[Sinistrainrete] Enrico Tomaselli: A mente fredda

Rassegna del 16/11/2022

 

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A mente fredda

di Enrico Tomaselli

L’ampio ripiegamento russo sulla riva sinistra del Dniepr, nella regione di Kherson, è per molti versi paragonabile a quello di aprile, quando vennero improvvisamente ritirate sia le forze arrivate alle porte di Kiev, sia quelle – penetrate da est – che avevano preso Romny e puntavano sulla capitale. In entrambe i casi, si tratta di un significativo ridispiegamento, di ampia portata territoriale, che segna un cambiamento strategico importante

Nonostante l’intervento in Ucraina fosse stato pianificato da anni (1), la Russia ha modificato più volte la propria impostazione tattico-strategica nel conflitto. Ciò è ovviamente in parte dovuto alla natura dinamica della guerra, che richiede una elevata capacità di adattamento al mutare delle situazioni, ma anche ad una serie di errate valutazioni politico-militari. Il ritiro delle truppe dalla riva destra del Dniepr segna appunto uno di questi passaggi, che proveremo ad analizzare su più livelli, tattico, strategico e politico.

Il piano tattico

La giustificazione militare che è stata fornita per il ridispiegamento, nonostante sia sostenuta fermamente da tutte le fonti russe (anche quelle a volte critiche), appare francamente abbastanza debole.

Come più volte ripetuto, Kherson è uno snodo strategico sotto molti punti di vista, soprattutto in relazione alla Crimea per un verso, e ad Odessa per un altro. Non per caso è stata oggetto di una importante controffensiva ucraina, la scorsa estate, ed anche successivamente Kiev ha continuato ad esercitare una forte pressione su quel settore. E di tale rilevanza strategica, ovviamente, c’era piena consapevolezza anche da parte russa. Non si può comunque non notare che, come ampiamente riconosciuto, l’offensiva estiva ucraina si è risolta in un mezzo disastro, con gravissime perdite e pochi o nulli esiti sul piano dell’avanzata territoriale.

Anche se, a seguito di quell’offensiva – e di quella, invece coronata dal successo, nella regione di Kharkiv – viene presa la decisione di procedere con la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti, è altamente probabile che già allora Mosca avesse maturato la decisione di attuare il ridispiegamento messo poi in atto a novembre. Non a caso, quando Surovikin viene nominato comandante di tutte le truppe impiegate in Ucraina, ai primi di ottobre, parla immediatamente di “decisioni difficili” che saranno prese; col senno di poi, è chiaro che si riferisse proprio a questo.

Quando, per dare un senso militare alla decisione, si fa riferimento a difficoltà di approvvigionamento, oppure alla minaccia di una possibile inondazione dell’area nel caso gli ucraini riuscissero a distruggere la diga di Kakhovka, si stanno con tutta evidenza fornendo deboli pretesti, per coprire una decisione che è chiaramente ed eminentemente politica.

Per quanto riguarda la presunta difficoltà di rifornimento, se pure è certamente vero che il flusso deve passare attraverso il collo di bottiglia dei ponti sul fiume, è pur vero che questi non sono affatto pochi (a cavallo del ripiegamento, i russi ne hanno fatti saltare 5 o 6), e che comunque le linee di rifornimento per le truppe di prima linea passano sempre attraverso canali (stradali o ferroviari) soggetti alla minaccia da parte delle artiglierie nemiche. Che, in tanti mesi, non sono comunque riuscite a distruggere un solo ponte. E del resto, se si ha la consapevolezza dell’importanza strategica di quella posizione, e si teme la minaccia sulle linee di rifornimento, per cominciare ci si attrezza con una migliore copertura anti-missile.

Anche la questione posta della costante pressione ucraina è insufficiente, per giustificare il ridispiegamento. È vero che pesa lo squilibrio numerico sul campo, con l’Ucraina che è in grado di schierare 3/4 volte la quantità di uomini impiegati dai russi, ma – al tempo stesso – non si può non sottolineare che l’addestramento delle truppe di Kiev è decisamente inferiore, e soprattutto di tipo individuale (2), che l’equipaggiamento è spesso assai eterogeneo (3), e che l’artiglieria russa – così come le sue forze aerospaziali – assicurano un’ottima capacità di interdizione e di appoggio tattico. Tant’è che, appunto, l’importante controffensiva ucraina d’estate si è infranta contro la resistenza russa. E nonostante nei mesi successivi si sia continuamente parlato di una nuova offensiva, questa in realtà non s’è mai verificata. In autunno, c’è stato solo un intensificarsi delle operazioni DRG (4), per sondare le difese russe.

In ogni caso, dal momento che si fosse ritenuto decisiva – o comunque problematica – l’inferiorità numerica, la cosa più logica sarebbe stata innanzitutto predisporre linee difensive e fortificate, e poi concentrare nel settore almeno una parte significativa dei circa 80.000 uomini appena arrivati in zona di operazioni, a seguito della mobilitazione dei riservisti. Peraltro, non è che la riva destra fosse così sguarnita: secondo il ministero della difesa, il ridispiegamento ha interessato 30.000 uomini e 5.000 mezzi.

L’argomento della possibile piena alluvionale, come conseguenza di un’ipotetica distruzione della diga di Kakhovka, è a sua volta debole. Una tale ipotesi, infatti, avrebbe avuto senso se le forze armate ucraine avessero, nel settore, una disposizione difensiva; in tal caso, l’allagamento sarebbe servito a rallentare e /o fermare un’imminente offensiva russa. Ma qui si trattava esattamente del contrario, essendo le forze armate russe attestate a difesa, mentre quelle ucraine cercavano spazio e modo per procedere all’attacco.

