[Sinistrainrete] Luigi Pasinetti: Keynes e i Keynesiani di Cambridge

Rassegna del 05/02/2023

 

Luigi Pasinetti: Keynes e i Keynesiani di Cambridge

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Keynes e i Keynesiani di Cambridge

Prefazione all’edizione giapponese del 2017

di Luigi Pasinetti

PASINETTI56Abbiamo appreso con immenso dispiacere della scomparsa di Luigi Pasinetti, uno dei grandi maestri del pensiero economico italiano. Pasinetti è stato uno straordinario interprete del pensiero di Ricardo e dei Classici ed uno dei protagonisti del dibattito tra le due Cambridge sulla teoria del capitale e della distribuzione. Tra i suoi scritti non possiamo non ricordare il paper “The myth (or folly) of the 3% deficit-GDP Maastricht parameter”, pubblicato nel 1998 dal “Cambridge Journal of Economics” in cui dimostrò – senza mai avere smentita – l’idiozia dei parametri di Maastricht relativi al deficit e al debito. Pasinetti era uomo pacato e anche raffinato, tanto nei modi quanto nel pensiero. E con raffinatezza e pacata determinazione lottò con tutte le sue forze per evitare che la valutazione della ricerca nel nostro Paese divenisse uno strumento di orientamento della ricerca scientifica volto a screditare le tradizioni di ricerca eterodosse [Si veda a tal riguardo La Nota di dissenso del 2006 che abbiamo ripubblicato alcuni anni fa su questa rivista https://www.economiaepolitica.it/editoriale/la-qualita-della-ricerca-scientifica-vqr-e-la-nota-di-dissenso-di-pasinetti/]. La sua è una grande perdita. Pubblichiamo qui di seguito uno dei suoi ultimi scritti, la prefazione alla edizione giapponese del libro Keynes e i Keynesiani di Cambridge, apparsa originariamente nel 2017 e mai tradotta in italiano.

La redazione di Economia e Politica

La bozza (originale) del mio libro Keynes and the Cambridge Keynesians. A Revolution in Economics to be Accomplished è stata consegnata alla Cambridge University Press per la pubblicazione nel maggio 2006. Ciò significa che il libro è stato scritto prima dello scoppio della catastrofica crisi economica che ancora oggi attanaglia le economie di tutto il mondo.

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Andrea Pannone: L’eccesso di capacità e il velo di Maya sugli occhi degli economisti

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L’eccesso di capacità e il velo di Maya sugli occhi degli economisti

di Andrea Pannone

0e99dc 05f4abf70524439984ed7b4cd22a91d5mv2Pubblichiamo un articolo di Andrea Pannone, economista già intervenuto nella sezione Transuenze negli scorsi mesi (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/capitalismo-delle-piattaforme-capital-gain-e-revolving-doors). In questo contributo, Pannone si sofferma su una tendenza «strutturale» e poco discussa degli ultimi decenni, il persistente sottoutilizzo della capacità produttiva, che nella sua analisi contraddice la visione neoclassica della capacità autoregolativa dell’economia capitalistica, attraverso appunto la periodica rimozione del capitale in eccesso (in altre parole, le crisi congiunturali). Il sottoutilizzo di capacità produttiva, in questa lettura, è uno dei sottostanti che alimentano la duplice tendenza alla concentrazione dei capitali e alla centralizzazione proprietaria, ma anche il lungo ciclo di espansione finanziaria che ha segnato gli ultimi decenni. E non certo per ultimo, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche in corso.

Il contenuto dell’articolo è esclusiva responsabilità dell’autore e non coincide necessariamente con la posizione dell’Ente in cui lavora.

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Introduzione

Già nelle prime pagine del Capitale Karl Marx individua chiaramente la contraddizione intrinseca alla dinamica dell’economia capitalista: la competizione tra capitalisti per incrementare la produttività richiede un incessante investimento nella crescita dei mezzi di produzione che conduce a una condizione generalizzata di sovraccumulazione del capitale costante (e della composizione organica del capitale, ossia del rapporto tra capitale costante e capitale variabile), caratterizzata da un eccesso di capacità produttiva, un’elevata disoccupazione e da un declino del tasso di profitto.

