[Sinistrainrete] Fosco Giannini: Sergio Romano e l’esercito imperialista europeo

Rassegna del 10/12/2022

Fosco Giannini: Sergio Romano e l’esercito imperialista europeo

cumpanis

Sergio Romano e l’esercito imperialista europeo

di Fosco Giannini

Perché il movimento pacifista, i comunisti, le forze antimperialiste e anticapitaliste debbono dire NO all’esercito europeo

Domenica 27 novembre u.s. Sergio Romano firma un articolo, per il “Corriere della Sera”, dal titolo tanto perentorio quanto apodittico: “Se vuole contare nel mondo l’Ue deve costruire il suo esercito”. Romano è figlio della grande borghesia di Vicenza; nei primi anni ’50 partecipa all’esclusivo, importante e denso di prospettive di carriera politico-diplomatica, Seminario nordamericano di Salisburgo; studia poi, attraverso una borsa di studio della Fondazione Harkness (Istituto di studi del Commonwealth, tanto per dire…) all’università di Chicago; con così tante stigmate statunitensi, britanniche, imperialiste, nel 1954 entra alla Farnesina per poi intraprendere una lunga carriera diplomatico-politica che lo porta ad essere prima ambasciatore a Londra e poi a Mosca, quindi ambasciatore italiano presso la NATO, “visiting professor” all’università della California e tanto e tanto ancora, sia sul piano della carriera diplomatica che politica e giornalistica, esperienze di prestigio che lo portano a diventare un influente “maître à penser” della politica internazionale italiana.

Romano, anche in relazione alla sua storia, alla sua biografia intellettuale, è decisamente schierato nel campo atlantista sul piano geopolitico e nel campo liberale sul piano economico/ideologico. Purtuttavia, specie nella sua ultima fase e molto probabilmente in virtù di un surplus di esperienza concreta delle dinamiche internazionali che ha stemperato la sua lancia liberale/occidentale, è andato assumendo posizioni alquanto eterodosse rispetto ai crociati dell’imperialismo e interessanti anche per il fronte antimperialista.

Ad esempio, in un articolo, sempre sul “Corriere della Sera” dello scorso 19 settembre 2021, Romano scriveva: «Negli ultimi anni l’indipendenza della Ucraina ha un paladino nella persona di Volodymyr Oleksandrovych Zelensky, un attore, regista e comico televisivo, che è presidente dalla Repubblica dal 20 maggio 2019 e ha fatto una campagna elettorale in cui il tono dominante era quello nazionalista. In queste circostanze i Paesi dell’Ue stanno a guardare con sentimenti diversi, dalla prevedibile amicizia per l’Ucraina della Polonia, lieta di accoglierla nella Nato, alla maggiore prudenza di quelli che non vogliono pregiudicare i loro rapporti con la Russia e avevano sperato che l’Ucraina divenisse una Svizzera centroeuropea fra Paesi che hanno appartenuto per molti anni a blocchi contrapposti. È una occasione definitivamente perduta? Neutrale, l’Ucraina sarebbe molto più rispettata e autorevole di quanto sarebbe se la sua politica estera continuasse a essere un interminabile e inutile bisticcio con la sorella maggiore”. E, in una recente intervista, Romano ha dichiarato: “Io credo che se avessimo in qualche modo aiutato Putin, per esempio senza insistere per l’allargamento della Nato fino ai confini della Russia e lasciare che l’Ucraina chiedesse di far parte della Nato, mettendola, per così dire, in una lunga sala d’aspetto piuttosto che lasciarla sperare, beh tutto sarebbe stato probabilmente diverso e meno imbrogliato. Le ripeto oggi quanto ho avuto modo di affermare in tempi non sospetti: che la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il Paese doveva diventare neutrale. È stato completamente irragionevole prospettare la possibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Perché la Nato è un’organizzazione politico-militare congegnata per fare la guerra».

Questo impasto ideologico tra un solido retroterra atlantista e liberale e una parziale “revisione” di pensiero dettata dalla concretezza delle cose vissute, ci dà il Sergio Romano che il 27 novembre scorso afferma categoricamente sul “Corsera” che «Se vuole contare nel mondo l’Ue deve costruire il suo esercito». Una presa di posizione forte, in sintonia con l’asse imperialista franco-tedesco ma rilanciata a tamburo battente in questa fase nella quale Parigi e Berlino, assediate dai grandi problemi dell’energia mancante e da quello spaventoso rialzo dei prezzi del gas che mette in discussione le loro economie, sembrano aver transitoriamente accantonato.

