[Sinistrainrete] Domenico Moro: La corruzione politica come strumento del capitale

Rassegna del 16/01/2023

 

 

Domenico Moro: La corruzione politica come strumento del capitale

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La corruzione politica come strumento del capitale

di Domenico Moro

CorruzioneRecentemente il tema della corruzione politica ha riacquistato una notevole visibilità a causa delle inchieste della magistratura belga su ex e attuali eurodeputati, accusati di aver ricevuto denaro da parte del Qatar e del Marocco. A quanto sembra, la corruzione, elevata a sistema organizzato, ruoterebbe attorno a una Ong, Fight Impunity, nel cui Board siedono personaggi politici noti come Emma Bonino e Federica Mogherini[i], e il cui presidente è Pier Antonio Panzeri, un ex deputato europeo in quota Pd, che è stato arrestato[ii]. Panzeri è stato membro della direzione del Pd e prima ancora segretario generale della Camera del lavoro di Milano. Oltre a Panzeri sono risultati coinvolti anche il segretario della Confederazione dei sindacati mondiali ed ex sindacalista della Uil, Luca Visentini, e altri deputati del gruppo parlamentare europeo dei socialisti e democratici (S&D), tra cui la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, che è stata arrestata e sospesa dalle sue cariche.

L’inchiesta è caduta come una tegola sulla testa dei socialisti europei e su quella del Pd, già in difficoltà per la sconfitta alle recenti elezioni politiche e alle prese con la preparazione di un congresso e di primarie, che si preannunciano complicate. Tuttavia, non si può dire che, stando all’attualità, la corruzione riguardi solo l’Europa e il Parlamento europeo. Recentemente Ftx, una piattaforma di criptovalute statunitense, è fallita ed è stata accusata di frode, tanto che il suo fondatore, Sam Bankman Fried, è stato arrestato alle Bahamas per conto delle autorità statunitensi e rischia una condanna a 115 anni di prigione.

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Matteo Bortolon: La NATO contro la pace e il diritto

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La NATO contro la pace e il diritto

di Matteo Bortolon

Un ampio testo che rovesciando i luoghi comuni mostra la aggressività dei paesi occidentali in spregio alle istituzioni internazionali promuovendo golpe, invasioni illegali e infiltrazioni di truppe in svariate aree del mondo

balc simbolo nato Il testo di Daniele Ganser Le guerre illegali della NATO, Fazi 2022, è un testo assolutamente da leggere, soprattutto nell’attuale periodo in cui, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Alleanza Atlantica è propagandata come il custode della democrazia e dei valori occidentali. Non è quindi fuori luogo ripercorrere varie tappe di un percorso che vede i principali suoi Stati membri protagonisti delle più clamorose violazioni del diritto internazionale, nonché la stessa NATO impegnata in conflitti in flagrante violazione di qualsiasi legittimità.

Non è l’unico motivo: si tratta di un testo poderoso (537 pp. escluse le note e la Cronologia), zeppo di note, fonti, dati, ma con linguaggio piano e chiaro, facilmente accessibile nella ricostruzione dei vari episodi; senza dubbio è merito del traduttore aver esercitato uno stile così invidiabilmente cristallino, ma dotato di un procedere meditato e ordinato, un po’ differente da quei testi militanti che, quasi divorati dall’ansia della divulgazione indignata, riversano dati e argomenti come pugni sul lettore, correndo da un punto all’altro del filo cronologico. I fatti narrati in diversi punti ci evocano il nostro presente non solo in relazione alle responsabilità di conflitti, golpe, bombardamenti e massacri, ma per le loro modalità attuative, echeggiandoci quello che stiamo vivendo dai primi del 2022. Ma procediamo con ordine vedendo in maniera più precisa i contenuti.

Il testo parte con alcuni capitoli che delineano la nascita delle Nazioni Unite e gli istituti giuridici che sanciscono il divieto di guerra in tutte le sue accezioni; questi primi svelti capitoli sono più che il prologo in senso temporale rispetto agli avvenimenti successivi.

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Ubaldo Fadini: Ordinamenti e sguardo antropologico

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Ordinamenti e sguardo antropologico

Su Ordoliberalismo di Adelino Zanini

di Ubaldo Fadini

9788858339602 0 350 0 75Leggendo il recente e magistrale studio di Adelino Zanini, Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973), il Mulino, Bologna 2022, mi è venuta in mente un’immagine, tra Lyotard e Deleuze, che ne può restituire il disegno teorico che si delinea in più di 500 pagine, vale a dire quella del ‘figurale’, con il suo intento di fondo di carattere anti-rappresentativo, anti-narrativo e decisamente performante in senso radicalmente critico, per così dire.