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Paolo Mossetti: Il divorzio tra élite e popolo

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Il divorzio tra élite e popolo

di Paolo Mossetti

Paolo Mossetti è uno scrittore e giornalista che ha lavorato nel marketing editoriale e come traduttore. Si occupa di cultura economica, politica e conflitti su diverse riviste tra cui N+1 e le edizioni italiane di Esquire, Wired e Forbes

unnamedkhgfvfewEra il settembre 1955 e l’attentato a Plaza de Mayo aveva già cambiato la storia dell’Argentina. Il 16 di quel mese, con il bombardamento della Casa Rosada, si era scatenato a Buenos Aires il colpo di stato definitivo contro il governo di Juan Domingo Perón. Tre giorni dopo Perón si dimise e il 23 il generale Eduardo Lonardi entrò in carica. Perón andò in esilio. La maggior parte dei partiti politici, dei settori militari, della chiesa cattolica e degli uomini d’affari festeggiò l’evento, applaudendo all’installazione di una dittatura non meno brutale di quella appena rimossa.

Il nuovo corso fu chiamato Revoluciòn libertadora, e l’ambasciata statunitense affermò che il neogoverno era il più “amichevole” che avesse avuto da anni. Presto arrivarono le sparatorie e la proscrizione dei peronisti. L’odio nell’aria era tale che il contrammiraglio Arturo Rial disse agli operai comunali: “Dovete sapere che la Rivoluzione Liberatrice fu fatta perché in questo benedetto paese il figlio dello spazzino morisse spazzino”.

All’epoca, gran parte degli intellettuali argentini era militante contro il peronismo. Non era estraneo a questa tendenza lo scrittore Ernesto Sábato, protagonista per mezzo secolo del dibattito pubblico. Tuttavia questo ex militante comunista era perplesso. Come qualche altro sparuto pensatore non ancora accecato per dalla libertà conquistata, provava empatia per la tristezza che gran parte del popolo argentino provò quando il caudillo fu rovesciato. Nei mesi successivi alla caduta di Perón, Sábato pubblicò un breve saggio sotto forma di lettera aperta, mai tradotto né ripubblicato dopo la prima edizione del 1956, nel quale si interrogava sulla violenza e la natura degli eventi appena trascorsi.

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coniarerivolta: La sanità pubblica vede nero, l’austerità non ha colori

coniarerivolta

La sanità pubblica vede nero, l’austerità non ha colori

di coniarerivolta

Nonostante le sue molteplici varianti e mutazioni, il virus che ha causato la pandemia da COVID-19 non è riuscito a soverchiare quello dell’austerità. Inscalfibile come il diamante, quest’ultima si ripropone sempre uguale a se stessa. Una malattia colpisce principalmente la scuola, i trasporti pubblici, gli stipendi e le pensioni dei lavoratori e delle lavoratrici ma che, scherzo del destino, si accanisce proprio contro la sanità pubblica. A ben vedere, l’austerità non segue i passi di un cane vagabondo, ma si muove con precisione chirurgica, e lo fa perché ogni euro in meno di spesa pubblica per la sanità apre praterie ai privati in un settore altamente redditizio.

Come avevamo avuto modo di mostrare in un nostro recente contributo, la NADEF del 2022 prevedeva una costante diminuzione della spesa sanitaria di oltre 5 miliardi in un biennio. Quando parliamo di NADEF non parliamo di scartoffie squisitamente tecniche, bensì del più appropriato strumento per valutare la direzione della politica economica di un Governo, una direzione che verrà poi elaborata con maggiore dettaglio nella Legge di bilancio.

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Douglas MacGregor: Questa volta è diverso

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Questa volta è diverso

di Douglas MacGregor

Il colonnello a riposo Douglas MacGregor (del quale abbiamo già tradotto qui un colloquio in tre parti da non perdere sulla guerra in Ucraina) – veterano eroe di guerra e consulente del Segretario alla Difesa nell’amministrazione Trump, vicino alla scuola del realismo politico del prof. John Mearsheimersu ‘The American Conservative’ commenta come Washington abbia gravemente sottovalutato le capacità di resistenza della Russia alla sua sfida in Ucraina e stia ora reagendo senza riflettere, negando la realtà della effettiva impreparazione, sia degli stessi americani che degli alleati Nato, ad una guerra totale di questa portata.

