[Sinistrainrete] Nico Maccentelli: Geymonat, il dito e la luna

Rassegna dell’1/02/2023

 

 

Nico Maccentelli: Geymonat, il dito e la luna

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Geymonat, il dito e la luna

di Nico Maccentelli

«…non vogliamo dire che tutto quello che fa un governo sia sbagliato perché capitalista. Ma una sana diffidenza di classe è d’obbligo, perché la scienza non è neutra ma può essere usata per uno scopo o per un altro, così come la tecnologia. Occorre valutare caso per caso le misure prese da un dato governo, ponendosi sempre le domande: a chi giova? Perché?»

(Valerio Evangelisti, Roberto Sassi e Nico Maccentelli, 10 agosto 2021)

«Se la scienza ci portasse a una conoscenza assoluta della realtà, noi potremmo sostenere che essa è in un certo senso neutrale, perché le verità che ci procura – in quanto assolute – non dipenderebbero in alcun modo dal soggetto che conosce, né dalle condizioni sociali in cui egli opera, né dalle categorie logiche o dagli strumenti osservativi usati per conoscere. Se, viceversa, nelle scienze (e conseguente- mente nella concezione generale del mondo che su di esse si regola e si misura) non fosse presente un secondo fattore, e cioè la realtà che esse ci fanno via via conoscere sia pure in modo relativo e non assoluto, le scienze e la filosofia risulterebbero delle costruzioni puramente soggettive: costruzioni senza dubbio non neutrali, perché dipendenti per intero dall’uomo che compie le ricerche scientifiche e dalle condizioni sociali in cui egli opera, ma in ultima istanza non neutrali solo in quanto arbitrarie. Solo la conoscenza dei due anzidetti fattori – l’uno soggettivo, l’altro oggettivo – ci fa comprendere che la scienza non è né neutrale né arbitraria. E solo l’esistenza di un incontestabile rapporto dialettico tra tali due fattori ci fa comprendere che la scienza non è suddivisibile in due momenti separati (l’uno non arbitrario e l’altro non neutrale) ma è, nella sua stessa globalità, non arbitraria e non neutrale, cioè possiede questi due caratteri intrinseci e ineliminabili»1

Questa riflessione del grande filosofo marxista nostrano Ludovico Geymonat ci porta a riflettere a nostra volta su quanto avvenuto negli ultimi tre anni, in cui il mondo si è trovato davanti a un’emergenza (creata? costruita? Anche questo fa parte della riflessione e dal reperimento di dati) come quella del Covid.

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Fredric Jameson: Il senso dei futuri possibili

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Il senso dei futuri possibili

di Fredric Jameson

In questo saggio scritto per Jacobin, il grande critico marxista Fredric Jameson indaga il concetto di utopia come rottura dello status quo e accenno concreto al cambiamento

utopia jacobin italia 1536x560I.

Innanzitutto permettetemi di spiegare il dibattito intorno all’utopia o, forse dovrei dire, intorno agli usi politici dell’utopia. Immagino che la maggior parte delle persone concordi sul fatto che gli utopisti della fine del diciottesimo e dell’inizio del diciannovesimo secolo fossero tutti essenzialmente progressisti, nel senso che le loro visioni o fantasie puntavano a migliorare la condizione della razza umana. Il momento che mi interessa è quello dell’analisi amplificata in cui queste utopie e i loro entusiasti sostenitori vengono imputati in quanto destinati per forza di cose ad avere esiti nefasti. In seguito, ciò arriverà a far sostenere che l’utopismo rivoluzionario porta alla violenza e alla dittatura e che tutte le utopie, in un modo o nell’altro, portano a Josif Stalin: meglio ancora, che Stalin era lui stesso un utopista, su larga scala.

