[Sinistrainrete] “Il giallo Kherson”

Rassegna del 14/11/2022

 

di Enrico Tomaselli (Giubbe Rosse)

C’è stata un’improvvisa accelerazione nelle vicende della guerra ucraina, determinata dalla decisione russa di ritirarsi dalla riva destra del Dniepr nella regione di Kherson. Proviamo ad analizzarne i possibili motivi, fermo restando che, allo stato attuale delle cose, possiamo solo fare delle ipotesi. Editoriale

Si è più volte parlato della città di Kherson, anche su queste pagine, proprio perché in effetti si tratta di un nodo strategico fondamentale nell’ambito della campagna russa in Ucraina. Come si ricorderà, la città fu oggetto di una controffensiva ucraina questa estate, che però – a parte qualche marginale successo – non riuscì a determinare alcun cambiamento significativo del fronte e oltretutto comportò un elevato numero di caduti e di perdite in mezzi ed armamenti. Da allora, si è continuamente parlato di una nuova, imminente offensiva per cercare di riprendere la città, ma, nonostante una serie di segnali in tal senso (soprattutto l’accumulo di forze nel settore, in buona parte mercenari ben addestrati) questa non si è mai concretizzata. Al contrario, questo settore del fronte è rimasto sostanzialmente stabile, proprio a partire dal fallimento dell’offensiva ucraina. E questo mentre invece gli altri fronti hanno continuato a mantenere una certa dinamicità. A nord, nel settore di Kharkiv-Lyman, le forze russe hanno rosicchiato qua e là, recuperando parte dei territori persi durante la fortunata controffensiva ucraina d’estate. Inoltre, i russi continuano a cercare di riprendere Lyman. Analogamente, le forze armate russe hanno ripreso con vigore l’offensiva per cercare di liberare la restante parte del Donetsk ancora sotto controllo ucraino e, pur muovendosi in un territorio altamente fortificato e, quindi, con la necessità di combattere praticamente casa per casa, non hanno smesso di avanzare. Nell’oblast di Zaporizjia gli ucraini non hanno smesso di tentare gli assalti contro la centrale nucleare di Enerdogar, attraverso il largo bacino idrico creato dal Dniepr. Solo nel settore di Kherson non si è più registrato nulla di significativo.

L’importanza strategica della città

Kherson è strategicamente importante e per più di una ragione. Innanzi tutto, chi controlla la città è in grado di minacciare i collegamenti con la Crimea. La sua posizione, inoltre, ne fa un baluardo, da cui è possibile partire verso la (o, al contrario, impedire la) conquista del sud-ovest ucraino, con Odessa e sino alla Transnistria. Il fatto poi che si trovi a cavallo del Dniepr, a valle del grande bacino che fa da confine tra gli eserciti nella regione di Zaporizjia, fa di questa città un nodo critico per il controllo di questa importante via d’acqua verso il mar Nero. Non a caso, i russi hanno pensato bene di conquistarla sin dai primi giorni del conflitto, così come gli ucraini hanno cercato di riprendersela.

Vale la pena rimarcare che, come già detto, a questo tentativo gli ucraini sono stati disposti a pagare un prezzo molto elevato. Nonostante una grande inferiorità numerica, i russi sono stati in grado di respingere ogni tentativo ucraino, infliggendo gravi perdite. E questo quando il rapporto di forze, non solo nel settore, era fortemente sbilanciato in favore degli ucraini. Non per caso, fu proprio dopo le due controffensive estive (quella contro Lyman, coronata dal successo, e quella contro Kherson, fallita) che a Mosca è stata presa la decisione della mobilitazione parziale.

Sappiamo che, proprio a seguito di questa decisione, negli ultimi tempi sono giunti al fronte circa 80/90.000 uomini (e relativi mezzi), che certo non sono stati concentrati tutti in un solo settore ma che, in qualche misura, devono aver rafforzato anche quella regione. Per tacere del fatto che, nel giro di 30/40 giorni dovrebbero arrivarne oltre 200.000, terminato il periodo di riaddestramento.

Riassumendo, quindi, la situazione generale potrebbe essere riepilogata in questi termini: le forze armate russe stanno conducendo una dura campagna aerea contro le infrastrutture ucraine, creando forti difficoltà alla mobilità ferroviaria e all’attività industriale e di riparazione (per limitarsi agli effetti più evidenti sul piano militare); sia pure in modo diversificato, e senza gradi spostamenti del fronte, sono all’offensiva pressoché sull’intera linea di contatto, ed anche laddove sono gli ucraini ad avere l’iniziativa continuano ad infliggergli gravi perdite; tutto il dispositivo militare al fronte è stato rafforzato, ed è imminente un ulteriore, significativo rafforzamento. Insomma, una situazione di indiscutibile vantaggio strategico.

