Maurizio Ricciardi: Si può ancora dire classe? Appunti per una discussione

Rassegna del 21/04/2024

 

 

Maurizio Ricciardi: Si può ancora dire classe? Appunti per una discussione

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Si può ancora dire classe? Appunti per una discussione

di Maurizio Ricciardi

Questo testo riprende e amplia l’intervento del 20 marzo 2023 al Laboratorio di teorie antagoniste, organizzato a Bologna presso l’Ex-Centrale di via Corticella 129

JR01 768x5671. Le classi e la classe

Poniamo direttamente la questione: esiste ancora la classe? Possiamo dare per scontato che esistano le classi. Esiste cioè una classificazione degli individui in base alla differente posizione occupata all’interno del processo di produzione e riproduzione della società. È difficile negare che queste differenze esistano. Il problema è caso mai se è ancora utile ragionare in termini di classe per sottrarsi e possibilmente cancellare questa classificazione. Storicamente l’affermazione e, per un certo periodo di tempo, il predominio del linguaggio di classe è stato il modo in cui milioni di uomini e di donne hanno cercato di farla finita con la classificazione che li collocava in una posizione subordinata all’interno della società. Questo è un primo punto che deve essere sottolineato. Il linguaggio di classe ha un doppio significato: esso è originariamente un linguaggio d’ordine e solo successivamente diviene la rivendicazione di una possibile rivolta contro l’ordine delle classi. Inizialmente esso serve a classificare una molteplicità di fenomeni prima nelle scienze naturali e poi anche in quelle sociali, assegnando a ciascuno e ciascuna il suo posto. Questa ossessione classificatoria del sociale deriva dall’altrettanto ossessiva paura per il caos prodotto dalla presenza simultanea di una moltitudine di individui formalmente uguali senza alcuno status ascritto. I loro movimenti, le loro azioni, le loro stesse parole vengono percepiti come la minaccia di un disordine potenzialmente ingovernabile. La presenza delle classi è in un primo tempo attribuita alla contrapposizione all’interno del popolo di due gruppi divisi dalla loro diversa origine. Al gruppo dei conquistatori viene opposta la rivolta dei conquistati che ristabilisce il giusto ordine.

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Andrea Fumagalli: Suzanne De Brunhoff, Karl Marx e il dibattito sulla moneta

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Suzanne De Brunhoff, Karl Marx e il dibattito sulla moneta

di Andrea Fumagalli

0e99dc fba40afff97a4a49918b884405660ffamv2Nell’articolo che pubblichiamo oggi, Andrea Fumagalli fa un ritratto di Suzanne de Brunhoff. Nel ricostruire l’importanza e l’originalità del suo pensiero, Andrea Fumagalli ripercorre il dibattito sulla moneta che l’economista francese ebbe con il gruppo di lavoro sulla moneta di Primo Maggio.

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1. Suzanne De Brunhoff e Marx

Suzanne De Brunhoff è stata un intellettuale engagée a tutto tondo, testimone delle varie ingiustizie che hanno caratterizzato il Novecento, contro le quali ha sempre combattuto a viso aperto. Fatto, oggi, più che raro, così presi della performatività dell’apparire.

Come scrive Riccardo Bellofiore a un anno della sua morte:

Le esperienze giovanili del nazismo e del razzismo, e poco dopo del colonialismo francese in Indocina e Algeria, ne fecero una combattente tenace per l’eguaglianza nei diritti politici e sociali [1]

In quanto donna, la sua carriera all’interno dell’università fu assai ostacolata. Dopo una laurea in Filosofia alla Sorbona, non ebbe l’aggregation, nonostante le sue qualità di ricercatrice fossero ampiamente riconosciute. Sarà solo dopo aver ottenuto un dottorato in Sociologia e in Economia, riuscì a entrare al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique, l’equivalente più o meno del nostro CNR), dove divenne, con non poche difficoltà, direttora di ricerca.

La sua ricerca teorica si è sempre mossa all’interno del pensiero marxista. Il suo primo libro fu Capitalisme financier public, pubblicato nel 1965, con il sottotitolo Influence économique de l’État en France (1948-1958) che analizza criticamente il ruolo economico dello Stato in Francia dal 1948 al 1958.

