Marco Bertorello, Danilo Corradi: Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

Rassegna del 24/03/2023

 

Marco Bertorello, Danilo Corradi: Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

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Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

di Marco Bertorello, Danilo Corradi

L’intreccio tra finanza ed economia reale, la crisi del digitale, il ruolo delle banche centrali e l’incidenza dell’inflazione: analogie e differenze tra Svb e Lehman Brothers

svizzera jacobin italia 1536x560Agatha Christie in una celebre battuta sosteneva che «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Attualmente nel giallo dello stato di salute del sistema bancario globale e, di conseguenza, di quello economico-finanziario, siamo arrivati in pochi giorni già alla coincidenza. Il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) e il successivo crollo in borsa di Credit Suisse richiamano immediatamente il crack di Lehmann Brothers, cioè il fallimento bancario che accese la crisi finanziaria globale del 2008. A distanza di quindici anni, come di riflesso, il ricordo e le paure tornano a quella vicenda, quando le autorità statunitensi non intervennero, lasciando fallire l’istituto. L’automatismo è in parte giustificato, se si considerano le fragilità dell’attuale sistema finanziario e l’importanza del fattore fiducia, ma ad alcune analogie corrispondono anche differenze importanti che restituiscono un quadro complesso ed estremamente dinamico.

 

Sarà una nuova Lehman?

Molti analisti hanno messo in luce le differenze, rassicurando ed escludendo che il fallimento di Svp sia l’inizio di una nuova crisi sistemica. Questa visione indubbiamente poggia su alcuni elementi di verità.

Dopo la crisi del 2008 i meccanismi precauzionali sono aumentati. I vari accordi quadro raggiunti a Basilea svolgono una funzione di deterrenza richiedendo alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità. L’Europa, nel tempo, si è dotata di sistemi di controllo più rigidi.

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Paolo Cassetta: Storia e coscienza di classe di György Lukács

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Storia e coscienza di classe di György Lukács

di Paolo Cassetta

Destini e significati di un grande classico marxista del XX secolo a cento anni dalla pubblicazione

32afc066708b29b45ded7cf39Storia e coscienza di classe è un libro difficile [1]. La circostanza era abbastanza evidente già al tempo della sua pubblicazione; e non è detto che questa difficoltà, questo linguaggio talora un po’ astruso destinato ad agire sul lettore quasi come una barriera, non abbia contribuito alla sua disgrazia politica negli ambienti del Comintern, abituati a modi spicci e all’empirismo altalenante di Zinoviev, che, come sappiamo, pronunciò la famosa condanna nell’estate del 1924, al V congresso dell’Internazionale.

Ma Storia e coscienza di classe è un libro che, come scrive Lukács stesso nell’Introduzione licenziata a Vienna, nel natale del 1922, è nato “in mezzo al lavoro di partito”. Lukács parla esplicitamente di un “tentativo”. Il tentativo, leggo dall’Introduzione, di “chiarire a se stesso ed ai suoi lettori questioni teoriche del movimento rivoluzionario” [2].

Dunque sono “questioni teoriche”. Ma sono questioni teoriche del movimento rivoluzionario. Dobbiamo avere chiaro che Lukács si riferisce all’ondata internazionale messa in moto dagli effetti della Grande Guerra e della Rivoluzione russa. Quando Lukács scrive queste parole, egli e tutto il movimento comunista hanno già alle spalle l’insurrezione tedesca repressa nel gennaio del 1919, la rivoluzione bavarese dei consigli e quella ungherese fallite nella primavera-estate dello stesso anno, gli scontri armati provocati dal putsch di Kapp in Germania nel marzo del 1920, la sconfitta sovietica nella guerra con la Polonia in agosto, il movimento di occupazione delle fabbriche italiane nel settembre dello stesso anno, il tentativo insurrezionale comunista conosciuto come l’“azione di marzo” in Germania del 1921. In Russia la guerra civile è finita con la vittoria del governo bolscevico. Ma il passo del cambiamento attenua la sua velocità.

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Michael Hudson: “Dai diversi ordini economici la frattura globale”

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“Dai diversi ordini economici la frattura globale”

Intervista a Michael Hudson

Intervista all’economista statunitense Michael Hudson

Catrin Welz SteinD. Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica. Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?

R. L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi. Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità. Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite. Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).

