[Sinistrainrete] Alberto Bradanini: Iran e Medio Oriente, intrecci regionali e grandi potenze

Rassegna del 08/04/2023

Alberto Bradanini: Iran e Medio Oriente, intrecci regionali e grandi potenze

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Iran e Medio Oriente, intrecci regionali e grandi potenze

di Alberto Bradanini

depositphotos 12796045 stock photo middle eastern crisisLa doverosa attenzione alla nozione di complessità consiglia cautela quando si tenta un’analisi della scena mediorientale, dove sedimentazioni storiche e interessi delle Grandi Potenze (ex o attuali) si mescolano con sovrastrutture religiose, arretratezza culturale, assenza di prospettive di vita e lavoro per popolazioni giovani e frustrate, cui si aggiunge un acuto, e non senza ragione, risentimento contro l’Occidente, quello del passato coloniale e del presente neocoloniale.

Davanti alla Grande Menzogna (globalista, militarizzata e americano-centrica) che anche in Medio Oriente controlla la narrazione degli eventi far emergere qualche aspetto di plausibile riflessione non è impresa facile. Ci si limiterà qui a qualche misurata ponderazione, con un cauto sguardo sull’orizzonte.

Come altrove, anche in Medio Oriente i fattori identitari sono costituiti da lingua, etnia, colore della pelle, religione (o anche famiglie religiose), tutti intrecciati tra loro e su cui soffiano i detentori di privilegi e le Grandi Potenze, in primis gli Stati Uniti, per estrarre benefici politici e ricchezze materiali.

A seconda di tempi e luoghi, alcuni fattori prevalgono su altri. La religione – per sua natura messaggera di orizzonti messianici – occupa un posto centrale, vittima e insieme protagonista di fanatismi, arretratezze socioculturali e posture antimoderne, su cui prosperano gerarchie ecclesiastiche e oligarchie di ogni risma. È invece storicamente deficitaria un’agenda di rivendicazioni sociali alla luce dell’emarginazione politica e culturale nella quale sono relegate le classi subalterne.

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Andrea Inglese: Parigi: convergenza di rabbie e di lotte

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Parigi: convergenza di rabbie e di lotte

di Andrea Inglese

macronInsurrezione per motivi meschini

Secondo certa sinistra ben addottrinata, una contestazione radicale di un governo in carica, con tanto di scioperi, blocchi stradali, manifestazioni non autorizzate e altre azioni di disubbidienza civile dovrebbe essere motivata da altissimi e umanistici principi, non certo dall’aumento del prezzo del carburante, in conseguenza per altro di una virtuosa carbon tax. Invece è proprio ciò che ha costituito l’innesco di uno dei più ampi, spontanei e determinati movimenti di contestazione politica del XXI secolo almeno in Europa, ossia il movimento francese dei “gilet gialli”. Non si può parlare di quanto accade oggi, senza ricordarsi di quanto accadeva nelle piazze francesi prima che l’epidemia di Covid-19 congelasse non solo le proteste, ma la vita intera di tutti noi europei. Dal novembre 2018 al giugno 2019, i gilet gialli non cessarono, autorizzati o meno, di protestare contro il governo Macron, sia con grandi manifestazioni a Parigi sia con una moltitudine di azioni sulle rotatorie ovunque nel paese. Le loro rivendicazioni apparentemente meschine e anti-ecologiche si rivelarono rapidamente di tutt’altra natura, riportando la questione dell’eguaglianza sociale e della rappresentanza democratica al centro della scena pubblica, senza ignorare il contesto della crisi climatica, ben percepito come orizzonte ormai ineludibile di ogni controversia politica.

È indubbio che tale movimento fosse di difficile decifrazione rispetto alle opzioni politiche circolanti: la loro identità di classe era incerta, le loro rivendicazioni contraddittorie, la loro storia politica inesistente: non volevano partiti, né leader, né sindacati alla testa dei loro cortei.