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Andrea Zhok: Storia di un’involuzione: dalla politica strutturale al moralismo isterico

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Storia di un’involuzione: dalla politica strutturale al moralismo isterico

di Andrea Zhok

L’altro giorno riflettevo su come sia potuto succedere che la capacità operativa di un’opposizione politica si sia estinta e sia oggi da ricostruire sostanzialmente da zero.

Premesso che questo è oggi il problema dei problemi, e premesso che come per ogni processo storico le sue cause sono plurali, mi voglio soffermare brevemente solo su una causa, di indole specificamente culturale.

L’epoca della democrazia e dell’opposizione politica dal basso è stata una stagione circoscritta che inizia intorno a metà ‘800, in cui ha giocato un ruolo fondamentale la lezione marxiana.

Nello specifico la lezione marxiana è stata fondamentale nel comprendere, e far comprendere, come nel mondo moderno ogni mutamento di costume e di opinione che diventi egemone ha sempre una radice primaria nella “struttura”, cioè nella sfera della produzione economica e della correlata gestione del potere.

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Fabrizio Poggi: Improvvise esercitazioni della Flotta russa del Pacifico

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Improvvise esercitazioni della Flotta russa del Pacifico

di Fabrizio Poggi

Che la situazione nell’area dell’Indo-Pacifico e del mar Cinese meridionale non sia tranquilla, lo si sa, purtroppo, da anni. Che nell’ultimissimo periodo l’atmosfera si sia ulteriormente surriscaldata, per le aperte prove di forza yankee a proposito di Taiwan, anche questo lo si sa.

Si sa dei piani anticinesi che Washington concretizza in varie coalizioni militari, quali QSD (Quadrilateral Security Dialogue: USA, Giappone e Australia) o AUKUS (Australia-Gran Bretagna-USA), cui sembra accodarsi anche la NATO. A preoccupare Mosca, alle proprie frontiere marittime orientali, sono anche le mai sopite mire giapponesi sulle Kurili.

Ora, che i pericoli di scontro armato diretto nel bacino del Pacifico orientale non siano del tutto “immaginari”, lo conferma l’ordine diramato ieri dal Ministro della difesa russo, Sergej Šojgù, con cui la Flotta del Pacifico al completo è stata messa in stato d’allerta, ufficialmente nel quadro di una verifica improvvisa.

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Il Chimico Scettico: Gain of function, i biolaboratory e tutto il resto

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Gain of function, i biolaboratory e tutto il resto

di Il Chimico Scettico

Dicono dicono dicono… ve lo ricordate quell’incidente?

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Sgombriamo subito il terreno tra “NOOOO! Non permettiamo l’apertura di un biolaboratorio!!!” e “SIIIIII!, sono indispensabili, non fate i complottisti!!!”.

Chi lavora nel campo lo sa bene: un nuovo attrezzo fa comodo ed è utile. Ma le procedure per cui sia impossibile che ti sfugga di mano devo essere in opera dalla prima all’ultima.

Ne parlavo con un vecchissimo amico davanti a due piatti tradizionalissimi rivisitati e a una bottiglia di Sangiovese (senza offesa, bimbi, dal lato occidentale dell’appennino ci sappiamo fare di più). Biotecnologia è diventato lo spauracchio degli “anti”: fa il proverbiale effetto di un panno rosso agitato davanti a un toro.

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Mimmo Porcaro: Usa vs Cina: ce n’est qu’un début

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Usa vs Cina: ce n’est qu’un début

Su un libro di Raffaele Sciortino

di Mimmo Porcaro

5G Usa CinaTra gli studi dedicati al tema del conflitto internazionale, e quindi alla guerra, si fa notare il più recente contributo di Raffaele Sciortino: Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenze, Asterios, Trieste, 2022. Un lavoro molto denso, ricco di dettagliate considerazioni fattuali, utili sia a ribadire l’esistenza di una tendenza allo scontro globale sia a farci capire che quest’ultimo non ha necessariamente i tempi rapidissimi e le forme univoche che l’adrenalinica comunicazione social ci impone di prevedere.