Ma non solo le argomentazioni addotte per giustificare tatticamente il ripiegamento sono quanto meno insufficienti; quest’ultimo, infatti, ha addirittura dei pesanti risvolti negativi sul medesimo piano.

L’arretramento della linea del fronte per alcuni chilometri non è ovviamente senza conseguenze. E se di certo è più facile difendere una linea del fronte segnata da un fiume importante, spostarla all’indietro si riflette sull’intero dispositivo militare retrostante. Tanto per cominciare, infatti, significa che l’artiglieria nemica diventa immediatamente capace di colpire obiettivi più in profondità, che prima non erano raggiungibili.

In particolare, non solo l’artiglieria a lunga gittata ucraina sarà ora in grado di colpire l’istmo che collega con la Crimea, ma anche quella a più corto raggio può battere le retrovie russe. Ad esempio, e come conseguenza del ripiegamento, già l’importante base di Chaplinka è in via di smantellamento. Lì vi era non solo una base permanente e un aeroporto per elicotteri, da cui decollavano i Ka-52 d’attacco per supportare le unità nelle regioni di Kherson e Zaporozhye, ma anche un quartier generale di alto livello. L’abbandono di questo aeroporto influenzerà in modo significativo la qualità e l’efficienza del supporto aereo per le unità delle forze armate, e soprattutto Chaplinka non sarà l’unico. In un raggio di ~90 km dai missili GMLRS, sarà necessario ritirare tutte le posizioni critiche, le unità e le attrezzature. Per tacere del fatto che, ovviamente, sarà impossibile far rientrare in città gli abitanti di Kherson, se non al raggiungimento di un cessate il fuoco, senza esporli al quotidiano martellamento dell’artiglieria ucraina, ormai a poche centinaia di metri.

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Il piano strategico

Se sul piano tattico il ripiegamento appare ingiustificato, ed addirittura controproducente, è ovviamente sul piano strategico che si mostra appieno il suo peso.

È infatti evidente che non si tratta di una ritirata propedeutica ad una successiva avanzata, ma di una scelta strategica di fondo. L’arretramento su una linea segnata dal corso di un fiume, la distruzione dei ponti, la predisposizione di linee difensive alle spalle del fiume stesso, sono tutti segnali inequivocabili dell’intenzione di stabilizzare proprio lì questa linea del fronte. Senza dimenticare che il fiume è un ostacolo per entrambe. E se è vero che rende assai difficile per gli ucraini lanciare un offensiva verso sud, superando il fiume sotto il fuoco dell’artiglieria russa, è anche vero che lo stesso ostacolo si frappone alla possibilità, per le forze armate di Mosca, di riattraversare il fiume e muovere verso nord e verso ovest.

In qualche modo, questa decisione russa mostra appieno una questione più ampia, e che – almeno apparentemente – hanno sinora ignorato tutti gli analisti, ovvero che l’arrivo del generale Surovikin segna sostanzialmente l’adozione pressoché uniforme di una attitudine difensiva sul terreno. Per quanto sia a nord-est, in direzione di Lyman, sia nell’ovest del Donetsk, in direzione di Bakhmut e Kramatorsk, le forze russe siano ancora all’offensiva, si tratta di avanzate lente e sanguinose. Mentre le forze aerospaziali hanno lanciato una efficace campagna d’attacco sulle infrastrutture del paese – però quasi esclusivamente concentrata su quelle energetiche (5), sulla linea di contatto non si evidenzia alcuna iniziativa di carattere strategico. Neanche l’arrivo dei primi 80.000 uomini di rinforzo ha determinato variazioni su questo piano. Nè vale, in merito, qualsiasi osservazione relativa alle condizioni meteo stagionali, che pur se effettive non sono tali da determinare una simile stasi. Del resto, che si tratti di un orientamento strategico e non tattico, si evince dalla costruzione di linee difensive (le linee wagner) lungo molti settori del fronte.

È ovviamente sempre possibile che, se e quando arriveranno al fronte gli oltre 200.000 riservisti rimanenti (presumibilmente entro tre/quattro settimane al massimo), che dovrebbero quindi portare ad un totale di circa 400.000 uomini il dispositivo militare russo in Ucraina, ciò dia agio ed impulso ad una ripresa offensiva. Ma al momento i segnali sembrano andare appunto in un’altra direzione. Si potrebbe dire che la postura strategica russa è ora dispiegata, da un lato cercando di piegare la resistenza nemica colpendone le infrastrutture, e dall’altro attestandosi sostanzialmente a difesa dei territori liberati. Ed in effetti, negli ultimi 4/5 mesi si sono registrati ben pochi spostamenti significativi della linea del fronte, se si eccettua appunto la controffensiva ucraina su Lyman.

Anche in zone cruciali, come il settore prossimo alla città di Donetsk, dove la vicinanza con la linea di contatto espone la città a quotidiani bombardamenti, non c’è stato modo di allontanare la minaccia (solo negli ultimi giorni, con la conquista di alcune posizioni, il fronte sembra essersi spostato leggermente più in là).

Se si guarda al complesso dell’intero periodo di guerra, è interessante osservare come le forze armate russe abbiano occupato ampie zone di territorio ucraino – in una fase iniziale, nel nord-est del paese, e nel sud-ovest – per poi cederne la gran parte ritirandosi spontaneamente. Al di là delle ragioni politico-strategiche che hanno determinato alcune di queste scelte (e già esaminate altrove), è chiaro che qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. La Russia, infatti, non ha mai avuto intenzione di occupare l’Ucraina (cosa del resto semplicemente impossibile, con i 120.000 uomini inizialmente impegnati), pertanto aveva pienamente senso ritirarsi dall’ampia fetta di territorio nordorientale, una volta venute meno le ragioni che avevano spinto a penetrarvi. Diversamente, il ridispiegamento nell’oblast di Kherson, che solo un paio di mesi fa era stato chiamato a votare per l’annessione alla Federazione Russa, ha tutt’altro senso e sapore. È, in un certo senso, un’auto-castrazione strategica.

