[Comune Info] Cosmovisioni che non sappiamo vedere

Rassegna del 09/12/2022

 

L’antropocentrismo (dal greco άνθρωπος, anthropos, “uomo, essere umano”, κέντρον, kentron, “centro”) è quel pensiero che tende a porre la specie umana al centro dell’universo e a considerarla superiore rispetto alle altre entità presenti sulla terra, quali gli animali e i vegetali. Una delle filosofie occidentali che più ha alimentato e sviluppato il pensiero antropocentrico è stato l’umanesimo. Questo approccio filosofico considerava e poneva l’uomo al centro di tutto, esaltandolo talvolta attraverso le sue peculiarità, la sua presunta vicinanza con la natura divina e marcando più volte e nettamente la distanza che separava l’uomo dall’animale. Questa teoria, o meglio questo modo di sentirsi dell’uomo nel mondo, fu messa in crisi dalla pubblicazione, nel 1871, dell’Origine dell’uomo di Darwin, dove il biologo britannico apporta prove scientifiche in grado di far crollare le teorie antropocentriche, mostrando l’origine comune dell’uomo e dell’animale. Grazie alle teorie e agli studi di Darwin, comprendere che siamo esseri viventi uniti da una ragnatela di connessioni è di sicuro più semplice, ma gli atteggiamenti antropocentrici e specisti rimangono invariati.

La visione antropocentrica che separa l’umanità dalla natura e che pone homo sapiens come superiore e quindi dominatore di tutto quello che lo circonda, non soltanto ha portato alla distruzione della terra e degli altri viventi, ma è stata uno dei motori del colonialismo. Gli europei, nel loro movimento di espansione e conquista, oltre a occupare militarmente terre, rubarne le risorse, colonizzare interi territori attraverso l’uso indiscriminato della violenza, esportare virus e produrre pandemie senza precedenti, hanno anche esportato e imposto con la forza la loro visione antropocentrica, che molto spesso era qualcosa di assolutamente estraneo alle popolazioni indigene.

Il colonialismo europeo ha modificato profondamente la cosmovisione indigena, ha attaccato, prima con le armi e poi teoricamente, la costruzione culturale del rapporto uomo-natura che caratterizzava le popolazioni indigene. In molte terre occupate dai nuovi coloni la ritualità che prima coinvolgeva la natura come un concetto indiviso dall’umanità, fu gradualmente sostituita dall’influenza del cristianesimo cattolico, che prevedeva e prevede la separazione duale uomo-natura. […] L’idea dei colonizzatori era molto semplice: l’uomo deve dominare il suo intorno, la natura è qualcosa di cui noi esseri umani non facciamo parte; di fatto sono stati i portatori di uno sconvolgimento del sistema indigeno che non prevedeva questa separazione duale uomo-natura.

La natura e la cultura sono identificate dall’uomo occidentale come due domini ontologici ben distinti tra loro: imporre questa visione è stato fondamentale per esportare e giustificare uno sfruttamento senza limiti della terra e delle sue risorse. […] Per molte popolazioni indigene, per esempio dell’Amazzonia, esisteva e ancora oggi esiste una relazione etica complessa nei rapporti tra uomini, piante e animali, in cui tutti vengono considerati come dei familiari, come delle persone. Umani e non umani non venivano e non vengono rappresentati come appartenenti a due mondi autonomi e tra loro impossibilitati a comunicare per la loro diversità; il mondo umano non risulta superiore e governato da leggi e principi separati da quelli che governano il mondo naturale, le piante, gli animali, le rocce, i fiumi. […] In parole più semplici, i non umani, per molte popolazioni indigene, condividono una condizione umana originaria, dialogano con la controparte umana e operano con autorevolezza pari o superiore a quella degli umani. Una relazione tra umani e animali che produce una configurazione relazionale unica, che possiede implicazioni sul piano corporale, cognitivo e affettivo, attraverso quei modi della percezione che sono capaci di conferire agli umani la possibilità di sentire come un animale e agli animali la facoltà di intendere il linguaggio e le abitudini della famiglia umana.

La dotazione sensoriale veniva e viene acquisita in un contesto eminentemente relazionale, a partire dalla tessitura di relazioni e collaborazioni tra persone umane e non umane, nelle attività che strutturavano e strutturano la vita quotidiana, come la caccia, la preparazione degli alimenti e il vivere comune. Una visione che non poteva essere accettata da chi si proclamava “figlio di Dio”, da quei colonizzatori che si facevano largo tra le popolazioni indigene con le loro spade insanguinate. L’impatto dell’indottrinamento religioso per queste comunità è stato senza dubbio devastante. Tutta la mitologia e la sacralità di queste terre furono sostituite da un cambiamento radicale che si rifletteva inevitabilmente anche nelle attività quotidiane dei nativi. La visione testamentaria dell’uomo come signore e dominatore della natura fu imposta alle popolazioni indigene, prendendo piede in tutte le terre conquistate con una violenta imposizione del modello ecclesiastico.

Nel momento della conquista, il lavoro agricolo e artigianale cominciò ad avere uno scopo commerciale. La terra, la natura, venne oggettificata e separata dall’uomo, quindi messa a profitto, mercificata. L’estrazione di minerali, metalli preziosi e legname venne orientata a finanziare le spese e le necessità dei colonizzatori, servì a creare la ricchezza dell’Europa.

Una volta imposto il sistema coloniale attraverso l’imposizione di una nuova lingua, uno sradicamento geografico, l’imposizione del denaro come unico metodo di scambio e con l’obbligo del lavoro salariato o schiavile, la possibilità di un ritorno ai propri costumi nativi e ancestrali scomparve quasi definitivamente tra gli indigeni. […]

Il colonialismo è stato, ed è tuttora, una politica economica di furto ed espansione, ma non solo: è anche la distruzione della memoria dei luoghi, del tempo, delle lingue che vengono sradicate, delle comunità e dei modi di vita che vengono cancellati. Serge Latouche sostiene che il produttivismo capitalista ha stravolto in modo rilevante il nostro rapporto con il tempo, il quale una volta scandito artificialmente dall’orologio meccanico, contato e ricontato, diventa l’elemento centrale dell’economia. Il colonialismo ha esportato anche questa nuova relazione con il tempo, alla quale tutte le comunità indigene dovevano adattarsi: bisognava produrre sempre di più e in un tempo dato; che fosse in una miniera a Potosí o in un campo di cacao in Brasile, era fondamentale accelerare i ritmi di produzione. Il tempo della vita si era tramutato in tempo per il lavoro, in tempo per produrre un surplus.

Andrea Staid


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