P.CARC: “Non piangere sulla disfatta elettorale. Fare un bilancio serio per avanzare!”

NewsLetters n°16 – Il P.CARC sui risultati elettorali – 30 settembre 2022

 

Non piangere sulla disfatta elettorale. Fare un bilancio serio per avanzare!

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  • Valorizzare i risultati delle elezioni per rafforzare la resistenza delle masse popolari, costruire il fronte anti Larghe Intese e creare le condizioni per il Governo di Blocco Popolare!
  • Promuovere un’ampia mobilitazione nelle piazze, nelle aziende, nelle scuole e nei quartieri per impedire che il governo Draghi,ancora in carica per “gli affari correnti della borghesia”, e il governo Meloni-Draghi-Mattarella che va formandosi continuino la politica di lacrime e sangue per le masse popolari e la devastazione del paese!

Una prima considerazione: il piano Mattarella è un mezzo flop

Il principale elemento che emerge dalle elezioni del 25 settembre è che il colpo di mano della cricca Mattarella/Draghi è riuscito solo parzialmente.

Avevano indetto le elezioni per costruire un parlamento che fosse più controllabile e assoggettato al programma della classe dominante di quanto lo fosse diventato quello uscito dalle elezioni del 2018. Le avevano indette in fretta e furia per impedire alle liste anti Larghe Intese di organizzarsi, presentarsi e svolgere pienamente la campagna elettorale.

L’obiettivo di lasciare fuori dal parlamento le liste “anti sistema” è stato raggiunto, ma i risultati elettorali dimostrano che hanno fatto i conti senza l’oste: fra le larghe masse popolari prevalgono il malcontento e la sfiducia verso l’agenda Draghi. A dimostrazione di ciò tutti i partiti che hanno sostenuto il governo Draghi hanno perso voti, mentre quelli che – realmente o a beneficio di propaganda – vi si sono opposti li hanno guadagnati.

Questo in un contesto generale, va sottolineato, di crescita dell’astensione: ha votato solo il 63,9% degli aventi diritto, il dato più basso della storia del paese.

Numeri e loro interpretazione
Fratelli d’Italia                                    2018: 1.429.550 (4,35%)                  2022: 7.300.628 (25,99%)
Lega per Salvini Premier                   2018: 5.698.687 (17,35%)                2022: 2.464.176 (8,77%)
Forza Italia                                          2018: 4.596.956 (14,00%)                2022: 2.279.130 (8,11%)
Partito Democratico                           2018: 6.161.896 (18,76%)                2022: 5.355.086 (19,07%)
Movimento 5 Stelle                           2018: 10.732.066 (32,68%)              2022: 4.333.748 (15,43%)

Fratelli d’Italia vince aumentando di quasi 6 milioni i propri voti. Presentandosi come “unica opposizione al governo Draghi”, ha sottratto gran parte dei voti agli alleati che invece partecipavano al governo. Lega e Forza Italia infatti dimezzano i voti raccolti.

Il PD, che aumenta in termini percentuali solo in ragione dell’alta astensione, ha perso quasi un milione di voti.
I promotori della linea “Draghi per sempre” sono stati seppelliti: il caso più eclatante è quello di Di Maio che non raccoglie voti oltre la cerchia dei parenti stretti. +Europa non supera il 3%. Unica eccezione è il risultato della coppia Calenda/Renzi: raccolgono poco più di 2 milioni di voti (7,79%) sottraendoli a Forza Italia e PD.

Il M5S, consumato dall’abbraccio mortale con il PD e dalla partecipazione al governo Draghi, ha recuperato terreno rispetto alle previsioni grazie a una campagna elettorale condotta (in particolare da Conte) all’attacco dell’agenda Draghi e in difesa del Reddito di Cittadinanza, unica conquista del governo Conte 1 rimasta in piedi, benché malconcia e sotto assedio.

A ben vedere, dunque, per le Larghe Intese i problemi sono solo rimandati.

