[Sinistrainrete] Carlo Formenti: La verità sulla guerra russo-ucraina

Rassegna del 06/01/2023

 

 

Carlo Formenti: La verità sulla guerra russo-ucraina

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La verità sulla guerra russo-ucraina

di Carlo Formenti

Ucraina, tra Russia e NATO

In un mondo ideale, quando scoppia una guerra come quella oggi in atto fra Russia e Ucraina, che minaccia di avere gravi conseguenze non solo per le popolazioni coinvolte ma per l’intero pianeta, la prima preoccupazione di chi è in grado – per cultura e competenze – di analizzare le cause reali del conflitto, dovrebbe essere quella di trasmettere le proprie conoscenze al largo pubblico dei non addetti, non solo per aiutarlo a farsi un’opinione corretta su quanto sta accadendo, ma anche per stimolarne l’impegno a fare il possibile, se non per porre fine alla strage, almeno per limitare i danni. Purtroppo non viviamo in un mondo ideale, bensì nell’Italia attuale, cioè in un Paese inglobato in due blocchi economici, politici e militari, l’Unione Europea e la Nato, asserviti agli interessi di una superpotenza come gli Stati Uniti che, oltre a essere la prima responsabile della guerra, è anche determinata a fare sì che essa si prolunghi il più a lungo possibile, nella speranza di rallentare il proprio declino, danneggiando non solo una delle nazioni belligeranti, quella Russia che assieme alla Cina è la sua maggiore controparte geopolitica, ma anche gli “alleati” europei, i quali, dovendo pagare un prezzo elevato ove il conflitto si prolungasse, vedrebbero ridursi la propria capacità competitiva nell’ambito del blocco occidentale. Non stupisce quindi che le classi intellettuali sopra evocate – giornalisti, accademici, esperti di storia, politica ed economia, ecc. -, invece di svolgere un ruolo di informazione obiettiva sui fatti e di analisi scientifica delle loro cause, siano impegnati in una forsennata campagna propagandistica contro una delle parti belligeranti, presentandola come l’unica responsabile della guerra, se non come l’incarnazione del male assoluto.

In questa situazione, ogni tentativo di offrire una visione il più possibile completa e obiettiva degli eventi storici che stiamo vivendo, va premiato diffondendone la conoscenza fra tutti coloro che, consapevoli dell’infame campagna di disinformazione cui siamo sottoposti, sono in cerca di argomenti per contrastarla. Questo post è dedicato a quello che, a mio avviso, è il più consistente dei tentativi in questione, almeno di quelli di cui sia finora venuto a conoscenza. Il suo autore è lo storico e studioso di politica internazionale Marco Pondrelli e il lavoro cui mi riferisco è Ucraina tra Russia e Nato (Anteo Edizioni). Il libro si articola in quattro capitoli dedicati, nell’ordine, alla storia di Russia e Ucraina e dei loro rapporti dall’alto medioevo ai giorni nostri, al cambio di regime che Stati Uniti e Nato hanno fomentato nel 2014 in Ucraina e alle sue conseguenze fino all’intervento russo, a una ricostruzione delle complesse e contraddittorie correnti storiche che hanno portato all’attuale situazione della Russia post sovietica, agli interessi degli altri attori internazionali – Stati Uniti, Europa e Cina in primis – indirettamente coinvolti nel conflitto. Nell’esporne le argomentazioni mi atterrò allo stesso ordine.       

Pondrelli ricostruisce i primi passi della nazione russa partendo dal VI secolo della nostra era, epoca in cui gli slavi orientali si insediano nell’attuale Ucraina, regione anticamente abitata da popolazioni che greci e romani chiamavano Cimmeri. I discendenti degli slavi orientali daranno vita alla Rus, che avrà come capitale Kiev, fondata nell’anno 882, città che solo ai primi del 1000 si emanciperà da Bisanzio diventando sede metropolita. Sembrerebbe dunque che, almeno inizialmente, Russia e Ucraina siano stati una cosa sola, tuttavia Pondrelli ci spiega come già allora le cose fossero più complesse: mentre l’Ucraina occidentale  e la Bielorussia subivano l’influenza dell’Europa cattolica, quelle orientali erano legate a Bisanzio (quindi alla chiesa ortodossa) ed esposte agli influssi dell’impero mongolo.  Questa differenza, annota Pondrelli, è all’origine della visione geopolitica dell’Intermarium, un asse immaginario tracciato fra Baltico e Mar Nero e concepito come baluardo contro la barbarie asiatica (tesi rilanciata dalle potenze occidentali dopo la rivoluzione del 1917).