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Né noi né i nostri alleati siamo pronti a combattere una guerra totale con la Russia, né a livello regionale né a livello globale.

Finché Washington non ha deciso di sfidare Mosca con la minaccia militare esistenziale in Ucraina, si era limitata all’uso della potenza militare americana in conflitti che gli americani potevano permettersi di perdere, guerre con oppositori deboli nel mondo in via di sviluppo, da Saigon a Baghdad, che non rappresentavano una minaccia esistenziale per le forze statunitensi o il territorio americano.

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Pasquale Pugliese: Continuano a chiederci di non guardare

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Continuano a chiederci di non guardare

di Pasquale Pugliese

Il 24 gennaio il Bollettino degli scienziati atomici – rivista scientifica fondata presso l’Università di Chicago dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki – ha messo in guardia l’umanità sui pericoli della corsa alle armi nucleari: stiamo vivendo in un momento di pericolo senza precedenti. Il giorno successivo, il governo Usa e quello tedesco hanno deciso l’invio in Ucraina dei più potenti mezzi corazzati al mondo. Nella Giornata della Memoria, intanto, il ministro Crosetto parla di “terza guerra mondiale” tra le opzioni possibili in campo

Molti avranno visto Don’t look up il bel film di Adam McKay, con Leonardo di Caprio e Jennifer Lawrence nel ruolo di due scienziati statunitensi che scoprono l’imminente impatto di una cometa con la Terra, le cui dimensioni sono tali da comportare la distruzione di qualsiasi forma di vita sul pianeta, ma vengono ignorati e costretti al silenzio dalla presidente degli Stati Uniti, messi alla berlina dal circo mediatico al quale si rivolgono per allertare i popoli e, mentre le cometa si avvicina pericolosamente, la campagna negazionista guidata dalla stessa presidente conia lo slogan don’t look up, non guardate in alto. Appunto.

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Lorenzo Guadagnucci: Quando la memoria diventa retorica

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Quando la memoria diventa retorica

di Lorenzo Guadagnucci

Liliana Segre ha osservato con amarezza che la memoria della Shoah sta svanendo, che non fa presa nella società; la senatrice a vita teme addirittura che sarà presto appena una riga nei libri di storia. Possibile, ma paradossale, in tempi che sovrabbondano di “celebrazioni” e occasioni per “fare memoria”. Gli stessi vertici politici dello Stato, dal presidente della Repubblica in giù, in questi giorni si sono fatti sentire con moniti solenni e alte affermazioni; lo sforzo delle tv pubbliche e private, con film e approfondimenti, non è affatto mancato, e così quello della stampa quotidiana e poi basta entrare in una libreria per notare quanto la produzione editoriale sia costante attorno ai temi cardine della storia del ‘900: dalla Shoah ai totalitarismi alla lotta di resistenza.

Dunque, qual è il problema? Perché la memoria, nonostante tutto ciò, sembra in decadenza? Perché i princìpi fondativi delle democrazie europee, quindi un preciso progetto di civilizzazione – per aggiungere un elemento al discorso di Liliana Segre – sono così in declino nella coscienza e nella cultura degli italiani e degli altri europei?

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S. C.: Colloqui tra Russi e Sauditi. Teheran e Mosca bypassano le sanzioni. Il Medio Oriente scalpita

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Colloqui tra Russi e Sauditi. Teheran e Mosca bypassano le sanzioni. Il Medio Oriente scalpita

di S. C.

A sottolineare come in Medio Oriente tutto sia in movimento – e pertanto le tensioni stiano schizzando verso l’alto – il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman ha avuto ieri un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin.

Il tema del colloquio era la cooperazione all’interno dei paesi del gruppo OPEC+ per mantenere la stabilità del mercato petrolifero. Il Cremlino ha aggiunto però che Bin Salman e Putin hanno anche discusso dell’ulteriore sviluppo della cooperazione bilaterale nei settori politico, commerciale, economico ed energetico.

I ministri dell’OPEC+ (l’Organizzazione dei paesi storici esportatori di petrolio, più la Russia) avranno un incontro online il prossimo 1° febbraio ed è probabile che verrà deciso di mantenere l’attuale politica sulla produzione di petrolio, una scelta che però sta dando “seri dispiaceri” a Washington.