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Giacomo Marchetti: La Francia in piazza contro il golpe di Macron

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La Francia in piazza contro il golpe di Macron

di Giacomo Marchetti

Il governo francese, dopo il voto favorevole al Senato, su direttiva di Macron ha deciso di ricorrere al famigerato articolo 49.3 della Costituzione, senza lasciare la possibilità che l’Assemblea Nazionale si esprimesse sul testo della riforma pensionistica, licenziato mercoledì dalla Commissione Mista Paritetica (CMP).

Con ogni probabilità, a conti fatti, dopo 4 riunioni in 24 ore, l’Esecutivo non era sicuro di avere la maggioranza in Parlamento e quindi di non poter contare in toto – o in maniera sufficiente – sui consensi dei gollisti; né forse di potersi fidare completamente dei deputati delle formazioni che sostengono il governo (Renaissance, MoDem, Horizon).

Si parla di una quindicina di possibili defezioni su una sessantina di deputati di LR.

Il “fronte anti-popolare” della Macronie più gollisti si è sfaldato grazie ad una pressione costante che il movimento contro la riforma pensionistica ha esercitato in maniera unitaria dal momento stesso dell’annuncio della riforma ad inizio gennaio. Un movimento e che ha visto allineate (come funzioni diverse) l’intersindacale – composta da 8 organizzazioni dei lavoratori – e l’opposizione compatta della NUPES in Parlamento.

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Paolo Ferrero: Ucraina, la strategia Usa sta uccidendo l’Europa: serve subito un’alternativa ai guerrafondai

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Ucraina, la strategia Usa sta uccidendo l’Europa: serve subito un’alternativa ai guerrafondai

di Paolo Ferrero

Biden è riuscito a compiere un discreto miracolo: ha cementato una grande alleanza tra Cina e Russia, alleanza che ha un corrispettivo geopolitico potentissimo, fondato sulla via della Seta e sulla vicinanza tra questa e l’Africa. Questa rappresenta l’altra possibile biforcazione oltre all’Europa.

L’incontro tra il Presidente russo e quello cinese in corso a Mosca, che segna il punto più alto delle relazioni tra Cina e Russia nell’età moderna, non sarebbe stato infatti possibile senza la duplice azione della presidenza degli Usa: da un lato l’espansionismo ad Est della Nato che ha spinto la Russia alla guerra in Ucraina, dall’altro – ed è il più importante – le sanzioni economiche, che hanno prodotto un vero e proprio terremoto e ridisegnato gli assetti mondiali.

In primo luogo i 300 miliardi di dollari della Banca Centrale russa depositati all’estero, che gli Usa hanno illegalmente sequestrato, ha determinato un allarme in tutti i paesi del mondo. Di fronte alla più grande rapina del secolo le élites di tutti i paesi si sono preoccupate e hanno cominciato a cambiare i loro depositi di dollari in oro.

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Giorgio Cesarale: Nelle tempeste del mercato mondiale

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Nelle tempeste del mercato mondiale

di Giorgio Cesarale

Il tentativo di scaricare sul salario globale di classe gli effetti di una crescita economica insufficiente – propria di un capitalismo zombificato – è sempre più difficile, non da ultimo perché la classe lavoratrice si sta ribellando

Sul “Manifesto” dell’altro ieri, Fabrizio Tonello si è quasi messo nelle vesti dei protagonisti delle Lettere persiane di Montesquieu, raccontando che cosa può accadere oggi a un viaggiatore immaginario che da Parigi, dove le strade sono affollate da una moltitudine di scioperanti, si sposti prima a New York City, dove si rischia “di non poter bere il caffè da Starbucks”, e poi a Londra, in cui “bisognerà attendere pazientemente che sfili un corteo di infermiere inferocite per i tagli al servizio sanitario inglese”, e a Tel Aviv, in cui la polizia ha dovuto sgombrare i manifestanti per consentire la partenza di Netanyahu per l’Italia. Non è il medesimo spettro che si aggira per l’Europa e il mondo, ma certamente alla pluralità dei tempi e degli spazi, al “non contemporaneo”, nel senso di Ernst Bloch, si sovrappone una trama di motivi comuni, uno strato di esperienze globali di deprivazione economica e politica, che può disegnare, sotto certe e determinate condizioni, una prospettiva nuova.