Ma noi dobbiamo sapere da dove proviene, da quale reale postazione ideologica e di classe scaturisce la richiesta urlata che Romano lancia a favore dell’esercito europeo; essa proviene dall’intellighenzia totalmente filo atlantista e, insieme, “ambasciatrice” (per rimanere simbolicamente nel campo di Sergio Romano) del grande capitale transnazionale europeo: una dicotomia, una contraddizione in termini (il filo atlantismo e gli interessi del grande capitale europeo) che, tuttavia, è anche l’esatta cifra, seppur in questi ultimi mesi silente, dell’attuale politica, prassi e strategia dell’Ue.

Il pensiero di Romano, dunque – importante perché non solipsista, ma “avanguardia” intellettuale di tanta parte del grande capitale europeo e dell’attuale “modus operandi” dell’Ue – si organizza attorno ad una sorta di gestaltismo alla Kurt Koffka, per il quale gli oggetti, se sono “vicini”, possono essere uniti in un’unica “ampolla ideologica” e poiché, per Romano, l’atlantismo come concezione del mondo sarebbe “vicino” e consustanziale all’essenza ideologica e agli interessi dell’Ue, ecco che essere con la NATO, appartenervi e nel contempo chiedere la costruzione di un esercito europeo autonomo dalla NATO sarebbero opzioni “vicine”, consanguinee, nel senso di una Gestalt alla Koffka, e accorpabili attraverso un’operazione che per stare in piedi dovrebbe cancellare non solo la dialettica materialista ma anche quella hegeliana e che dovrebbe sfociare in una a-traumatica unità politica, ideologica e storica tra atlantismo e autonomia militare, ma anche politica ed economica, dell’Ue, cancellando utopisticamente dal quadro internazionale e dalla stessa storia concreta il conflitto che sempre vi è tra poli imperialisti, in questo caso tra quello nordamericano e quello, nascente, dell’Ue.

Ma perché ci soffermiamo su questa proposta, da parte di Romano, di unificazione ideologica e pratica tra l’essere atlantisti, essere con la NATO e insieme puntare ad un esercito europeo autonomo, una politica estera autonoma dell’Ue, a prescindere dagli interessi imperialisti oggettivamente contrapposti tra USA e Ue?

Perché tale inclinazione permea di sé non solo l’asse franco-tedesco e con ciò la stessa Ue, non solo le tradizionali e grandi forze liberali, conservatrici e di destra dell’Ue, ma anche le cosiddette forze socialdemocratiche, “democratiche” e “progressiste” europee e italiane, segnando di sé anche le forze cosiddette di “sinistra” europee e italiane ed entrando, a volte, persino in alcuni campi comunisti europei e, soprattutto, italiani, i quali, a partire dall’“impossibilità” di uscire dalla NATO (una “realpolitik” che diviene una resa) si affidano, per giungere a ciò che essi pensano potrebbe essere un “contraltare” della NATO, alla costruzione, alla presenza attiva di un esercito europeo autonomo. E, poiché emanazione di un polo imperialista in progress come l’Ue, imperialista.

E qui, il cortocircuito tra le posizioni di Romano, dell’asse franco-tedesco e delle forze “progressiste”, di “sinistra” e persino, in alcune occasioni, “comuniste”, prende corpo.

Romano, dunque, è interessante poiché si fa prestigioso portavoce sia dell’ala borghese illuminata e, seppur in modo farsesco, “autonoma” dagli USA e dalla NATO, sia dell’asse franco-tedesco (quando esso è in vena di pensare all’esercito europeo) che delle forze “progressiste” e di “sinistra” che ormai accettano come inevitabile, o peggio necessario, l’esercito europeo.

Ma come arriva (forse non del tutto consapevolmente, ma ci arriva) nell’articolo del 27 novembre sul “Corriere della Sera” Romano a mettere in piedi quell’“architettura”, storta come un’opera di Gaudí, ma a prima vista, se letta superficialmente, di “razionale” strutturazione e che unisce in sé sia la vocazione atlantista che l’autonomia dell’esercito europeo?