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Andrea Fumagalli e Cristina Morini: Diario della crisi | Repressione economica e ortopedie della povertà

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Diario della crisi | Repressione economica e ortopedie della povertà

di Andrea Fumagalli e Cristina Morini

Tano damicoIl terzo appuntamento del «Diario della crisi» mette a fuoco una questione di grande importanza politica e di decisiva attualità: il reddito. In questo importante articolo, Andrea Fumagalli e Cristina Morini propongono una precisa genealogia del tema ed evidenziano la rilevanza strategica della partita che attorno al reddito si gioca. Da un lato, l’attacco condotto dall’attuale esecutivo di destra al pur limitato Reddito di Cittadinanza introdotto dal primo governo Conte ha come obiettivo un ulteriore giro di vite nelle politiche di obbedienza e impoverimento, coazione al lavoro precario e asservimento delle forme di vita; dall’altro, riprendere e sviluppare con forza il dibattito sul welfare e sul reddito è imprescindibile per inventare e reinventare percorsi e prospettive di liberazione.

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Strette e stretti nella morsa di un capitalismo «tutto intorno a noi», che colonizza immaginari oltre che spazi-tempi e forme di vita, non è strano sentirsi stanche e stanchi.

Ebbene, proprio per questo è più urgente che mai guardare da un lato ai meccanismi espropriativi che aggrediscono i campi propri del vivere nel sociale, della riproduzione sociale, dall’altro all’attacco organizzato contro gli strati sociali meno abbienti il cui scopo è facilitare, ancora e ancora, la separazione tra salvati e sommersi, facendo mancare, per questi ultimi, anche le forme minime di assistenza sociale.

 

La repressione economica

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Enrico Grazzini: La guerra capitalista spiegata nel nuovo libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli

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La guerra capitalista spiegata nel nuovo libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli

di Enrico Grazzini

Il libro “La Guerra Capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista” individua nella centralizzazione dei capitali uno dei fattori decisivi di squilibrio del sistema economico e politico internazionale ed un fattore fondamentale di stravolgimento delle nostre democrazie 

filenjhygtfdcfvQuali sono le cause economiche dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e quali le cause dello scontro strategico tra Stati Uniti e Cina? Dopo la Prima Guerra Mondiale John Maynard Keynes spiegò nel suo best seller “Le conseguenze economiche della pace”[1] che il principale fattore di conflitto tra gli Stati è il debito: il rapporto tra i debitori e i creditori porta molto facilmente, se non inevitabilmente, alla guerra. Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli nel nuovo libro “La Guerra Capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista” edito da Mimemis (2022) offrono un’interpretazione molto interessante e per alcuni aspetti anche molto keynesiana dei conflitti geopolitici in corso.

Secondo gli autori gli Stati Uniti hanno perso la guerra della globalizzazione e lo scontro attuale tra le grandi potenze è legato al gigantesco contrasto tra debitori e creditori: non è certamente un caso che gli Stati Uniti d’America con 14 trilioni di dollari di posizione finanziaria netta negativa verso l’estero (64% del suo PIL, dati 2021) siano il maggior debitore del pianeta e che Cina e Russia siano (insieme al Giappone e alla Germania) tra i paesi maggiori creditori del mondo. Il declino della potenza americana è quindi legato alla sua enorme posizione debitoria con l’estero: gli Stati Uniti possono reggere il loro pluriennale e crescente doppio deficit (deficit commerciale e deficit di bilancio pubblico) solo grazie all’”impero del dollaro”, e dunque al fatto che il dollaro – che la FED può stampare in quantità illimitata – è la moneta mondiale di riserva e, come tale, è richiesta da tutti i Paesi del mondo per commerciare. Gli USA difendono la loro posizione debitoria e il dominio del dollaro anche grazie al fatto che sono di gran lunga la maggiore potenza militare del mondo.

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Sandro Moiso: Come un’onda che sale e che scende

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Come un’onda che sale e che scende*

di Sandro Moiso

Joshua Clover, Riot. Sciopero. Riot. Una nuova epoca di rivolte, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 244, 20,00 euro

Oakland 2Fa piacere trovare e recensire un testo come questo, soprattutto per chi da anni cerca di svincolare logiche e strategie dei movimento antagonista dal pensiero operaista oppure da quello ancora basato su una concezione di classe operaia che, nel bene e nel male, le derive della storia economica, sociale e politica hanno fortemente ridimensionato.