Annotato che quella narrazione è frutto di una manipolazione ideologica (l’Orda d’Oro mongola era tutt’altro che barbarica, visto che si fondava su strutture statali ibridate con quelle del Celeste Impero cinese, più avanzate di quelle occidentali), Pondrelli passa a descrivere l’evoluzione della parte orientale, l’area “grande russa” centrata sul principato di Novgorod, regione che nel XIII secolo dovette lottare su due fronti: i mongoli a Est, gli Svedesi e i cavalieri teutonici a Ovest (un famoso film di Eisenstein  celebra la vittoria del principe Aleksander Nevksy su questi ultimi). Dal XIV secolo Mosca rimpiazza Novgorod nel ruolo di capitale dei grandi russi e sconfigge i mongoli. Nel XVII secolo una insurrezione cosacca (celebrata da Gogol nel racconto Taras Bulba) caccia i polacchi (Pondrelli osserva in merito che la Polonia non è stata solo oppressa dalla Russia ma, prima che polacchi e lituani venissero cacciati, ha svolto a sua volta il ruolo  di oppressore). Infine, dopo la dissoluzione della nazione polacca, l’attuale Ucraina verrà spartita dagli imperi austriaco e russo fino alla Prima Guerra mondiale e alla rivoluzione del 1917, perpetuando l’opposizione fra le regioni occidentali e orientali.

Prima di passare all’attualità, Pondrelli ripercorre le tappe dell’integrazione dell’Ucraina nell’Urss ricordando come, benché Lenin fosse un convinto assertore del  principio di autodeterminazione dei popoli, a decidere del destino della regione sia stata di fatto la guerra civile fra l’esercito rosso e le formazioni bianche sostenute dalle potenze occidentali. La tesi del presunto genocidio del popolo ucraino perpetrato dai sovietici si basa tuttavia su fatti relativi a un periodo successivo, risale cioè alla carestia dei primi anni Trenta che, secondo la propaganda occidentale, sarebbe stata utilizzata da Stalin per sterminare sia i kulaki (i contadini ricchi) che gli ucraini in quanto entrambi si opponevano alla collettivizzazione forzata (i proprietari macellavano il bestiame e nascondevano il grano invece di consegnarlo alle cooperative agricole statali). Pur non nascondendo gli errori commessi dal regime  (1), Pondrelli contesta sia il merito (il sequestro forzato di bestiame e derrate alimentari fu una mossa obbligata per impedire che la carestia mietesse molte più vittime; inoltre è insensato attribuire al regime una “programmazione” della carestia, così come si sono attribuite all’intenzionalità di Mao le vittime della carestia successiva al fallimento del Grande Balzo in avanti) sia le dimensioni del cosiddetto Holodomor (genocidio): a moltiplicare a dismisura il numero dei morti furono prima la propaganda nazista, poi la campagna anticomunista orchestrata da Reagan, basata sulle tesi di storici che, come Conquest, attingevano a fonti giornalistiche inattendibili (come i racconti di un certo Thomas Walker che spacciò per dati di fatto raccolti in mesi di permanenza in Unione Sovietica  osservazioni relative a un viaggio di appena 13 giorni).

Pondrelli smonta poi l’operazione di “santificazione” di Bandera come padre della patria ucraina, frutto di uno smaccato tentativo di revisionismo storico, in base al quale Bandera sarebbe stato il leader di formazioni nazionaliste ucraine che, nel corso della Seconda Guerra mondiale, si sarebbero battute sia contro i sovietici che contro i nazisti, laddove esistono ampie e inoppugnabili prove che tali formazioni furono strettamente legate all’esercito nazista occupante e ne condivisero i crimini di guerra, fra l’altro partecipando attivamente allo sterminio di centinaia di migliaia di ebrei ucraini. La bufala di Bandera eroe nazionale impegnato su due fronti si basa sul fatto che Hitler ne ordinò a un certo punto l’arresto ma ciò, spiega Pondrelli, non fu dovuto a controversie ideologiche, bensì al fatto che Bandera rivendicava  una Ucraina indipendente (pur senza metterne in discussione l’alleanza con il Reich nazista!) come del resto dimostra il fatto che egli venne liberato nel 44 onde permettergli di combattere contro i sovietici a fianco dei nazisti.   

La dissoluzione dell’Urss nel 91e la conseguente autonomizzazione dell’Ucraina (con la incorporazione di territori come la Crimea e le regioni del Donbass abitate da popolazioni di chiara identità russa) residua quindi un Paese in cui, a seguito di tutte le traversie storiche appena descritte,   convivono lingue, tradizioni, culture e religioni diverse per cui si pone il problema della scelta di un collante che ne definisca l’identità nazionale. Questo collante, sostiene Pondrelli, è divenuto in tempi rapidi una sorta di russofobia che ha preso il posto dell’anticomunismo. La contrapposizione ideologica non aveva infatti più ragione di essere, visto che l’evoluzione dei due Paesi nell’era post sovietica aveva imboccato strade simili, caratterizzate dall’ascesa degli oligarchi che si erano appropriati delle ricchezze sottratte al controllo statale (la differenza, annota Pondrelli, consiste nel fatto che, diversamente da quanto successo in Russia, gli oligarchi ucraini sono riusciti a svolgere un ruolo direttamente politico: vedi il caso di un personaggio come la Tymoshenko). Restava, potente, il fattore della contrapposizione nazionalista, alimentato dalle mire occidentali che, come  era apparso chiaro fin dal vertice di Budapest del 2008, prevedevano di integrare l’Ucraina nella Nato (del resto in quell’anno l’accordo di non espansione della Nato a Est dopo la riunificazione tedesca era già stato violato da tempo). La Russia è riuscita a scongiurare l’inevitabile per alcuni anni, stipulando una serie di compromessi, l’ultimo dei quali ha visto come protagonista il presidente ucraino Yanukovych, finché l’Occidente ha deciso di rompere gli indugi promuovendo  il golpe del 2014, egemonizzato da formazioni estremiste di destra che si sono macchiate di crimini come il massacro di Odessa. A partire da quel momento, gli eventi si succedono rapidamente al ritmo di tessere di domino in caduta: dal referendum per il ricongiungimento con la Russia in Crimea, alla nascita delle repubbliche popolari nella regione russofona del Donbass, al fallimento degli accordi di Minsk, finché l’intensificarsi della guerra civile e l’annuncio di un possibile, imminente ingresso dell’Ucraina nella Nato provocano l’inevitabile intervento russo.