Ora, a dire il vero, ciò è già implicito nella denuncia della Rivoluzione francese da parte di Edmund Burke, e nella sua idea – uno dei più geniali argomenti controrivoluzionari – che sia la hybris degli esseri umani che induca a sostituire la lenta crescita naturale della tradizione con i piani artificiali della ragione, e che questa rivoluzione rappresenti di per sé sempre un disastro. Tutto ciò rivive durante la Guerra fredda: il comunismo si identifica con l’utopia, entrambi con la rivoluzione, e tutti con il totalitarismo (A volte si insinua anche il nazismo: non è tanto la sua identificazione con l’utopia quanto l’equivalenza di Adolf Hitler e Stalin, e i dibattiti che ne derivano sul vincitore nella competizione relativa al numero di morti).

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Fabrizio Poggi: 26 gennaio, Nikolaevka: il sacrificio di tanti giovani per le mire colonialiste fasciste

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26 gennaio, Nikolaevka: il sacrificio di tanti giovani per le mire colonialiste fasciste

di Fabrizio Poggi

720x410c50iuygsDunque, a cominciare dal prossimo 26 gennaio, si dovrà assistere annualmente a una nuova, ennesima, parata di nazionalismo e di esaltazione delle italiche “gesta” che portarono la “civiltà” mussoliniana al di là dei confini patrii: dall’Africa ai Balcani, dalla Spagna all’Europa meridionale e orientale.

Il 26 gennaio è la data decisa dal Parlamento italiano per l’istituzione della “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini“. Ancora una Giornata della memoria, oltretutto a ridosso di quella del 27 gennaio per la liberazione di Auschwitz a opera dell’Esercito Rosso. Perché il 26 gennaio? Perché in quella data, nel 1943, gli alpini combatterono a Nikolaevka (il testo della legge scrive “Nikolajewka”, alla maniera tedesca: d’altra parte, il regime fascista aveva spedito gli alpini in quelle terre per rispondere proprio alla chiamata dell’alleato nazista) e così, ricordare oggi quella battaglia, serve sia a «conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino», sia a «promuovere i valori della difesa della sovranita’ e dell’interesse nazionale». Proprio così; nero su bianco: sovranità e interesse nazionale si promuovono rievocando l’invasione dell’Unione Sovietica, al servizio delle armate hitleriane, insieme a fascisti ungheresi, rumeni, finlandesi, ecc.

L’art. 2 della legge istitutiva della “solennità” dice che le autorità locali sono invitate a patrocinare eventi con «testimonianze sull’importanza della difesa della sovranità nazionale, delle identità culturali e storiche, della tradizione e dei valori etici di solidarieta’ e di partecipazione civile». Ecco: le identità culturali e storiche che, per esempio, prima ancora degli alpini, hanno visto i bersaglieri, «espressione purissima delle virtù guerriere dell’Italica stirpe», prima dar man forte ai franco-turchi sul fiume ?ërnaja, inquadrati nell’armi piemontesi, e poi spingersi in Africa, «sotto il soffocante ed accecante alito del ghibli», quasi un secolo più tardi, a conquistare il “bel suol d’amore” libico.

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Giacomo Gabellini: Armi all’Ucraina, reindustrializzazione degli Stati Uniti e desertificazione dell’Europa

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Armi all’Ucraina, reindustrializzazione degli Stati Uniti e desertificazione dell’Europa

di Giacomo Gabellini

Lo scorso 20 gennaio, i 40 Paesi riunitisi presso la base Nato di Ramstein hanno definito quantità e tipologie di sistemi d’arma da fornire all’Ucraina. Nello specifico, gli Stati Uniti si sono impegnati a consegnare sistemi mobili Avenger, veicoli a ruota Stryker, Mrap e Hummer, mezzi corazzati M-2 Bradley più quasi 300.000 proiettili per i cannoni di cui sono dotati, missili anticarro Tow, munizioni per i sistemi Nasams e Himars, mine antiuomo M-18 Claymore e decine di migliaia di proiettili d’artiglieria da 105, 120 e 155 mm. Il controvalore – 2,5 miliardi di dollari – delle armi inviate nell’ambito di questo nuovo pacchetto porta l’ammontare complessivo dell’assistenza militare assicurata dagli Stati Uniti all’Ucraina a qualcosa come 24,7 miliardi di dollari. Nel computo occorrerà peraltro inserire i 31 carri armati di fabbricazione statunitense M-1 Abrams che, stando alle dichiarazioni del Pentagono e del presidente Biden, dovrebbero arrivare in Ucraina entro l’autunno del 2023.