Questo arretramento, infatti, se pure consente (appunto…) una migliore disposizione difensiva, equivale a precludersi qualsiasi possibile iniziativa offensiva nel settore. In pratica, comporta la rinuncia a spingersi verso Odessa, e possibilmente un domani verso la Transnistria. È probabile che Mosca non abbia mai avuto veramente intenzione di spingersi tanto ad ovest, forse anche per evitare di giungere troppo da presso alle frontiere NATO, ma tenersi aperta questa possibilità aveva un indubbio vantaggio strategico, che ora è andato in fumo.

In pratica, con questa scelta Mosca sta quasi facendo all-in sull’ipotesi di un negoziato. Se non dovesse andare, si troverebbe ancora una volta spiazzata.

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Il piano politico

Per piano politico qui si intende non tanto il piano della politica, o della diplomazia, quanto il meta-livello, quello della strategia geopolitica globale.

Si è detto più volte, in queste analisi, che l’interesse della Russia fosse comunque quello di chiudere prima possibile questa vicenda bellica, e per una serie di ragioni diverse. Ovviamente, questo risultato era ed è conseguibile esclusivamente su due diversi piani: quello militare, sul terreno, o quello politico-diplomatico, ad un tavolo di trattativa. La mossa di Kherson indica chiaramente che è stata scelta la seconda opzione. Anche qui, vi sono ovviamente varie ragioni che spingevano in questa direzione, non ultima quella che l’opzione militare avrebbe inevitabilmente condotto ad una brutale escalation, dalle conseguenze imprevedibili. E se certamente la NATO non ha alcuna intenzione né voglia di arrivare ad un confronto diretto con la Russia, altrettanto può dirsi per la Russia stessa.

Quando il 24 febbraio Mosca dà il via all’operazione speciale, i suoi obiettivi sono sostanzialmente due: garantire la sopravvivenza del cuscinetto formato dalle repubbliche del Donbass, e costringere la NATO ad una trattativa sulla sicurezza in Europa. La demilitarizzazione dell’Ucraina poteva intendersi come parte di quest’ultima, mentre la denazificazione era da intendersi come un regime change a Kiev, che eliminasse gli elementi più russofobici.

Quando diventa chiaro che questi obiettivi non sono perseguibili, perché la NATO non vuole, diventa di necessità modificarli, tarandoli sulla nuova situazione. E in questa prospettiva, stante lo status quo, Mosca può considerare di aver conseguito un successo ancora più grande, rispetto agli obiettivi iniziali.

Ha acquisito alla Federazione territori importanti, corrispondenti a circa il 20% del territorio ucraino, tra l’altro i più ricchi, sia industrialmente che dal punto di vista delle risorse. Ha messo in sicurezza la Crimea, rafforzando il controllo sul mar Nero. Ha inferto un colpo durissimo alle forze armate ucraine, che avranno bisogno di anni per tornare ad essere una formazione efficiente. Ha messo in ginocchio il paese, che a sua volta necessiterà di una lunga fase di ricostruzione, prima di poter tornare a porsi come qualcosa di più che un vivaio di carne da cannone. Ha dimostrato di non recedere, di essere in grado non solo di tenere il punto, ma di reagire anche duramente. È stata capace non solo di reggere l’urto di sanzioni durissime, ma addirittura di riorientare efficacemente il proprio sistema economico-commerciale, passando senza danni dall’orientamento verso ovest a quello verso est, diversamente dall’Europa che invece accusa profondamente la rottura delle relazioni. Non solo ha respinto il tentativo di isolamento internazionale, messo in atto dagli USA, ma ha addirittura esteso e migliorato la sua rete di accordi economici e militari.

Insomma, a conti fatti, ad oggi la Russia può vantare il conseguimento di un successo strategico globale, il cui costo è ancora accettabile. Da qui, quindi, approfittando anche dei segnali di stanchezza provenienti dall’Europa, e delle difficoltà americane, la scelta di giocare veramente una carta diplomatica.

Anche perché non può non tener conto anche di altri due fattori, assai rilevanti.

Innanzi tutto, la frattura con l’Europa, seppure tamponata trovando altri sbocchi commerciali, non solo ha comunque un costo in termini di mancato accesso a prodotti di alta tecnologia, ma rappresenta comunque un danno strategico, in quanto è l’asse Russia-Germania quello vincente, non quello Mosca-Pechino. E più la guerra va avanti, più il solco si approfondisce.

E poi, last but not least, la guerra ha mostrato anche i limiti della capacità militare russa. Se, infatti, ha dimostrato sul campo di avere un considerevole potenziale in termini di armamenti strategici, una capacità dell’industria bellica più pronta e reattiva di quella occidentale, così come una resistenza all’attrito assai superiore a quella della NATO, si è anche evidenziato un limite non da poco: quei 120/130.000 uomini inizialmente impegnati, sono di fatto il massimo che è in grado di gettare prontamente in battaglia. Pur tenendo conto della vastità del territorio, da presidiare non solo alle frontiere, in particolar modo quelle calde del Caucaso e dell’Asia, così come dell’impegno in Siria, resta il fatto che – quando è emersa la necessità di rinforzare il dispositivo militare in Ucraina – l’unica scelta possibile è stata la mobilitazione dei riservisti, con la conseguenza che diventa operativa solo a distanza di mesi.