Un’immagine della guerra russo-ucraina

Tuttavia non è solo l’Ucraina a essere divisa fra un’anima occidentale (oggi prevalente) e un’anima orientale. Questa tensione, ricorda Pondrelli, è stata una costante storica anche per la Russia, come testimonia il simbolo dell’impero zarista, l’aquila a due teste che guardano una a oriente l’altra a occidente, direzioni vissute di volta in volta come promesse di espansione e minacce di invasione. Di qui il perpetuarsi della lotta fra la corrente occidentalista e quella slavofila proseguita anche nell’esperienza sovietica. Assediata dalle potenze occidentali la Russia dei Soviet, argomenta Pondrelli, ha dovuto scegliere fra due vie: fare i conti con il peso della tradizione nazionale (una via che la Cina socialista ha imboccato con sempre più decisione a partire dalle riforme degli anni Settanta), oppure agire da “straniero in patria” in attesa della rivoluzione mondiale (2). Si potrebbe dire (con molta approssimazione, in quanto le due opzioni si sono sempre ibridate a vicenda) che due figure come Stalin e Trotsky incarnano simbolicamente queste due alternative. L’ala occidentalista, nella sua forma estrema, è stata egemonica negli anni della privatizzazione selvaggia, quando la politica economica era ispirata da “esperti” come Anatolij Cubajs che, ispirandosi alle teorie di von Hayek e Friedman, predicavano la shock therapy, cioè la transizione immediata al libero mercato secondo i canoni del Washington consensus senza passare da fasi intermedie. Questa scelta si è dimostrata catastrofica non solo sul piano economico (il PIL è calato del 19%; il tenore di vita del 49%; la produzione industriale del 46%; gli investimenti del 25%; mentre il  debito pubblico e la povertà sono aumentati, rispettivamente, dell’11% e del 40%), ma ancor più su quello geopolitico che ha visto la Russia sempre più marginalizzata rispetto alle altre grandi potenze ed esposta al rischio di una vera e propria balcanizzazione sul tipo di quella jugoslava (3).

Zelensky con Biden

E’ questo contesto che ha favorito l’ascesa di Putin, il quale ha isolato l’ala occidentalista radicale, ha consentito agli oligarchi di conservare le ricchezze di cui si erano appropriati in cambio alla rinuncia a svolgere un ruolo politico (4), infine ha ripreso il controllo dei confini per garantire gli interessi e la sicurezza del Paese (la guerra contro i terroristi islamici in Cecenia e gli interventi militari in Georgia e in Siria rientrano in questa strategia). Questa nuova assertività preoccupa l’0ccidente ma soprattutto gli Stati Uniti, che vedono risorgere un poderoso ostacolo alle loro mire di espansione a Est. Di qui l’ossessivo ripetersi di campagne propagandistiche che rappresentano il presidente russo come “il nuovo Hitler”, ignorando  il fatto che in Russia esiste un Parlamento eletto a suffragio universale e che il regime gode di ampio sostegno popolare, e dando rilievo a un’opposizione di destra del tutto marginale, laddove  l’unica opposizione che veramente conti nel Paese è quella di un partito comunista profondamente rinnovato che non guarda al passato bensì all’esperienza cinese. Ed è alla Cina che Putin è a sua volta indotto a guardare come al proprio unico alleato, a mano a mano che l’aggressività occidentale cresce fino a tentare di inglobare l’Ucraina nella Nato, piazzando i propri missili nucleari a pochi minuti di volo da Mosca. Le cause della guerra contro l’Ucraina sono insomma simili a quelle che avevano quasi scatenato la Terza Guerra mondiale quando l’Urss aveva inviato i propri missili a Cuba. Del resto, osserva Pondrelli, il fatto che la Russia impegni solo una minima parte delle sue risorse militari, dimostra che  il suo obiettivo strategico non è invadere l’Ucraina, bensì riprendere il controllo sulle regioni di lingua ed etnia russa e costringere l’Ucraina a rinunciare all’ingresso nella Nato.