La maggioranza di Centro-destra si trova già, ma si troverà ancora di più nelle prossime settimane, a dover gestire le contraddizioni interne di un’alleanza che fa acqua da tutte le parti e in cui inizia la resa dei conti (soprattutto in casa della Lega, per il risultato disastroso).

Più pressante delle contraddizioni interne, il fatto che fin da subito il vestito da paladina delle masse popolari indossato da Giorgia Meloni verrà messo alla prova. Il suo governo opererà per dare continuità all’agenda Draghi o per affermare gli interessi delle masse popolari? La domanda appare retorica, ma non lo è per niente.

Se, come si appresta a fare, il governo Meloni sarà lo scendiletto della cricca Mattarella/Draghi, il consenso per FdI crollerà più velocemente di quanto è cresciuto e FdI non potrà usare a lungo la scusa di essere il partito più votato e rappresentativo per restare in sella.

Se invece, come dice di voler fare, il governo Meloni darà battaglia anche solo su alcune delle “questioni spinose” che ha cavalcato in campagna elettorale (ad esempio la sottomissione del nostro paese alla UE), Fratelli d’Italia sarà scaricato dalla cricca Mattarella/Draghi e dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti più velocemente di quanto è stato accolto nella cerchia “dei partiti che contano”.

Infine, a dimostrazione della riuscita solo parziale dell’operazione Mattarella/Draghi, le Larghe Intese non sono riuscite a liberarsi del M5S, che elegge un cospicuo numero di deputati (51) e senatori (28).

In estrema sintesi, la questione è che l’instabilità politica e l’ingovernabilità dall’alto del paese aumentano, nonostante il fatto che nessuna delle liste apertamente “antisistema” sia neppure riuscita a superare la soglia di sbarramento del 3% ed entrare in parlamento.

La questione politica torna oggi nelle piazze, nelle aziende, nelle scuole.

Dobbiamo approfittare dell’ingovernabilità dall’alto e delle difficoltà delle Larghe Intese per imporre il governo che serve al paese, il governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Sulla disfatta delle liste antisistema

Le 5 liste che si sono presentate apertamente contro l’agenda Draghi e le Larghe Intese (omettiamo volutamente quelle dichiaratamente reazionarie e quelle troppo marginali) hanno raccolto complessivamente più del 5% dei voti (più di 1 milione e mezzo, in termini assoluti) presentandosi separate, in reciproca concorrenza e conducendo una campagna elettorale per lo più fiacca e lamentosa:

Unione Popolare                                 402.977 voti (1,43%)
Italia Sovrana e Popolare                  348.074 (1,24%)
Italexit                                                  534.574 (1,9%)
Vita                                                       201.537 (0,72%)
PCI                                                        24.555 (0,09%) presente solo in 5 collegi alla Camera e 9 al Senato

Questo dimostra che esistevano le potenzialità per eleggere numerosi esponenti anti agenda Draghi e rendere ingestibile il Parlamento alle Larghe Intese. Se ciò non è avvenuto è unicamente per (ir)responsabilità dei capi politici.

Ci sono poi aspetti più politici.

Il primo e principale è che se i dirigenti avessero iniziato a trattare apertamente, seriamente e con senso di responsabilità le cause per cui procedevano separati, ciò avrebbe permesso di fare passi avanti per far confluire i voti su un’unica lista. E ciò avrebbe anche dato un segnale a quel 32% di astenuti: “c’è qualcuno che mette il proprio orticello in secondo piano rispetto alle necessità di riscossa delle masse popolari di questo paese”.

Una lista unitaria avrebbe sicuramente portato al voto alcuni dei milioni che invece si sono astenuti, delusi dalla frammentazione, dai personalismi vari e dalla brama di andare in parlamento a ogni costo.

Tutto ciò avrebbe dato linfa agli attivisti che avrebbero guardato agli astenuti con spirito di conquista e propositi di coinvolgimento, anziché con l’indice puntato, come se fossero loro i responsabili della disfatta.