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Patrizio Paolinelli: Dal mito di Che Guevara a quello di Steve Jobs

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Dal mito di Che Guevara a quello di Steve Jobs

di Patrizio Paolinelli

Ci sono molti motivi per leggere il libro di Marco D’Eramo intitolato “Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi”, (Feltrinelli, Milano, 252 pagg., 19,00 euro). Mi soffermerò solo su uno: l’incredibile ritirata politico-culturale dell’intellighenzia di sinistra dinanzi alla controffensiva del pensiero neoliberista. Controffensiva lanciata dalla componente più reazionaria del capitalismo USA in risposta movimenti di protesta degli anni ’60 e ’70. Ritirata incredibile perché, come recita il sottotitolo del libro, si è trattato di una guerra di cui la sinistra non si è accorta. Guerra che in estrema sintesi è consistita nella graduale occupazione da parte dei neoliberisti delle principali istituzioni statali, a iniziare dall’università e dalla giustizia, per poi passare a quelle economiche afferenti agli organismi nazionali e internazionali. In poche parole i neoliberisti hanno dato l’assalto al Palazzo d’inverno e si sono presi lo Stato, mentre la sinistra era assai distratta.

Ma la sorpresa più scioccante nella ricostruzione di D’Eramo è come il neoliberismo sia arrivato a conquistare la completa egemonia culturale. Tenetevi forte: c’è riuscito utilizzando idee, tattiche e strategie della sinistra.

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comidad: L’establishment trasversale tra il legale e l’illegale

comidad

L’establishment trasversale tra il legale e l’illegale

di comidad

Finalmente è tutto chiaro. Ora sappiamo che cosa ha messo fuori gioco per trent’anni i trecentomila sbirri, le telecamere di sorveglianza, le microspie, le intercettazioni telefoniche ed ambientali, i tracciamenti elettronici, il riconoscimento biometrico e facciale, le foto satellitari, eccetera. La colpa è tutta del salumiere, del tassista e del pescivendolo del paesino, che con la loro omertà coprivano la latitanza del superboss. Dannati favoreggiatori.

Questo tipo di recriminazioni, in cui i media oggi si stanno impegnando, risulta persino più demenziale del gossip sulla vita intima di Messina Denaro, un super-divo di cui la gran parte dell’opinione pubblica non sapeva nemmeno l’esistenza, ed assurto alla gloria in funzione dello spot pro governo della presunta cattura. Basti considerare che si è di fronte ad uno Stato che tranquillamente ammette di non essere impermeabile alle commistioni col crimine organizzato; per cui un cittadino che volesse denunciare, non potrebbe mai essere sicuro dello “sportello” a cui rivolgersi senza incorrere nel rischio di diventare a propria volta un bersaglio.

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Il Chimico Scettico: Sono rimasti a lui

ilchimicoscettico

Sono rimasti a lui

di Il Chimico Scettico

La cosa buona di Tony Blair, a parer mio, è che è scomparso dalla scena politica che conta. Colui che, storicamente, spostò il Labour da sinistra al centro, strettamente legato al magnate dei media Rupert Murdoch, ha peso politico nullo nell’UK post Brexit – che dopo l’uscita non è diventata una nazione del terzo mondo, stranamente .

Ma Blair non è irrilevante nei soliti circoli transnazionali, grazie al suo Institute For Global Change (https://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Blair_Institute_for_Global_Change), a cui tra l’altro preme la ricostruzione del centro politico (come concetto generale). Ed è sicuramente per questo che a Davos è benvoluto.