Conclusioni

Per come sembra si stiano mettendo le cose, si può affermare che si sta predisponendo il clima per aprire un processo che possa portare alla fine delle ostilità. Sarebbe illusorio pensare ad un processo veloce. Ci vorrà un certo tempo perché, sia Washington che Kiev, trovino la piena volontà di avviare un percorso di tal genere; e poi, successivamente, affinché si arrivi ad un non facile accordo. Parliamo necessariamente di mesi. Arrivare almeno ad un cessate il fuoco entro l’arco dei dodici mesi dall’inizio della guerra sarebbe già un ottimo risultato.

Tutto ciò, naturalmente, sempre che non intervengano fattori capaci di inceppare il cammino, rallentando o bloccando del tutto il processo.

Non è possibile prevedere, ad esempio, quale possa essere la reazione dell’estrema destra nazista, ad una prospettiva di tal fatta – che, inevitabilmente, significa congelamento della situazione sul terreno. Né quella delle stesse forze armate, che sono ampiamente permeate dal medesimo nazionalismo tossico. Per quanto l’influenza, per non dire il controllo, esercitato dagli USA sul governo Zelensky sia praticamente totale, non si può escludere che ci possano essere reazioni di rigetto da parte di settori militari. Diciamo pure che è un classico delle destre, la reazione a quella che verrebbe considerata una resa ed un tradimento.

Del resto, ancora in questi giorni, secondo il New York Times, “ci sono sempre più indizi da parte delle truppe a terra e dei volontari vicini a loro che gli ucraini si stanno preparando per una nuova offensiva terrestre a sud attraverso la regione di Zaporozhye verso Melitopol”.

Ugualmente non sappiamo come, ed in quale misura, una opzione di questo genere verrebbe presa in Gran Bretagna, dove sia le spinte oltranziste, sia la tendenza a fare un po’ da sé, sono ben radicate; e come sappiamo, sono molto ben collegati con i servizi segreti ucraini. Già pare che stiano tramando in Moldova, magari per innescare qualche provocazione con la Transnistria. Del resto, in ambienti NATO non tutti sono d’accordo nel chiudere la partita, e vorrebbero trascinare ancora il conflitto.

In ogni caso, se tutto va bene potremo parlare – come detto – di fine delle ostilità. La pace è tutt’altra cosa, ed è ben lontana dall’essere anche solo in vista.

Note
1 – Il che non significa che vi fosse da anni l’intenzione di avviare l’Operazione Speciale Militare; come è prassi presso tutti gli stati maggiori, compresi quelli occidentali della NATO, la preparazione di piani operativi relativi ad una serie di scenari possibili, è parte integrante dell’attività strategica.
2 – La necessità di fronteggiare l’offensiva russa, e quella di ripianare le pesanti perdite nelle varie unità, ha fatto sì che l’addestramento delle reclute – sia in patria che all’estero – avvenisse molto più rapidamente (4/5 settimane, invece che 12/14 come da standard), e soprattutto che gli uomini venissero poi inviati laddove necessario per reintegrare le fila dei reparti. Ciò ha comportato, appunto, che l’addestramento fosse non solo insufficiente, ma soprattutto a livello di capacità individuale, essendo di fatto impossibile procedere ad un addestramento tattico a livello di unità.
3 – Poiché le dotazioni inziali dell’esercito ucraino, così come la prima ondata di rifornimenti occidentali (prevalentemente mezzi di produzione ex-sovietica), si è presto esaurita, l’equipaggiamento è via via diventato sempre più basato su armi (sistemi anticarro ed antimissile) e mezzi (artiglieria, corazzati per il trasporto truppe) provenienti da svariati eserciti occidentali, a loro volta distribuiti ai reparti secondo la medesima logica tappabuchi. Il che ha appunto prodotto una grande eterogeneità di mezzi ed armamenti, anche all’interno della medesima unità, con evidenti difficoltà logistiche (munizionamento, riparazione, coordinamento).
4 – Con il termine gruppo di sabotaggio e ricognizione (in russo: Диверсионно-разведывательная группа, ДРГ, traslitterato: Diversionno-razvedyvatel’naâ gruppa, DRG) si intende una formazione militare creata temporaneamente nella struttura delle forze speciali, utilizzata per il sabotaggio e la ricognizione dietro le linee nemiche in situazioni di guerra, con l’obiettivo di disorganizzare le retrovie, distruggere o disabilitare temporaneamente strutture industriali-militari, trasporti e comunicazioni, e raccogliere informazioni sul nemico.
5 – Colpisce, in particolare, la scarsa o nulla concentrazione di fuoco sul sistema ferroviario, in particolare su quelle linee che sono utilizzate per portare in Ucraina i mezzi forniti dalla NATO, e su quelle per poi smistarle ai reparti al fronte. Una disattenzione simile anche per i ponti che si trovano alle spalle delle linee ucraine; per quanto si voglia ammettere la riluttanza a colpire infrastrutture che impattano anche sulla vita civile, è evidente che c’è un di più. Molto probabilmente legato ad un intreccio di interessi, convergenti nel mantenere aperte vie di comunicazione commerciale tra la Russia e l’occidente europeo.

