[Sinistrainrete] Antonio Castronovi: L’ ideologia new-liberal e la deriva nichilista dell’Occidente

Rassegna del 02/09/2022

Antonio Castronovi: L’ ideologia new-liberal e la deriva nichilista dell’Occidente

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L’ ideologia new-liberal e la deriva nichilista dell’Occidente

di Antonio Castronovi

Immagine evento“Il tramonto dell’occidente…esprime un destino a cui non ci si può sottrarre.
Il sole non si può fermare. Il tramonto è inevitabile.
L’occidente è la terra destinata a ospitare questo tramonto”.
(Umberto Galimberti – Il tramonto dell’Occidente )

 

Il capitalismo post borghese e tecnocratico: fine delle ideologie?

Il paradosso del nostro tempo è che viviamo in un’epoca iper-ideologica caratterizzata nello stesso tempo dalla negazione della stessa ideologia, in quanto la nostra sarebbe l’epoca post-ideologica e della Fine della Storia, dominata e governata dalla Tecnica. I suoi attori non sarebbero più le classi sociali ma oscuri tecnocrati che amministrano l’economia e la finanza e le tutelano dalle ideologie che vi si oppongono e le criticano. In questa autorappresentazione non ci sarebbe più posto per la filosofia e la politica come ricerca della verità sociale, come pensiero che trasforma il mondo con l’azione consapevole, e non ci sarebbe più posto per l’autocoscienza come processo di apprendimento dialettico dalla storia.

L’Epoca borghese è così tramontata con il tramonto del suo soggetto storico e della dicotomia borghesia-proletariato, e con la fine della narrazione che ne aveva segnato l’ascesa come ideologia del progresso.

La Globalizzazione si presenta oggi come fatalità ineluttabile e come destino, e tutto ciò che si oppone ad essa è denunciato come ideologia e come nemico da combattere anche con le guerre camuffate da guerre di civiltà.

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Sandrine Aumercier: Lavoro morto, lavoro vivo: il gap energetico della società del lavoro

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Lavoro morto, lavoro vivo: il gap energetico della società del lavoro [*1]

di Sandrine Aumercier

Aumersier1Ciò che angoscia molti, è cercare di capire come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto di quel che appare come uno sfrenato sviluppo tecnologico che implica l’automazione progressiva di ogni possibile attività, oltre a un incessante progredire di uno stato di sorveglianza di massa. Che genere di critica possiamo opporre a tale evoluzione, senza che essa si riveli solo come una sterile reazione, o un movimento puramente emotivo? Alcune delle critiche che sono già state fatte – e che sono diventate dei classici – si sforzano di trovare dei criteri per poter distinguere tra tecnologie buone e tecnologie cattive, tra un utilizzo buono e uno cattivo, tra tecnologie alienanti ed emancipatrici, se non addirittura tra tecnologie autoritarie e democratiche (se vogliamo usare i termini adottati da Ivan Illich, da Lewis Mumford, ecc.).

Spesso, sulla stampa o nella letteratura specializzata, leggiamo l’espressione del rifiuto che molte persone esprimono nei confronti di un «inaccettabile limite» dello sviluppo tecnico, il quale starebbe per essere superato. Vediamo anche come questo «confine inaccettabile» non smette mai di venire esteso e come, con ogni nuova generazione di critici, venga stabilito un nuovo «limite inaccettabile». Tuttavia, i criteri sembrano quasi sempre che siano basati, o sull’opinione degli autori stessi o sulle tendenze del loro tempo. Ciò che però tutti questi critici hanno in comune, è il fatto che essi idealizzano una loro «volontà consapevole», come se quasi fosse possibile determinare dei limiti razionali per questa «fuga in avanti» corrispondente alla competizione tecno-scientifica. Ma se osserviamo meglio, vedremo come invece queste critiche siano quasi sempre rivolte all’indietro: indicano dei limiti che sono già stati superati, o che si trovano in procinto di esserlo; cosa che le condanna, per principio, a essere delle posizioni reazionarie, oltre a renderle già superate a partire da ogni innovazione che si presenta.