E a Davos a questo giro cosa ha sparato? Database globale per sapere chi sia vaccinato e chi no.

Pensandoci bene l’Italia è un magnifico risultato di applicazione degli indirizzi blairiani: nell’arco parlamentare c’è solo centro politico, con poche irrilevanti diverse sfumature.

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Kit Klaremberg e Tom Secker: Scomode verità sulla guerra in Bosnia

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Scomode verità sulla guerra in Bosnia

di Kit Klaremberg e Tom Secker*

Su Strategic Culture un ampio resoconto di numerosi documenti declassificati delle forze di pace canadesi di stanza in Bosnia dimostra come le guerre per procura statunitensi siano caratterizzate da un modello ricorrente di operazioni sotto falsa bandiera e messe in scena a scopo propagandistico, con l’obiettivo di sabotare ogni possibile negoziato di pace e spianare la strada ai falchi della guerra della NATO

bosnia titoloUna serie di file di intelligence inviati dalle forze di pace canadesi espongono operazioni segrete della CIA, spedizioni illegali di armi, importazione di combattenti jihadisti, potenziali ‘false flag’ e messe in scena su atrocità di guerra.

Il mito consolidato della guerra in Bosnia è che i separatisti serbi, incoraggiati e diretti da Slobodan Milošević e dai suoi accoliti a Belgrado, cercarono di impadronirsi con la forza del territorio croato e bosniaco al fine della creazione di una “Grande Serbia” irredentista. Ad ogni passo, hanno epurato i musulmani di quelle terre in un genocidio deliberato e concertato, rifiutandosi a qualsiasi colloquio di pace costruttivo.

Questa narrazione è stata diffusa in modo aggressivo dai media mainstream dell’epoca e ulteriormente legittimata dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) creato dalle Nazioni Unite una volta terminato il conflitto. Da allora nella coscienza occidentale questa storia è diventata assiomatica e indiscutibile, rafforzando la sensazione che il negoziato equivalga invariabilmente ad arrendevolezza, una mentalità che ha consentito ai falchi della guerra della NATO di giustificare molteplici interventi militari negli anni successivi.

Tuttavia, una vasta raccolta di cablogrammi di intelligence inviati dalle truppe di peacekeeping canadesi in Bosnia al quartier generale della difesa nazionale di Ottawa, pubblicato per la prima volta da Canada Declassified all’inizio del 2022, smaschera questa narrazione come una cinica farsa.

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Michele Cangiani: Democrazia o guerra

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Democrazia o guerra

di Michele Cangiani

AP23009750804675 960x600 11. La guerra dei nostri giorni

La frequenza delle guerre nell’ultimo ventennio, dopo il crollo del blocco sovietico, costringe a riflettere sul “nuovo ordine mondiale” e in particolare sui fini perseguiti su scala mondiale dalla “grande potenza” rimasta. Quanto ai mezzi, la guerra resta evidentemente in primo piano, anzi tende a diventare permanente e senza regole.

Ben prima del 1989, negli anni Settanta, era iniziata la svolta restauratrice, con le ricette della Commissione Trilaterale per la democrazia (v. Crozier, Huntington e Watanuki 1977) e con quelle monetariste per l’economia, con il neo-liberismo più o meno illiberale e antidemocratico, con Reagan, Thatcher e, prima ancora, Pinochet. Il mito di un mondo unificato dallo “sviluppo” è stato sostituito dalla preoccupazione per la “sicurezza” rispetto alle resistenze della periferia globale, le cui riserve di risorse naturali e di lavoro a buon mercato devono garantire, al centro, i profitti dell’ipertrofica finanza.

Come sempre, le guerre si spiegano in riferimento al quadro storico, all’evolversi delle istituzioni economiche e politiche, nazionali e internazionali. D’altra parte, le nuove caratteristiche della guerra sono di per sé rilevanti, e illuminanti riguardo alla situazione complessiva.