Non solo questo non è avvenuto, ma ci sono esempi esattamente opposti.

C’è De Magistris che interpellato espressamente dagli studenti No Green Pass di Napoli dice che sull’argomento si è già schierato (con un post su Facebook a inizio agosto che ha sollevato un vespaio dentro Unione Popolare) e non intende farlo di nuovo, in campagna elettorale, “perché è un argomento divisivo”. Ecco, appunto!

Ci sono stati candidati di Italia Sovrana e Popolare che, a dispetto del primo punto del “programma radicale” che andavano illustrando durante i comizi, non si sono presentati nemmeno a una delle varie mobilitazioni contro la guerra e la NATO (e ce ne sono state tante) a causa della presenza di candidati di Unione Popolare o perché “è organizzata dai CARC che hanno dato indicazione di voto per Unione Popolare”.

Ci sono dirigenti del Partito Comunista Italiano che, convinti di aver dato lustro al simbolo raccogliendo poco più di 20mila voti, non danno indicazioni di voto per Unione Popolare nemmeno nelle regioni in cui le liste del PCI non erano presenti e disertano un’iniziativa di commemorazione della Breccia di Porta Pia, il 20 settembre a Roma, perché in campagna elettorale non è conveniente attaccare il Vaticano.

Ci sono candidati di Italexit, riconosciuti per la partecipazione alle mobilitazioni, che hanno subìto il veto di Paragone a partecipare alle manifestazioni contro il carovita perché gli organizzatori non permettevano loro di fare passerelle elettorali.

La tara dell’elettoralismo ha annebbiato la capacità di analisi e l’aderenza alla realtà, ma soprattutto ha riversato sui capi politici la responsabilità di aver sprecato l’occasione di costruire un fronte unitario per rendere ingestibile il parlamento.

Questo è il dato politico su cui riflettere (e far riflettere), su cui poggiare il bilancio della campagna elettorale e dell’esito delle elezioni. Da questo la base deve partire per pretendere dai gruppi dirigenti tre passi: bilancio, autocritica e rettifica della condotta, cioè fare adesso quello che si sono rifiutati di fare prima.

È tardi, ma non è troppo tardi. Sembra poco, invece è tanto. Ma soprattutto è giusto, serio e responsabile. Per partire da basi più solide è necessario fare tesoro dell’esperienza. Solo così trasformiamo questa sconfitta in un’occasione.

Un bilancio autocritico

Gli obiettivi che il P.CARC (e più in generale la Carovana del (nuovo)PCI) si era posto non sono stati raggiunti. [Leggi il comunicato con le indicazioni di voto]

In particolare

– siamo riusciti solo in parte a spingere i candidati delle liste anti Larghe Intese a fare una campagna elettorale che andasse oltre le liturgie dei comizi e delle comparsate in TV, siamo riusciti solo in parte a spingerli a promuovere iniziative e azioni radicali, ad andare oltre l’enunciazione di programmi radicali (per lo più promesse),

– non li abbiamo indotti a far convergere i voti su una sola lista, in modo da consentire a quella che aveva le maggiori possibilità di superare almeno la soglia di sbarramento di diventare punto di riferimento per tutto il voto “antisistema”, (avevamo indicato Unione Popolare, ma abbiamo anche detto che l’importante era che i capi politici e promotori delle liste si mettessero d’accordo fra loro),

– non siamo riusciti a spingerli a trattare apertamente in campagna elettorale le questioni che stanno alla base delle divisioni. Non siamo riusciti a spingerli a dichiarare pubblicamente che se questi incontri e relazioni non sono stati avviati in campagna elettorale (per il prevalere dello spirito di concorrenza) si proverà a farli dopo le elezioni.

Avviamo pubblicamente un ragionamento, che sarà sviluppato e approfondito in tutti gli organi del Partito, perché pensiamo possa essere di stimolo per altri compagni, anche esterni al P.CARC. E perché pensiamo sia un modo serio di sviluppare relazioni sane con altri partiti, organismi e aggregati, relazioni basate sul dibattito franco aperto, la critica e l’autocritica.