Putin con Xi Jinping

Quanto al ruolo – o meglio all’assenza di qualsiasi ruolo autonomo- dell’Europa, Pondrelli ricorda come a preoccupare gli Usa e a indurli a provocare il conflitto sia stato, ancor più delle rinnovate ambizioni russe, il timore del saldarsi di un asse russo tedesco che sembrava configurarsi nei primi anni del nuovo millennio: un asse Russia-Germania (e quindi Europa, visto il ruolo egemonico di Berlino nella Ue) e la sua possibile proiezione verso la Cina, impegnata a costruire la Nuova Via della Seta, rappresenterebbe infatti un compattamento del continente eurasiatico che taglierebbe fuori gli Stati Uniti. Ecco perché, conclude Pondrelli, la guerra ucraina è anche e soprattutto una guerra contro l’Europa, per staccarla dalla Russia e indebolirla economicamente, un progetto che gli Stati Uniti stanno mettendo in atto con l’appoggio dell’Inghilterra e dei Paesi  dell’Est Europa. 

Note

(1) Sulle conseguenze dell’abbandono della NEP decisa da Lenin (che anticipava di mezzo secolo le riforme cinesi dell’era post maoista) da parte di Stalin, e della conseguente decisione di imboccare la strada della collettivizzazione forzata cfr. quanto scrive Rita di Leo in L’esperimento profano, Futura, Roma 2011.

(2) In un certo senso, la sinizzazione del marxismo messa in atto dal PCC, che mixa i principi marxisti con elementi della tradizione culturale cinese, può essere considerata un esempio riuscito della prima via (cioè fare i conti con la tradizione nazionale), laddove l’adattamento della teoria marxista alle concrete condizioni storiche della Russia da parte di Stalin non è stato abbastanza radicale, nella misura in cui è rimasto legato ad alcuni dogmi che hanno condizionato lo sviluppo del Paese (vedi nota precedente). Al tempo stesso la via di Trotsky – che negava la possibilità stessa di costruire il socialismo in un solo Paese – era ancora più dogmatica e avrebbe quasi certamente condotto alla dissoluzione dell’Urss già nel periodo dell’interguerra.

(3) Ne Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere (Laterza, Roma-Bari 2017) e in altri testi Domenico Losurdo mette giustamente in luce come la balcanizzazione e successiva colonizzazione della Russia sia un antico sogno occidentale del quale l’invasione da parte del Terzo Reich hitleriano rappresentò il più tragico tentativo di mettere in atto.

(4) Anche da questo punto di vista sembre che Putin si inspiri alla lezione cinese, nella misura in cui il socialismo in stile cinese si fonda appunto sulla libertà accordata a certi imprenditori di accumulare ricchezze senza consentire loro di convertire il potere economico in potere politico. La differenza è che in Cina la proprietà pubblica e il controllo dei settori strategici dell’economia da parte dello Stato-partito restano ampiamente maggioritari mentre in Russia sono stati smantellati.

Roberto Fineschi: Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!

marxdialectical

Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!*

Ratzinger, a Roma via Friburgo

di Roberto Fineschi

hbnhhjkb1. Il “pastore tedesco”

L’evento è stato mondiale, oggi più che in passato. L’esposizione mediatica cui la Chiesa Cattolica (d’ora in poi CC) è stata sottoposta sotto Giovanni Paolo II ha reso l’elezione pontificia un fatto più internazionale che mai. Chi gode della parabola o delle fibre ottiche avrà ammirato in varie lingue – dall’inglese al francese, passando per il tedesco – agonia e funerali del fu regnante, preparativi ed elezione del nuovo: una vera e propria ubriacatura eterea.

Della concezione politico-sociale di fondo – o della Dottrina Sociale che dir si voglia – della CC si è già detto in passato (vedi Contraddizione, n. 77), vediamo che riflessioni si possono fare oggi a proposito del nuovo pontefice: Joseph Ratzinger. Il “pastore tedesco”, come è stato beffardamente ma efficacemente battezzato dal quotidiano “Il manifesto”, ha sfatato la consuetudine per cui chi entra papa esce cardinale; dato per vincente dai bookmaker, ha pagato poco chi ha scommesso su di lui: entrato papa è uscito papa col nome di Benedetto XVI.

Nato in Baviera nel 1927 in una famiglia profondamente cattolica da padre gendarme, non è tuttavia filo-nazista – così si legge nella sua autobiografia1 – anzi vive con apprensione l’entrata in guerra e la politica espansionistica hitleriana. Non ancora diciottenne, Joseph prenderà parte al conflitto nella contraerea – ma lui non spara – quando l’esercito tedesco era arrivato ad arruolare perfino i ragazzini. Studia teologia e si fa la fama di “liberal”, tanto che, giovanissimo, partecipa al Concilio Vaticano II come consulente del cardinal-arcivescovo di Colonia Frings; i buontemponi in rosso lo battezzano bonariamente il “teenager” in quanto, allora poco più che trentenne, tale sembrava in mezzo a tante cariatidi.

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Fulvio Bellini: Il fascismo del XXI Secolo

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Il fascismo del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

IMMAGINE ARTICOLO BELLINILa struttura in crisi: lo Stato in mano alla sola borghesia

In svariati passaggi delle opere di Karl Marx si parla di struttura e sovrastruttura, e in premessa del presente articolo, si desidera ricordare che questi concetti sono attuali, che abbracciano ideologie e politica, e che spiegano il titolo di questo scritto. Come noto, la descrizione sintetica ma limpida di struttura e sovrastruttura il filosofo di Treviri ce la pone nella prefazione del testo Per la critica dell’economia politica del 1859: “Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale e a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale. I cambiamenti nella base economica portano prima o dopo alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura”.