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Piccole Note: Giappone e Arabia Saudita: il petrolio nel mondo multilaterale

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Giappone e Arabia Saudita: il petrolio nel mondo multilaterale

di Piccole Note

Due sono le notizie di rilevanza geopolitica degli ultimi giorni, nascoste dalla cronaca. Iniziamo dalla prima: l’Opec plus ha tagliato la produzione di petrolio, in contrasto con i programmi occidentali che vedono nel crollo del prezzo dell’oro nero una leva per contrastare la Russia.

Il taglio della produzione va contro tale direttiva, perché alza il prezzo, ed è stato patrocinato dall’Arabia Saudita, che ha una posizione dominante nel ristretto club dei produttori di petrolio. E soprattutto è stata presa senza previo avvertimento agli Stati Uniti.

 

Il taglio del petrolio e l’intraprendenza di Riad

A dettagliare la sorpresa Usa è un’articolata nota del New York Times, che riferisce il commento seccato di Adrienne Watson, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale: “Non pensiamo che in questo momento siano consigliabili tagli, data l’incertezza del mercato”.

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The Economic Collapse: I 7 segnali che indicano l’inizio della dedollarizzazione globale

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I 7 segnali che indicano l’inizio della dedollarizzazione globale

di The Economic Collapse

Per decenni il dollaro USA è stato il re indiscusso delle valute globali, ma ora stanno avvenendo cambiamenti radicali. Cina, Russia, India, Brasile, Arabia Saudita e altre nazioni stanno facendo passi da gigante che permetteranno loro di diventare molto meno dipendenti dal dollaro statunitense nei prossimi anni. Questa è una notizia davvero negativa per noi, perché il fatto di essere la principale valuta di riserva del mondo ci ha permesso di godere di un tenore di vita massicciamente gonfiato. Una volta perso questo status, il nostro stile di vita sarà molto diverso da quello attuale. Purtroppo, la maggior parte degli statunitensi non capisce nulla di tutto questo. Anche se negli ultimi anni i nostri leader hanno trattato la stabilità della nostra moneta con assoluto disprezzo, la maggior parte degli statunitensi dà per scontato che il dollaro regnerà sempre sovrano. Nel frattempo, gran parte del pianeta si sta preparando per un futuro in cui il dollaro sarà molto meno importante di quanto lo sia ora. Ecco 7 segnali che indicano che la de-dollarizzazione globale è appena entrata nel vivo…

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Carlo Formenti: Elogio dei socialismi imperfetti

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Elogio dei socialismi imperfetti

di Carlo Formenti

Fra qualche giorno sarà in libreria il Secondo Volume di “Guerra e rivoluzione” (del Primo Volume, intitolato “Le macerie dell’Impero”, ho dato alcune anticipazioni su questa pagina un paio di mesi fa, poco prima che uscisse). Il tema di fondo di questa seconda parte del lavoro è il socialismo: in che misura i Paesi che oggi si definiscono socialisti meritano di essere definiti tali, qual è il contributo che le loro esperienze possono dare alla rinascita del marxismo occidentale e alla ripresa di un progetto di trasformazione socialista nei nostri Paesi? Qui di seguito anticipo alcuni stralci dalla Nota conclusiva alla Prima Parte, dedicata alla Rivoluzione cinese e alle rivoluzioni latinoamericane.

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Conclusioni alla Prima Parte del Secondo Volume

I tre capitoli di questa Parte contengono quella che considero la tesi più importante del libro: contro i “puristi” che sostengono che oggi nel mondo non esiste alcun Paese socialista, ma solo differenti forme di capitalismo in competizione reciproca, io sostengo che nel mondo i socialismi esistono, anche se “imperfetti”.