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Andrea Zhok: Il pericolo

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Il pericolo

di Andrea Zhok

Di fronte ai vari richiami all’astensionismo intelligente e riflessivo, credo sia utile un breve richiamo allo scenario incombente.

Premessa. Sono trent’anni giusti – incidentalmente dalla stipula del trattato di Maastricht – che l’Italia è in una fase ininterrotta di declino.

I salari reali si sono ridotti, la disoccupazione e la precarietà sono esplose, abbiamo perduto per emigrazione giovani formati a colpi di 90.000 l’anno, lo stato è sempre meno efficiente e sempre più bizantino e sempre più incattivito, l’università e la ricerca sono state umiliate, la scuola è diventata la gabbia di contenimento di bambini nevrotizzati e smartphone-dipendenti, il sistema sanitario pubblico è stato smantellato, le pensioni sono diventate sempre più miserabili e sempre meno raggiungibili.

Ci avevano detto che le varie strette di cinghia cui siamo stati chiamati sarebbero servite almeno a risolvere il problema del debito pubblico accumulato negli anni ’80 – quando, ci si dice, vivevamo al di sopra delle nostre possibilità.

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Alfonso Gianni: L’agenda Draghi non ci salva da crisi e speculazione

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L’agenda Draghi non ci salva da crisi e speculazione

di Alfonso Gianni

Non si può certo dire che l’esercizio dell’ars oratoria sia il pezzo forte del repertorio di Mario Draghi. Lo si è notato anche a Rimini, durante il tradizionale appuntamento di Comunione e Liberazione, oramai diventato una passerella per membri del governo presente o futuro. L’unico momento nel quale il tono di voce del Presidente del Consiglio uscente si è leggermente innalzato dalla monotona lettura del suo discorso, è stato quando ha manifestato la sua convinzione che il prossimo governo “qualunque sia il suo colore politico” riuscirà a superare difficoltà che “oggi appaiono insormontabili” e che quindi “l’Italia ce la farà, anche questa volta”. A questa volitiva previsione si sono voluti contrapporre i dati riportati dal Financial Times – che pure ha sempre apertamente sostenuto la leadership di Draghi – che dimostrerebbero la scommessa degli hedge fund su un fallimento italiano. Il contrasto ha sollecitato la fantasia di dietrologi di vario orientamento. Se si esclude che il passaggio di Draghi sia stata buttato lì per puro patriottismo, è ancora più difficile pensare che “l’uomo delle istituzioni”, ovvero della finanza, non fosse al corrente delle valutazioni della agenzia americana S&p Global market su cui si è poi fondato l’articolo del giornale londinese.

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Sergio Cararo: Il freno tirato del “governo per gli affari correnti” e lo spettro di Robin Hood

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Il freno tirato del “governo per gli affari correnti” e lo spettro di Robin Hood

di Sergio Cararo

Sugli scenari recessivi dovuti all’aumento dei prezzi per i prossimi mesi, si alternano valutazioni credibili – e preoccupanti – e allarmismi strumentali ed elettorali mentre prende corpo l’Agenda Robin Hood in contrapposizione a quella di Draghi.

In molti infatti stanno tirando per la giacca il governo Draghi ancora in carica per “gli affari correnti”, ma questo non sembra volersi far coinvolgere più di tanto, anzi.

I provvedimenti adottati fino ad ora sono stati la tassazione sugli extraprofitti delle aziende in alcuni settori (energia soprattutto) e il decreto aiuti con il congelamento delle accise sui carburanti.

In Italia l’imposta sugli extraprofitti stata introdotta disciplinata dall’art. 37 del dl 21/2022. Viene calcolata sulla differenza tra operazioni Iva attive e passive nel periodo che va dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022 e il saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021. Il prelievo è stato aumentato in questi mesi dal 10 al 25% (Unione Popolare ha proposto di portarla al 90% e nessuna multinazionale si dovrebbe strappare i capelli per questo, ndr). Il gettito atteso da questo provvedimento era di quasi 11 miliardi. Ma finora lo Stato ha incassato solo 1 miliardo.