Può avere un qualche senso questa associazione nel momento in cui questo libro di Zanini si presenta innanzitutto come un tentativo di segno storico-concettuale di ricostruzione di una costellazione di temi e figure, quella dell’‘ordoliberalismo’, così contraddistinto dall’emergere di tante differenze e sfumature non insignificanti da risultare infine come estremamente spregiudicata? È a tale spregiudicatezza, messa ulteriormente a valore dal suo parziale fluire in ciò che è noto come ‘parola-baule’ che ha segnato buona parte della vita economica, sociale e politica del nostro Continente: ‘economia sociale di mercato’, che vorrei fare riferimento in questo mio contributo, virando in particolare e per concludere verso questioni che mi sono più vicine e che riguardano il complesso teorico dell’antropologia filosofica moderna.

Ma prima di arrivare a ciò mi pare opportuno indicare le componenti essenziali di Ordoliberalismo che sono da rinvenire nell’analisi puntuale, quasi a formare delle distinte e accurate monografie, dell’opera di tre studiosi imprescindibili come Walter Eucken, Franz Böhm e Alfred Müller-Armack.

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Marco Cattaneo: L’aumento delle accise, che brutta storia

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L’aumento delle accise, che brutta storia

di Marco Cattaneo

Se c’è una cosa che il governo non doveva fare, era eliminare (in parte a novembre scorso, e per il residuo dall’inizio del 2023) lo sconto sulle accise applicate ai carburanti. Il venir meno dello sconto pesa sul costo attuale al distributore innalzandolo di 30 centesimi (più IVA).

Un bruttissimo errore, sia di sostanza che di immagine.

Di sostanza, perché il maggior problema odierno dell’economia italiana è l’inflazione sui prezzi al consumo, e il modo migliore per mitigarla è abbassare imposte indirette e oneri vari sui generi di prima necessità e a domanda rigida. Categoria nelle quali rientrano anche e soprattutto, a pieno titolo, i carburanti.

Eliminare lo sconto sulle accise, cioè in parole povere aumentarle, va esattamente nella direzione opposta, e sbagliata. Sbagliatissima.

Di immagine, perché è il tipico provvedimento di cui si accorgono tutti. Non è nascosto tra le pieghe della legge di bilancio. Non si confonde nel calderone dei mille più e meno. No, tocca l’intera popolazione che se lo vede nella colonna dei prezzi dei distributori, e se lo ritrova a smagrire il portafogli.

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coniarerivolta: Il Governo cambia, la precarietà resta (anzi, cresce)

coniarerivolta

Il Governo cambia, la precarietà resta (anzi, cresce)

di coniarerivolta

Tra gli amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, va annoverato senza dubbio quello tra la classe politica italiana e la precarizzazione del mercato del lavoro. Da ormai un trentennio, come abbiamo più volte ripetuto, i governi di tutti i colori, in piena ottemperanza delle direttive europee, si sono prodigati nell’introduzione di varie forme di precarietà, che si cristallizzano nel facilitare la sottoscrizione di contratti a tempo determinato, nella progressiva eliminazione delle tutele contro i licenziamenti ingiustificati e nella legalizzazione dell’intermediazione privata tra domanda e offerta di lavoro (leggasi, agenzie interinali). Questa infausta storia, iniziata con il pacchetto Treu nel 1997, vede senza dubbio una pietra miliare nel Jobs Act, parzialmente modificato dal Decreto Dignità. Ora, in maniera non sorprendente, il nuovo Governo sembra intenzionato ad agire di nuovo nel senso di un ulteriore inasprimento della più sfacciata ed estrema precarietà.

Ripercorriamo brevemente i recenti sviluppi di questa sventurata vicenda.

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Rosso Malpelo: De-bello

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De-bello

di Rosso Malpelo

Questo è un titolo trivalente. Può essere interpretato “alla romana”, in senso ironico, come quello che de bello possiamo attenderci prossimamente. Oppure può essere inteso come presente indicativo del verbo debellare, cioè annientare, eliminare. O infine tradotto dal latino “sulla guerra”. Al lettore la scelta preferita.

* * * *

Se esiste una costante storica per l’umanità, essa è la guerra. La guerra si ripropone in ogni epoca, a tutte le latitudini, in qualunque società umana. Scontro violento tra gruppi di individui determinati ad ottenere o conservare beni e vantaggi, la guerra è parte della natura sociale della nostra come di altre specie viventi. Ciò che ci contraddistingue è la progressiva barbarie con cui le guerre avvengono nel corso della storia, l’utilizzo di armi sempre più micidiali e la generale, ipocrita condanna della guerra in tempo di pace nell’attesa del prossimo immancabile conflitto, a cui tutti, più o meno segretamente, sono tenuti a prepararsi.