Il secondo motivo per ringraziare Meltemi per averlo pubblicato, nella collana “Culture radicali” diretta dal Gruppo Ippolita, sta nel fatto che, al di là del bizzarro anti-americanismo culturale che ancora agita i sogni di tanti compagni di antica maniera che dimenticano che tale tipo di superficiale approccio a tante ricerche e produzioni culturali statunitensi è stata in realtà tipica dell’epoca fascista e dei suoi esponenti intellettuali e susseguentemente ereditata dallo stalinismo e dalle sue derive togliattiane, dal cuore dell’impero occidentale, e proprio perché tale, arrivano segnali di grande vitalità teorica, spesso derivata da una prassi diffusa di conflitto sociale. Vitalità che si presenta anche sotto le forme di una rivitalizzazione del pensiero di Marx, che sa, però, scartare sapientemente le interpretazione muffite di tanti suoi interpreti “ortodossi”1.

L’autore, Joshua Clover, oltre tutto, non è un marxista “di professione”, anzi questo, uscito negli States nel 2016 ma oggi accompagnato da un Poscritto all’edizione italiana che lo aggiorna al 2022, è il suo primo studio di carattere politico, poiché è professore di English and Comparative Literature alla University of California”Davis”, motivo per cui Clover è autore sia di libri di poesia che di saggi di critica culturale, tra i quali va segnalato 1989: Bob Dylan Didn’t Have This to Sing About del 2009.

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Fabrizio Marchi: Sbatti l’anarchico in prima pagina

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Sbatti l’anarchico in prima pagina

di Fabrizio Marchi

Gli anarchici “bombaroli” hanno sempre fatto comodo al sistema e ai vari “sistemi” di dominio sociale che li hanno utilizzati per rafforzare il loro potere. Non a caso sono sempre stati criminalizzati, fin dalle origini.

Naturalmente bisogna subito operare una distinzione netta fra i primi movimenti anarchici dell’800 e della prima metà del ‘900 con il “gruppuscolame” attuale.

I primi affondavano le loro radici nel movimento operaio di cui erano parte a tutti gli effetti. Anarchici famosi  – oltre naturalmente a Bakunin ed Errico Malatesta, ideologi e fondatori, fra gli altri, del movimento –  furono Gaetano Bresci che uccise sparandogli alcuni colpi di pistola il re Umberto I nel 1900, responsabile dei massacri compiuti dal regio esercito ai danni degli operai in sciopero, gli italo-americani Sacco e Vanzetti, condannati a morte (sulla sedia elettrica) negli USA, accusati di aver commesso una rapina durante la quale erano rimasti uccisi degli agenti di polizia, per la quale furono successivamente (ma era troppo tardi…) riconosciuti del tutto innocenti e, naturalmente il ferroviere Giuseppe Pinelli, precipitato o fatto precipitare (ancora non è chiaro) da una finestra della questura di Milano nel 1969.

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Michele Paris: La RAND e il baratro ucraino

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La RAND e il baratro ucraino

di Michele Paris

La pubblicazione nei giorni scorsi di un rapporto dell’influente think tank americano RAND Corporation sta alimentando un dibattito piuttosto acceso sui media alternativi circa un possibile cambio di rotta almeno parziale all’interno dell’apparato di potere USA sulla guerra in Ucraina. Essendo la RAND nota da sempre come un centro studi ultra-aggressivo in materia di politica estera americana, la sua presa di posizione allarmata sul coinvolgimento di Washington a lungo termine nel conflitto sembra essere di particolare rilievo, anche se restano quanto meno dubbi gli effetti concreti che potrebbe avere sugli ambienti “neo-con” che controllano di fatto le decisioni dell’amministrazione Biden.

Al centro del documento di oltre trenta pagine c’è la tesi che gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio soddisfatti “evitando un prolungamento della guerra” tra la Russia e l’Ucraina (NATO), visto che “i costi e i rischi di un conflitto di lunga durata… superano i possibili vantaggi”.