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Juan Zara: Il grande tracollo

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Il grande tracollo

di Juan Zara

Sono le 16.00 ore italiane del 13 marzo e a mezz’ora dall’apertura dei mercati d’oltreoceano si verifica ciò che molti temevano: la seconda banca statunitense di medie dimensioni perde più del 50% del suo valore nel giro di poche ore. Dopo la Silicon Valley Bank, crollata in borsa lo scorso 10 marzo, capitola anche la First Republic, che nella mattinata newyorkese perde il 76% del suo valore nominale. Nella medesima giornata, anche la Signature Bank, altra banca regionale mid-sized, fallisce dopo che alcuni clienti, nervosi per la generale situazione delle cose, ritirano in massa depositi per più di US$ 10 miliardi.

Ma di chi parliamo davvero quando citiamo i timori di “molti”?

Per comprendere la situazione bastano davvero due istantanee: la prima è rappresentata da un articolo pubblicato dal Wall Street Journal in tempi non sospetti, sette anni fa, in cui si solleva la questione etica (con riferimento specifico alla First Republic) dei destinatari dei prestiti erogati dalle banche statunitensi.

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comidad: Pensioni e migrazioni: questioni di doppio standard antropologico

comidad

Pensioni e migrazioni: questioni di doppio standard antropologico

di comidad

Ci avevano venduto il 41bis raccontandoci che serviva a tenere a bada quelli che sciolgono i bambini nell’acido. Ora, grazie al caso di Alfredo Cospito, scopriamo che il 41bis serve ad impedire la diffusione di opinioni anti-establishment. I mafiosi invece rispettano le gerarchie antropologiche, sanno pentirsi all’occorrenza e, quando vanno a confessarsi da Giletti, sanno pure comportarsi. In fondo “mafia” e “Stato”, legalità o illegalità, sono soltanto nomi o slogan per i creduloni; mentre ciò che conta veramente è (come si dice oggi) il “doppio standard” nelle relazioni umane, ovvero inchinarsi ai ricchi e potenti, compiacerli, assisterli e vezzeggiarli; e invece dare sempre addosso ai deboli, con lo spot più adatto all’occorrenza, perché quando controlli gli organi di comunicazione, nessuno ti può smentire.

Le pensioni rappresentano un fondamentale ammortizzatore non solo sul piano sociale ma anche economico, in quanto contrastano le cadute della domanda e i rischi di spirale recessiva.

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Christian Marazzi: Diario della Crisi | Do you remember Lehman Brothers?

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Diario della Crisi | Do you remember Lehman Brothers?

Il fallimento della banca dell’innovazione e l’enigma delle grandi dimissioni

di Christian Marazzi

Wall streetIl recente fallimento della Silicon Valley Bank, la «banca dell’economia globale dell’innovazione», squaderna questioni e domande decisive. In questa nuova puntata del «Diario della crisi», Christian Marazzi spiega in modo illuminante che cosa sta accadendo e la posta in palio, analizzando il ruolo della banca centrale, l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sui Titoli di Stato, il possibile precipitare degli investimenti delle start-up di tecnologia climatica legati alla Svb. In un contesto in cui, negli ultimi anni, i salari sono cresciuti più lentamente dell’inflazione e i salari reali aggregati sono di fatto diminuiti, l’autore spiega come il problema di fondo della politica della Fed sia il suo essere monetarista, tutta incentrata cioè sull’offerta di moneta, e non, come dovrebbe essere, sull’andamento della domanda di moneta. Sotto le politiche della Fed, dunque, sembra riaffacciarsi l’enigmatico spettro dei comportamenti del lavoro vivo e delle «grandi dimissioni».

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Non solo start-up

A un primo livello d’analisi, il fallimento della Silicon Valley Bank (la «banca dell’economia globale dell’innovazione») appare come una tipica crisi da bank run, da corsa agli sportelli causata dal panico dei depositanti, per lo più «startupper» nel settore digitale, per recuperare quanta più possibile liquidità da una banca, la loro, sull’orlo del crac. «Per capire – scrive Paolo Mastrolilli su «la Repubblica» di domenica 12 marzo, riassumendo la narrazione generale – bisogna partire dall’origine della crisi. Prima del Covid, alla fine del 2019, i depositi presso la Svb erano triplicati, da 62 a 189 miliardi di dollari, grazie all’esplosione delle start-up tecnologiche.