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Patrick Boylan: Anche negli USA si chiede la pace in Ucraina e il ritiro della NATO

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Anche negli USA si chiede la pace in Ucraina e il ritiro della NATO

di Patrick Boylan

A New York, nella centralissima Times Square e poi presso il People’s Forum lì vicino, si è svolta una grande manifestazione per la pace con uno slogan che la dice tutta: Espansione della NATO NO – Pace in Ucraina SÌ!

Ma com’è possibile riportare la pace in Ucraina dicendo NO alla NATO? Che c’entra la NATO?
Ce lo spiegano gli Statunitensi per la Pace e la Giustizia di Roma, in un loro documento diffuso in occasione della manifestazione dei fratelli newyorkesi. Eccone un brano esteso:

Il conflitto in Ucraina non nasce dal tanto sbandierato “desiderio di impero” del presidente russo, Vladimir Putin, bensì dal molto meno sbandierato “desiderio di impero” della NATO… e di Wall Street. Si tratta di un desiderio di dominare e di sfruttare altri paesi, lo stesso impulso che ha portato alle invasioni (rivelatesi poi ingiustificate) dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia, della Siria e poi, nel 2014, della stessa Ucraina quando, ad assaltare Kiev e ad imporre un leader voluto da Washington, erano le milizie ucraine filo naziste addestrate nelle caserme NATO in Polonia.

Oggi – come nel lontano 2014 – si vede a malapena la mano della NATO dietro l’insorgere dei tragici eventi in Ucraina. Ma c’è. E riconoscere questo fatto è importante perché ci consente, a noi pacifisti occidentali, di poter agire da protagonisti per riportare la pace.

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Maria Rita Prette: La guerra che fingiamo non ci sia

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La guerra che fingiamo non ci sia

di Maria Rita Prette

Incontro-dibattito sul libro La guerra che fingiamo non ci sia di Maria Ri­ta Prette (Sensibili alle foglie, 2018), presso il Leoncavallo Spazio Pubbli­co Autogestito, Milano, 6 novembre 2022

7nytghyCredo sia molto importante parlare della guerra, una parola diventata un po’ tabù: nel senso che come Paese sono una trentina d’anni che fac­ciamo guerre, anche se non le dichiariamo più e le chiamiamo con altri nomi. A ben vedere, quando ho fatto questo lavoro, anch’io ho faticato a chiamare ‘guerra’ le cose che ho incontrato, perché hanno un caratte­re sleale e feroce che va ben oltre il modo in cui i conflitti sono stati concepiti dall’umanità fino al 1991. Dobbiamo quindi guardare queste nuove forme delle guerre per come si esprimono, per come vengono fatte, per i dispositivi che attuano, a partire dal momento in cui hanno cominciato a essere realizzate in queste modalità, ossia: non più due e­serciti che si confrontano.

Forse la seconda guerra mondiale è stato il conflitto ‘di passaggio’ verso questo nuovo modo, caratterizzato soprattutto dall’utilizzo dell’a­viazione; ormai ci siamo abituati al fatto che si bombardino delle città, dei quartieri, dei Paesi, che li si rada anche al suolo. Penso che dovremo rifletterci, perché bombardare una città e raderla al suolo – come han­no fatto gli americani a Dresda nel 1945 e come abbiamo fatto noi in tutti Paesi in cui siamo stati, dalla Somalia all’Afghanistan, alla Libia, alla Siria – vuol dire colpire dei civili. Questo è il primo tabù che viene rotto dalle nuove forme della guerra: a morire sono principalmente i civili, molto meno i soldati.

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Diego Giachetti: Senza padri né maestri. Giovani degli anni Ottanta

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Senza padri né maestri. Giovani degli anni Ottanta

di Diego Giachetti

Pubblichiamo un’analisi di Diego Giachetti sugli anni Ottanta che si inserisce nel progetto della cartografia dei decenni che Machina sta portando avanti e che darà vita in primavera a due Festival, il primo a Roma sugli anni Ottanta e il secondo a Bologna sugli anni Novanta [1]

0e99dc df085f0c2cd34a6791972b677163e24amv2Delle nostre voglie e dei nostri jeans che cosa resterà
Cosa resterà di questi anni Ottanta
Afferrati e già scivolati via
Anni vuoti come lattine abbandonate
Anni rampanti dei miti sorridenti da wind-surf
(Raf, Cosa resterà degli anni ’80, 1989)