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Lorenzo Palaia: Discorso di fine anno: elogio di una nave che affonda

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Discorso di fine anno: elogio di una nave che affonda

di Lorenzo Palaia

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica è iniziato con la consueta formula “cari concittadini e care concittadine”, ma in realtà il Presidente avrebbe voluto dire “cari alleati americani ed europei, cara commissione, cari tesoro americano e banca centrale europea, cari JP Morgan, Moody’s, Goldman Sachs, Standard & Poor’s ecc.”; essendo tuttavia la lista molto lunga e poco popolare, e dovendo ancora salvaguardare l’apparenza facendo credere al mondo di essere in una democrazia, ha preferito optare, lui stesso o il suo spin doctor, per il classico appello agli italiani. Non uno di quelli calorosi, sinceri e spontanei, fatti a braccio e quasi scusandosi del Presidente Pertini – “vi confesso che non volevo introdurmi nell’intimità delle vostre case in questo giorno di festa in cui celebrate il sorgere dell’anno nuovo” – ma un appello tronfio, fatto in piedi leggendo un prodotto preconfezionato, a tratti retorico e ancor di più falso e autocelebrativo; celebrativo non, ovviamente, della personalità del Presidente, ma della società capitalistica europeo-occidentale, rappresentata come la via giusta e santa che avrebbe portato pace e prosperità, un mondo globale, la fine della storia, se solo tale speranza non fosse stata macchiata dall’aggressione russa al fiero popolo libero e democratico ucraino.

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Diego Fusaro: Il mio ricordo di Ratzinger, gigante teologico-filosofico

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Il mio ricordo di Ratzinger, gigante teologico-filosofico

di Diego Fusaro

Negli Scritti corsari, Pasolini scriveva che la Chiesa “potrebbe essere la guida, grandiosa ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano […] il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso”. Per questa via, il cristianesimo, ritrovando la propria originaria opposizione al potere mondano, potrebbe divenire parte integrante della protesta contro la falsità universale del regime del tecnocapitalismo, ponendosi come momento non secondario del “grande rifiuto” in nome della verità negata: ancora con le parole di Pasolini, “è questo rifiuto che potrebbe quindi simboleggiare la Chiesa: ritornando alle origini, cioè all’opposizione e alla rivolta. O fare questo o accettare un potere che non la vuole più: ossia suicidarsi”. Per non evaporare del tutto e, dunque, per non suicidarsi, il cristianesimo e la Chiesa di Roma saranno costretti a opporsi al potere dominante del market system, con ciò intercettando la protesta che sempre più prenderà forma nell’eterogeneo fronte degli sconfitti della globalizzazione mercatista.

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Caitlin Johnstone: Perché dovremmo sostenere le proteste nei paesi attaccati dall’imperialismo?

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Perché dovremmo sostenere le proteste nei paesi attaccati dall’imperialismo?

di Caitlin Johnstone*

La pagina web Truthout ha recentemente pubblicato un articolo intitolato “La sinistra può sostenere i manifestanti in Cina senza servire l’imperialismo statunitense“, con un sottotitolo che afferma che “i lavoratori cinesi e gli uiguri hanno bisogno della solidarietà della sinistra di tutto il mondo“, e in nessun punto tenta di difendere una delle due affermazioni.

L’articolo contiene commenti di Rebecca E. Karl della New York University ed è pieno di fraseologia di sinistra come “patriarcato eteronormativo” e “presa egemonica del potere bianco“, ma non c’è alcun tentativo di sostenere l’affermazione che la sinistra può sostenere i manifestanti in Cina senza essere al servizio dell’imperialismo statunitense o l’affermazione che essi hanno bisogno della solidarietà delle sinistre di tutto il mondo.

Il motivo è che queste affermazioni sono totalmente infondate. Mi imbatto continuamente in affermazioni di questo tipo e spesso le metto in discussione, ma nessuno è mai stato in grado di spiegarmi in modo logico e coerente che cosa ci guadagnano le persone di sinistra nel mondo anglosassone a mostrare “sostegno” o “solidarietà” con i manifestanti in nazioni come la Cina e l’Iran, che sono obiettivi di un cambiamento di regime da parte dell’impero centralizzato statunitense.

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Giulio Tarro: Cina,“Ma quale Covid, vi spiego che sta succedendo”

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Cina,“Ma quale Covid, vi spiego che sta succedendo”

Americo Mascarucci intervista Giulio Tarro

L’Unione Europea cerca una risposta comune sul fronte degli arrivi dalla Cina, che sembra nuovamente travolta dall’emergenza Covid. Sempre più paesi intanto impongono test negativi ai viaggiatori. Xi ammette che il Paese è “ancora in un momento difficile”, ma che si intravede “la luce della speranza”. Continuano invece a calare i casi Covid in Italia, anche se meno delle scorse settimane, e torna a scendere anche il numero dei decessi. Ne parliamo con il medico e virologo Giulio Tarro primario emerito dell’Ospedale Cotugno di Napoli, allievo di Albert Sabin, inventore del vaccino contro la poliomielite, e proclamato miglior virologo dell’anno nel 2018 dall’Associazione internazionale dei migliori professionisti del mondo.