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Vittorio Stano: La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi

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La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi

di Vittorio Stano

lista 480x512 consiglio2“Riassumiamo in quattro parole il patto sociale tra i due Stati. Voi avete bisogno di me, perché io sono ricco e voi siete poveri; facciamo dunque un accordo tra noi: io vi permetterò che voi abbiate l’onore di servirmi, a condizione che voi mi diate il poco che vi resta per la pena che io mi prenderò di comandarvi.”

Jean Jaques Rousseau, Discorso sull’economia politica (1755)

Negli ultimi 50anni si è compiuta una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei governanti contro i governati. Dai birrifici del Colorado, ai miliardari del Midwest, alle facoltà di Harvard, ai premi Nobel di Stoccolma, Marco d’Eramo (1) con il suo libro “Dominio” ci guida nei luoghi dove questa sedizione è stata pensata, pianificata, finanziata.

Di una vera e propria guerra si è trattato, anche se è stata combattuta senza che noi ce ne accorgessimo. La rivolta dall’alto contro il basso ha investito tutti i terreni, non solo l’economia e il lavoro, ma anche la giustizia, l’istruzione: ha stravolto l’idea che ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi.

Ha sfruttato ogni crisi, tsunami, attentato, recessione, pandemia. Ha usato qualunque arma, dalla rivoluzione informatica, alla tecnologia del debito. Insorgere contro questo dominio sembra una bizzarria patetica e tale resterà se non impariamo da chi continua a sconfiggerci. Il lavoro da fare è immenso, titanico, da mettere spavento. Ma ricordiamoci: nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità, sembravano predicare nel deserto. Proprio come noi ora.

Questa guerra bisogna raccontarla partendo dagli Stati Uniti perché sono l’impero della nostra epoca e gli altri paesi occidentali sono loro sudditi. Uno degli effetti della vittoria che i ricchi hanno conseguito è stato di renderci ignari della nostra sudditanza e di annebbiare la percezione delle relazioni di potere: meno male che è arrivato Trump a ricordarci la sopraffazione, la protervia, la crudezza in ogni dominio imperiale.

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Moreno Pasquinelli: Verso un crollo economico generale?

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Verso un crollo economico generale?

di Moreno Pasquinelli

Può il fallimento di due medie banche americane (Silicon Valley Bank e Signature Bank) innescare una cascata di fallimenti bancari dentro e fuori gli USA? La maggioranza degli analisti, confortati dopo il tonfo di ieri dei titoli bancari dalla ripresa odierna (martedì 14 marzo), risponde che no, che il peggio sarebbe già passato. Lo sostengono non tanto grazie al salvataggio attuato in tutta fretta dalle autorità politiche e monetarie nordamericane, ma perché, nell’Olimpo della iper-finanza, esso annuncerebbe la fine delle politiche monetarie restrittive della Fed e della Bce — è noto da tempo quanto decisiva sia diventata la droga monetaria per sorreggere, soprattutto dopo il collasso del 2008-09, un’economia iper-finanziarizzata.

Noi invece riteniamo che questo ottimismo sia ingiustificato. Certo, nessuno può stabilire, nella sfera sociale, quando la quantità si trasformerà in qualità, ovvero quando una crisi circoscritta precipita in un vero e proprio crollo globale. Questa capacità predittiva è infatti negata anche alla più potente “intelligenza” artificiale, malgrado la sua formidabile capacità di elaborare caterve di dati.

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coniarerivolta: BCE: dei lavoratori non ce ne frega un tasso

coniarerivolta

BCE: dei lavoratori non ce ne frega un tasso

di coniarerivolta

Recentemente, la Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Christine Lagarde, ha affermato l’intenzione di aumentare i tassi d’interesse di mezzo punto percentuale. L’obiettivo dichiarato di questo rialzo è quello di contenere la corsa dell’inflazione. Nel dettaglio, la misura di politica monetaria prevede l’aumento del tasso di rifinanziamento principale dal 3% al 3.5%. Mezzo punto potrà sembrare, a molti, una cosa da poco, ma non è così. In primis perché, come vedremo, si tratta di decimali che a fine mese contano, e non poco, per chi si è accollato o si deve accollare un mutuo. In secondo luogo, perché questo aumento fa seguito ad altri aumenti, avvenuti nei mesi scorsi (si veda il grafico sotto), che hanno portato i tassi ai livelli di oggi partendo da un livello prossimo allo zero.