Ci arriva attraverso questi passaggi:

– nell’incipit dell’articolo così esordendo: «La Comunità europea di difesa morì nel Parlamento di Parigi il 30 agosto del 1954… i tempi non erano ancora maturi. L’Inghilterra e la Francia speravano ancora di conservare i loro imperi coloniali…». Affermando in questo modo, Romano, che uno dei motivi dell’impossibilità, nel 1954, di costruire una Difesa europea comune risiedeva nel fatto che gli Stati imperialisti europei erano ancora in grande e profonda competizione tra loro. Come se gli Stati imperialisti europei attuali avessero cancellato la loro condizione e identità di Stati imperialisti autonomi e in lotta l’uno contro l’altro e fossero pronti ad un’unità sovranazionale sentimentalmente trascendente gli interessi dei loro gruppi interni imperialisti. Un’illusione, questa di Romano, che soggiace alla mitologia di un’Unione europea già costituitasi, mentre l’attuale Ue altro non è che un’invenzione, un artifizio privo di basi materiali storiche, economiche e culturali, un vero e proprio “kunstgriff” (come dicono con molta forza evocativa i tedeschi) al servizio del grande capitale transnazionale europeo, solo desideroso di abbattere salari, diritti e welfare sul piano continentale attraverso il governo Quisling di Bruxelles:

– «Il colpo di grazia alla CED (Comunità di Difesa Europea) – scrive Romano nell’articolo del 27 novembre – fu inflitto dalla creazione della NATO con un Trattato firmato a Washington il 4 aprile 1949». Ha ragione, Romano, ma allora come fa a non comprendere la propria, enorme e personale contraddizione, che è la stessa contraddizione dell’asse franco-tedesco e dell’Ue, nel momento in cui rilancia una sorta di “nuova CED” senza porre drasticamente in discussione, al di là di alcune e comunque importanti critiche alla NATO, l’appartenenza dei Paesi Ue all’Alleanza Atlantica, che sempre più si allarga nel continente europeo, come dimostra la recentissima entrata nella NATO di Svezia e Finlandia?

Siamo di nuovo di fronte ad un gestaltismo tendente ad unificare tutto ciò che appare uguale ma uguale non è. Un’operazione intellettuale opportunistica e subordinata al retaggio borghese di Romano e alla sua collocazione nel fronte del grande capitale transnazionale europeo;

– per ciò che riguarda la crisi ucraina così Romano scrive: «L’evento (l’intervento della Russia in Ucraina, N.d.R.) coinvolgeva l’intera Europa e avrebbe avuto inevitabili conseguenze per la sicurezza delle nostre frontiere, per i nostri rapporti con la Russia e per il futuro dell’intera regione… Avremmo dovuto (come Ue, N.d.R.) se necessario, ricorrere ad un intervento militare… Soltanto in questo modo avremmo evitato che la crisi ucraina venisse gestita soltanto a Mosca e a Washington con l’impiego della NATO». Ora, al di là del fatto che Romano concepisce (e ciò è normale e conseguente rispetto alla sua “cultura” imperialista) un esercito europeo che, “se necessario”, doveva ricorrere ad un intervento militare contro la Russia, collocando l’esercito europeo che Romano ha in testa (e che ha in testa l’Ue) esattamente sullo stesso piano della NATO, ma, di nuovo: come è possibile pensare ad un esercito europeo autonomo che addirittura entra in guerra contro la Russia non ponendo il problema dell’uscita dell’Ue dalla NATO? Intanto, andrebbe fatto notare a Romano che se quell’ esercito europeo che lui ha in testa avesse attaccato la Russia avrebbe fatto il lavoro sporco per la NATO, “sarebbe stata la NATO”, ma il punto è che tale esercito avrebbe potuto prendere quella eventuale decisione di guerra solo se in piena autonomia dalla NATO, obiettivo mai dichiarato né da Romano né dall’asse franco-tedesco, né da Bruxelles, né da quell’area – fortunatamente in minoranza – di comunisti italiani filo Ue che, conseguentemente a questa loro “distorsione”, sono anche per l’esercito europeo.

La chiusura dell’articolo di Romano è il compendio delle sue posizioni: «Non credo che la situazione sia cambiata. Se vogliamo che l’Ue divenga la Repubblica Federale dell’Europa, i suoi sei Stati fondatori devono conservarne la guida, dotandosi di un esercito comune». Ormai la contraddizione l’abbiamo rimarcata: che guida militare potrebbero svolgere i sei Paesi fondatori se l’Ue rimanesse ancorata alla NATO?

Sino ad ora abbiamo messo in luce le contraddizioni di Romano (e lo abbiamo fatto non per affrontare Romano, ma perché le sue contraddizioni sono le stesse che hanno sia l’Ue che le stesse, maggiori, forze politiche di destra e di sinistra moderata dell’Ue). Ma ora affrontiamo la questione della costruzione dell’esercito europeo dal punto di vista antimperialista, comunista, di classe. E per far ciò abbiamo bisogno di “capire” l’essenza della stessa Ue (per questo obiettivo “pescherò” in alcuni dei miei stessi, precedenti, scritti relativi all’Ue).