 


 

Fabrizio Russo: Il segreto di Pulcinella dei mercati azionari

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Il segreto di Pulcinella dei mercati azionari

di Fabrizio Russo

Mercati finanziari su quali azioni investire nei prossimi mesi 1I mercati azionari possiedono, da sempre, un’alea di mistero per il grande pubblico. C’è chi ingenuamente attribuisce loro le stesse caratteristiche del gioco d’azzardo – nulla di più sbagliato come dimostra Nassim Nicholas Taleb (v. “Il Cigno Nero” del medesimo autore) – salvo poi impiegare direttamente od indirettamente (assicurazioni vita, fondi pensioni, fondi d’investimento azionari o bilanciati, etc.) i risparmi previdenziali o personali – almeno in una certa quota, che può però essere assai significativa – proprio su quei tipi di mercato. E’ poi diffusa, anche tra molti addetti ai lavori (ahimè), la credenza che “è tutto pilotato”, “rigged” direbbero gli anglosassoni. Ora, certamente l’insider trading (illegale) esiste e gioca un certo ruolo. Questo specie nel convogliare per vie preferenziali le informazioni riguardanti uno dei fattori che incidono sui mercati azionari: l’EPS (Earning Per Share), o informazioni circa eventuali grosse transazioni che coinvolgono operatori di cospicue dimensioni. Tuttavia, da sostenere che alcuni, fossero anche frequenti, episodi di insider trading avvantaggiano indebitamente taluni operatori, a sostenere che, sistematicamente, la direzione dei corsi azionari è dettata puntualmente dalle “voci di corridoio”, di acqua ne passa sotto i ponti! E la cosa, sinceramente, appare addirittura grottesca e ridicola, tanto più se simili affermazioni vengono proprio da professionisti – anche magari bancari – di settori limitrofi a quello finanziario. Forse le voci sono quelle che sentono la sera dopo avere mangiato pesante e, francamente, dipingere in modo esoterico il funzionamento di un mercato – specie quello USA – sostanzialmente globalizzato, dotato di una enorme ampiezza e liquidità, lascia abbastanza perplessi ed avviliti.

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Patrizia Cecconi: Là dove tutto il mondo è prigione

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Là dove tutto il mondo è prigione

di Patrizia Cecconi

17317436192 8dfefa460b oCerto, quando si parla di storia – e in maniera particolare delle sue pagine più crudeli e intollerabili – c’è sempre un’origine precedente, più lontana. Eppure ci sarebbe da scommettere che, perfino tra i sostenitori più irriducibili dell’affermazione del diritto ad esistere dei Palestinesi, oggi siano molto più conosciute le pagine della Nakba, l’esodo del ’48, che quelle degli anni Sessanta, prima e dopo la guerra-lampo dei sei giorni, un prototipo per molte delle illusioni guerrafondaie contemporanee. Peccato perché, come ricorda Patrizia Cecconi in questa bella ed eloquente recensione di un libro imperdibile – “La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati” di Ilan Pappé -, è proprio nei primi anni Sessanta che a Givat Ram viene elaborato il progetto sionista dell’annessione che serve a spiegare ancora meglio di ogni altra cosa l’Apartheid e i crimini israeliani del nostro tempo. È su quella collina, nel quartiere che ospita la Knesset e il parco dell’Università ebraica, che venne deciso come realizzare e gestire per più di mezzo secolo la più grande prigione del pianeta. Sappiamo questo grazie all’enorme lavoro, tenace quanto lucido e appassionato, di uno storico israeliano, Ilan Pappé. Uno studioso che ha saputo restituire alla ricerca delle verità della storia uno straordinario coraggio, fino a farne preziosa linfa di una resistenza che da decenni incanta il cuore di milioni di persone disseminate in ogni angolo del mondo.

* * * *

Era la primavera del 2012 quando andai a Beit Jala, nei pressi di Betlemme, per scoprire da vicino cosa stava succedendo nella colline e nella valle del Cremisan che Israele, nella sua incontenibile ingordigia,  cercava di annettersi grazie al mostro di cemento che violenta il paesaggio, le vite e i diritti dei palestinesi.

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Piccole Note: Ucraina: scontro nell’amministrazione Usa tra falchi e Pentagono

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Ucraina: scontro nell’amministrazione Usa tra falchi e Pentagono

di Piccole Note

 

“Ai massimi livelli del governo degli Stati Uniti è emerso un disaccordo sull’opportunità di fare pressioni sull’Ucraina affinché cerchi una fine diplomatica nella guerra con la Russia, con i più alti vertici dell’esercito americano che sollecitano negoziati contrapposti ai consiglieri del presidente Biden, i quali sostengono che è troppo presto”.

“Il generale Mark A. Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff, ha affermato nelle riunioni interne all’amministrazione che gli ucraini hanno ottenuto quanto potevano ragionevolmente aspettarsi sul campo di battaglia prima dell’arrivo dell’inverno e quindi dovrebbero cercare di cementare i loro guadagni al tavolo delle trattative”. Così il New York Times.

A guidare la fazione più bellicosa è il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jacob Jeremiah Sullivan. Le rivelazioni del Nyt arrivano dopo che Milley aveva espresso pubblicamente la sua posizione, nell’intervista alla Cnn che abbiamo riferito nella nota pregressa.

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Miguel Martinez: “Il metodo Piombino”

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“Il metodo Piombino”

di Miguel Martinez

E’ uscito il video di Max Civili, in collaborazione con Cecilia Sandroni, Il metodo Piombino, che racconta della battaglia che vede in prima fila la cittadina toscana.

In breve… il governo italiano ha deciso ancora una volta di partecipare a una guerra non sua per “esserci”, se no si fa brutta figura.

Curiosamente, anche la prima volta, lo spunto era una disputa sulle frontiere nella pianura ucraina, anche se le Frontiere Eternamente Inviolabili erano quelli dell’Impero Ottomano, e ci mandarono i carabinieri a Balaclava.

Poi sessant’anni dopo, la stessa Italia avrebbe cambiato i connotati dell’Ottomania attaccando la Libia, per non fare la brutta figura di essere l’unico paese europeo senza impero.