All’inizio del libro l’autore così riassume i risultati principali della sua ricerca: a) i motivi e le forme dello scontro trai due paesi vanno fatti risalire a una contraddizione sistemica, che vede gli Usa costretti, per mantenere il ruolo di egemone mondiale, a spezzare la sinergia con la Cina, ossia proprio il fondamento di quella globalizzazione che è cardine dell’egemonia che si vorrebbe salvare; b) d’altra parte per la Cina la sfida è esistenziale: essa non può arrestare la propria marcia, pena la messa in crisi del compromesso di classe su cui si regge e della stessa struttura unitaria del paese, e quindi deve mantenere in vita la globalizzazione almeno finché la rottura non sarà inevitabile; c) la relativa arretratezza della Cina e i costi immani dell’esercizio dell’egemonia mondiale fanno sì, però, che non sia alle viste un “secolo cinese”; d) nemmeno è ipotizzabile un ordine multipolare, che sarebbe meramente transitorio e “riformista”; e) ne consegue che sono possibili solo la disconnessione del mercato globale, e quindi il caos, oppure l’emergere, anche grazie a questo caos, di un’alternativa mondiale capace di abolire lo strapotere della competizione e del profitto.

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Maurizio Lazzarato: Lotte di classe in Francia

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Lotte di classe in Francia

di Maurizio Lazzarato

Pubblichiamo un articolo di Maurizio Lazzarato sulle mobilitazioni scoppiate in Francia a seguito della riforma del governo Macron sulle pensioni. L’analisi condotta da Lazzarato si muove lungo due direzioni: da un lato ci parla delle forme di espressione conflittuale, nel rapporto con il ciclo di lotte dei Gilet Jaunes, delle potenzialità ricompositive e dei limiti del movimento; dall’altro, ricomprende il ciclo di mobilitazioni nello scenario più ampio di ridefinizione degli equilibri tra le superpotenze a livello mondiale

rivoluzionevtghAndiamo subito al cuore del problema: dopo le enormi manifestazioni contro la «riforma» delle pensioni, il presidente Macron decide di «passare con la forza» (passer en force) esautorando il parlamento e imponendo la decisione sovrana di approvare la legge che porta da 62 a 64 l’età pensionabile. Nelle manifestazioni si è immediatamente risposto «anche noi passiamo con la forza». Tra volontà opposte, quella sovrana della macchina Stato-Capitale e quella di classe, decide la forza. Il compromesso capitale-lavoro è saltato dagli anni ‘70, ma la crisi finanziaria e la guerra, hanno ancora radicalizzato le condizioni dello scontro.

Cerchiamo di analizzare successivamente i due poli di questa relazione di potere fondata sulla forza nelle condizioni politiche successive al 2008 e al 2022.

 

Il marzo francese

Il movimento sembra aver colto il cambiamento di fase politica determinato prima dalla crisi finanziaria del 2008 e poi dalla guerra. Ha utilizzato molte delle forme di lotta che il proletariato francese ha sviluppato negli ultimi anni, tenendole insieme, articolando e legittimando di fatto le loro differenze. Alle lotte sindacali, con i loro cortei pacifici che si sono via via modificati, integrando componenti non salariali (il 23 marzo la presenza di giovani, di studenti universitari e liceali è stata massiccia), si sono aggiunte le manifestazioni «selvagge» che per giorni si sono sviluppate al calar della notte nelle strade della capitale e di altre grandi città (dove sono state anche più intense).

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Salvatore Cominu: Che cos’è la composizione di classe?