Il Trattato di Maastricht viene firmato il 7 febbraio del 1992. Occorre fare attenzione alle date: il 26 dicembre del 1991 viene ammainata dalle cupole del Cremlino la gloriosa bandiera sovietica. Gorbaciov tradisce il movimento comunista e antimperialista mondiale e consegna – per il tempo breve che passerà dalla fine sovietica alla ripresa del fronte antimperialista internazionale – il mondo alle forze imperialiste. Passa poco più di un mese dal suicidio dell’URSS e con la ratifica del Trattato di Maastricht nasce di fatto l’Ue.

C’è una accelerazione forsennata verso il tentativo di costituzione dell’Ue, del suo impianto istituzionale, politico, economico e ideologico. Perché questa accelerazione? Nella risposta a tale quesito risiede buona parte della stessa risposta alla domanda relativa alla natura politica e ideologica dell’Ue, alla razionalità storica, o meno, della costruzione dell’Ue. Alla contraddittoria appartenenza dell’Ue alla NATO.

La “via Gorbaciov” all’autodissoluzione dell’URSS spinge Fukuyama a dichiarare, a nome dell’intero fronte capitalista mondiale, “la fine della storia”. Il capitalismo – asserisce Fukuyama – è natura e dunque immutabile e il socialismo è un’illusione ottica. A partire dalla scomparsa dell’immensa diga antimperialista rappresentata dall’Unione Sovietica le forze imperialiste e capitaliste vedono il mondo come un immenso e totale mercato da conquistare. Con le buone o con le cattive.

Anche il grande capitale transnazionale europeo ha la stessa visione di un intero mondo trasformato in uno sterminato e nuovo mercato, senza più “la diga sovietica”. Occorre, in virtù di questa visione, attrezzarsi, partecipare alla lotta interimperialista e intercapitalista, conquistare i nuovi mercati battendo la concorrenza nordamericana e degli altri poli capitalistici mondiali.

Come può attrezzarsi, il grande capitale transnazionale europeo per questa nuova battaglia economica?

Nel modo capitalistico classico: si conquistano i mercati abbattendo il costo delle merci, abbattendo i costi sociali generali e avviando una nuova accumulazione capitalistica generale. Come si arriva a ciò? Abbattendo i diritti, i salari e lo Stato sociale. Non in un solo Paese europeo, ma su scala continentale.

Come giungere ad una pianificazione iperliberista sovranazionale funzionale agli interessi dello stesso capitale transnazionale europeo?

Attraverso la costituzione di un potere istituzionale sovranazionale in grado di svuotare di poteri gli Stati nazionali, in grado, dunque, di estendere sul piano continentale una “pianificazione” iperliberista capace di tagliare alle radici i residui lacci e lacciuoli lasciati dal retaggio socialdemocratico europeo diffuso, dando modo al grande capitale di avviare una vasta e lunga stagione iperliberista, antioperaia e antidemocratica.

Il prodotto di tutto ciò è l’Ue di Maastricht, che si dota di un parlamento-farsa, che non può nemmeno legiferare e un Consiglio europeo quale vero cuore del nuovo potere sovranazionale, formato, a conferma e difesa della natura oltremodo verticistica dell’Ue, direttamente dagli esponenti del potere politico e borghese/capitalistico europeo.

La spinta del capitale transnazionale verso l’Ue non ha nulla a che vedere con un vero processo unitario sovranazionale basato sulle pulsioni della dialettica storica e della materialità degli eventi storici unificanti.

Gli stessi Stati Uniti d’America nascono attraverso la lunga lotta delle allora 13 colonie americane che, nella seconda metà del ‘700, lottano unite contro l’imperialismo britannico che le domina. Sarà sulla base di quella lotta anticolonialista che le 13 colonie troveranno la loro coesione e la loro unità, un’unità dalle basi materiali che porta sia alla vittoria contro l’imperialismo britannico che alla Dichiarazione di Indipendenza, nel 1776, degli Stati Uniti d’America. Un nuovo Stato che si dota innanzitutto di un sistema fiscale nazionale dalla natura anche redistributiva: atto statuale primario che l’Ue non adotta mai, poiché la natura intrinseca dell’Ue non può nemmeno immaginare una redistribuzione della ricchezza che vada da Bruxelles verso le aree depresse dell’Ue, una redistribuzione della ricchezza da Berlino verso Atene. Ma, al contrario, la ricchezza deve trasmigrare da un’Atene alla fame ad una Berlino dalle grasse sembianze di un Grosz.