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Professore, che sta succendendo in Cina?

“Temo che ancora una volta si stia facendo un allarmismo mediatico su un qualcosa che è del tutto normale. C’è in corso un’influenza e mi risulta che i cinesi, diversamente da ciò che raccontano i nostri media, siano tranquillissimi”.

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Paolo Bartolini: Oltre i fondamenti, senza cadere nelle tentazioni nichiliste

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Oltre i fondamenti, senza cadere nelle tentazioni nichiliste

di Paolo Bartolini

Torno sulla dipartita del papa emerito, perché ritengo importante sottolineare un aspetto filosofico (non teologico) sotteso al confronto di questi giorni sulla pregnanza del pensiero di Ratzinger. Nell’area antisistema e sovranista sbocciano celebrazioni del trapassato che stupiscono appena. Si riconosce, allo strenuo difensore dell’ortodossia cattolica, la capacità di tenere insieme fede e ragione contro le derive del transumanesimo e del globalismo uniformante. Nel gioco simbolico delle contrapposizioni è evidente che Papa Francesco sia l’obiettivo di una critica, strisciante od esplicita, a una religione che si apre a numerose contaminazioni. Insomma, e per farla breve: di fronte alla deterritorializzazione continua imposta dal capitale e al potere astraente dell’apparato tecnico contemporaneo, si cerca un nuovo radicamento nell’essere, nella Parola tradizionale, nel fondamento che resiste alla manipolabilità infinita che scienza moderna, economia di mercato e comunicazione massmediatica vorrebbero assegnare alla vita organica, ai corpi, alle culture.

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Claudio Gnesutta, Matteo Lucchese: Il nodo politico dell’inflazione

sbilanciamoci

Il nodo politico dell’inflazione

di Claudio Gnesutta, Matteo Lucchese

Di fronte all’inflazione italiana, le politiche monetarie restrittive sono inadeguate, le questioni chiave sono il conflitto distributivo prodotto dall’aumento dei prezzi, le possibili politiche dei redditi, gli spazi per una politica che metta al centro la difesa dei redditi reali

inflazione 0 1140x600Dalla seconda metà del 2021 l’economia italiana, come le altre economie occidentali, è stata colpita da un grave shock inflazionistico, partito dall’aumento dei prezzi dell’energia importata. Le tensioni che sono state messe in moto hanno effetti profondi – nel breve come nel medio periodo – sull’economia del Paese. Per comprenderne la portata e gli effetti occorre guardare ai fenomeni inflativi come processi di riaggiustamento (economico e sociale) in seguito ad uno shock dovuto all’improvviso trasferimento di reddito reale dall’interno all’estero, che si esaurisce quando l’assetto distribuivo (e produttivo) interno risulta socialmente “accettabile” nelle nuove condizioni interne e internazionali.

 

I termini della questione.

Lo shock inflazionistico che stiamo osservando origina dall’esterno del sistema economico nazionale – è dovuto essenzialmente all’aumento dei prezzi dei beni energetici importati, e solo in seconda battuta, di quelli alimentari (i dati sull’inflazione sono presentati nell’articolo di Giuseppe Simone e Mario Pianta https://sbilanciamoci.info/inflazione-e-salari-i-dati-e-le-politiche/). Si tratta cioè di uno shock che ha inizialmente aumentato i costi di produzione delle imprese, lasciando immutato il livello dei redditi interni. Sul piano macroeconomico, l’aumento del prezzo dei beni energetici implica – a parità di energia importata – un trasferimento netto di reddito reale dai paesi che subiscono l’aumento a quelli che forniscono la materia prima; un flusso di trasferimenti che si ripete fin tanto che dura la maggiore dipendenza del paese da tali importazioni.

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Rocco Ronchi: Ernst Bloch: perché ci si alza la mattina?

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Ernst Bloch: perché ci si alza la mattina?

di Rocco Ronchi

Ersnt Bloch Ci sono delle buone ragioni per sperare? Oppure, detto più prosaicamente ma anche in modo maledettamente più concreto, “perché ci si alza la mattina?”. Se nella notte ci si è rigirati insonni nel letto era proprio perché quella domanda non sembrava trovare risposta. La speranza in certe ore notturne è proprio come morta. “Perché ci si alza allora la mattina?” chiede il filosofo Ernst Bloch nella sua conversazione del 1964 con Theodor W. Adorno, da lui chiamato amichevolmente Teddy (Qualcosa manca… sulla contraddizione dell’anelito utopico contenuta in Ernst Bloch, Speranza e utopia, Conversazioni 1964-1975, a cura di R. Traub e H. Wieser, Mimesis, Milano 2022). Quali sono le radici metafisiche di quella folle speranza in un giorno migliore senza la quale l’esistenza sarebbe intollerabile? Il curatore italiano del libro Eliano Zigiotto, come Laura Boella, che lo correda con una breve e intensa post-fazione (dal titolo: Il coraggio di sperare e di disperare) insistono nel “datare” queste conversazioni: sono, ripetono, di cinquanta – sessanta anni fa quando il mondo era profondamente diverso, quando la guerra fredda imperava e la filosofia era praticata come atto critico e sovversivo.

