di Alessandro Bianchi – 21/09/2022 – L’AntiDiplomatico
Annunciando la mobilitazione parziale e il pieno sostegno ai referendum nelle regioni del Donbass, Kherson e Zaporizhzhia, il presidente della Federazione russa Vladimir Putin ha impresso oggi un momento di svolta forse epocale per la Russia e, più in generale, per il futuro dell’Europa. Il passaggio progressivo da “operazione speciale” a guerra propriamente detta – contro “l’occidente e non contro l’Ucraina” come ha ribadito Putin ed esplicitamente il ministro della Difesa Shoigu – apre scenari sempre più preoccupanti su un conflitto che Washington ha da subito cercato di allargare. “A quanto pare ora Putin prende atto di una situazione compromessa con riferimento a un possibile negoziato e dichiara una mobilitazione parziale che fino ad ora era stata evitata”, dichiara a l’AntiDiplomatico il generale Bertolini, ex comandante del Comando operativo interforze e della Folgore, che abbiamo intervistato per uno sguardo di insieme sulla situazione militare oggi in campo e più in generale sui possibili scenari futuri che ci attendono. “Un attacco ucraino verso le zone occupate verrebbe considerato un attacco al territorio russo, mettendo in gioco il deterrente nucleare stesso. Insomma, tutte le strade restano pericolosamente aperte”.
L’INTERVISTA
Generale, prima del discorso di Putin di oggi che annuncia la mobilitazione parziale del suo paese, per giorni i principali media italiani hanno raccontato di una Russia praticamente pronta alla resa dopo la controffensiva ucraina nella regione di Kharkov. E’ d’accordo con la loro analisi e qual è la reale situazione militare sul campo?
Quale sia la situazione sul campo è difficile da dirlo. Quello che è certo è che dopo i primi mesi di inarrestabili avanzate russe, assistiamo ora a una fase nella quale le forze ucraine stanno contrattaccando in misura considerevole. In questo contesto giocano un ruolo importante di aiuti occidentali e soprattutto statunitensi in termini di armi e di intelligence. Gli ucraini hanno così potuto individuare e sfruttare le vulnerabilità del dispositivo russo procedendo ad una controffensiva di fronte alla quale i russi si sono ritirati, anche se senza importanti battaglie campali, almeno per quanto è dato sapere. Così facendo, si è innescato un problema per i civili russi o filo russi della regione che ormai contavano su un controllo incontrastato di Mosca e che ora sono esposti alle rappresaglie. E’ la triste regola delle guerre civili e questa, per molti versi, lo è. Ne sappiamo qualcosa anche noi. Detto questo, non credo che la Russia stia pensando a una resa. A Samarcanda Putin ha affermato che non cambiano gli obiettivi dell’operazione che, da un punto di vista territoriale, sono rappresentati essenzialmente dal Donbass e dalla Crimea. Ma sicuramente la controffensiva Ucraina ha indebolito il dispositivo terrestre russo che vede l’oblast di Lugansk con il fianco destro scoperto. Sarà quindi più difficile per i russi concentrare le forze verso Siversk, Sloviansk e Kromatorsk per completare l’occupazione dell’oblast di Donetsk. E, quel che è peggio per Mosca, questo fianco scoperto si presta a ulteriori sfruttamenti da parte Ucraina nei confronti del Donbass.
In una sua recente intervista all’AGI affermava come la parte ucraina avesse dovuto sfruttare questo successo tattico per iniziare trattative vere di pace. I bombardamenti sul territorio russo, le promesse di Zelensky di “liberare la Crimea” e i massacri di civili in corso ogni giorno a Donetsk, tuttavia, non sembrano confermare che a Kiev si voglia perseguire questa strada. Non crede?
Ritengo che ora l’Ucraina avrebbe la possibilità di sedersi a un tavolo negoziato in posizioni di forza. Così non sarebbe stato fino a due o tre settimane fa quando ancora era la Russia ad avere il coltello dalla parte del manico. Questo purtroppo non significa che si stia avvicinando un negoziato: sia Zelensky che Putin, infatti, sembrerebbero escluderlo al momento attuale. Il primo si sente forte soprattutto grazie all’appoggio occidentale e potrebbe essere tentato dall’ascoltare chi gli suggerisce di continuare una controffensiva che però a mio avviso non gli consentirà di rioccupare il Donbass. Sta cercando di farlo dal 2014, senza successo, infatti, e se vi riuscisse ora non ci sarebbero dubbi sul fatto che è intervenuto qualcosa di nuovo, non limitato alle armi occidentali. Putin a sua volta ha la necessità di concludere l’offensiva con un plebiscito che sancisca l’indipendenza delle regioni occupate o addirittura la loro annessione alla Russia. Di fronte a un pronunciamento del genere, infatti, potrebbe passare all’offensiva “diplomatica”, dichiarando il conseguimento degli obiettivi e la fine delle operazioni militari, mettendo così in imbarazzo chi in occidente preme per una guerra ad oltranza. Di questo ha accennato nel recente summit dell’organizzazione per la cooperazione di Shangai (SCO) nel quale ha registrato le preoccupazioni dei paesi asiatici per una guerra che si sta cronicizzando.