L’Ue è dunque una finzione storica. Non nasce da quella pulsione oggettiva – storica, ideologica, politica, economica, culturale – da cui prendono vita gli Stati Uniti d’America. Gli Stati e i popoli europei non sono sospinti all’unità da eventi storici sovra ordinatori. L’Ue è una contraffazione. Essa è un polo imperialista “antistorico” in contraddittoria ma feroce costruzione. Una costruzione guidata dall’alto, dal potere semi-occulto del grande capitale transnazionale europeo che delega ad operare il ristrettissimo Consiglio Europeo (non il Parlamento europeo che, come abbiamo già affermato, non ha nemmeno i poteri di spegnere le luci nelle proprie sale).

A partire da questa considerazione generale di una Ue come “falso storico”, come un “intero” sovranazionale, in verità mai costituitosi e molto difficilmente costituibile vista la permanenza storica delle potenti soggettività autonome dei Paesi che dovrebbero “essere” Ue ma non lo sono poiché la Storia reale non ha concesso loro di esserlo, perché l’oggettività storica li mantiene ancora nella loro immutata forma di poli capitalistici nazionali in conflitto economico e politico tra loro, a partire da tutto ciò va valutato il rapporto NATO-Ue-progetto di costruzione dell’esercito europeo.

L’Ue trova in verità nella NATO, a partire dalla propria inconsistenza storica, un punto coagulante sostitutivo della stessa, mancante, unità europea. E sta qui, oltre che nella condivisione dell’ideologia liberale e “occidentale” tra USA e Paesi dell’Ue, la difficoltà estrema, per l’Ue, di uscire dalla NATO dotandosi di un proprio esercito autonomo. E sta qui il tentativo “gestaltista” di Romano e della stessa Ue volto ad unire, nella stessa cornice ideologica e ideale, la NATO e l’esercito europeo. Sta qui l’idealismo assoluto di poter pensare ad un esercito europeo senza portar fuori l’Ue dalla NATO.

Nel marzo del 2019 i ministri della Difesa dei Paesi dell’Ue (tra i quali Roberta Pinotti, del PD e del governo Renzi) partecipano ad un summit a Bratislava sulla costruzione dell’esercito europeo, progetto che sembrava in quella fase avere un’accelerazione. I giornali di tutta Europa riportarono il fatto seguente: ad un certo punto dei lavori si unì ai ministri della Difesa europei il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che affermò chiaramente (dichiarazione non supposta ma riportata dai media europei): «Gli USA stessi auspicano la costruzione dell’esercito europeo. L’importante sarà che la sua sede di Comando sia nello stesso Quartier Generale della NATO a Bruxelles». Con tutto ciò che questo voleva dire in termini di subordinazione del futuro esercito europeo al Comando NATO e di fronte al silenzio/assenso dei ministri della Difesa europei.

Per ultimo, per rispondere da comunisti alla pressante richiesta di Romano volta a far sì che l’Ue si doti di un esercito europeo “che all’occorrenza dichiari guerra alla Russia”: ma perché i popoli europei, i lavoratori europei, il movimento pacifista europeo, i comunisti e le forze antimperialiste e avanzate europee dovrebbero essere d’accordo nel dotare un polo palesemente imperialista in costruzione come quello dell’Ue di un esercito che altre funzioni non potrebbe svolgere se non quelle di aggressione militare imperialista sul piano internazionale e di repressione antioperaia sul piano interno? Se l’imperialismo nordamericano fosse senza esercito tutti i popoli e gli Stati del mondo non respirerebbero decisamente meglio?

Luca Lanzalaco: Il governo Meloni e la riforma del MES

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Il governo Meloni e la riforma del MES

Federalismo coercitivo e difesa della sovranità nazionale

di Luca Lanzalaco

meloni giorgia premier chigi lapresse 2022 640x300 1Il 30 novembre 2022 i partiti della maggioranza di governo hanno votato a larga maggioranza una mozione che impegna il governo “a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del MES alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo” (Parlamento italiano – Camera dei Deputati 2022a).

A questo proposito avanziamo due tesi. La prima è che si è trattato di una decisione giusta, anche se la sua formulazione lascia alcuni margini di ambiguità che andrebbero quanto prima chiariti. La seconda che la posta in gioco in questa decisione sia ben più alta ed importante della semplice revisione di alcune procedure di controllo sull’andamento del deficit e del debito degli Stati membri dell’Unione europea. Esaminiamo distintamente le due tesi che, come emergerà chiaramente, sono tra loro connesse. Nel fare questo riprenderò in sintesi temi ed argomenti che ho avuto modo di sviluppare in modo molto più approfondito in altra sede (Lanzalaco 2022).