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Wolfgang Streeck: Tedeschi al fronte

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Tedeschi al fronte

di Wolfgang Streeck

0f48fbf2d5c3fe7a0edc3052db80179a kK6H U3330372689611xwB 656x492Corriere Web SezioniSecondo la Legge di Hofstadter, ovviamente derivante da quella di Murphy, “tutto richiede più tempo di quanto pensi”. L’anno scorso il primo a conoscerla in grande stile è stato il signore della guerra russo, Putin, che ovviamente avrebbe potuto risparmiarsi lo shock seguendo le indicazioni di Trotsky e Mao Zedong e dedicando un po’ di tempo alla lettura di Clausewitz. Non essendo riuscito a conquistare Kiev con la sua Operazione Militare Speciale – programmata per concludersi nel giro di una o due settimane per porre fine una volta per tutte al fascismo endogeno e all’occidentalismo esogeno dell’Ucraina – Putin ha dovuto affrontare la spiacevole prospettiva di un’operazione su vasta scala, una guerra di durata indefinita, non solo con l’Ucraina ma anche, in un modo o nell’altro, con gli Stati Uniti.

Meno di un anno dopo, una simile rivelazione l’ebbe il suo omologo americano, Biden. Nessuna vittoria ucraina all’orizzonte e la raffica di sanzioni economiche contro la Russia e contro gli oligarchi amici di Putin, sorprendentemente, non avevano compromesso la capacità russa di mantenere il Donbass e la penisola di Crimea. Le elezioni di medio termine del novembre 2022, in cui i Democratici hanno perso la maggioranza alla Camera, hanno inequivocabilmente messo in evidenza che la disponibilità dell’elettorato americano a finanziare l’avventura Biden-Blinken-Sullivan-Nuland è tutt’altro che illimitata. In effetti, la guerra di logoramento senza fine che sta prendendo forma ora è sempre più vista come un potenziale problema per le elezioni presidenziali del 2024.

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coniarerivolta: Delega fiscale: Meloni fa pagare solo i lavoratori

coniarerivolta

Delega fiscale: Meloni fa pagare solo i lavoratori

di coniarerivolta

meloni 2Pubblichiamo un articolo dedicato al disegno di legge delega sulla riforma del fisco del governo Meloni

È stata presentata nei giorni scorsi, dopo diversi annunci, la delega fiscale predisposta dal Governo Meloni. Si tratta di una proposta di legge, che dovrà essere approvata dal Parlamento, che delega il Governo ad adottare una serie di atti (decreti legislativi) sulla riforma del sistema fiscale. La legge delega si limita, come noto, a stabilire i principi e i criteri ai quali i decreti legislativi, che avranno il valore di vere e proprie leggi, dovranno attenersi. Molti dettagli, dunque, sono ancora incompleti, mentre ben chiara è, come vedremo, la direzione di marcia.

È un documento importante, non solo perché interviene a 360 gradi sul fisco, ma anche perché è forse il primo atto di politica economica interamente addebitabile a questo Governo, che finora era soprattutto intervenuto (ovviamente sempre in modo peggiorativo) in modalità parziale su singoli istituti (i casi più evidenti sono state le pensioni e il reddito di cittadinanza).

I primi articoli sono dedicati alla riforma dell’IRPEF e in generale della tassazione delle persone fisiche, e questa è la parte che forse meglio di tutte chiarisce la profonda iniquità di questa riforma.

Accompagnata dalla promessa della “flat tax per tutti”, la delega si traduce immediatamente in un enorme colpo a quel poco di progressività che residuava nel nostro sistema, con vantaggi evidenti per i redditi più alti.

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Vincenzo Comito: Competizione tecnologica. I segnali del sorpasso cinese

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Competizione tecnologica. I segnali del sorpasso cinese

di Vincenzo Comito

Secondo molti centri di studio occidentali la Cina prevale sugli USA in gran parte dei settori tecnologici chiave e si appresta a superarli in tutti gli altri. Gli Stati Uniti si stanno impegnando con ogni mezzo per bloccare la rincorsa del rivale e l’esito della gara non è affatto scontato

usa cina 2La gran parte delle persone in qualche modo interessate al tema pensa che la Cina stia sviluppando fortemente nel tempo la sua presenza nelle tecnologie avanzate, ma che gli Stati Uniti mantengano un rilevante vantaggio complessivo sul paese asiatico nel settore.

