviare la crisi della fame in Africa e altrove, è ingannevole a molti livelli. Non ultimo, chi è il proprietario della terra su cui viene coltivato il grano e se quel grano è in realtà mais illegale brevettato OGM e altri cereali. Il regime corrotto di Zelenskyy ha stretto accordi con le principali aziende agroalimentari OGM dell’Occidente, che hanno preso furtivamente il controllo di alcuni dei terreni agricoli “terra nera” più produttivi del mondo.
Il colpo di Stato della CIA del 2014
Nel febbraio 2014 un colpo di Stato sostenuto dal governo statunitense ha costretto il presidente eletto dell’Ucraina a fuggire in Russia per salvarsi. Nel dicembre 2013 il presidente Viktor Yanukovych aveva annunciato, dopo mesi di dibattiti, che l’Ucraina avrebbe aderito all’Unione economica eurasiatica russa dietro la promessa di un acquisto da parte della Russia di 15 miliardi di dollari del debito statale ucraino e di una riduzione del 33% del costo del gas russo importato.
Piero Bevilacqua: I danni del Partito Democratico all’Italia
I danni del Partito Democratico all’Italia
di Piero Bevilacqua
Occorre di tanto in tanto fermarsi e guardare indietro, fare un po’ di storia, per capire come siamo arrivati sin qui. E un buon filo d’Arianna per districarsi nel labirinto della cronaca carnevalesca di oggi è la vicenda del Partito Democratico. Nato nel 2007 dalla fusione dei Democratici di Sinistra e della Margherita, è stato sino al 2018 il maggiore partito italiano e, con alcune interruzioni, nel governo della Repubblica per quasi 9 anni. L’intera XVII legislatura coperta con i governi Letta-Renzi-Gentiloni.In tutto 15 anni che, per i tempi della politica, per le sorti di un Paese, costituiscono una stagione abbastanza lunga perché sia possibile valutarne le responsabilità. Comincio col rammentare che, erroneamente, questa formazione è stata sempre considerata l’amalgama di due grandi eredità politiche, quella comunista e quella democristiana. Non è così. Tanto i dirigenti comunisti che quelli cattolici, prima di fondersi, avevano subìto una profonda revisione della loro cultura originaria. Prendiamo gli ex comunisti. Dopo il 1989 essi hanno attraversato, come tutti i partiti socialisti e socialdemocratici europei, il grande lavacro neoliberale, mutando profondamente la loro natura.
Tanto Mitterand in Francia, che Schroeder in Germania, Blair nel Regno Unito, D’Alema ( insieme a Prodi e Treu) in Italia, hanno proseguito o introdotto nei loro paesi le leggi di deregolamentazione avviate dalla Thatcher e Reagan negli USA. In sintonia con Clinton, che nel corso degli anni ’90 ha abolito la legislazione di Roosevelt sulle banche, essi hanno liberalizzato i capitali, reso flessibile il mercato del lavoro, avviato ampi processi di privatizzazione di imprese pubbliche e beni comuni, isolato ed emarginato i sindacati. Democratici americani , socialdemocratici ed ex comunisti europei hanno sottratto le politiche neoliberistiche dai loro confini americani e britannici e le hanno diffuso più largamente nel Vecchio Continente.
Gaspare Nevola: Potere della crisi e retoriche dello screditamento
Potere della crisi e retoriche dello screditamento
Dentro e oltre la campagna elettorale
di Gaspare Nevola
1. Crisi e potere, ovvero paura e libertà
Quando la politica è avvolta nel paradigma o nella narrazione della crisi, la democrazia viene rinchiusa nel recinto della paura. In uno spazio dove non c’è posto per la libertà, ma autostrade per la fuga dalla libertà. Nulla di nuovo, beninteso. La storia politica e quella del “fatto democratico”[1] sono state costantemente attraversate da fenomeni del genere: fenomeni che non esprimono altro che dinamiche politiche e socio-culturali, logiche di potere e di contro-potere, di governo e di opposizione, di obbedienza e di disobbedienza, di conservazione o di mutamento dell’ordine costituito. In tutti questi casi, la libertà è una posta in gioco cruciale, ma alla quale, persino quando è ufficialmente ben vista, viene riservata una stanza in soffitta e non già il salotto buono di casa. Accade ancora ai nostri giorni. Anche nel mondo occidentale che si autodefinisce democratico (o liberaldemocratico) e che siamo soliti considerarlo tale, almeno convenzionalmente. Tutto ciò sta accadendo anche in queste settimane in Italia, nella campagna elettorale per il voto del 25 settembre: nel suo piccolo, un caso esemplare di una tendenza storica generale, che tuttavia ai nostri tempi va acquisendo crescente visibilità rispetto al passato, e forse anche più forza.
2. La campagna elettorale del 25 settembre. Cioè?
Nelle (moltissime) pagine dei mass media (vecchi e nuovi) riservate alla cronaca o al commento della campagna elettorale, abbonda l’energia dedicata (dagli attori e dagli osservatori “rappresentatori” politici e mediatici) alle alleanze elettorali, agli accordi o ai mancati accordi di un polo o dell’altro o dell’altro ancora, tutti finalizzati a trovare la chiave per vincere o per non perdere troppo o per non fare vincere troppo la controparte, dove gli interessati mirano a trovare un posto nelle liste e, più ancora, all’accaparramento personale dei collegi elettorali “blindati” o delle circoscrizioni stimate come favorevoli.