Prima è però opportuno un chiarimento. Dietro l’etichetta MES nel dibattito politico e nel discorso pubblico corrente si collocano due differenti referenti che, seppur strettamente collegati, vanno tenuti distinti (European Commission 2022, 19-20). Da un lato, vi è il cosiddetto Fondo salva stati che, istituito durante la crisi dei debiti sovrani (2010-2012) per offrire assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà, è stato riformato all’inizio del 2021.

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Domenico Moro: La guerra del dollaro contro l’euro e lo yuan cinese

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La guerra del dollaro contro l’euro e lo yuan cinese

di Domenico Moro

La guerra non è solo quella combattuta con armi letali, come sta avvenendo in Ucraina, ma anche quella combattuta con mezzi non letali e altrettanto devastanti. Tra queste forme di guerra non letale c’è la guerra economica, che oggi viene combattuta con le sanzioni. Ma la guerra economica assume anche un’altra forma. Secondo molti economisti, siamo in piena guerra valutaria. Tale guerra vede il dollaro impegnato contro le altre principali valute mondiali, in particolare contro l’euro e lo yuan renmimbi cinese.

Il dollaro è la principale valuta mondiale, perché è la valuta degli Usa, cioè della nazione economicamente, politicamente e militarmente più potente del mondo e perché è la valuta di riserva e di scambio internazionale. Infatti, le banche centrali sono solite tenere riserve in dollari e le merci internazionali più importanti, in primis petrolio e gas, vengono prezzate in dollari.

Per valutare l’andamento del dollaro, la banca centrale degli Stati Uniti (Fed) nel 1973 ha creato il DXY dollar index, che stabilisce il valore del dollaro rispetto a un paniere di 10 altre valute, tra cui l’euro, la sterlina britannica e lo yen giapponese.

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Francesco Maringiò: La crisi dell’Europa (e dell’Italia). Editoriale

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La crisi dell’Europa (e dell’Italia). Editoriale

di Francesco Maringiò

Un ragionato articolo di POLITICO della scorsa settimana dà voce alle preoccupazioni di «alti funzionari europei furiosi con l’amministrazione di Joe Biden»: «Il fatto è che, se si guarda con obiettività, il Paese che sta traendo maggior profitto da questa guerra sono gli Stati Uniti, perché vendono più gas e a prezzi più alti, e perché vendono più armi”, ha dichiarato un alto funzionario a POLITICO». Ed ancora: «”La legge sulla riduzione dell’inflazione è molto preoccupante”, ha dichiarato il ministro del Commercio olandese Liesje Schreinemacher. “Il potenziale impatto sull’economia europea è molto forte”».

Sono concetti ribaditi dal presidente Francese Macron nel corso della sua visita di stato negli Usa: si è spinto fino al punto di parlare di una «spaccatura in Occidente» per le politiche anti-inflazione dell’amministrazione americana. Infatti il pacchetto di sussidi per la produzione dei semiconduttori (Chips Act) e la dotazione di 430 miliardi di dollari per il clima (Inflation Reduction Act) diventano «sussidi discriminatori che distorceranno la concorrenza» (la definizione è di un funzionario del Ministero degli Affari Esteri francesi).

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Gilberto Trombetta: Corte Costituzionale e diritti violati. La verità è che è anche colpa nostra

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Corte Costituzionale e diritti violati. La verità è che è anche colpa nostra

di Gilberto Trombetta

Meglio tardi che mai. Con le politiche discriminatorie imposte negli ultimi 3 anni prima e con il pronunciamento di ieri della Corte Costituzionale (sarebbe meglio dire Incostituzionale) poi, molti cittadini si sono resi conto che in Italia i diritti sanciti dalla Costituzione vengono violati

Il punto è che non sono stati violati solo negli ultimi 3 anni.

I diritti, compresi quelli fondamentali, sanciti nella nostra Costituzione vengono violati da più di 30 anni.

Sono stati violati con l’adesione all’Unione Europea e all’Eurozona, cedendo cioè sovranità a enti sovranazionali quando la nostra Costituzione prevede esclusivamente limitazioni della sovranità e solo in condizioni di parità con altri Stati.

Sono stati violati con 30 anni di riforme regressive del mercato del lavoro, con l’accettazione della disoccupazione naturale (NAIRU) e della deflazione salariale (NAWRU) volute dalla UE, quando la nostra Costituzione prevede la piena occupazione e un livello minimo di salari che consenta una vita dignitosa.