Bloch e Adorno (per non parlare di György Lukács, compagno di studi filosofici del giovane Ernst, anche lui fugacemente presente in questi dialoghi) erano filosofi che nell’hegelo-marxismo avevano il loro orizzonte di riferimento teorico e nel socialismo quello pratico. Le loro strade certo divergono, anche drammaticamente, ma tutti condividono la speranza in una trasformazione radicale dello stato di cose, anzi il loro dissidio nasce proprio dai diversi modi in cui questa comune speranza può essere declinata.

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Costanzo Preve: Teologia e filosofia per studenti della scuola dell’obbligo

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Teologia e filosofia per studenti della scuola dell’obbligo

Considerazioni su Joseph Ratzinger, Umberto Eco, Vito Mancuso e Telmo Pievani

di Costanzo Preve

Con il solito ritardo, pubblico questo saggio dell’ottimo Costanzo Preve

162647405 9f717349 53e5 474c ac48 3417f35e27f9Umberto Eco ha concesso un’intervista al giornale tedesco Berliner Zeitung del 19/9/2011. Cito dal virgolettato riportato da “Repubblica”, 20/9/2011. Afferma Eco:

“Ratzinger non è un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, e nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole. In sei mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo. Si può stare certi che alla fine presenterei almeno venti posizioni filosofiche differenti. Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto XVI, come se fossero una posizione unitaria, è estremamente naif”.

Ho conosciuto molti anni fa Umberto Eco in un seminario residenziale dei gesuiti all’Aloysianum di Gallarate. Era esattamente quello che sembra: un brillante e superficiale retore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione. Ma qui siamo alla vera e propria “boria dei dotti” di cui parla Vico (sia pure in un altro contesto), per cui persino Ratzinger è sottoposto alla correzione delle tesine con matita rossa e blu.

Ho superato purtroppo da tempo l’età della scuola dell’obbligo. Ma voglio dire la mia. Affronterò prima il tema della teologia, e poi quello della filosofia. Dico subito che per me Ratzinger è un filosofo di primo livello, del tutto indipendentemente dal suo ruolo di papa e dal fatto che personalmente non sono in alcun modo una pecorella del suo gregge.

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Andrea Zhok: Nota a margine per la morte del papa emerito Benedetto XVI

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Nota a margine per la morte del papa emerito Benedetto XVI

di Andrea Zhok

Premesso che chi scrive non ha alcun titolo a parlare di un’istituzione millenaria, di cui neppure fa parte, tuttavia la vicenda della diarchia tra Benedetto e Francesco, connessa manifestamente e dichiaratamente a scontri di potere all’interno della Chiesa cattolica, segnala uno slittamento culturalmente rimarchevole – e come slittamento culturale riguarda tutti noi, cattolici e non.

Sin dalla scelta dei nomi gli orientamenti di Ratzinger e Bergoglio erano evidenti, ed evidentemente divergenti.

Rifarsi a Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine monastico dei benedettini, significava rifarsi a quella spina dorsale della cultura cristiana ed europea che erano i monasteri come luoghi di preghiera e lavoro (“ora et labora”). Questi monasteri conservarono la cultura degli antichi e costituirono un modello di comunità ancora oggi esemplare. Studio, contemplazione, lavoro, spiritualità, conservazione e comunità sono qui i riferimenti fondamentali.

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Leonardo Mazzei: Perchè non tornerà il 2020

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Perchè non tornerà il 2020

di Leonardo Mazzei

Forse il Pd ha un’altra potenziale candidata alle primarie di febbraio. Che ne direste di Licia Ronzulli? Per ora è capogruppo di Forza Italia al Senato, ma perché mettere limiti alla provvidenza? Quel che è certo è che la fanatica sempre-vax, colei che il Berluska voleva ministra ad ogni costo, è ormai un’eroina di quel mondo. Stamattina, l’organo semi-ufficiale di Piddinia City, la esalta per il suo no al reintegro dei sanitari non vaccinati. Un no condiviso, sia pure solo con l’opportunistica non partecipazione al voto, da un bel numero di forzaitalioti.

Questa notiziola non meriterebbe alcun commento, se non fosse il tassello di un’offensiva più generale. A fine anno, complici le vicende cinesi, i giornaloni hanno ripreso a suonare la grancassa di un’emergenza Covid che non c’è. Con loro, un’oppofinzione a corto di argomenti ed i soliti virologi in crisi di astinenza: da virus, dunque da palcoscenico.

Costoro sperano tanto in nuove e più aggressive varianti che, dispettose, proprio non si trovano. In loro assenza si accontentano per ora di un sottolignaggio di Omicron, detto Gryphon.