La svolta forse più importante in tema di lotta competitiva tra gli Stati Uniti e la Cina sul fronte delle nuove tecnologie si è verificata nel 2015, quando il paese asiatico ha svelato un suo piano all’orizzonte 2025 (il “Made in China 2025”) che si poneva l’obiettivo di raggiungere gli Stati Uniti entro tale data sul fronte della gran parte delle tecnologie innovative. Da allora assistiamo a un’escalation crescente delle ostilità statunitensi verso la stessa Cina, ostilità che negli ultimi mesi ha raggiunto con Biden certamente un’intensità parossistica, con nuovi episodi quasi ogni giorno: gli Stati Uniti cercano di contrastare a tutto campo e con tutti i mezzi – da quelli economici, a quelli politici, tecnologici, militari – l’ascesa del rivale, in particolare, appunto, nelle nuove tecnologie.

Ma gli ultimi dati e alcune tra le più recenti valutazioni pongono in forte dubbio l’opinione comune e la possibilità da parte statunitense di riuscire a fermare i processi in atto, che vanno per molti versi nella direzione di una crescente tendenza al primato tecnologico del paese asiatico.

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Bernardino Mustone: La centralizzazione dei capitali nella teoria di Marx

kriticaeconomica

La centralizzazione dei capitali nella teoria di Marx

Una nota teorica sui concetti più rilevanti

di Bernardino Mustone

Percorriamo il testo di Marx per comprendere questa nozione cruciale

Nella complessa teoria dell’accumulazione1, Marx introduce il concetto di centralizzazione dei capitali.

Un adeguato sviluppo teorico di questo concetto sarebbe stato possibile all’interno di una teoria della concorrenza. Ma, come sappiamo, “Il Capitale” è rimasto incompiuto2 e una teoria della concorrenza è soltanto abbozzata nel capitolo XX del Libro III. Marx ritiene che l’analisi della concorrenza vada sviluppata, per il suo livello di astrazione, solo dopo aver delineato il funzionamento del modo di produzione capitalistico in generale3. La concorrenza viene descritta come repulsione reciproca dei diversi capitali, poiché ognuno svolge la sua attività con lo scopo della valorizzazione e dell’accumulazione del capitale.

L’accumulazione del capitale, invece, è sinonimo di concentrazione: il plusvalore realizzato viene reinvestito nell’acquisto di nuovi mezzi di produzione e nuova forza lavoro con lo scopo di una produzione di merci su scala più vasta, consentendo, in potenza, un aumento della massa del plusvalore, fine ultimo della produzione capitalistica.

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ilsimplicissimus: Grottesco finlandese

ilsimplicissimus

Grottesco finlandese

di ilsimplicissimus

Ogni tanto arriva una buona notizia e quella di oggi è la sconfitta della “weffinette” finlandese Sanna Marin, una specie di prodigio di  ottusità e futilità, come si può facilmente accertare se solo si vanno a leggere le dichiarazioni impromptu di questi anni Ma insieme alla buona notizia arriva per i finlandesi quella cattiva, anzi grottesca ovvero il fatto che ormai l’ingresso nella Nato è stato concordato e sarà siglato domani,  che il Paese entrerà giocoforza nel novero degli obiettivi russi in caso di guerra aperta con la Nato senza peraltro aver alcun  vantaggio, ma enormi svantaggi da questa mossa . Del resto la sciacquetta stuporosa, tipica creatura del Wef  aveva esaurito il suo compito proprio nel portare il Paese nell’alleanza atlantica con la conseguente accettazione di rischi in cambio di nulla anzi di una probabile continuazione della recessione in cui il Paese è entrato proprio quando si è cominciato a parlare della sua adesione all’alleanza delle menzogne. Mancano evidentemente le materie prime della Russia.