In questo quadro, stante l’evidenza di un interesse ucraino a riconquistare Kherson – peraltro più volte riaffermata da Zelensky – è impensabile che un generale esperto come Surovikin abbia sottovalutato la minaccia e, quindi, non abbia provveduto per tempo a rafforzare le difese laddove necessario. Oltretutto, sia l’attacco al ponte di Kerch che quello alla base navale di Sebastopoli hanno mostrato chiaramente che l’interesse ucraino (ed ancor più della NATO, che del Donbass se ne frega, ma al mar Nero ci pensa eccome) è rivolto principalmente alla penisola, e quindi l’importanza strategica della città ne risulta ancor più evidente.

C’è un dietro le quinte?

Eppure, qualcosa accade. O meglio, non accade. L’offensiva ucraina, più e più volte annunciata, non arriva; gli analisti ritenevano che quanto meno sarebbe scattata a ridosso delle elezioni di midterm, per supportare in qualche modo l’amministrazione Biden, ma così non è stato. E, ciò nonostante, tra settembre ed ottobre non solo sono continuati gli invii di armi occidentali, ma è aumentato l’impegno generale della NATO e dell’Unione Europea – sia in termini economici che di addestramento – si è fatto più stringente l’azione dei servizi di intelligence, soprattutto britannici, e – last but not least – sono rientrati in Ucraina i 10.000 uomini del contingente addestrato in Gran Bretagna. C’erano, insomma, tutti i presupposti perché scattasse l’offensiva. E invece, appunto, nulla.

Quando Surovikin decide di far evacuare i civili dalla riva destra della città, sembra essere una misura presa proprio in vista di una grande battaglia; stante comunque la superiorità numerica ucraina, appariva possibile che prendesse in considerazione l’eventualità di un iniziale sfondamento e, quindi, la necessità di rinculare con le truppe verso la città. Il rischio che, alla fine, ci si trovasse a combattere proprio per le strade di Kherson sembrava una buona ragione per questa scelta drastica.

Va notato, comunque, che, sebbene la città di Donetsk sia molto più prossima alla linea di contatto e sia quotidianamente bombardata dagli ucraini, non è stata mai avanzata la necessità di evacuarla.

Qualcosa di strano è cominciato a farsi strada, quando è filtrata la notizia che sarebbero stati evacuati i civili anche dalla riva sinistra e, soprattutto, quando si è saputo che si stavano predisponendo linee difensive fortificate proprio da questo lato del fiume, alle spalle della città. Insomma, è singolare che, in un momento in cui la situazione strategica è tornata a pendere in favore dei russi, e quella tattica nel settore non presenta particolari novità – se non, appunto, un rafforzamento dello schieramento russo – si assumano decisioni apparentemente improntate ad una francamente eccessiva preoccupazione, diremmo pure ad una sopravvalutazione del nemico.

Finché non arriva addirittura la notizia che le forze armate russe lasciano completamente la parte a destra del Dniepr dell’intero settore, compresa quindi la parte di città che si trova su quella riva, e che questa nel giro di pochi giorni sarà occupata dalle forze ucraine.

Va notato che, pressoché contemporaneamente, da Kiev viene fatta filtrare la notizia che Zelensky ha dato ordine di riconquistare la città prima del 15 novembre, in modo che possa presentarsi al G20 indonesiano da vincitore. Per quanto ormai siamo abituati alle sparate del leader ucraino, è evidente che questa nasce dalla consapevolezza che i russi si ritireranno. Quindi, non solo gli ucraini lo sanno, ma in qualche modo la cosa appare addirittura concordata. Anche l’espressione usata per comunicare la decisione (“Kherson will come under the control of the Armed Forces of Ukraine”) è rivelatrice di un agreement. Del resto, se così non fosse, approfittando della propria superiorità numerica gli ucraini attaccherebbero il nemico in ritirata, amplificando al massimo l’impressione del successo militare.

Del resto, le giustificazioni addotte sono abbastanza singolari, in quanto si parla di difficoltà nel mantenere rifornite le truppe che si trovano al di là del fiume. Difficoltà che non sono mai emerse prima, nemmeno durante la controffensiva ucraina d’estate, e che sinceramente appaiono quanto meno discutibili; anche a voler considerare la parziale interruzione del ponte di Kerch, non si vede quale difficoltà ci sarebbe nel far pervenire il necessario sulla riva destra, visto che ovviamente può arrivare tutto via terra attraverso il Donetsk. Del resto, a dimostrare la fragilità dell’argomento, sta il fatto che sono stati proprio i russi, il 9 novembre, a far saltare i ponti sul Dniepr, a Tyaginsky, Darevsky e Novovasilyevsky.

Altra cosa assai singolare: non solo la decisione di ritirarsi così in profondità (senza che ci fosse un’effettiva ed impellente necessità militare) è stata comunicata ai massimi livelli – oltre Surovikin, anche il ministro Shoigu – ma, cosa ancor più rara, persino due personaggi solitamente assai critici con tutto ciò che può apparire come un cedimento, ovvero il ceceno Khadirov e Prigožin, il capo della PMC Wagner, si sono affrettati a dire che condividono la decisione, che, anzi, essa dimostra la saggezza del generale Surovikin. Anche altre fonti vicine alle forze armate hanno ribadito che la decisione è di natura strettamente militare, non politica. È evidente che negare la politicità di una scelta del genere è esattamente la conferma che, invece, essa è di natura eminentemente politica. E del resto, non potrebbe essere diversamente.