Vi sono guerre locali e periferiche, che occorre comunque comprendere in rapporto con le dinamiche globali del mercato e del potere. Vi è poi quella che potremmo definire guerra civile globale, permanente e asimmetrica. I termini pubblicitari via via inventati per designare gli episodi di questa guerra ne rivelano la novità, mentre ne dissimulano il significato: “operazione di polizia internazionale” (Iraq 1991), “Restore Hope” (Somalia 1992-93), “guerra umanitaria” (Yugoslavia, 1999), “Enduring Freedom” (Afghanistan, 2001), fino alla “guerra preventiva” contro l’Iraq.

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Andrea Sartori: Ridisegnare l’equilibrio

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Ridisegnare l’equilibrio

di Andrea Sartori

equilibrioIl problema dei giochi non cooperativi studiato da John Nash (1928-2015) a partire dall’inizio degli anni ’50 era all’epoca tanto più scottante, quanto più fredda era la guerra che coinvolgeva i due blocchi del mondo. USA e URSS, infatti, non erano inclini a cooperare, sebbene vi fosse per entrambi la necessità di non distruggersi a vicenda assieme a tutto il resto, ovvero alla Terra. L’idea di Nash, espressa in termini matematici, circa un punto d’equilibrio concernente le strategie d’un gruppo di giocatori – razionali – non disposti a cooperare gli uni con gli altri, nacque in quel contesto storico-politico (non a caso, in termini invece giornalistici, quello di allora era un “equilibrio del terrore”).

Oggi gli equilibri internazionali sono in fase di ridefinizione, e contemporaneamente ci si sta rendendo conto che la crisi climatica e ambientale – la crisi della Terra – non è compatibile con un modello di sviluppo implacabilmente lineare, che sfrutti ad libitum le risorse del pianeta, nella convinzione che benessere e ricchezza (per i più fortunati) siano incrementabili in maniera esponenziale, al pari dei profitti d’una impresa in perenne fioritura. In questi anni di crisi neo-modernista della modernità (più che di gioiosa liberazione post-moderna dai difetti della modernità medesima), si fa strada pertanto anche il sospetto che il modello della razionalità moderna, individuato a suo tempo da Max Weber nella correlazione profitable, testabile rispetto agli scopi, dei mezzi e dei fini, sia obsoleto.

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Andrea Zhok: Perché lo fanno? Ricatto o vigliaccheria?

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Perché lo fanno? Ricatto o vigliaccheria?

di Andrea Zhok

È davvero impossibile resistere alle pressioni – nessuno si illude che non ci siano – degli USA, come prima sembrava impossibile resistere alle pressioni della Germania? La corsa delle classi dirigenti verso il peggio

Alla luce dei primi mesi di governo Meloni, una questione si affaccia alla mia mente, relativamente ai margini di movimento della politica italiana.

Ora, non c’è persona dotata di un ancorché modesto comprendonio che non abbia compreso come l’atteggiamento bellicista, e la retorica russofobica che vi si è accompagnata, hanno prodotto e produrranno a lungo termine un danno gravissimo alle sorti del paese. Un paese i cui servizi pubblici stanno collassando, un paese dove la sanità pubblica è stata devastata spingendo chi può nel privato, un paese che continua a perdere popolazione giovane con alte qualifiche parzialmente sostituita da immigrazione disperata con basse qualifiche, ecc. non poteva permettersi quello che si è permesso di fare. Un paese altamente industrializzato ma privo di risorse non poteva permettersi di distruggere i rapporti con il maggior fornitore di materie prime ed energia al mondo, con cui peraltro i rapporti erano ottimi.