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Che cos’è la composizione di classe?

di Salvatore Cominu

iuyhbvrwSebbene il concetto di composizione di classe sia uno dei più importanti dell’armamentario operaista, sono pochissimi i testi in cui esso è stato formalizzato a scopo formativo. Il testo di archivio che proponiamo, che è la trascrizione dell’intervento che Salvatore Cominu ha tenuto in occasione di un seminario di autoformazione organizzato a Piacenza nel 2014, tenta di rimediare a questa lacuna ripercorrendo l’origine e lo sviluppo del concetto senza la pretesa di una formalizzazione definitiva ma con il pregio di una rara chiarezza espositiva. Come si leggerà, più che di un concetto si tratta di un metodo che va fatto funzionare tanto importante quanto, di fatto, dimenticato. La sua rilevanza deriva dalla sua capacità di offrire una lettura materialistica, ovvero calata all’interno dei rapporti sociali di produzione storicamente determinati, della produzione di soggettività, senza la quale non è possibile disporre alcun tipo di processo organizzativo. Detto in termini più semplici: senza l’uso di questo metodo difficilmente si potranno scoprire i nuovi soggetti delle lotte. A differenza del concetto di intersezionalità, oggi di moda e a cui il lettore più avveduto certamente avrà pensato, che con esso condivide l’esigenza di un’immagine disomogenea, articolata e stratificata al proprio interno della classe, il metodo operaista non è viziato da un materialismo determinista. Per esso infatti la sottomissione ad una qualche forma di dominio/sfruttamento non è una condizione sufficiente alla produzione di soggetti «rivoluzionari» perché «anche il Capitale soggettivizza». Come sostiene l’autore, all’interno della realtà capitalistica, i soggetti «subalterni» non esprimono alcuna coerenza progressiva, al contrario sono per lo più portatori di una forte «ambivalenza». La «contro-soggettivazione» antagonista non è quindi un processo necessario ma solo un esito possibile degli sforzi organizzativi.

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Marco Pondrelli: Il ritorno degli imperi. Maurizio Molinari

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Il ritorno degli imperi. Maurizio Molinari

di Marco Pondrelli

La prima, legittima, domanda che potrebbe essere fatta di fronte a questa recensione è perché occuparsi del libro di Molinari? Con tutto il rispetto per il direttore de ‘la Repubblica’ non sono queste le idee di Marx21. Il motivo è che da febbraio 2022 sono molti i libri pubblicati per attaccare le scelte della Russia, il libro di Molinari rappresenta meglio di altri (tutti comunque guidati più dal fervore ideologico che non dall’analisi rigorosa della storia e dei rapporti internazionali) le posizioni atlantiste più oltranziste, favorevoli allo scontro, anche militare, con Russia e Cina.

Nel libro di Molinari non mancano polemiche del tutto ideologiche e in parte contraddittorie oltre che singolari come quella che vede la Nato sorta come risposta al Patto di Varsavia (creato in realtà successivamente alla prima) [pag. 65]. La guerra viene riportata alla decisione del solo Putin, quando si legge ‘ciò che più sconvolge è come tutto dipenda alle decisioni di un uomo solo’ [pag. 9], si dà voce a un leitmotiv molto diffuso nel mainstream italiano quella del tiranno impazzito che vuole conquistare il mondo.

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Federico Giusti: Le riforme previdenziali come lotta di classe alla rovescia

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Le riforme previdenziali come lotta di classe alla rovescia

di Federico Giusti

Dal 2019 l’età per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni per tutte le categorie. Una età destinata ad aumentare con l’incremento della speranza di vita che invece in questi anni è rimasta al palo e senza incremento l’età di uscita dal lavoro è rimasta al palo.

Se l’aspettativa di vita decresce l’uscita dal lavoro non subisce a sua volta alcuna modifica, questo è il meccanismo dettato dalla Fornero.

Nei prossimi anni presumibilmente la speranza di vita riprenderà a crescere e da qui a pochi anni la pensione di vecchiaia raggiungerà 68 anni di età.

Stando alle statistiche Istat di fine 2022, sono 22,7 milioni le prestazioni del sistema pensionistico italiano al 31 dicembre 2021, il numero dei beneficiari si aggira attorno 16 milioni e la spesa è di 313 miliardi di euro. Sempre gli stessi dati ci dicono che il 90% della spesa complessiva (283 miliardi) è destinata alle prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS). , il 13,9% alle pensioni ai superstiti (43 miliardi), il 4% a quelle di invalidità (13 miliardi).