Questa, infatti, non è una scelta tattica, una ritirata momentanea, ma strategica e definitiva. Se la Russia si ritira dalla riva destra del Dniepr, un domani sarebbe estremamente complicato riprendersela. È pur vero che, sin dall’inizio del conflitto, molti analisti ritenevano che i russi non intendessero spingersi oltre il Dniepr, facendone di fatto una linea di confine – almeno per la parte meridionale del suo corso. Ma è anche vero che neanche due mesi fa si è voluto accelerare il processo referendario, e di certo gli abitanti di Kherson non pensavano – votando a favore dell’annessione alla Federazione Russa – che poco dopo si sarebbero trovati definitivamente allontanati dalla propria città. Sul piano della credibilità verso le popolazioni russofone, è comunque la si guardi, un duro colpo.

Questa rinuncia, dunque, deve avere un alto valore su altri piani, tale da giustificare una mossa che, per quanto la si voglia giustificare, apparirà come un segnale di debolezza – e come tale sarà sbandierata in tutto l’Occidente. Ovviamente, le voci dicono che questo è il prezzo per aprire una trattativa. Che ci sarebbero state discrete pressioni americane su Zelensky in tal senso, anche in virtù del fatto che si temevano i contraccolpi sia del voto di midterm (anche se sembra essere meno disastroso del previsto), sia della crescente difficoltà e stanchezza degli alleati europei. Peraltro, anche gli USA stessi cominciavano ad essere un po’ in affanno con le forniture militari a Kiev.

Se questo è il disegno che sta dietro questa ritirata, immagino che a Mosca abbiano valutato bene quel che stanno facendo. Perché ci sono almeno due precedenti che dimostrano come la disponibilità russa sia usata per guadagnare tempo. Già gli accordi di Minsk, come dichiarato dallo stesso Poroshenko, furono intesi esattamente come un modo per riorganizzarsi militarmente e prepararsi a tornare all’attacco del Donbass. Certamente, quel periodo è stato sfruttato dalla NATO per preparare le forze armate ucraine alla futura proxy war con la Russia.

Analogamente, quando a marzo i russi si ritirarono spontaneamente sia dalla periferia di Kiev, sia dalla regione di Sumy ad est, lo fecero anche nella convinzione che questo potesse agevolare i primi tentativi di dialogo, tra Ankara e Minsk. Come sia andata a finire, lo sappiamo bene.

Se, dunque, cedere un pezzo di territorio (che comunque agiva da protezione per la Crimea ed il fianco sud degli oblast di Zaporizjia e Donetsk) è una mossa in vista dell’apertura di un tavolo di trattativa, per un verso non si può non essere contenti che si ponga fine alla guerra, ma dall’altro non si può perdere di vista il quadro generale, con tutti i contraccolpi del caso.

La prima domanda, infatti, è: e dopo? Cosa accadrà, se da parte di Kiev si manifestasse (con prevedibilissima arroganza) una disponibilità a tornare al tavolo? Ovvio che la situazione dovrà essere congelata, il che significa rinunciare a pezzi dei quattro oblast annessi, ancora in mano ucraina. Significa fare di Kherson una sorta di Berlino fluviale degli anni del Muro. E soprattutto, il rischio è che tutto questo non porti ad alcun esito sulla questione essenziale, ovvero un trattato sulla sicurezza in Europa. Perché gli Stati Uniti è facile che passino la palla agli ucraini, come se fosse una faccenda regionale, da sbrigare tra Kiev e Mosca. Insomma, tanta fatica – e tanto sangue – per niente?

Tra l’altro, sinora proprio gli ucraini non sembrano granché convinti: secondo un comunicato delle forze armate di Kiev, infatti (“Ukrainian operational headquarters ‘South’ believes that the retreat of the RF Armed Forces from Kherson may be part of an information-psychological operation to mislead the Armed Forces of Ukraine – speaker of the Operational Command ‘South’ Natalya Gumenyuk”) si attribuisce alla ritirata russa il significato di una operazione di psy-ops per ingannare l’esercito ucraino. E resta poi da vedere come reagirebbero le formazioni neonaziste che sostengono Zelensky e che sono molto ben radicate ai vertici delle forze armate e dei servizi di sicurezza. Per non parlare del fatto che gli obiettivi dichiarati dell’operazione speciale – demilitarizzare e denazificare – sarebbero clamorosamente mancati. Gli ukronazi sono ancora tutti lì (anzi, i russi gli hanno anche restituito quelli catturati) ed il giorno dopo la firma di un armistizio la NATO si fionderà a rimettere in piedi l’esercito ucraino.