E centosessant’anni dopo, la stessa Italia avrebbe aiutato a trasformare la Libia nell’inferno inestricabile della migrazione verso l’Europa, per non fare la brutta figura di essere l’unico paese che non sa Battersi per la Democrazia.

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Marco Veruggio: La vera guerra mondiale? Quella tra oligarchie e proletari

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La vera guerra mondiale? Quella tra oligarchie e proletari

di Marco Veruggio

Riprendiamo dalla Newsletter di PuntoCritico.info dell’8 novembre 2022 questa bella recensione del libro La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario, comparsa anche su Gli Stati Generali.

Una sola precisazione: attribuire alla TIR una “matrice bordighista” è piuttosto sommario, perché se è vero che respingiamo in toto la vulgata togliattiana, cioè riformista, intorno ad Amadeo Bordiga, è altrettanto vero che abbiamo delle riserve e delle critiche sull’attività teorica e politica di Amadeo Bordiga (espresse ad esempio, in parte, nel testo di P. Basso, Amadeo Bordiga. Una presentazione, Ed. Punto Rosso, 2021), e tante di più ne abbiamo sul bordighismo. (Red.)

Recensione a La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario, a cura di TIR (Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria), 2022, 210 pp. Per ordinare il libro: com.internazionalista@gmail.com

Tra le pubblicazioni apparse dopo l’invasione russa dell’Ucraina segnaliamo un volume a cura della TIR – Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, gruppo marxista di matrice bordighista, tra i promotori della manifestazione che sabato a Napoli ha portato in piazza parecchie migliaia di persone e un ventaglio di forze tra cui il Si Cobas e gli operai della GKN, il movimento napoletano dei disoccupati 7 novembre, collettivi studenteschi e attivisti contro il cambiamento climatico.

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Lorenzo Palaia: Le ragioni dei pacifisti

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Le ragioni dei pacifisti

di Lorenzo Palaia

È bene che i pacifisti, tra i quali mi annovero, rispondano puntualmente ad alcune specifiche accuse ribadite dalla piazza milanese di sabato scorso, la maggiore delle quali è di essere arrendevoli, cioè di piegarsi all’aggressore accettandone la violenza. Può darsi infatti che quella pacifista sia arrendevolezza, laddove si concepisca una forma di irenismo totale che è incondizionata non-violenza, ma in ogni caso non è passività né debolezza. Va infatti ricordato che tale nobilissima tradizione affonda nei primi secoli dell’era cristiana, soprattutto nell’insegnamento dei padri e nell’esempio di molti santi e martiri, ed è stata giustificata nella storia soprattutto con due episodi del Vangelo: quello in cui Gesù dice a Pietro, mentre venivano catturati, «rinfodera la spada, perché chi di spada ferisce di spada perisce»[1], e quella massima in cui lo stesso Gesù invita a porgere l’altra guancia a chi ci dà uno schiaffo[2]. Nella Chiesa dei primi secoli si discuteva se fosse lecito per i cristiani servire nell’esercito, mentre le agiografie e i martirologi sono pieni di esempi di chi preferì accettare il supplizio piuttosto che cedere al male, secondo gli insegnamenti di san Paolo che invitava a obbedire all’autorità civile in ogni caso, anche quando fosse stata persecutoria e ingiusta. Lo stesso esempio supremo della morte di Nostro Signore veniva portato a fondamento di una strada di assoluto ripudio della violenza.

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Alessandro Di Battista: “Il potere logora chi non ce l’ha”

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“Il potere logora chi non ce l’ha”

di Alessandro Di Battista

Il 20 giugno del 1997 Joe Biden intervenne al Consiglio atlantico degli Stati Uniti. Era più giovane e molto più pimpante. All’epoca era Senatore eletto in Delaware. Dall’altra parte del mondo un ex-agente del KGB si destreggiava tra i corridoi del Cremlino guadagnandosi la stima di un sempre più claudicante (fisicamente e politicamente) Boris El’cin, il primo Presidente della Federazione Russa. In quell’occasione Biden disse che l’annessione alla Nato degli Stati Baltici (Estonia, Lettonia e Lituania, paesi un tempo parte dell’URSS e dove tutt’oggi vivono centinaia di migliaia di russofoni) sarebbe stata una mossa che avrebbe potuto provocare una “risposta vigorosa e ostile, sebbene non militare” da parte russa. Biden non era certo uno sprovveduto. Era ancora senatore semplice, ma lo era dal 1973, quando alla Casa Bianca c’era Nixon. Non si può certo dire che non conoscesse politica e geopolitica. La reazione russa, in realtà, fu meno vigorosa di quel che si immaginava. La ragione era semplice. La Russia stava attraversando un momento drammatico.

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Andrea Zhok: L’era delle distopie

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L’era delle distopie

di Andrea Zhok

20221112T104707 cover 16682500276351) Rotte di collisione

L’epoca contemporanea presenta una riedizione potenziata di quel sistema di contraddizioni che ha caratterizzato il sistema capitalistico sin dagli inizi. Il problema strutturale connesso al modo di produzione capitalistico è dato dal suo carattere “monotonico crescente di tipo esponenziale”, ovvero dalla sua tendenza intrinseca ad alimentare processi di “feedback positivo”, di “interesse composto”, di crescita illimitata. Detto altrimenti: il meccanismo del capitale, vivendo in funzione del proprio incremento, tende a spingere tutti i fattori di produzione sempre costantemente in una medesima direzione, creando perciò uno squilibrio sistematico. Il sistema spinge perciò la crescita indefinita della produzione, la crescita indefinita dell’accumulazione di capitale al vertice, la crescita indefinita dello sfruttamento delle persone, la crescita indefinita dello sfruttamento della natura.