I punti su cui iniziare e riflettere sono 4:

– l’influenza dell’elettoralismo e dell’astensionismo di principio nelle nostre file;

– l’adesione formale alla linea e quindi l’attuazione parziale o timida di essa;

– la parziale comprensione dell’obiettivo di rendere ingestibile il parlamento come aspetto accessorio alla linea di rendere ingestibile il paese ai vertici della Repubblica Pontificia;

– i timori nella promozione della lotta politica e la tendenza a discutere di politica solo “con chi è d’accordo” con noi.

Sono argomenti che nel prossimo futuro affronteremo con un lavoro di bilancio che renderemo pubblico (come abbiamo fatto nel caso dell’intervento sul M5S) per rafforzare il nostro ruolo di promotori della lotta per il Governo di Blocco Popolare.

Parallelamente a questo lavoro, il P.CARC si impegna a rilanciare gli incontri e le relazioni con (e tra) dirigenti e promotori delle varie liste anti Larghe Intese per alimentare un confronto franco e aperto sul bilancio (il più collettivo possibile) dei motivi della disfatta elettorale, sull’analisi della situazione e su come rafforzare la lotta che ogni gruppo conduce contro il corso disastroso delle cose.

Le condizioni della lotta di classe del prossimo periodo

Il “calendario” delle mobilitazioni del prossimo periodo è già fitto e le mobilitazioni cresceranno di numero, in estensione e di radicalità: ogni iniziativa e attività che contribuisce a rendere ingestibile il paese al governo delle Larghe Intese e alle autorità borghesi è positiva.

Sono già convocate alcune mobilitazioni di carattere nazionale

22 ottobre a Bologna: GKN, FFF, Assemblea No Passante Bologna e Rete Sovranità Alimentare convocano un corteo per i diritti, l’ambiente, la salute, gli spazi pubblici e comuni, una vita bella e per la pace;

5 novembre a Napoli: GKN, Movimento disoccupati 7 novembre e disoccupati Cantiere 167 di Scampia convocano la

manifestazione “per questo, per altro e per tutto. Per cambiare i rapporti di forza qui e ora”.

2 dicembre, sciopero generale dei sindacati di base: tutti i lavoratori possono aderire, indipendentemente dal sindacato a cui sono iscritto o se sono iscritti o meno! Aderisci e partecipa!

3 dicembre, mobilitazione nazionale, legata allo sciopero generale è prevista una mobilitazione nazionale, ma le modalità non sono ancora definite. Inizia a segnare la data!

La parte più avanzata delle masse popolari deve usare TUTTE le mobilitazioni del prossimo periodo

– per aggregare agli organismi operai e popolari esistenti chi ancora non è organizzato e per far nascere nuovi organismi operai e popolari. In sintesi, accrescere la parte organizzata delle masse popolari;

– per guidare le masse popolari oltre le rivendicazioni al governo e alle autorità e spingerle ad attuare da subito, e con i mezzi a disposizione, le misure necessarie per fare fronte agli effetti della crisi (è secondario che sia legale o meno, tutto quello che va negli interessi delle masse popolari è legittimo!);

– per contrastare TUTTI i tentativi che la classe dominante metterà in campo per dividere le masse popolari e spingerne una parte contro l’altra;

– per spingere esponenti politici, sindacali, intellettuali, ecc. a costituire un governo ombra (o Comitato di Salvezza Nazionale) che agisce su mandato degli organismi operai e popolari.

Il marasma provocato dalla crisi generale del capitalismo crea una situazione di straordinaria instabilità (crisi politica), una situazione nella quale ciò che decide, che è determinante, non è quello che fanno o non fanno le Larghe Intese, ma quanto e come gli operai, i lavoratori e le masse popolari organizzate si pongono come nuova classe dirigente. In questa situazione di straordinaria instabilità, succederà quello che le masse popolari organizzate faranno succedere.