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Il Chimico Scettico: I soldati della verità in guerra contro il negazionismo

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I soldati della verità in guerra contro il negazionismo

di Il Chimico Scettico

La prima cosa che mi viene in mente è: perché? Perché qualcuno si picca di andare a cercare i negazionisti per confutarli guardandoli in faccia? Trova la cosa così soddisfacente? Forse perché lo zelo per lascienza lo divora (semicit)?

Quel che intendo è che andare a confutare i negazionisti scientifici alle loro riunioni non è molto diverso dai Testimoni di Geova che bussavano alla porta per venderti la Torre di Guardia e convertirti.

Il professore dice che almeno riesce a mostrar loro le loro contraddizioni. Come no, quando si tratta di motivi identitari (o di fede, se volete) da sempre far cadere in contraddizione l’interlocutore gli ha fatto bruciare i suoi sacri testi di riferimento. Piuttosto la natura dell’operazione è di altro tipo: guarda quanto sono giusto io e quanto sono scemi loro. Esattamente come il debunking, che come operazione è meno estrema perché di solito non va a bussare alla porta del terrapiattista.

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Gaetano Colonna: Pace e guerra nel 2023

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Pace e guerra nel 2023

di Gaetano Colonna

Il 2023 inizia com’era finito il 2022, con la prosecuzione della guerra nel Donbass. La nostra analisi sulle difficoltà della Germania nei rapporti con la Nato è stata ampiamente confermata. Prima prova ne è la sostituzione del ministro della difesa tedesco, signora Christine Lambrecht (col pretesto di una sua infelice dichiarazione ai media), con un esponente politico da non molto convertitosi alla linea dura anti-russa: Boris Pistorius, arrivato al punto qualche tempo fa, come ministro dell’interno della Bassa Sassonia, di vietare la riproduzione in pubblico della famosa Z, segno distintivo delle truppe impegnate nella cosiddetta “operazione speciale” della Russia.

Subito dopo, è iniziato il tragicomico balletto sulla fornitura all’Ucraina dei carri armati Leopard tedeschi, notoriamente uno dei migliori mezzi corazzati al mondo, che la Germania era del tutto restìa a fornire, per comprensibili motivi: un atto chiaramente e direttamente ostile nei confronti della Russia. Alla fine, ecco un penoso compromesso maturato nel giro di poche ore. Sholz ha fatto la sua brava chiamata di correo agli Usa: noi mandiamo i nostri Leopard se anche voi mandate i vostri Abrams; quindi ha autorizzato i Paesi esteri che dispongono di Leopard di fabbricazione tedesca, tra cui la Polonia a cederli all’Ucraina! Idem faranno a quanto pare gli Usa con i loro Abrams.

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Francesco Coniglione: Dalla democrazia alla lobbycrazia

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Dalla democrazia alla lobbycrazia

di Francesco Coniglione

Forse a molti è sfuggita la gravità di quanto detto da un manager come Franco Bernabè a proposito dello scandalo Quatargate. Lo trascrivo qui di seguito: «Voglio citare solo un caso. Le società tecnologiche a Bruxelles hanno schiere, eserciti di lobbisti e hanno speso decine e decine di milioni di euro per influenzare la legislazione sulla privacy e la legislazione Digital Service […] È chiaro che Bruxelles è un posto dove la lobby è diffusa a tutti i livelli». Alla osservazione fatta che se tale attività di lobbying fosse regolamentata come negli USA, allora questo sarebbe persino un lavoro legale e utile, Bernabè risponde: «Sì, sono regolamentati per modo di dire perché negli Usa una sentenza della Corte costituzionale, che consente di finanziare ad libitum la politica, ha introdotto – e questo è un problema generale dell’Occidente – una dimensione finanziaria nella politica che fino a 40 anni, 30 anni fa non c’era».

Bernabè non è un pericoloso grillino, né un bolscevico travestito da manager, per cui le sue parole hanno un peso che va al di là di quanto detto esplicitamente: sono solo la punta di un iceberg che lascia immaginare quanto vi sia al di sotto del livello del mare e che ora – grazie a quanto da lui detto – è davanti gli occhi di tutti coloro che hanno occhi per vedere e intelletto per intendere, senza essere accecati dalle rassicuranti fiabe sulla democrazia e sulla sovranità popolare.

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