Questo è ciò che il vecchio linguaggio marxiano chiamava “contraddizioni del capitalismo”. Ciascuna di queste tendenze entra in sistematico conflitto con gli ordinamenti in equilibrio a livello sociale, umano, ambientale: cresce la forbice tra vertice e base della piramide sociale, cresce sia il consumo che lo scarto delle risorse, cresce la liquefazione degli organismi collettivi (famiglie, comunità, stati, ecc) e delle identità personali. Mentre il mondo e la vita possono essere concepiti sul modello organico dei sistemi a “retroazione negativa”, che ripristinano e correggono le rotture dell’equilibrio, il capitalismo opera come una proliferazione illimitata ed incontrollata, letteralmente come un cancro ontologico.

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Franco Maloberti: Italia, regina della serie B

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Italia, regina della serie B

Produzione industriale: analisi di un declino

di Franco Maloberti

134156483 481b5275 bbc6 4b7e 8656 fb87a96e6183Nel 1992 ricevetti il premio Giuseppe Pedriali per opere che favoriscono la produzione industriale italiana. In quella occasione feci una presentazione a studenti e docenti delle scuole superiori di Forlì dove spiegai la mia classificazione dei Paesi in serie A, B, e C. Sono nella serie A i Paesi capaci di produrre e utilizzare tecnologie avanzate, nella serie B ci sono quelli che utilizzano solo le tecnologie avanzate, nella serie C ci sono quelli che non producono ne utilizzano tecnologie avanzate. Illustrai il concetto facendo l’esempio degli aerei, e spiegai che costruire un aereo è alquanto diverso dall’utilizzo e anche dalla sua guida. Ripresi il concetto in modo più accurato in un libro di grande insuccesso che scrissi nel 1995. Il titolo è “La Questione Occupazione”. Nel primo capitolo: Classificazione delle Società scrivevo:

… La distinzione più importante è tra la serie A e la serie B: ovvero, tra chi produce e chi consuma beni ad alto contenuto tecnologico. Appare evidente che per produrre alta tecnologia servono competenze maggiori (e diverse) di quelle richieste per il suo consumo (e questo è ben noto a chi, ad esempio, progetta e usa microprocessori). Inoltre, le tecniche usate dai paesi di serie A sono tali che, per l’utilizzo di prodotti avanzati, siano richieste competenze sempre minori: uno degli obiettivi dei produttori è, infatti, quello di rendere l’alta tecnologia “user friendly”, ovvero da utilizzare senza speciali competenze (si veda, ad esempio, il caso degli apparecchi fotografici).

È poi strategicamente importante (almeno, dal punto di vista della serie A) che si stabilisca e si conservi una certa separazione tecnologica tra le due categorie. Come è noto, ogni produttore ha bisogno di molti acquirenti, possibilmente “affezionati” o, meglio, non in grado di trovare fornitori alternativi.

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Pietro Basso: I comunisti della capitale…

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I comunisti della capitale…

di Pietro Basso

David Broder, The Rebirth of Italian Communism, 1943-44. Dissidents in German-Occupied Rome, Palgrave Macmillan, 2021

Bandiera
Rossa 3Come è noto, la letteratura sulla Resistenza italiana al nazi-fascismo negli anni 1943-1945 è pressoché sterminata. Di certo molto più ampia della letteratura sulla coeva rinascita del movimento operaio organizzato. Sono rare, invece, le opere che indagano in profondità il nesso tra questi due processi. E addirittura rarissime sono quelle che svolgono questo tipo di indagine occupandosi dei comunisti dissidenti rispetto alla politica del “partito nuovo” di Togliatti. Lo scritto di David Broder appartiene a questo piccolo campo di studi. E si segnala per la sua particolare lucidità di giudizio, e per il modo con cui tiene assieme la dimensione sociale e quella politica del fenomeno studiato – i “comunisti dissidenti” di Roma organizzati nel Movimento comunista d’Italia o Bandiera rossa -, il “locale”, il nazionale e il contesto internazionale.

Il triennio 1943-1945 è stato un momento particolarmente tumultuoso per l’intera società italiana. Crolla il fascismo. La classe capitalistica e la monarchia manovrano con grande abilità per non restare sepolte sotto le macerie del regime mussoliniano, che hanno per un ventennio supportato. L’Italia è spaccata in due. L’esercito italiano si va disfacendo dentro una “nazione allo sbando”. Tutto il territorio è occupato da eserciti stranieri: l’esercito tedesco in ritirata verso nord al di là della linea gotica, gli eserciti alleati in avanzata dal Sud. Sul piano politico-amministrativo, al centro-nord c’è la repubblica “sociale” di Salò sotto tutela dell’occupante nazista, che mescola una brutale ferocia con la demagogia “anti-capitalista” del fascismo delle origini. Nel Sud la monarchia dei Savoia ormai al tramonto cerca disperatamente di realizzare il passaggio più possibile indolore al campo anti-nazista, tenendo sotto stretto controllo il risveglio della vita sociale e politica a lungo compresse dal fascismo e disinnescando, anche con gli eccidi, il “pericolo comunista”.

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Piccole Note: Ucraina: Biden e il generale Milley aprono al negoziato

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Ucraina: Biden e il generale Milley aprono al negoziato

di Piccole Note

Putin non andrà al G-20. Sfuma, dunque, la possibilità di un incontro con Biden che, seppur remota, pure esisteva. Ma il fatto che la decisione sia stata annunciata lo stesso giorno del ritiro russo da Kherson, lascia aperta la possibilità di avviare un processo di pace russo-ucraino. Tale ritiro, infatti, deriva certo da una strategia militare, ma è anche un segnale distensivo inviato alla controparte, che va analizzato.