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Kurt Nimmo: BlackRock porta l’accattonaggio di Zelenskyy ad un livello superiore

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BlackRock porta l’accattonaggio di Zelenskyy ad un livello superiore

di Kurt Nimmo

Volodymyr Zelenskyy e Larry Fink si preparano a trarre profitto dalla distruzione dell’Ucraina

BlackRock è la più grande società di gestione patrimoniale e di investimento del mondo. Ha in gestione più di 10.000 miliardi di dollari in fondi dei clienti, una montagna di denaro che getta un’ombra sul PIL di molti Paesi, tra cui la Germania, il quarto PIL più grande del mondo. È lecito affermare che controlla, o ha un’influenza spropositata, sulla Federal Reserve, sulle banche di Wall Street, tra cui Goldman Sachs e Vanguard, sugli incontri del WEF a Davos (e sul suo maniaco del controllo, il Grande Reset) e su tutto ciò che ne consegue, compresi il Presidente Biden e il Congresso.

Larry Fink, fondatore e CEO di BlackRock, si è alleato con l‘Uomo Sempre in Verde, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. “Gli specialisti di questa società stanno già aiutando l’Ucraina a strutturare il fondo per la ricostruzione del nostro Stato,” ha dichiarato l’Uomo in Verde dopo una videochiamata con Fink, secondo Bloomberg.

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Geminello Preterossi: La Complessata

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La Complessata

di Geminello Preterossi

Non intendo nominarla. Voglio parlare di ciò che, per limite obbiettivo o vezzo narcisista prezzolato, è inibito alla sua comprensione. Ed è l’unica cosa che conta.

Come Hegel ha compreso, la chiave pre-filosofica per pensare l’infinito nel finito, la presenza dello spirituale anche in una realtà brada, affetta dal male e dalla contingenza, si trova nel cristianesimo. Nel cristianesimo l’assoluto sperimenta la morte e risorge: cioè permane e ritrova se stesso nella suprema negatività. In questo senso, l’incarnazione di Dio nel Figlio e la sua morte umanizzano Dio, ne portano la sacralità nel mondo, avvicinandola all’uomo. L’interpretazione speculativa dell’incarnazione la colloca a mezzo, come un ponte, tra trascendenza e immanenza. La secolarizzazione di Dio (in senso hegeliano) è cristiana, come matrice, e al contempo meta-religiosa, perché apre la via a un ordine socio-politico autonomo, che ne ha incorporato la spiritualità, ma traducendola in risorsa mondana e combinandola con altre fonti di senso laico. Nel mistero speculativo della Trinità, è messa in scena una drammaturgia del sacrificio del divino nella figura del Figlio, della sua perdita e del suo recupero trasfigurato, nella forma dello spirito vivente, che è presenza comunitaria. Altro che semplificazione!

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Fabrizio Casari: Ucraina, piatto ricco mi ci ficco

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Ucraina, piatto ricco mi ci ficco

di Fabrizio Casari

La trattativa per un cessate il fuoco in Ucraina non sembra nemmeno sul punto di nascere ma in realtà tutti gli addetti ai lavori sanno che da tempo ormai gli Stati Uniti, di fronte all’insostenibilità militare e finanziaria del confronto tra Ucraina e Russia, hanno dato luce verde alla CIA per dare vita ad una ipotesi di negoziato con mediazioni varie, ultima arrivata quella indiana.

C’è da essere fiduciosi sull’apertura di un negoziato? Tutto il sistema politico e mediatico scommette sulla sua impraticabilità, pur se in qualche momento di lucidità ne ravvisa l’improcrastinabilità, dato che Kiev è allo stremo e ancor più lo sono le finanze europee. A sostegno deciso di un’ipotesi che vorrebbe la fine della guerra in Aprile, arriva ora una notizia di assoluto interesse.

Il più grande fondo speculativo del mondo, Blackrock, il cui peso è dato dal volume dei suoi affari (ottomila miliardi di Dollari in portafoglio) e dalla rinomata influenza sulla politica statunitense, lavora alla raccolta fondi per la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Le stime minori per rimettere in piedi il Paese arrivano a 350 miliardi di Dollari, quelle più pesanti si spingono a mille miliardi di Dollari.

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Mauro Armanino: Lettere dal Sahel III

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Lettere dal Sahel III

di Mauro Armanino

 

La banalità del bene

Niamey, 10 dicembre 2022.E’ quella che si manifesta nelle migliori occasioni e circostanze. Si fanno tante (troppe?) cose a fin di bene. C’è chi giustifica l’accaparamento del potere a tempo indeterminato, chi cerca di intruppare il mondo per salvarlo da una gestibile pandemia, chi fabbrica medicine, malattie, armi, munizioni e guerre per il bene di una causa e chi, a fin di bene, ricorda che c’è un Dio da obbedire e un inferno, da qualche parte, da evitare. Esattamente come il male, le vie dei fautori di bene sono infinite. Le scuole proprio per questo sono state inventate: a fin di bene. Le ideologie e talvolta le religioni, hanno mandato al macello le migliori gioventù della storia e, sempre a fin di bene, si consiglia a migranti e avventurieri di rimanere a casa loro. Morire nel mare, nel deserto o nei campi di detenzione e tortura non è il massimo che la vita possa offrire. Quanto la natura produce abbisogna di correzioni, miglioramenti e aggiustamenti strutturali, come per l’economia.

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