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Nico Maccentelli: Bande musicali quelle dei nazisti, banditen i partigiani

nicomaccentelli

Bande musicali quelle dei nazisti, banditen i partigiani

di Nico Maccentelli

La mia banda suona il Koch…

L’esternazione di Ignazio La Russa riguardo i “musicisti” che marciavano per via Rasella il 23 marzo del 1944 e fischiati con un bel bombardone dai Gruppi d’Azione Patriottica farebbe ridere se non ci fosse da piangere per una riscrittura metodica che ripercorre le tappe di quella che fu la Resistenza per arrivare dalle foibe che azzerano gli eccidi feroci dell’esercito mussoliniano nei Balcani alle esperienze socialiste del Ventesimo secolo.

Ormai si può dire di tutto senza passare per falsari o imbecilli. Tanto c’è il Parlamento Europeo che ha timbrato col fuoco l’editto che equipara nazismo e comunismo. Dimenticando i tanti partigiani comunisti finiti sotto tortura ed esecuzioni della Gestapo, caduti combattendo per liberare dal nazifascismo quell’Europa che oggi ha altri nazisti, dall’Ucraina agli uffici degli eurodignitari UE che, secondo il mandato del padrone d’oltreoceano e nei suoi esclusivi interessi, pianificano la guerra sin dal golpe di Euromaidan e ai bombardamenti in Donbass nel 2014.

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Tous Dehors: Contro la riforma delle pensioni e l’ideologia del lavoro

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Contro la riforma delle pensioni e l’ideologia del lavoro

di Tous Dehors

C’è un sacco di bella gente, che pretende di rappresentarci, parla al nostro posto e decreta a suo piacimento ciò che pensa sarebbe bene per noi: diventare finalmente adulti ragionevoli, scrivono in uno splendido editoriale collettivo di Tous Dehors alcuni giovani francesi. Vivono le grandi proteste di queste settimane come un’occasione imperdibile per una riflessione collettiva sulle proprie condizioni di vita, sui mondi che desiderano davvero e per l’elaborazione di nuove strategie di lotta. Sono però molto netti nel rifiuto delle forme di lotta tradizionali dei movimenti sociali “alla francese” e criticano con rigore e intransigenza la condizione di precarietà che si associa in modo naturale, e tutt’altro che ingenua, alla loro giovane età. Non lotteranno certo per quel “paradiso terrestre” che viene loro promesso per quando saranno vecchi e sfiniti: la miseria di un salario differito che chiamano pensione. Non hanno alcuna intenzione di sognare di poter essere sfruttati come le generazioni precedenti. L’ideologia del lavoro non è un sogno, è un incubo. E la speranza di una emancipazione attraverso il lavoro una trappola che non inganna più nessuno. Il loro problema è difendere la vita, cioè trovare soluzioni vere all’impazzimento di un mondo che è stato condotto sull’orlo del precipizio.

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Daniele Luttazzi: Società di “fact-checking”: il ruolo della Cia e il maccartismo dell’informazione

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Società di “fact-checking”: il ruolo della Cia e il maccartismo dell’informazione

di Daniele Luttazzi

Vi riportiamo due bellissimi approfondimenti di Daniele Luttazzi apparsi ieri e oggi sul Fatto Quotidiano. Si sviscera con magistrale sintesi come la Cia utilizzi le sue armi per applicare un controllo capillare dell’informazione all’interno e nei paesi vassalli. Da anni l’AntiDiplomatico, testata regolarmente registrata, combatte contro la vergognosa censura che subisce. In questi due articoli avete alla perfezione presentati i mandanti

Chapeau.

 

NONC’ÈDICHE – Il Fatto Quotidiano – 1 aprile 2023

La miriade di ex-agenti Cia, Fbi e Nsa che si occupano di contenuti sui social

Riassunto delle puntate precedenti: la maggior parte delle organizzazioni di fact-checking con cui Facebook collabora per pilotare le informazioni sull’Ucraina sono finanziate dal governo Usa; e Google riduce il traffico ai siti di informazione alternativi.

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