Rino Condemi: Anche la Colombia di Petro si sgancia da Washington
Anche la Colombia di Petro si sgancia da Washington
di Rino Condemi
Un altro alleato storico degli Usa in America Latina sta dando il suo bye bye allo Zio Sam. La Colombia di Gustavo Petro, eletto neo presidente, sta delineando le sue scelte di politica estera e interna in dissonanza alla consolidata subalternità del paese agli interessi Usa.
In un lungo servizio, l’agenzia Nova rammenta che “Con 200 anni di relazioni diplomatiche alle spalle, Bogotà è da tempo considerata da Washington capitale di riferimento nel Sud America su temi chiave come la lotta al traffico di droga, sviluppata anche grazie alla collaborazione strategica con il Comando sud (United States Southern Command). Inoltre, per anni, i due Paesi hanno fatto fronte unico opposto non solo a Cuba, ma anche agli altri governi ‘neo socialisti’ della regione, come Nicaragua e, soprattutto, il Venezuela”.
Ma, secondo il reportage di Nova, i passi mossi da Petro, in poco meno di due settimane di presidenza, spingono la Colombia su uno scenario diverso. “Il Paese riallaccia i rapporti diplomatici con Nicolas Maduro, disconoscendo nei fatti il leader oppositore ancora formalmente interlocutore Usa, ma – soprattutto – dando a Caracas modo di allentare ulteriormente l’isolamento politico e commerciale creato anche dalle sanzioni del Tesoro Usa”.
Enrico Tomaselli: La vittoria impossibile
La vittoria impossibile
di Enrico Tomaselli
Quello che sta accadendo sul terreno in Ucraina è ormai abbastanza evidente a tutti e persino i media propagandistici occidentali cominciano a far filtrare la realtà. In qualche modo, bisogna cominciare a preparare le opinioni pubbliche a quel che verrà.
In questo momento, le forze armate russe si stanno concentrando soprattutto sul fronte ovest del Donetsk, con l’obiettivo di liberare la restante parte dell’oblast ancora sotto controllo ucraino. Si tratta di una fase necessariamente più lenta, perché lungo questa linea del fronte si trovano a dover conquistare i vari nodi di una linea fortificata, predisposta già dagli anni della guerra civile con le repubbliche autonomiste; villaggi e città sono trincerati, ed è necessario snidare i militari ucraini combattendo casa per casa, strada per strada. Anche se il lavoro dell’artiglieria e delle forze aerospaziali è possente ed efficace (secondo fonti ucraine, stanno bombardando le posizioni ucraine 700-800 volte al giorno, sparando da 40 a 60 mila colpi), sta poi alle truppe di terra conquistare i centri abitati, e ripulirli da sacche di resistenza, prima di poter procedere oltre. Oltretutto, le forze armate russe operano in condizione di inferiorità numerica, laddove invece – di norma – gli attaccanti dovrebbero essere in numero superiore, se non soverchiante, sui difensori.
Massimo Cappitti: Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia
Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia
di Massimo Cappitti
Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una vita di uscita dalla mente digitale, Torino, Rosemberg e Sellier, 2022
La tecnologia di per sé non ci può salvare e la pandemia, come cesura della storia, sta ben a dimostrare a cosa conduca uno sviluppo tecnico intenzionato e governato solo da interessi e profitti economici. L’epidemia «ci ha condotto a un evento globale di verso solo drammaticamente negativo che inaugura, come sembra, proprio per il suo essere un evento totale, una nuova fase della storia umana» (p. 13). Finelli così descrive l’orizzonte storico-culturale entro cui le sue riflessioni acquistano senso. Con queste parole l’autore apre il suo scritto Filosofia e tecnologia, dedicato al complesso e irrisolto rapporto tra tecnica e disciplina filosofica. Ma, nello stesso tempo, rapporto paradossale, poiché da più parti si invoca la tecnica affinché ponga rimedio a ciò che essa stessa ha contribuito a produrre. Il testo di Finelli rappresenta un nuovo capitolo della ricerca avviata dall’autore: ricerca che ha al suo centro la critica della modernità, senza, però, che sia restituito fiato a concezioni irrazionalistiche che abbiano la pretesa «di celebrare la forza e la verità dell’immediatezza, del sentire di contro alla supposta sterilità e falsità di una ragione persa in concettualità e universalità disincarnate» (p. 22).
Salvatore Bravo: Trappola linguistica
Trappola linguistica
di Salvatore Bravo
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
L’articolo uno della Costituzione è chiaro nelle sue finalità politiche, non vi è dignità che nel lavoro. Una nazione democratica si fonda sul demos, il quale concorre al benessere sociale e materiale con l’attività lavorativa. Il lavoro è partecipazione al vivere sociale, mediante esso il popolo fonda la democrazia, se ne appropria per renderla istituzione culturale diffusa nella quale tutti i lavoratori vivono in pienezza la condizione di cittadini. L’attività lavorativa è lavoro dello spirito comunitario che si oggettivizza in prassi produttiva e politica. La democrazia sociale è il demos che diviene agente sociale di benessere sociale ed economico. Si pone un circolo virtuoso positivo in cui il lavoro diviene coscienza di classe. Il lavoro è lo spirito della democrazia, il riconoscimento della sua dignità è la condizione prima di una democrazia reale e non solo formale.
Il neoliberismo in questi decenni non solo ha eroso i diritti dei lavoratori con la complicità dei sindacati e dei partiti, ma ha normalizzato la precarietà e i contratti la cui durata, anche di poche ore, non consente al lavoratore di “sentirsi persona”, poiché è solo “strumento di lavoro” nelle mani del padrone.