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Marco Zuccaro: Meditazione sulle prossime elezioni

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Meditazione sulle prossime elezioni

di Marco Zuccaro

Meditazione in divenire.

Il fatto è anche questo: possiamo permetterci il lusso di riporre tutte le nostre speranze nell’appuntamento elettorale? No, non possiamo. E non perché ci troviamo dinnanzi a elezioni incostituzionali che impediscono alle forze extraparlamentari di concorrere, bensì perché buona parte delle politiche italiane del prossimo futuro sono già state stabilite altrove. Che si riesca a introdurre alcuni “dei nostri” nelle Camere o che non vi si riesca, comunque il nemico ha fissato le tempistiche per riorganizzarsi e per essere lui a guidare i passi che faremo durante l’inverno e i prossimi anni. Benché la situazione si sia aggravata anche per il nemico, è difficile che dei pazzi psicopatici rinuncino alle logiche di possesso e controllo di cui tanto si sono inebriati nel corso degli ultimi anni. L’ipotesi di un nuovo “governo di unità nazionale” – l’ennesimo – che giunga in breve tempo, a prescindere dal risultato elettorale, è più che realistica.

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Gaspare Nevola: Pane e libertà. O della cugina povera rimasta vedova

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Pane e libertà. O della cugina povera rimasta vedova

di Gaspare Nevola

Pane e libertà: la cugina povera rimasta vedova. Questa è la storia o, meglio, il tema che vorrei qui vivificare in tempi di campagna elettorale

pane e libertà folla«Per sei famiglie italiane su 10 il tema del carrello della spesa o del caro bollette è prioritario rispetto a qualsiasi altra questione», in cima ai pensieri dei cittadini ci sono i timori dell’inflazione e del razionamento dell’energia. Così rilevano i sondaggi di opinione[1], i quali, come è noto, al di là della loro perizia tecnica nel descrivere le opinioni della società, contribuiscono a costruirle[2]. Simili timori del cittadino comune non dovrebbero essere trattati con supponenza, ma, d’altra parte, è bene che siano considerati nel contesto di una società che suole dirsi democratica e difendersi come tale. E qui il discorso pubblico non può banalizzare il tema della libertà, anche a costo di rimettersi a viaggiare in quel mare aperto e insidioso evocato dalla parola “libertà”: tanto quella degli antichi, quanto quella dei moderni, sia essa “libertà di” o “libertà da”, “libertà positiva” o “libertà negativa”[3]

Ben sappiamo quanto la libertà di ciascuno abbia dei limiti: limiti dati dalla libertà degli altri e dal danno che la libertà di ciascuno può procurare agli altri, come è stato teorizzato in modo esemplare, già a metà Ottocento, da un liberale classico come John Stuart Mill, padre di quell’utilitarismo che pure riconosceva in cima alla sua dottrina che “nessuno è miglior giudice di se stesso nel definire i suoi interessi di libertà”[4]. Ma il principio di Stuart Mill, tanto invocato (e strumentalizzato) dai sapiens  e dai minus sapiens dei nostri giorni, costituisce l’inizio e non la fine del discorso sulla libertà, specie in una società che si vuole democratico-pluralistica, fatta di maggioranze e minoranze, di costituzioni e di culture che intendono tutelare proprio il pluralismo (delle idee, degli interessi, dei valori), i diritti e le libertà; una società dove la tutela è posta anzitutto a difesa delle minoranze, temendo la “dittatura della maggioranza”, ovvero il fatto che the winner takes all – anche se pare che per molti tale timore valga solo nei giorni dispari, dato che lo si dimentica o respinge nei giorni pari.