Negli anni Ottanta due giovani generazioni s’intersecavano, si combinavano e si scompaginavano. Una, più attempata, aveva per protagonisti gli attori sociali e politici dei movimenti degli anni Settanta. L’altra, infante e adolescente nel decennio precedente, si accingeva a diventare giovane negli anni Ottanta. Il primo e più «anziano» spezzone generazionale stava abbandonando il campo dell’impegno politico, travolto dal riflusso, come si diceva, dopo la sconfitta dei movimenti e delle possibili rivoluzioni, politiche e personali, allora possibili. Una ritirata spesso costretta, rabbiosa, rancorosa, incapace di produrre adattamento e inserimento nella vita quotidiana, ancora in grado di organizzare resistenze sociali, culturali e politiche, minoritarie e sempre più relegate in determinati e specifici ambiti. Parallelamente maturava una generazione «vacua», secondo la definizione del filosofo ex operaista Massimo Cacciari, che aveva evitato il «massacro» della repressione poliziesca e mass-mediologica subito dai giovani estremisti degli anni Settanta, ma che non sfuggì alla rivincita della politica negli anni Ottanta [2]. Una rivincita all’insegna del rampantismo craxiano, della politica come investimento, carriera, affare e accaparramento delle risorse, che preparava il suo fallimento nei confronti della società civile, dei partiti e delle istituzioni, camminando, senza saperlo, verso «tangentopoli», termine usato dal 1992 per definire un sistema diffuso di corruzione politica

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Antiper: Manipolazioni di Marx

antiper

Manipolazioni di Marx

di Antiper

Critica dell’introduzione di Marco Santoro (Giochi di potere. Pierre Bourdieu e il linguaggio del “capitale”) a Pierre Bourdieu, Forme di capitale, Armando editore, 2015

bourdieu marxCi è capitato solo di recente di leggere l’Introduzione che Marco Santoro, noto studioso del sociologo francese Pierre Bourdieu, ebbe a scrivere qualche anno fa per la pubblicazione di Forme di capitale [1].

Dato l’argomento del testo Santoro non può esimersi dal trattare della relazione tra il concetto di capitale in Bourdieu e il concetto di capitale in Marx, ma lo fa in modo da presentare sistematicamente la distanza, il distacco, la critica, la superiorità… di Bourdieu nei confronti di Marx

“molto distante però sia dal marxismo che dalla teoria economica” “[la] teoria economica (inclusa quella di orientamento marxista) concepisce un’unica specie o forma di capitale – il capitale economico” “uno dei capisaldi della visione sociologica di Bourdieu, strumento di rottura rispetto a qualunque visione economicista della società inclusa quella marxista con il suo primato accordato alla sfera economica e in particolare alla produzione di merci” “avvicinando Bourdieu a Weber piuttosto che a Marx” “sostanziale revisione del concetto così come questo era stato incorporato nella teoria economica (inclusa quella marxiana)” “distanza di questa definizione da quella che regge l’impianto analitico marxiano e le sue derivazioni” “prendeva le distanze dal marxismo ortodosso, il cui economicismo e panmaterialismo il sociologo ed etnologo Bourdieu non ha mai nascosto di considerare fuorvianti e inadeguati” “colpire il riduzionismo economicista di cui il marxismo è accusabile almeno quanto la teoria economica” [2]

Niente di particolarmente sorprendente; nelle università italiane si fa carriera trattando Marx come un appestato o almeno presentandone una versione “decaffeinata” e politicamente corretta.

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Giorgio Agamben: Il luogo della politica

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Il luogo della politica

di Giorgio Agamben

Le forze che spingono verso un’unità politica mondiale sembravano a tal punto più forti di quelle dirette a un’unità politica più limitata, come l’europea, che si è potuto scrivere che l’unità dell’Europa poteva essere soltanto «un prodotto collaterale, per non dire di scarto dell’unità globale del pianeta». In realtà, le forze che spingono alla realizzazione dell’unità si sono rivelate altrettanto insufficienti per il pianeta che per l’Europa. Se l’unità europea, per dar vita a una vera assemblea costituente, avrebbe presupposto qualcosa come un «patriottismo europeo», che non esisteva da nessuna parte (e la prima conseguenza è stato il fallimento dei referendum di approvazione della cosiddetta costituzione europea, che, dal punto di vista giuridico, non è una costituzione, ma solo un accordo fra stati), l’unità politica del pianeta presupponeva un «patriottismo della specie e o del genere umano» ancora più difficile da trovare. Come Gilson ha opportunamente ricordato, una società di società politiche non può essere essa stessa politica, ma ha bisogno di un principio metapolitico, qual è stato, almeno in passato, la religione.