Sul fascismo di Giorgia Meloni e l’antifascismo padronale del PD

L’allarme “fascismo” agitato dal PD probabilmente alimenterà la mobilitazione dei sindacati di regime, in particolare della Fiom e Cgil, che saranno spinti ad assumere una maggiore iniziativa sul terreno della mobilitazione, come ai tempi dei governi Berlusconi. Sono gli stessi che hanno sostenuto tutte le controriforme e l’eliminazione dei diritti (legge Fornero, Jobs act), che hanno portato i salari ai livelli più bassi degli ultimi 30 anni, ma è probabile che li vedremo trasformati in “difensori dei diritti” e in fautori dell’antifascismo (ma quello padronale, con la scusa del “governo più a destra della storia”).

Non potendo far valere niente di positivo di ciò che ha fatto negli ultimi 20 anni (praticamente dalla sua nascita), non potendo fare promesse che evidentemente non avrebbe mantenuto, il PD ha svolto una campagna elettorale tutta incentrata sul “pericolo della destra” e “del ritorno del fascismo”.

Il PD promuove un antifascismo di facciata, vuoto e sterile. È una campagna di opinione che spesso – come nel caso attuale della “Meloni fascista” – si basa sul niente. Questo modo di sfruttare il sentimento antifascista presente fra una parte delle masse popolari finisce con il frustrarlo, banalizzarlo, strumentalizzarlo e svuotarlo di significato.
Il PD cerca e vede i fascisti ovunque, tranne dove ci sono: a capo del sistema economico e finanziario, a capo delle centrali della propaganda di regime, a capo del sistema delle cooperative che sfruttano immigrati (soprattutto) e italiani a 3 euro l’ora, al governo dell’Ucraina e alla Casa Bianca.

Cercare fascisti ovunque a fini propagandistici contribuisce a intossicare le coscienze. Prendiamo il caso della “Meloni fascista”.
Giorgia Meloni è a capo di un partito che mantiene un legame con il fascismo solo a fini strumentali (come il PD lo mantiene con l’antifascismo), un partito atlantista, che raramente abbaia contro la NATO e la UE, ma certamente non morde mai, un partito che nel corso del tempo è entrato nelle sfere di potere e nei comitati di affari della Repubblica Pontificia usando spesso l’ascensore della ‘ndrangheta (su questo il PD tace perché quell’ascensore l’ha preso a sua volta), è un partito che sta con i palazzinari dove comandano i palazzinari, sta con i finanzieri dove contano i finanzieri, sta con gli Agnelli-Elkann, col partito del mattone e del TAV, ecc..

Se si guarda da vicino questo “fenomeno fascista” si scopre che è del tutto simile al PD, a Forza Italia e alla Lega. Cioè è un partito delle Larghe Intese.

I “veri fascisti” oggi non sono gli odiosi scarafaggi nostalgici e scimmiottatori del Ventennio. Quella è gente antisociale e pertanto emarginata, servi sciocchi dei padroni, ma di cui oggi i padroni non hanno (ancora) bisogno, poiché il movimento rivoluzionario è ancora debole.

Nel nostro paese i veri fascisti sono la borghesia imperialista e le Larghe Intese, i manager, gli speculatori, i caporioni della propaganda di regime, i leccapiedi della NATO e della UE.

Da questo punto di vista, Letta che dà della fascista alla Meloni è come il bue che dà del cornuto all’asino.
Pertanto, c’è da diffidare della propaganda antifascista del PD e occorre, invece, fare tutto il possibile per rendere ingestibile il paese al governo Meloni esattamente come fosse il governo Draghi o il governo Letta.
Non è questione di fascismo o antifascismo, è questione che nella classe dominante, il più sano ha la rogna!

Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC)
Via Tanaro, 7 – 20128 Milano – Tel/Fax 02.26306454
e-mail: carc@riseup.net – sito: www.carc.it

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