Dal punto di vista di Mosca, c’è il rischio significativo che una vittoria militare di fatto si trasformi in una sconfitta politico-diplomatica. Ma tutto ciò è – al momento – del tutto ipotetico. Staremo a vedere cosa accade nelle prossime settimane. Se, cioè, la ritirata da Kherson sia una mossa politica, per aprire uno spiraglio di trattativa, o se invece sia realmente una mossa militare, funzionale a migliorare la capacità offensiva russa. Se la campagna d’attacco alle infrastrutture ucraine rallenta ulteriormente, se l’arrivo dei nuovi reparti non determina una maggiore incisività offensiva, se l’Ucraina darà segnali di apertura, vuol dire che si voleva arrivare a questo. E forse non è un caso che Macron rilanci proprio adesso la necessità di garantire la sicurezza in Europa, quasi ci fosse un ammiccarsi a distanza.

La Russia, in ogni caso, non può permettersi il lusso di perdere di vista il quadro globale. La portata dello scontro va ben oltre la sua dimensione militare.

Il mondo guarda Mosca e Washington: una mossa sbagliata può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra.

 


Geraldina Colotti: Maduro alla Cop27, la voce dei popoli in difesa dell’umanità

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Maduro alla Cop27, la voce dei popoli in difesa dell’umanità

di Geraldina Colotti*

IMMAGINE ARTICOLO COLOTTICaracas. “Cambiare il sistema, per cambiare il clima e cominciare a salvare il pianeta”, ha efficacemente riassunto il comandante Chávez il 16 dicembre del 2009, durante la Conferenza internazionale sul cambio climatico. Nel 1992, Fidel Castro, aveva pronunciato uno storico e profetico discorso, al Vertice della Terra di Rio de Janeiro: “Un’importante specie biologica – aveva detto – corre il rischio di sparire per la rapida e progressiva liquidazione dalle sue condizioni naturali di vita: l’uomo. Ora prendiamo coscienza di questo problema quando è quasi tardi per impedirlo…”.

Il presidente Maduro, che accompagnava il comandante come suo ministro degli Esteri quando questi pronunciò lo storico discorso aprendo la porta del vertice ai movimenti popolari, ha ricordato entrambi discorsi in occasione della Cop 27. La 27ma conferenza delle Nazioni unite sul cambio climatico, in corso in Egitto dal 6 al 18 novembre, si svolge a Sharm El Sheikh. Una sede, si legge sul sito delle Nazioni Unite dedicato all’evento, che non è stata scelta a caso: “circondata da due spettacolari aree protette, Sharm El-Sheikh è un posto che ispirerà i partecipanti a combattere il cambiamento climatico e a proteggere il pianeta”. Tuttavia, ha commentato Maduro, ci sono discorsi che si parlano addosso, pronunciati da quegli stessi responsabili del disastro in corso, e altri, invece, propositivi, che provengono da chi più subisce il danno.

Facendo riferimento agli eventi atmosferici che si succedono in ogni parte del pianeta, con sempre maggior frequenza e drammaticità, come si è visto con la caduta di intense e continue precipitazioni, che hanno di recente colpito la popolazione de las Tejerias, il presidente venezuelano ha rimarcato che già non c’è più tempo.

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lorenzo merlo: Azzurro

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Azzurro

di lorenzo merlo

Schermata del 2022 11 12 14 24 52Il potere della comunicazione permette a chi lo detiene di pensare di guidare il mondo. È sempre stato così, ma l’epoca digitale e la relativa capacità tecnologica consentono ai potentati privati di realizzare un’uniformità dell’informazione che permetterà loro di dirigerlo verso lidi che non potremo scegliere, navigando su barconi di cui saremo sguatteri.

Qualche considerazione relativa a La Grande Narrazione, l’ultimo libro di Klaus Schwab, e al linguaggio con il quale espone le idee del Great Reset. Che fa della trasparenza il suo cavallo di battaglia, anzi, il suo vischio per catturare le ignare e innocenti mosche che, in grande maggioranza, siamo.

 

L’intento

Incalzante. Quattro libri (1) in sei anni. Dedicati a come è opportuno – secondo loro – dirigere il mondo. Loro sono i potentati della terra. Quelli in prima pagina su tutti i giornali dei complottisti. Sono entità potenzialmente volatili, ma ferree quando radunate intorno al miele a causa di un comune intento: dirigere il mondo appunto. Intento che ha tutti i riflessi sociali e filantropici possibili immaginabili – possiedono la comunicazione, è normale li realizzino quando, quanto e come utile all’abbacinante scopo diversivo per il quale sono messi in circolazione – ma che è mosso dalla soddisfazione del potere. La stessa che rende creativo e vivace l’aguzzino finché la vittima non lo supplica di smettere.

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Felix: Sotto le bandiere altrui

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Sotto le bandiere altrui

di Felix*

Lettera aperta ai compagni e alle compagne partecipanti alla Manifestazione per la pace, lo scorso 5 novembre a Roma

Sabato 5 novembre si è svolta, a Roma, una Manifestazione, formalmente indetta ” per la Pace “, ma che, come evidenziato fin dalle prime righe dell’ ” Appello politico e programmatico ” di convocazione della stessa, con la ” condanna dell’invasore russo” e il ” riconoscimento della resistenza ucraina “, esprime contenuti equivalenti alla impostazione dell’imperialismo USA ed UE sulla guerra in corso fra la NATO e la Federazione Russa, sul territorio dell’Ucraina e non solo.