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Gianni Petrosillo: L’holodomor non è mai esistito

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L’holodomor non è mai esistito

di Gianni Petrosillo

Un giorno i pagliacci del circo mediatico arriveranno ad accusare persino gli elementi di complottare ai danni dei popoli liberi e democratici. Per ora, la narrativa sostiene che sia l’uomo a distruggere il pianeta, soprattutto l’inquinatore giallo o bruno colpevole di voler fare come abbiamo strafatto noi in passato, ma un giorno questo racconto potrebbe essere capovolto per ragioni propagandistiche in qualcos’altro. Avremo la pioggia sterminatrice, il vento massacratore, la terra trema e trama contro il sistema. In realtà ciò avviene di già quando non sappiamo quale dittatore accusare di aver inguaiato il nostro stile di vita. Le teste vuote si moltiplicano bellamente in quest’epoca di decadenza occidentale che genera nemici improbabili, miti farseschi, autocelebrazioni grottesche di inabissamenti epocali descritti come stadi ascensionali per prossime fortune mirabili e progressive.

L’ultima storiella riguarda la strage dei contadini ucraini da parte di Stalin. Vorrei dire che chiunque abbia fatto una tale affermazione è un idiota intergalattico. L’elenco dei diseredati della (s)ragione è lunghissimo e ricomprende storici, giornalisti, politici e vari opinionisti del piffero. Pensare anche solo per un momento che qualcuno possa aver provocato volontariamente una carestia per genocidiare un popolo è da mentecatti.

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Luigi Longo: La guerra Russia-Ucraina: lo stupido e l’analista

italiaeilmondo

La guerra Russia-Ucraina: lo stupido e l’analista

a cura di Luigi Longo

201123 sg biden rdax 775x440 774x280Ho trovato interessante sia la conferenza stampa di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, tenuta a Bruxelles il 25/11/2022 e ripresa dall’agenzia Adnkronos e pubblicata, a mò di stralcio, sul suo sito https://www.adnkronos.com/ucraina-stoltenberg-diventera-membro-nato_5EZiSZ99s7FBWwsQbcCHLa/amp.html, sia l’intervista del colonnello statunitense Douglas Macgregor rilasciata al canale polacco Votum TV e pubblicata sul sito www.comedonchisciotte.org del 24/11/2022.

Le riporto per riflettere sia sulla stupidità di Jens Stoltenberg sia sull’analisi concreta e ragionata del colonnello Douglas Macgregor.

Una precisazione e una riflessione. La precisazione riguarda il concetto di stupidità, una sorta di scherzosa (mica tanto) teoria generale della stupidità umana, elaborata dallo storico Carlo Maria Cipolla (Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, in particolare le pagine 65-77) che così la definisce « Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale […] di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (o occupano). La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescano a raggiungere posizioni di potere e di autorità ». Affermare, come fa Jens Stoltenberg, che « […] Se Putin, o altri leader autoritari, vede che l’uso della forza è premiato, la userà ancora per raggiungere i suoi obiettivi.

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Barbara Bernardini: L’eterna primavera della speranza. Le conferenze ONU sul clima fra passi avanti e inazione

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L’eterna primavera della speranza. Le conferenze ONU sul clima fra passi avanti e inazione

di Barbara Bernardini

Foto Italian Climate Network Aurora Audino e1669971376100 640x420La COP27 di Sharm el-Sheikh – la ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – si è conclusa all’alba del 20 novembre, quasi due giorni dopo il termine previsto. Per arrivare all’approvazione del piano di attuazione ci sono volute due notti di trattative ulteriori, con in mezzo un momento in cui tutto sembrava perso: Frans Timmermans, a nome della Commissione europea, si diceva pronto a lasciare il tavolo, “meglio nessun accordo che un cattivo accordo”.

Poi l’accordo è arrivato, né buono né cattivo: molte delle sintesi riportate da chi era presente e da chi ne ha analizzato i 66 punti – una ben fatta è quella di Italian Climate Network – concordano su quali siano gli aspetti positivi e quelli negativi. Il grande successo del testo finale è l’istituzione del fondo compensativo “loss and damage” che prevede un risarcimento per le perdite e i danni subiti dai paesi più vulnerabili per gli effetti di una crisi climatica che non hanno contribuito a causare. Il risarcimento dovrà arrivare dai paesi che sono i principali emettitori storici – quindi tenendo conto non solo delle emissioni attuali ma anche di quanto abbiano contribuito in passato –, ma per capire chi dovrà contribuire, chi potrà beneficiarne e in che misura, bisognerà aspettare: non è stato deciso nulla in concreto ma si rimanda a una commissione che avrà il compito di districare i nodi che ora sono stati ignorati. La Cina da che parte dovrà stare? Non ha la responsabilità storica degli Stati Uniti, e alla COP27 si è presentata come capofila del fronte dei paesi “vulnerabili”, ma per quanto tempo potrà ancora essere considerata un’economia in via di sviluppo? Al tempo stesso, quello che viene chiamato il fronte dei G77 (in contrapposizione con i paesi del G20), quanta forza negoziale riuscirebbe a mantenere se la Cina si sfilasse?