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Nucleo Comunista Internazionalista: Caduto Draghi resta la sua agenda. Che non si fa mettere ai voti

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Caduto Draghi resta la sua agenda. Che non si fa mettere ai voti

La parola non alle urne, ma alla piazza!

di Nucleo Comunista Internazionalista

nucleocom DRAGHI html e9aa5911970a74dcAlle porte di mesi cruciali e devastanti – con tanto di possibili se non probabili razionamenti di gas, energia elettrica, forse anche di cibo e di altri possibili se non probabili giri infernali della giostra pandemica in seguito alla diffusione di nuovi virus o di nuove varianti – la caduta del governo Draghi di unità nazionale avvenuta il 20 luglio è una disdetta, un motivo di intorbidimento delle acque, dal punto di vista del movimento sociale di opposizione sorto il sabato 24 luglio 2021 che bene o male (male! certamente si può dire; ma gli uomini e le donne che da allora si sono attivizzati lo hanno fatto come hanno potuto in un quadro generale sfavorevole…) ha cercato di contrastare la subdola guerra di classe (1) dichiarata e attuata dal governo Draghi.

Sarebbe stato utile, secondo il nostro modo di vedere, avere innanzi nel combattimento sociale alle porte la Forza nemica apertamente unificata in tutti i suoi tentacoli politici dietro alla figura-Draghi incarnazione del potere più assatanato del capitale. Cosa estremamente utile come fattore di catalizzazione del massimo di energie disponibili nella lotta “contro tutti”, contro il governo “di tutti”, inclusa opposizione lealista e di facciata fratelloitaliota. Soli contro tutti e senza alcuna tangibile “sponda” parlamentare: splendida posizione di isolamento (rispetto ad una baracca marcia fradicia e tutta la sua ciurma) e di combattimento sociale e politico! Con il venir meno, per il momento, dell’Union Sacrée politica in questo senso si intorbidiscono le acque. Il polverone alzato con la crisi di governo ad annebbiare la vista.

Dobbiamo amaramente riconoscere che il governo di unità nazionale installato nel febbraio 2021ha centrato il suo principale obiettivo e Draghi lo ha, con giusta ragione dal suo punto di vista, rivendicato nel suo perentorio discorso programmatico pronunciato il 20 luglio alla Camera sul quale ha chiesto la fiducia.

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Angelo D’Orsi: Perché l’aumento delle bollette “non è colpa di Putin”

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Perché l’aumento delle bollette “non è colpa di Putin”

UE e i “nostri” speculatori i veri colpevoli

di Angelo D’Orsi

Nella narrazione che il sistema mediatico ci ha imposto da fine febbraio, anche l’aumento incessante, vertiginoso dei prezzi delle materie prime, e in particolare delle fonti energetiche a cominciare dal gas, “è colpa di Putin”.

Innanzi tutto, occorre sottolineare che la scelta delle sanzioni contro la Russia è un micidiale autogol dell’Europa e in particolare di un soggetto debole come l’Italia, che con la Federazione Russa aveva connessioni economiche importanti, e se ne stanno accorgendo tutti, tranne il nostro governo e le forze che lo sostengono, le quali mentre sono alleate nell’Esecutivo, fingono di combattersi in campagna elettorale. La loro linea-guida è un’obbedienza “pronta, cieca e assoluta” alla Nato e agli Usa. Ora, l’effetto delle sanzioni ha certamente favorito un abnorme aumento del prezzo del gas, che ora se la guerra proseguirà (Draghi ha addirittura annunciato che si andrà avanti fino alla riconquista della Crimea, in un delirante discorso per la ricorrenza del giorno dell’indipendenza ucraina pochi giorni fa…), importeremo dagli Stati Uniti pagandolo il quadruplo, mentre Mosca ha già una fila di acquirenti pronti a pagare anche in rubli il gas russo.