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Angelo Baracca: L’Orologio ticchetta verso l’Apocalisse

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L’Orologio ticchetta verso l’Apocalisse

di Angelo Baracca*

Si coniugano alla perfezione due scadenze appena trascorse: il 22 gennaio il primo anniversario dell’entrata in funzione del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN, in inglese TPNW), il 24 gennaio l’aggiornamento annuale del Doomsday Clock: un appuntamento che si ripete dal 1947, e che da vari anni ha esteso le sue analisi e previsioni dal rischio di guerra nucleare alle emergenze che si aggravano, dalla crisi climatica all’esasperazione delle disuguaglianze.

Ovviamente non poteva non influire la sopravvenuta (dopo il 24 gennaio del 2022) guerra in Ucraina, che ha risvegliato l’allarme per un possibile ricorso al nucleare non strategico (il termine che ricorre è nucleare “tattico”, ma questo non è riconosciuto nella terminologia ufficiale).

Da tempo mi interrogavo su quale decisione avrebbe preso il board del Bulletin questo 2023 per aggiornare l’ora segnata dal simbolico Doomsday Clock, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ma anche e soprattutto dopo la sordità delle potenze mondiali agli allarmi crescenti lanciati dagli anni ’90, al punto che a partire dal 2020 le lancette del Clock erano state avvicinate ad appena 100 secondi dalla mezzanotte.

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Giorgio Riolo: Il Brasile di Lula…

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Il Brasile di Lula…

… e la difficile costruzione di un blocco sociale e politico alternativo al sistema

di Giorgio Riolo

Leonardo Boff cita Noam Chomsky “Il Brasile è un caso speciale. Raramente ho visto un paese in cui elementi delle élite nutrono un tale disprezzo e un tale odio per i poveri e per i lavoratori”.

I retaggi della storia e del contesto complessivo delle periferie del mondo. I secoli di schiavitù, e di uso del lavoro schiavistico, dei neri e dell’oppressione e della distruzione delle comunità indigene agiscono sempre. Ieri e oggi. Enormi, intollerabili diseguaglianze, allora e oggi. Oligarchie ricchissime in alto (oggi il vertice costituito da 350 miliardari) e svariati milioni di poveri e di poverissimi in basso. L’odio di classe e l’odio razziale uniti. Come in Venezuela, nei confronti del compianto meticcio Hugo Chavez, e come avviene in generale nell’America Latina.

Oggi con circa 215 milioni di abitanti, in Brasile si contano 33 milioni di affamati e 110 milioni con “insufficienza alimentare”. Metà della popolazione povera vivente nelle disumane favelas, la gran parte neri e meticci.

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Pina Catalanotto: Eduscopio: “Sfida all’ok corral”

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Eduscopio: “Sfida all’ok corral”

Scuola, scuola delle mie brame…chi è la più bella del reame?

di Pina Catalanotto

Se i parametri su cui valutare i migliori licei sono i crediti formativi, siamo sicuri che tali criteri dipendano principalmente dalla scuola di provenienza? Ma quanti e quali fattori condizionano la bontà di una scuola e la sua ricaduta sul territorio? Il tessuto sociale delle famiglie più o meno benestanti e dunque la possibilità di avere a disposizione maggiori strumenti può essere considerato uno dei principali fattori?

Ci siamo! Puntuale come ogni anno arriva Eduscopio, la classifica, città per città, delle migliori scuole superiori d’Italia. E tra open day, scommesse e mugugni riparte la tanto attesa “Sfida all’O.K. Corral”. Quelle in cima alla classifica “ma che bravi che siamo”, quelle che gridano al complotto, le ultime, quelle “sgarrupate” da “io speriamo che me la cavo”, il dibattito si protrarrà fino alla chiusura delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico e per le scuole che vogliono aumentare gli iscritti, essere in cima o in basso alla classifica, fa la differenza.

Sì, perché obiettivo della ricerca Eduscopio, un progetto della Fondazione Giovanni Agnelli, è quello di aiutare gli studenti e le loro famiglie nel momento della scelta della scuola dopo la terza media.

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