Ecco perché diciamo che, le migliaia di persone che hanno partecipato a tale manifestazione, hanno sfilato, ieri, indipendentemente dalla loro coscienza, consapevolezza e volontà, ” sotto le bandiere altrui “, cioè dell’imperialismo USA ed UE che, tramite la NATO, sta conducendo un massiccio attacco contro la libertà, sovranità ed indipendenza nazionale della Federazione Russa.

Le ragioni di ciò, le abbiamo esposte più volte, nei mesi scorsi, partendo dalla retrospettiva degli avvenimenti che hanno portato all’attuale conflitto.

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Carlo Clericetti: Invece dell’agenda Draghi

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Invece dell’agenda Draghi

di Carlo Clericetti

Quello che avrebbe dovuto essere il più importante partito della sinistra, il Partito Democratico, si dibatte in una crisi certificata non solo dall’ultimo risultato elettorale, ma da una tendenza al declino che dura ormai da molti anni.

Dall’esterno e dall’interno molte analisi concordano su due punti: la disomogeneità delle idee, che negli ultimi anni ha dato origine a varie scissioni, e – come conseguenza – la mancanza di una identità definita. Non a caso nella recente campagna elettorale il leitmotiv è stato di proporsi come argine alla destra, ma per fare cosa? Per realizzare la mitica “agenda Draghi”, ossia un elenco di cose da fare e non un progetto di società. In effetti un progetto implicito: ma non una società che avrebbe dovuto essere altra cosa rispetto a quella verso cui l’elettorato, con la crescente astensione dal voto e con i repentini spostamenti da un partito all’altro – o meglio da un leader all’altro – alla ricerca di “qualcosa di diverso”, ha mostrato una evidente insofferenza.

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Piccole Note: La tragica strategia neocon sull’Ucraina vacilla

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La tragica strategia neocon sull’Ucraina vacilla

di Piccole Note

È impossibile trovare articoli espliciti sulla follia neocon riguardo il conflitto ucraino sui media mainstream. Al massimo si può rinvenire qualche accenno in controtendenza, rubato alla tragica censura di cui sono oggetto le informazioni relative al conflitto. Così l’articolo di William Moloney su The Hill del 3 novembre è stata un’imprevista sorpresa.

Forse un po’ troppo irenico nelle conclusioni, ma fondato nei contenuti, lo pubblichiamo integralmente anche come auspicio per quanto si spera possa accadere dopo le elezioni di Midterm.

 

Il crescente sentimento per i negoziati in Ucraina minaccia l’influenza neoconservatrice

Nel discorso d’addio più famoso fatto da un presidente degli Stati Uniti, dopo il primo, pronunciato da George Washington nel 1797, il presidente Dwight Eisenhower (1) nel 1961, avvertì i suoi connazionali: “Nei consigli governativi dobbiamo guardarci dall’influenza ingiustificata, ricercata o meno, del complesso militar-industriale. la possibilità di una disastrosa ascesa di un potere illegittimo esiste ed è destinata a restare”.

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Marco Bersani: Basta conferenze per il clima

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Basta conferenze per il clima

di Marco Bersani

I governi del mondo si apprestano alle solite due settimane di ‘lacrime del coccodrillo’ su clima, ambiente, siccità, fame, perdita di biodiversità per poi dedicare le successive cinquanta settimane dell’anno a inseguire il trittico ‘crescita, concorrenza, competitività’, senza soluzione di continuità e dentro il possibile baratro di una terza guerra mondiale

È cominciata la Cop27 in Egitto, le premesse sono disperanti. Non solo perché l’appuntamento annuale sul clima è ospitato da una dittatura sanguinaria che cercherà di utilizzarlo per rifarsi un ruolo internazionale.

Non solo perché se il governo italiano mostrasse un minimo di dignità boicotterebbe quell’appuntamento in risposta al boicottaggio che le autorità egiziane hanno messo in campo per anni contro verità e giustizia per Giulio Regeni.

Ma anche perché i governi del mondo si apprestano alle solite due settimane di ‘lacrime del coccodrillo’ su clima, ambiente, siccità, fame, perdita di biodiversità per poi dedicare le successive cinquanta settimane dell’anno a inseguire il trittico ‘crescita, concorrenza, competitività’, senza soluzione di continuità e dentro il possibile baratro di una terza guerra mondiale.

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Megas Alexandros: La BCE segue la Fed sui tassi ed il “clan” di Draghi inizia a preoccuparsi….. per l’Euro naturalmente!

megasalex

La BCE segue la Fed sui tassi ed il “clan” di Draghi inizia a preoccuparsi….. per l’Euro naturalmente!