Andiamo con ordine e cerchiamo di capire come tale scelta (il rialzo dei tassi) abbia conseguenze pratiche per famiglie (e imprese). Per comprenderlo è necessario spendere due parole sulla cosiddetta ‘trasmissione’ della politica monetaria.

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Michelangelo Severgnini: Libia, le 685 mila bugie (in prima pagina) del Corriere

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Libia, le 685 mila bugie (in prima pagina) del Corriere

di Michelangelo Severgnini

MILIZIE LIBICHE-MIGRANTI: NESSUNA CORRELAZIONE (LA MENZOGNA SU CUI MELONI E ONG SONO D’ACCORDO)

LI CHIAMANO “SCAFISTI”, MA SONO LE SOLITE MILIZIE CHE FINANZIAMO DA 12 ANNI CONTRO IL POPOLO LIBICO A IMBARCARE I MIGRANTI

E poi arriva il Corriere della Sera!

“Quanti sono i migranti in Libia?”, si saranno chiesti in redazione.

Quasi 700mila, è lo stesso numero da anni.

Sono quasi tutti in Tripolitania a fare da schiavi alle milizie, in quel 20% di Libia ancora fuori controllo, Tripoli e dintorni, dove si trovano tutti i famigerati centri di detenzione.

In quel 20% di Libia governato dal governo illegittimo che l’Europa sostiene al fine del saccheggio del petrolio.

“Che vorranno fare?”, si saranno domandati di nuovo al Corriere.

“Saranno tutti pronti a partire!”, si sono risposti.

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Renato Caputo e Holly Golightly: Logica e storia nel giovane Hegel di Lukács

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Logica e storia nel giovane Hegel di Lukács

di Renato Caputo e Holly Golightly

Hegel abbraccerebbe il punto di vista ideologico della borghesia rivoluzionaria che identificava il proprio interesse di classe con quello generale della società, ma ciò che per Lukács appare degno di nota è che la dialettica universale-particolare nasce proprio dal confronto con i temi storici di scottante attualità politica

All’interno dell’analisi del periodo di Francoforte, György Lukács non assegna alcun posto particolare e di rilievo al Frammento sull’amore del 1797; esso rappresenta un episodio accanto agli altri e si inserisce nel contesto generale di questa fase dell’evoluzione di Hegel, dove la categoria dell’amore è “un’espressione confusamente idealistica dell’esigenza umanistica, borghese-rivoluzionaria, di un uomo multilaterale e pienamente sviluppato, che ha rapporti conformemente ricchi, dispiegati, umani e multilaterali con gli altri uomini” [1]. E non può essere diversamente per Lukács, in quanto per lui la definitiva acquisizione del metodo dialettico da parte di Hegel ha come presupposto il confronto critico non solo con la Rivoluzione francese, ma anche con la Rivoluzione industriale in Inghilterra, ovvero con i problemi complessivi del capitalismo messi in luce dall’economia politica.

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Giorgio Agamben: Le due facce del potere 4: anarchia e politica

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Le due facce del potere 4: anarchia e politica

di Giorgio Agamben

È stato un costituzionalista tedesco della fine del XIX secolo, Max von Seydel, a porre la domanda che suona oggi inaggirabile: «che cosa resta del regno, se si toglie il governo»? È venuto infatti il momento di chiedersi se la frattura della macchina politica dell’Occidente abbia raggiunto in questi anni una soglia al di là della quale essa non può più funzionare. Già nel XX secolo il fascismo e il nazismo avevano risposto a loro modo al quesito attraverso l’istaurazione di quello che è stato a ragione definito come uno «stato duale», in cui allo stato legittimo, fondato sulla legge e la costituzione, si affianca uno stato discrezionale solo parzialmente formalizzato e l’unità della macchina politica è quindi soltanto apparente. Lo stato amministrativo in cui sono più o meno consapevolmente scivolate le democrazie parlamentari europee, non è in questo senso dal punto di vista tecnico che una discendenza del modello nazifascista, in cui organi discrezionali estranei ai poteri costituzionali si affiancano a quelli dello stato parlamentare, progressivamente svuotato delle sue funzioni.

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