 

Il ritiro da Kherson: lo scenario militare

Anzitutto va considerato l’aspetto militare. Abbandonando Kherson, la Russia ha deciso di attestarsi sulla riva sinistra del Dniepr, costituendo un fronte più difendibile, in attesa dell’inverno nel quale tale consolidamento, ad oggi inespugnabile, avrà come esito lo stallo del conflitto oppure di offrire una base di ripartenza solida per la campagna invernale.

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Giorgio Mascitelli: Il merito come nudo nome e come processo sociale

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Il merito come nudo nome e come processo sociale

di Giorgio Mascitelli

La nuova denominazione del ministero dell’istruzione in istruzione e merito ha suscitato un’ondata di discussioni perché molti commentatori hanno temuto, e qualcuno auspicato, che sotto tale denominazione si nascondesse il tentativo di rianimare nella scuola le vecchie pratiche selettive, che ancora allignano in qualche liceo, che comportavano l’allontanamento dalla scuola tramite la bocciatura di una parte considerevole di alunni non brillanti e spesso appartenenti alle classi popolari. Insomma, per parafrasare una vecchia canzone di Ivan Della Mea, vi è il timore di una nuova volontà di usare l’arma del voto per escludere tutti quelli che sono più deboli e non adeguati. Il problema di questa tesi è che la stessa Giorgia Meloni, nelle sue abbastanza rare uscite pubbliche sulla scuola, non sembra affatto sostenere un discorso di questo genere: ha proposto, nella scorsa primavera alla conferenza di partito, di abolire le bocciature nella scuola secondaria, per sostituirle con un sistema di livelli e di scelta della materie, simile a quello britannico.

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David Insaidi: Incontro tra Scholz e Xi Jinping. La NATO e la UE scricchiolano?

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Incontro tra Scholz e Xi Jinping. La NATO e la UE scricchiolano?

di David Insaidi

La notizia che il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato a Pechino e ha incontrato il leader cinese Xi Jinping ha avuto una certa eco. Non si tratta di una “normale” visita diplomatica, se si tiene conto del contesto, ossia del clima politico nel quale è avvenuta. È altresì significativo il fatto che il capo di Stato tedesco sia il primo del G7 a far visita al suo omologo cinese, dopo le recenti chiusure dovute al Covid.

Le relazioni economiche tra Berlino e Pechino da anni rivestono un’importanza si direbbe strategica per entrambi i paesi e soprattutto per il primo. La Cina, infatti, è il più grande importatore di merci tedesche e se consideriamo che la Germania da decenni ha impostato la sua crescita economica essenzialmente sulle esportazioni, è facilmente intuibile quanto il Dragone sia assolutamente vitale per l’economia della Bundesrepublik. Soprattutto, la Cina è una destinazione importante degli investimenti diretti tedeschi, visto che numerose multinazionali tedesche sono presenti con impianti produttivi e una quota importante del loro fatturato complessivo viene realizzata in Cina.

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comidad: Ogni establishment è anche un destablishment

comidad

Ogni establishment è anche un destablishment

di comidad

I giochi delle parti si instaurano quando entrambi gli interlocutori hanno qualcosa da nascondere, per cui, pur nell’apparente asprezza polemica, ci si rilancia dialetticamente la palla omettendo qualche dettaglio decisivo. Ciò accade normalmente nella diatriba tra nostalgici fascisti e cosiddetti antifascisti. Al di là delle “cose buone” fatte da Mussolini, la condanna storica del fascismo è insita nelle sue stesse premesse e nelle sue stesse dichiarazioni fondative: un movimento che ha giustificato la propria violenza interna come necessaria per realizzare la potenza nazionale, ha condotto invece l’Italia alla perdita dell’indipendenza nazionale; e ciò addirittura prima che si realizzasse la sconfitta bellica, dato che le leggi razziali del 1938 furono il segnale dell’appiattimento servile del regime fascista nei confronti dell’alleato/padrone germanico. Quel “vincolo esterno” ante litteram fu dovuto al fatto che la guerra di Spagna aveva ridotto sul lastrico il regime fascista. La guerra italo-spagnola del 1936/1939 viene ancora spacciata dalla gran parte della storiografia ufficiale come una guerra civile, come un fatto interno in cui il regime fascista fece una capatina, al punto che si rimuove totalmente il ruolo determinante svolto dalla Marina Militare italiana nella guerra.

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Salvatore Bravo: Ernst Bloch e il concetto di Eingedenken

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Ernst Bloch e il concetto di Eingedenken

di Salvatore Bravo

Nello Spirito dell’utopia di Ernst Bloch il concetto di Eingedenken, rammemorare il futuro, ha una portata teoretica che svela la sua pregnanza concettuale nel tempo presente segnata dalla “dimenticanza” del passato e del futuro. Il concetto di Eingendenk deriva dalla preposizione “in” e dal verbo “gedenken” (‘ricordare’), legato a sua volta a denken (‘pensare’): non a caso le forme più arcaiche presentano la forma ingedenk.

Lo sconfittismo del nostro tempo si connota per la neutralizzazione della memoria storica. La storia con le sue vicende e vicissitudini, invece, con il concetto di Eingedenken non è consegnata all’oblio ma fonda la metafisica umanistica, la quale ha come centro l’essere umano nella sua concretezza comunitaria. Si intrecciano in un sinolo inestricabile la biografia personale e la storia collettiva che non è persa nel tempo, ma ha la possibilità di essere rivissuta, rammemorata e pensata nelle sue possibilità inespresse. L’ontologia del non ancora è la comunità che pensa il tempo trascorso, non si limita a conteggiare gli eventi sulla linea della storia, ma ne scorge con gli errori le potenzialità progettuali da attuare nel futuro.

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