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Guido Salerno Aletta: L’Italia non farà il vitello grasso da arrostire

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L’Italia non farà il vitello grasso da arrostire

I Sonnambuli europei, ad occhi chiusi, verso il collasso dell’Euro

di Guido Salerno Aletta

L’economia mondiale assomiglia ad un flipper: chi fugge impaurito dai pericoli di un baratro rischia di cadere in un altro peggiore.

I capitali abbandonano l’euro, che da un anno si svaluta rispetto al dollaro: sono stati attratti da tempo dai più alti tassi di interesse che si ottengono investendo sui titoli statunitensi, ed ora continuano ad abbandonare il Vecchio Continente nonostante l’economia americana abbia preso a vacillare pericolosamente, dopo essere già entrata tecnicamente in recessione.

“Il deficit federale americano si ingigantisce“: è vero!

“Il saldo commerciale statunitense con l’estero continua a peggiorare“: Sì, lo si vede mensilmente!

“I dati del PMI degli USA vanno abbondantemente al di sotto di quota 50, in peggioramento rispetto alla previsioni!“: Purtroppo!

Ma tutto questo è sempre meglio delle prospettive terrorizzanti della crisi sociale, economica e politica che incombe sul Vecchio Continente per lo shock energetico innescato dapprima dalle decisioni sulla transizione ambientale e da sei mesi a questa parte dalla guerra in Ucraina.

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Andrea Zhok: Quando il mondo sta impazzendo, il buon senso sembra rivoluzionario

andreazhok

Quando il mondo sta impazzendo, il buon senso sembra rivoluzionario

di Andrea Zhok

È quel che accade oggi.

Il posizionamento politico in cui mi riconosco è ancora magmatico sul piano delle rappresentanze e dei dettagli, ma condivide salde intuizioni di fondo, intuizioni condivise da tutti quelli che hanno compreso che siamo finiti in un vicolo cieco della storia e che non c’è nessuna via d’uscita se ci limitiamo a cambiare marcia o corsia: proseguendo non ci aspetta alcuna soluzione, non c’è nessuna luce alla fine del tunnel, per rivedere la luce dobbiamo innestare la retromarcia.

La cosiddetta “area del dissenso” o “antisistema” emerge magmaticamente – a volte anche confusamente – da un rigetto delle coordinate politiche tradizionali, a partire dalla distinzione consueta tra destra e sinistra. Questo rigetto non nasce per seguire una moda, né per sperimentare una forma di marketing politico, e neppure perché si ritenga che tutto ciò che è stato elaborato a destra o a sinistra sia da buttare. Niente affatto. Chi ha fatto questo percorso è passato attraverso l’una o l’altra delle posizioni tradizionali e se le è lasciate alle spalle, avendone compreso il carattere astratto e impoverente, ottuso e accecante.

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Pierluigi Fagan: Bilancio provvisorio dei primi sei mesi di guerra in Ucraina

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Bilancio provvisorio dei primi sei mesi di guerra in Ucraina

di Pierluigi Fagan

Fare un bilancio implica stabilire un parametro, ma qui i parametri sono almeno quattro, come i contendenti coinvolti.

Dal punto di vista ucraino, s’è perso non poco territorio ed è molto improbabile tornerà mai a casa. Al di là dei proclami, potrebbe tornare a casa solo con una catastrofica sconfitta russa, ma tale sconfitta è molto improbabile mai possa avvenire per ragioni di consistenza militare sul campo presente e futuro oltreché per il fatto che la Russia potrebbe reagire in maniera molto forte al manifestarsi di una tale situazione negativa. Nel senso che c’è sempre l’arma pesante da mettere sul piatto prima di anche solo iniziare a perdere la partita. Tutte le parti sanno di questa ultima ratio, quello che vediamo e sentiamo nelle dichiarazioni e negli articoli di analisti che più che analisti sono propagandisti, è solo guerra nel campo delle opinioni pubbliche. Di contro, gli ucraini possono contare ancora sul supporto americano, inglese ed europeo. Quello americano è solido e continuo (si parla di soldi e di armi che sono sempre soldi).

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