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Peppe D’Alesio: Gli assassini della NATO sono a corto di armi da inviare al governo dell’Ucraina?

ilpungolorosso

Gli assassini della NATO sono a corto di armi da inviare al governo dell’Ucraina?

di Peppe D’Alesio

Riprendiamo dalla pagina Facebook del compagno Peppe D’Alesio un breve, tagliente commento alle notizie di fonte New York Times e Wall Street Journal secondo cui le forniture di armi della NATO a Kiev (finora 40 miliardi di dollari dichiarati!) non potrebbero più procedere con lo stesso forsennato ritmo degli ultimi mesi perché comincerebbero a mancare soprattutto i proiettili per l’artiglieria ucraina.

Nelle stesse ore, a Bucarest, il segretario generale della NATO, Stoltenberg, svelava al mondo il segreto di Pulcinella, ovvero che «il sostegno di alcuni Paesi che fanno parte dell’organizzazione [NATO] a Kiev non è iniziato con l’invasione russa dello scorso febbraio, ma nel 2014 nel centro di addestramento di Yavoriv». «Ho visto militari canadesi, britannici e statunitensi addestrare militari ucraini», ha aggiunto Stoltenberg [e chi sa quante altre cose interessanti ha “visto”, e non intende rendere pubbliche]. Ed è per questo, ha continuato, che, quando la Russia ha lanciato l’invasione, «le truppe ucraine erano molto meglio addestrate, in grado di contrattaccare». E c’è ancora qualche sciagurato che osa negare che in Ucraina si stia combattendo una guerra tra la NATO al gran completo (che l’ha da lungo tempo preparata) e la Russia sulla pelle e con il sangue dei proletari ucraini e russi.

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Gilberto Trombetta: Costituzione italiana, Trattati Ue o democrazia: il trilemma di Rodrik e l’Italia

lantidiplomatico

Costituzione italiana, Trattati Ue o democrazia: il trilemma di Rodrik e l’Italia

di Gilberto Trombetta

Dani Rodrik è un economista turco che insegna Economia politica internazionale negli Stati Uniti, prima a Princeton e attualmente ad Harvard.

È una delle voci più autorevoli per quanto riguarda la critica alla globalizzazione.

Nel suo libro “La globalizzazione intelligente” l’economista turco introduce un principio che è diventato famoso come Trilemma di Rodrik.

Vediamo in cosa consiste con le parole del suo creatore.

«Se vogliamo far progredire la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato/nazione o alla democrazia politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere fra lo Stato/nazione e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato/nazione e l’autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione».

Secondo Rodrik la globalizzazione è intrinsecamente distruttiva e produce o vincitori o vinti.

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Paolo Sceusa: Obbligo vaccinale: la Corte non può deludere i suoi sponsor

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Obbligo vaccinale: la Corte non può deludere i suoi sponsor

di Paolo Sceusa*

Che la violazione degli obblighi vaccinali sia arrivata a comportare il divieto di lavorare, è di una illegittimità costituzionale così monumentale da non meritare alcuna dotta riflessione esplicativa.

Nondimeno, dalla corte costituzionale mi aspetto nulla di buono.

Si tratta infatti di un organo il cui difetto di indipendenza é altrettanto colossale.

Cinque componenti sono nominati dal parlamento, cinque dal presidente della repubblica e cinque dalle supreme magistrature.

I primi due terzi sono dunque espressione diretta delle istituzioni controllate e quanto alle supreme magistrature, ho già spiegato più volte che ci si arriva solo se graditi al palazzo.

Quindi la totalità (non la maggioranza) della corte è espressione diretta o indiretta dei poteri sulla cui correttezza costituzionale dovrebbe vigilare.

In questa materia, poi, dove il parlamento, il presidente e le supreme magistrature si sono giocate il tutto e per tutto nello stringersi a sostegno dei continui interventi normativi dal governo, emanati sull’onda della pretesa emergenza pandemica, ebbene la corte non potrà certo deludere i suoi sponsor.

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