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Visco e Panetta cominciano a mostrare chiara insofferenza rispetto all’azione aggressiva sui tassi, che la BCE sta mettendo in atto con la scusa di dover combattere l’inflazione. Per i due “uomini” fedeli a Mario Draghi, seguire la FED ci porterà direttamente dentro il tunnel della recessione che farà deflagrare la moneta euro: vera ed unica preoccupazione dell’élite di comando nel nostro paese.

La cosa è certamente strana e forse qualche domanda dovremmo cominciare a porcela.

Pochi o forse nessuno hanno colto la “sfumatura”, secondo la quale fin da subito Mario Draghi, avrebbe mostrato forti perplessità verso l’aumento dei tassi, quale misura per combattere un’inflazione di chiara origine esogena, come quella che ha colpito l’intero continente europeo. Certo l’ex governatore della BCE, tutto avrebbe immaginato tranne che, chi campeggia oggi nelle sue vecchie stanze a Francoforte, mettesse in atto nei suoi confronti un così eclatante tradimento, seguendo la FED sulla strada di un aumento dei tassi così selvaggio e rinnegando quella politica monetaria estremamente accondiscendente, che ha caratterizzato il suo mandato.

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Alberto Bradanini: Cina, il terzo mandato a Xi Jinping. Inizia una nuova era

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Cina, il terzo mandato a Xi Jinping. Inizia una nuova era

di Alberto Bradanini

1666419031077 rainewsfcffacdceeRispettando le previsioni, il 22 ottobre scorso Xi Jinping è stato incoronato per un altro quinquennio quale leader politico della Repubblica Popolare. Con tale incoronazione, la Cina apre una pagina inedita nella sua organizzazione istituzionale, mentre la dirigenza del paese si avvia su un sentiero potenzialmente insidioso. Dopo la chiusura dei battenti del XX Congresso del Partito Comunista Cinese (Pcc), il neoeletto Comitato Centrale (203 componenti e 168 supplenti) ha nominato i 24 membri dell’Ufficio Politico, che ha poi scelto al suo interno i sette del Comitato Permanente (Xi Jinping, Li Qiang, Zhao Leji, Wang Huning, Cai Qi, Ding Xuexiang e Li Xi ), l’organo dove si concentra il potere supremo. Xi Jinping è stato confermato Segretario Generale del Partito e Presidente della Commissione Militare Centrale e nella prossima primavera sarà ri-eletto anche Presidente della Repubblica.

Insieme all’attuale premier Li Keqiang, escono di scena Li Zhanshu, Han Zheng e Wang Yang, che pure alla vigilia era indicato tra i candidati alla carica di Primo Ministro. Tra i subentranti, troviamo il capo del Partito a Shanghai, Li Qiang (che prenderà il posto di Li Keqiang), Cai Qi, Ding Xuexiang e Li Xi, tutti strettamente legati a Xi Jinping. I due rimanenti, Zhao Leji e Wang Huning, anch’essi fedelissimi del leader, restano al loro posto per un altro quinquennio. A cascata, tutte le cariche che contano, tra cui i responsabili della propaganda, della disciplina nel Partito e della lotta alla corruzione (quest’ultima strumento utilizzabile anche per far fuori i nemici politici) vengono attribuite a funzionari di indiscussa lealtà al Capo Supremo.

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Sandro Moiso: Il nuovo disordine mondiale / 19: First Strike?

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Il nuovo disordine mondiale / 19: First Strike?

di Sandro Moiso

un mondo miglioreNon si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile.
La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai. (George Orwell)

Boom! Scoperta e ‘dichiarata’ l’acqua calda: gli Stati Uniti, nell’ultima versione della loro dottrina militare (detta, in onore dell’attuale presidente, “Biden”), potrebbero usare per primi l’arma nucleare.
E questo, secondo alcuni commentatori disattenti alla storia militare e politica dell’ultimo secolo, potrebbe costituire soltanto ora il detonatore per una Terza guerra mondiale.

Ancora una volta occorre dunque sottolineare e ricordare ciò che, da più di un decennio, l’autore va affermando in testi, articoli e interventi sulla questione della guerra: elemento ineliminabile di una società fondata sullo sfruttamento di ogni risorsa ambientale e umana, sulla concorrenza più spietata sia a livello economico che sociale e sulla spartizione imperialistica del mercato mondiale e dei territori di importanza strategica (sia dal punto di vista geopolitico che economico-estrattivistico).

Tanto da spingerlo a rovesciare, come già aveva fatto con largo anticipo Michel Foucault nel corso degli anni ’70, la celebre affermazione di Karl von Clawsevitz nel suo contrario, ovvero che sarebbe proprio la politica a costituire nient’altro che la continuazione della guerra con altri mezzi1. Con buona pace di chi ancora oggi, pur proclamandosi antagonista e antimperialista, pensa che le logiche della politica istituzionale possano (o almeno dovrebbero) sfuggire alle logiche della guerra e dei suoi sfracelli.