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Pierluigi Fagan: Nulla di umano mi è estraneo

pierluigifaganfacebook

Nulla di umano mi è estraneo*

di Pierluigi Fagan

Dopo il volume di aggiornamento sugli studi sugli Indoeuropei di H. Haarmann che abbiamo recensito nel precedente post, passeremo ad un secondo, sempre dello stesso Autore, su casi archeologici o protociviltà che non fanno parte della nostra immagine di mondo mediamente condivisa. Ma prima, vorremmo metterci questo post di riflessione metodologica che citerà alcuni casi trattati anche da Haarmann in “Culture dimenticate” senza però approfondire in termini di recensione specifica. A chi scrive, questi argomenti interessano per svariati motivi, ne cito tre. Il primo è inerente un lungo studio su come e perché si sono formate le prime forme di gerarchia sociale. Tratteremo casi importanti in merito nel prossimo post. Il secondo è di pura ricerca sull’umano (da cui il titolo del post) ovvero verificare i vari nostri modi di essere e reagire nella realtà, dentro le forme di vita associata, nel lungo tempo. Nella “ricerca delle origini”, noi restringiamo lo spazio (all’Europa-Mesopotamia-Egitto, in genere) ed il tempo (gli ultimi duemilacinquecento anni o il doppio in casi di erudizione più sofisticata), poi sintetizziamo una narrazione coerente in sé ma soprattutto con quella attuale più generale che governa la nostra immagine di mondo (e società) contemporanea e proiettiamo il tutto ad universale.

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Andrew Korybko: I migliori funzionari ucraini e statunitensi sono presi dal panico perché 100 miliardi di dollari di aiuti non sono sufficienti

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I migliori funzionari ucraini e statunitensi sono presi dal panico perché 100 miliardi di dollari di aiuti non sono sufficienti

di Andrew Korybko

Il viaggio di Zelensky a Washington il mese scorso non è stato il successo che i Media Mainstream (MSM) dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti hanno presentato come evidenziato dal panico che da allora si è impadronito dei massimi funzionari ucraini e statunitensi. Questi hanno iniziato un’offensiva di guerra dell’informazione sostenendo che i circa 100 miliardi di dollari di aiuti americani che Kiev ha ricevuto finora non sono sufficienti per rimuovere completamente la Russia dai confini precedenti al 2014, figuriamoci per difendersi da eventuali offensive imminenti.

Il ministro della Difesa ucraino Alexei Reznikov ha dichiarato la scorsa settimana alla TV nazionale (video qui, notizia qui, analisi qui) che “Oggi l’Ucraina sta affrontando [la] minaccia (della Russia). Stiamo svolgendo la missione della NATO oggi, senza versare il loro sangue. Abbiamo versato il nostro sangue, quindi ci aspettiamo che forniscano armi”. Ciò è stato seguito dall’ambasciatore ucraino nel Regno Unito Vadim Prystaiko che ha detto poco dopo a Newsweek qualcosa di simile.

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Jack Orlando: Si vis pacem… appunti su guerra o rivoluzione

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Si vis pacem… appunti su guerra o rivoluzione

di Jack Orlando

Evento. Ripetizione. Cronaca. Normalizzazione. Panico. Ansia. Accettazione. Assuefazione.

Nell’epoca della crisi permanente e dell’ipertrofia dell’infosfera ogni catastrofe è merce deperibile.

Ogni “evento” è destinato alla ripetizione seriale fino allo svuotamento di potenza, anticamera della sua normalizzazione e messa a sistema nella sua conversione in dispositivo di controllo.

Crack finanziario, crisi ambientale, pandemia, guerra.

Al panico diffuso dallo schermo si accoda la reazione scomposta tra chi si stringe attorno al re, colpevole della catastrofe stessa, chi tenta di denunciarne la responsabilità e chi diserta ritirandosi nel proprio guscio.

E passano i giorni senza che mai il baratro che si preannuncia dietro l’angolo arrivi mai a compimento, e la catastrofe finisce per essere metabolizzata ed accettata: attorno ad essa si rinsalda il legame sociale, più stretto, soffocante e fragile che mai.

È forse una cattiva abitudine di cultura e immaginario, quello di pensare l’evento come interruzione definitiva del continuum che porti alla fine di tutto. Apocalittismo holliwoodiano.

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