Se basterà questo per fermare la guerra è però da vedere: che Biden voglia spingere per una lunga guerra di logoramento che sfianchi la Russia e che riproponga quella dicotomia tra Europa occidentale ed orientale del passato, seppur passando per altri confini rispetto a quelli dell’ultima Guerra Fredda, mi sembra che sia ormai riconosciuto da molti. D’altronde, che nei piani iniziali della Russia non ci fosse una guerra ad oltranza era chiaro dall’inizio, viste le poche forze messe in campo, senza procedere, fino a ieri, ad alcuna mobilitazione che è invece indispensabile per uno sforzo di lunga durata. Evidentemente, quindi, contava su una soluzione negoziale meno difficile da raggiungere di quanto dimostrato nella realtà, avendo certamente sottovalutato la presa di posizione occidentale e soprattutto statunitense.
Generale, proprio oggi però le autorità russe hanno deciso di sostenere i referendum che si terrano nelle regioni indipendentiste dal 23 al 27 settembre. Si va verso una nuova ulteriore escalation del conflitto?
A quanto pare ora Putin prende atto di una situazione compromessa con riferimento a un possibile negoziato e dichiara una mobilitazione parziale che fino ad ora era stata evitata, forse anche per non esacerbare i termini dello scontro con gli “spettatori” occidentali. Una situazione, questa, che non fa ben sperare in un futuro di pace e prosperità nel nostro continente. Certamente nei piani russi un pronunciamento del genere dovrebbe spingere ad una de-escalation. Ma è chiaro che se si decidesse per l’annessione dei territori e non semplicemente per la loro indipendenza da Kiev, come pare avvenga, un attacco ucraino verso le zone occupate verrebbe considerato un attacco al territorio russo, mettendo in gioco il deterrente nucleare stesso. Insomma, tutte le strade restano pericolosamente aperte.
Come confermato dal NYT l’offensiva ucraina ha avuto il supporto decisivo dell’intelligence Usa. Considerando anche le armi inviate, l’addestramento e i tantissimi mercenari che stanno combattendo sul campo, possiamo affermare che la guerra in corso non sia tra Ucraina e Russia ma tra Nato e Russia?
Anche in questo caso non credo che ci siano dubbi sul fatto che quella in Ucraina è una guerra per procura. E’ una specie di continuazione della Guerra Fredda nella quale il “nemico” non è rappresentato dal blocco “comunista”, visto che molte delle istanze del comunismo classico sono emigrate armi e bagagli ad ovest – si pensi ad esempio all’ateismo di Stato, al controllo dell’opinione pubblica, alla censura o alla famiglia. Piuttosto, credo che le ragioni vere di questa inconciliabilità risiedano in ragioni di carattere strategico connesse alla percepita pericolosità di una potenza continentale direttamente collegata alla parte più succosa dell’Occidente, l’Europa. Un pericoloso concorrente non tanto per l’Europa continentale, che anzi finora ha beneficiato dei rifornimenti energetici e a buon mercato dalla Russia, quanto piuttosto dalle potenze insulari ed anglosassoni che da sempre considerano con sospetto ogni possibilità di coagulazione di troppi interessi in comune nell’area euroasiatica.
A distanza di oltre sei mesi dall’inizio, quale è il suo giudizio complessivo sul racconto dei media occidentali della guerra?
In guerra, come si dice con un’affermazione banale e vera al tempo stesso, la prima vittima è la verità. Certamente, mai come in questa occasione si è verificata una adesione uniforme di tutti i principali media occidentali ed italiani in particolare a sostegno di una delle due parti. Non avvenne neppure con la guerra in Kosovo, in Libia e Afghanistan, nelle quali eravamo direttamente impegnati con nostre forze: un dibattito relativamente libero era sempre possibile. Ora, invece, è stato fatto passare il messaggio che l’attacco all’Ucraina è un attacco a tutta l’Europa, anzi, all’Occidente, e che in Ucraina si sta difendendo una democrazia compiuta, aggredita da un “dittatore” senza scrupoli. Che con questo “dittatore” abbiano fatto affari tutti i paesi europei, e non solo, per due decenni, realizzando scambi commerciali importanti per la nostra stessa sopravvivenza attuale, pare se ne siano dimenticati tutti. Come tutti sembrano aver dimenticato le critiche alla condotta “democratica” ucraina prima di questa guerra.
Nulla di nuovo, comunque. La stessa cosa avvenne con la seconda guerra mondiale, quando si dovettero attendere i primi rovesci sui nostri fronti per cominciare a registrare qualche alzata di sopracciglio da parte dei nostri media di allora. Non è cambiato nulla, insomma.
Il conflitto in Ucraina è praticamente assente dalla campagna elettorale in corso in Italia, nonostante sia chiaramente l’evento che più condizionerà le vite degli italiani nei prossimi mesi-anni e nonostante la delega in bianco data dal Parlamento (compreso i partiti che poi a parole si dichiarano dubbiosi) al governo fino al 31 dicembre 2022 sulle armi da inviare a Kiev. Da che cosa deriva questo silenzio attuale dei partiti? E come può l’Italia farsi vero volano di pace nei prossimi mesi?
Credo che i partiti siano consapevoli di quanto una prospettiva di guerra sia invisa alla popolazione italiana, anche a quella che è più fermamente schierata a fianco delle ragioni ucraine. Al tempo stesso, hanno spazi di manovra ridottissimi di fronte alle pressioni occidentali e di un’Unione Europea che ha tradito la sua funzione principale, alimentando uno scontro tra due paesi europei che è destinato a coinvolgerci, forse non solo economicamente. Insomma, parlare di pace non è possibile e parlare di guerra non fa bene al borsino elettorale. Meglio tacere, quindi. Ma il rischio di andare a sbattere, con Forze Armate che pagano decenni di disinteresse da parte di tutte le nostre classi politiche che si sono succedute al governo, non è trascurabile. Anzi.