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Ascanio Bernardeschi: La parabola dell’economia politica – Parte XXVI

la citta futura

La parabola dell’economia politica – Parte XXVI

Il monetarismo e l’apologia della disoccupazione

di Ascanio Bernardeschi

Illustrazione degli elementi cardine della teoria monetarista

8222614fe5db6b0d424da8461ca351d4 XLL’aspetto centrale del monetarismo, che si oppone radicalmente alla teoria keynesiana, è la teoria della moneta, per alcuni aspetti un recupero di prescrizioni della della vecchia teoria quantitativa [1], ma in cui la moneta non è un “velo”, bensì lo strumento più importante per governare l’economia.

Per i monetaristi la causa principale dell’inflazione – che poi è la maggiore preoccupazione dei seguaci di questa scuola [2] – è un eccesso dell’emissione di banconote da parte delle banche centrali. Secondo questa teoria occorre evitare che l’emissione di moneta (offerta) superi la domanda. Dovrebbe invece essere automaticamente quantificata, con l’obiettivo unico di regolare il livello di inflazione. La regola monetaria fissa di Friedman, chiamata k-percent rule, prevede che l’offerta di moneta sia calcolata sulla base di fattori finanziari e macroeconomici conosciuti. In questo modo la banca centrale non dovrebbe obbedire a indirizzi politici ma applicare in piena indipendenza questo automatismo, mentre gli imprenditori e gli speculatori potrebbero agire più consapevolmente, conoscendo in anticipo, sulla base dei dati macroeconomici, tutte le decisioni di politica monetaria, se così possano ancora denominarle, vista la rigidità della regola. L’offerta di moneta dovrebbe arrestarsi ancor prima che sia raggiunta la piena occupazione, la quale è considerata in sé un male. La motivazione tecnica di questo “male” viene dedotta da un uso strumentale della famosa curva di Phillips che descrive una relazione inversa tra il tasso di disoccupazione e il livello dei salari.

Tale curva, secondo la formulazione originaria [2], mostra semplicemente che al diminuire della disoccupazione, in conseguenza del maggiore potere contrattuale acquisito, la classe operaia rivendicherà salari maggiori. Il che è pacifico e lo abbiamo visto in sede di illustrazione del ruolo dell’esercito industriale di riserva nella teoria marxiana.

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Moreno Pasquinelli: Elezioni USA: crollo o palingenesi dell’impero?

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Elezioni USA: crollo o palingenesi dell’impero?

di Moreno Pasquinelli

E’ molto probabile che queste elezioni di medio termine saranno, come del resto molti commentatori americani ritengono, le più importanti della recente storia degli Stati Uniti. Sulla carta, in palio, ci sono tutti i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti, 35 seggi del Senato, ben 39 governatorati statali su 50, oltre ad una sterminata serie di enti amministrativi e politici locali. Nella sostanza la posta è molto più grande: per usare una nozione tanto cara agli imperialisti americani c’è in gioco un vero e proprio regime change. Non quindi meramente l’ennesima puntata dell’avvicendamento al potere di uno dei due poli storici in cui è storicamente divisa l’élite oligarchica, il democratico ed il repubblicano.

Fu l’inattesa ascesa (2017) del miliardario Donald Trump a cambiare tutto. Fino ad allora il fenomeno del populismo conservatore, animato dagli spiriti dell’anarco-capitalismo da una parte e da certo messianismo americanista dall’altra, era sempre vivacchiato sottotraccia. Con la vittoriosa scalata di Trump al Partito repubblicano quel populismo venne alla ribalta non più solo come grido di ribellione del proletariato bianco e dei ceti medi pauperizzati, ma come opzione sposata da una parte della stessa élite dominante W.A.S.P.

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Pierluigi Fagan: Lebensraum

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Lebensraum*

di Pierluigi Fagan

Nella foto in fondo, un ponte su autostrada a Singapore che cerca di tenere un contatto ecologico tra due parti di spazio eco-naturale diviso dalla strada. Le specie che vivono lo spazio naturale sono un sistema complesso in equilibrio dinamico, se lo spazio si restringesse perché tagliato e porzionato dalle strade, l’intero sistema ecologico subirebbe modifiche esiziali. Così si mantengono collegamenti per dargli la possibilità di continuare ad usare tutto lo spazio a loro necessario. In Germania li fanno anche più semplici. In quel caso è l’autostrada ad interrarsi un po’ di modo che il “ponte” che deve esser largo ed invitante altrimenti rimane barriera, dia l’idea di continuum.

Tale accortezza proviene dagli studi di uno dei principali fondatori della geografia moderna, il tedesco Friedrich Ratzel che, nel 1897, usò il concetto di “spazio vitale” o Lebensraum in un abito di pensiero noto come biogeografia. Ratzel poi morì nel 1908 ma il concetto venne trasposto dai nazisti in teoria geopolitica. Ratzel quindi venne retroattivamente accusato di aver fornito armi ideologiche travestite da scienza ai nazisti, cosa del tutto impropria visto che Ratzel, nel suo lavoro, aveva ben chiara la differenza di complessità tra animali ed esseri umani e comunque morì anni prima si formasse l’immagine di mondo dei nazisti.