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Nestor Halak: Hot spot

comedonchisciotte.org

Hot spot

di Nestor Halak

Oggi ho avuto l’ardire di guardare (parzialmente) un telegiornale nonostante sappia benissimo che non dovrei farlo perché finisco per innervosirmi. Dopo penose interviste a qualche politico semianalfabeta e reportage di propagandisti inviati a spese nostre in Ucraina (non potrebbero dire le stesse sciocchezze standosene comodamente seduti in una sede televisiva e risparmiarci almeno le spese di viaggio?), siamo finalmente approdati (è il caso di dirlo), all’immancabile collegamento in diretta col celebre ”hot spot” perennemente sull’orlo del collasso di Lampedusa.

Il propagandista inviato in loco (sempre perfettamente inutile e sempre perfettamente a nostre spese), oltre a sputacchiare ogni dieci parole l’odiosa espressione “hot spot” (cosa minchia è un “hot spot”? Perché questi entusiasti ripetitori di retorica non usano la loro lingua madre almeno quando non si rivolgono direttamente ai loro padroni  e lo chiamano correttamente centro di ingresso, smistamento, accoglienza o qualche altro eufemismo simile?), cercava di convincere il pubblico pagante della generosità degli indigeni che invece di essere infastiditi dai continui arrivi, che si direbbe dovrebbero causar loro non pochi problemi,  accolgono con entusiasmo i “migranti” ed anzi sono quasi contenti di questo nuovo tipo di turisti che non amano l’abbronzatura ed i soldi li spendono solo presso gli scafisti.

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Thierry Meyssan: Guerra, divisione del mondo o fine di un impero?

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Guerra, divisione del mondo o fine di un impero?

di Thierry Meyssan

In molti pronosticano una guerra mondiale. Infatti alcuni gruppi vi si preparano. Ma gli Stati sono ragionevoli e, nei fatti, pensano piuttosto a una separazione consensuale, a una divisione del mondo in due mondi diversi, il primo unipolare, l’altro multipolare. Ma forse si delinea un terzo scenario: l’“Impero americano” non si dibatte nella trappola di Tucidide, sta collassando come l’ex rivale, l’Unione Sovietica

Gli straussiani statunitensi, i nazionalisti integralisti ucraini, i sionisti revisionisti israeliani, nonché i militaristi giapponesi si augurano una guerra generalizzata. Sono isolati, sicuramente non sono movimenti di massa. Al momento nessuno Stato sembra volersi avviare su questa strada.

La Germania con cento miliardi di euro e la Polonia con molta meno disponibilità finanziaria si stanno riarmando pesantemente. Entrambe però non sembrano impazienti di misurarsi con la Russia.

Anche l’Australia e il Giappone investono negli armamenti, ma entrambi non hanno forze armate autonome.

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Emmanuel Faye: Hannah Arendt, una pensatrice di sinistra?

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Hannah Arendt, una pensatrice di sinistra?

In risposta a un articolo su Libération di Clémence Mary –

di Emmanuel Faye

È legittimo affermare che «Hannah Arendt non appartiene alla destra» come sostiene Clémence Mary (su Libération, 23 marzo 2023)? Voler dimostrare che un’icona del nostro tempo, rivendicata dai conservatori e da alcuni liberali, possa ispirare la sinistra francese, sembra seducente. Ma a partire da quale coerenza, e a che costo? Non bisognerebbe prima cominciare a prestare attenzione a ciò che la stessa Arendt diceva di sé e delle tesi che propugnava?

L’argomento principale che viene usato per collocare Arendt a sinistra, si basa sul suo elogio dei consigli rivoluzionari. Però la cosa parte da un malinteso. Procede dal fatto che non si presta attenzione alla distinzione che lei fa tra consigli rivoluzionari e consigli operai. E si dimentica che il principale teorico della rivoluzione conservatrice tedesca – Arthur Moeller van den Bruck, autore nel 1923 de “Il Terzo Reich” – aveva pronunciato elogi del tutto simili. Si trattava allora di saper cogliere il potenziale rivoluzionario della sinistra europea in modo da poterlo neutralizzare meglio. Bisogna chiedersi se Rosa Luxemburg avrebbe apprezzato un autore che si fosse richiamato a lei, pur rifiutando in toto il pensiero marxista?

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