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lorenzo merlo: Tornare a sé

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Tornare a sé

di lorenzo merlo

 

Spirito, parole ed energia di Chi sei tu? I Ching, lo Zodiaco cinese e il sistema elementale indiano. Una ricerca comparata sugli aspetti archetipali e sulla conoscenza di sé, lungo titolo e sottotitolo dell’ultima pubblicazione di Paolo D’Arpini. Ricercatore indipendente, promotore della Spiritualità laica, dell’Ecologia profonda e del Bioregionalismo. Un testo utile agli appassionati dell’I Ching, agli inziati che troveranno di che proseguire nel cammino e agli iniziandi, per le risposte agli interrogativi che tutti i risvegli impongono.

 

Partendo da lontano

Gregory Bateson (1904-1980) è stato un antropologo americano, cibernauta e visionario. Il suo libro Verso un’ecologia della mente è una delle albe scientifiche sorte dalle scosse di quegli anni culturalmente rivoluzionari. Il libro, insieme ad altri non solo suoi, ha illuminato il mondo e la realtà. Questa non era più un semplice oggetto sotto il vetrino della nostra presuntuosamente neutra osservazione, ma il risultato della nostra descrizione.

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Manolo Monereo: La vittoria di Lula e la sinistra latinoamericana

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La vittoria di Lula e la sinistra latinoamericana

di Manolo Monereo*

Tre parole potrebbero riassumere la mia valutazione sulle elezioni in Brasile: sollievo, preoccupazione e sfida. Lula ha vinto con uno scarto di pochi voti in uno scenario di estrema polarizzazione e con un paese in crisi organica. Il primo turno delle elezioni – in cui sono stati eletti anche la Camera dei Deputati e 27 senatori su un totale di 81 – ha reso manifesto un qualcosa che intuiamo ma non così decisamente: Bolsonaro e il bolsonarismo sono diventati la prima forza politica del Brasile. Le sfide sono enormi: governare con un Senato e una Camera dei Deputati avversi, con la maggior parte dei governatori degli Stati del paese-continente controllati dalla destra, con una parte dell’apparato statale in posizioni autoritarie e con un fronte alleato contraddittorio e con un programma troppo generico. In altre parole, Lula è la chiave. Dipenderà quasi tutto da lui, dalla sua capacità di mediazione, dalla sua leadership morale e dai suoi rapporti specifici con le classi popolari.

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Marco Cattaneo: Inflazione e politiche per contrastarla

bastaconeurocrisi

Inflazione e politiche per contrastarla

di Marco Cattaneo

Nel dibattito tra sostenitori e oppositori della MMT, un tema rilevante è l’efficacia della politica fiscale per ridurre l’inflazione quando diventa troppo elevata.

Contrariamente alla versione caricaturale che qualcuno si ostina a far circolare, la MMT non ha mai affermato che i deficit fiscali possano crescere all’infinito. Sostiene invece che il limite c’è, ma non è un determinato livello numerico. È la disponibilità di risorse produttive (impianti e manodopera) inoperose, o comunque sottoutilizzate.

Se, tramite il deficit pubblico, mettiamo in circolazione capacità di spesa eccessiva rispetto alla capacità produttiva del sistema economico, non generiamo più produzione e più occupazione, ma solo eccessiva inflazione.

Ne segue che la maniera efficace per ridurre la domanda nel sistema economico, secondo la MMT, è ridurre i deficit quando c’è inflazione: ma in funzione appunto di quella, NON del fatto che il deficit sia del 3%, del 6%, del 10% o di qualsiasi soglia numerica prestabilita.

En passant, quanto sopra mostra come siano immotivate per non dire pretestuose le affermazioni di chi sostiene che “per la MMT lo spazio fiscale è infinito” o che “la MMT spinge sempre ad aumentare i deficit”.

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SI Cobas sanità: Gattopardi & bari

ilpungolorosso

Gattopardi & bari

Sulla resa definitiva della sanità pubblica

di SI Cobas sanità

Le crisi economiche, finanziarie, ambientali, e così le guerre, sono connaturate al sistema di produzione capitalistico. Il de-finanziamento dei servizi sociali e sanitari sono le prime misure che i governi adottano per tutelare aziende e attività commerciali.

Nella guerra di concorrenza totale, vite umane e salute sono sempre sacrificabili. E, di fronte ai bilanci da far quadrare, le chiacchiere stanno a zero ed emergono molte verità altrimenti taciute.

Nella Conferenza Stato-Regioni del 24 ottobre viene detto che i costi energetici comporteranno dal 2022 al 2025 un taglio di 15 miliardi al finanziamento del SSN!

In questo quadro, che si annuncia tempestoso, le avversità economiche vengono accolte come scontati fulmini di Dei capricciosi. Ma intanto, supinamente, si approntano le soluzioni per gli Dei del capitale.

Le “cure” studiate, infatti, sono una definitiva resa per la Sanità Pubblica!

Le Regioni, che gestiscono la Sanità e il cui bilancio per circa il 90% è dedicato alle risorse sanitarie, si ritroveranno a corto di fondi. E così è previsto il passaggio di interi servizi alla sanità convenzionata!

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