[Sinistrainrete] Christian Marazzi: Diario della crisi | Il panico finanziario da contagio digitale

Rassegna del 19/05/2023

 

 

Christian Marazzi: Diario della crisi | Il panico finanziario da contagio digitale

effimera

Diario della crisi | Il panico finanziario da contagio digitale

di Christian Marazzi

contatto dio e adamo2In questa nona puntata del «Diario della crisi» – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina DeriveApprodi ed El Salto – Christian Marazzi propone un’ipotesi importante: ci troviamo di fronte a una crisi da sovrapproduzione digitale che, se da una parte si spiega a partire dagli effetti del rovesciamento delle politiche monetarie, cioè dall’aumento dei tassi d’interesse per combattere l’inflazione da profitti, dall’altra rimanda alla saturazione della domanda, non solo perché i redditi reali sono fermi o addirittura decrescono, ma anche e forse soprattutto perché la digitalizzazione ha raggiunto la soglia di assimilazione sociale e umana. Nel passaggio da una politica monetaria espansiva a una restrittiva, sostiene l’autore, la lotta politica attorno al tetto del debito pubblico americano, potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso.

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Marzo, la serpe esce dal balzo

Gillian Tett, giornalista del «Financial Times», ha vissuto in presa diretta alcune delle crisi finanziarie e bancarie più importanti degli ultimi trent’anni, come quella scoppiata in Giappone nel 1997 e 1998, a seguito della bolla immobiliare degli anni Ottanta, o quella del 2007 e 2008, la crisi finanziaria globale dei subprime e della Lehman Brothers[1]. Facendo tesoro di quelle esperienze, ha analizzato l’ondata di panico che ha incalzato le banche nel corso del mese di marzo, dalla Silicon Valley Bank a Credit Suisse, passando dalla First Republic, mettendo in evidenza una serie di caratteristiche ricorrenti, ma anche di discontinuità significative.

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Norberto Fragiacomo: Esistono guerre “giuste”?

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Esistono guerre “giuste”?

di Norberto Fragiacomo

346109413 190358737253133 6924456327154727611 nIspirato da recenti e buone letture torno su un tema che in un articolo di qualche mese fa (https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24326-norberto-fragiacomo-la-difesa-e-sempre-legittima.html) avevo appena sfiorato senza debitamente approfondirlo: quello della guerra “giusta”. All’epoca mi soffermai, da un punto di vista sostanzialmente penalistico, sulla questione della difesa (contro un altro Stato) per chiedermi quando potesse dirsi legittima: oggi vorrei abbozzare un’indagine di carattere più generale per cercare di capire a quali condizioni la scelta estrema di usare le armi per risolvere una disputa (non solo) internazionale sia moralmente e giuridicamente accettabile.

Secondo il pacifismo più radicale la decisione di combattere sarebbe sempre condannabile: un paese aggredito da un altro dovrebbe subito arrendersi onde evitare inutili sofferenze al proprio popolo. Si tratta di una posizione meritevole di rispetto, perché applica l’insegnamento cristiano “porgi l’altra guancia”, ma che risulta inapplicabile in un mondo, quello reale plasmato dalla Storia, in cui le aggressioni sono eventi tutt’altro che eccezionali e manca un “supergoverno” in grado di rendere giustizia agli oppressi. Un popolo che rinunciasse a priori all’autodifesa farebbe meglio a non costituire un’entità statale e a sottomettersi liberamente al più minaccioso fra i propri vicini.

C’è poi la “provocazione” lanciata da Lenin alla vigilia della conferenza di Zimmerwald (che, come appureremo insieme, è tutt’altro che una boutade): l’unica guerra giusta è quella scatenata dagli oppressi contro i loro oppressori. Sappiamo che il grande rivoluzionario propose ai socialisti europei di adoperarsi in patria per trasformare il conflitto fra le nazioni capitaliste in un conflitto di classe “senza confini”: si tratta di un ottimo spunto per il prosieguo della nostra riflessione.

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Fabio Mini: Ora gli USA giustificano il terrorismo, se ucraino

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Ora gli USA giustificano il terrorismo, se ucraino

di Fabio Mini

Durante un’intervista radiofonica di oltre un anno fa, Luca Telese mi chiese se la resistenza ucraina all’invasione russa potesse sfociare nel terrorismo. Gli risposi laconicamente di sì, aggiungendo che sarebbe comunque stata un’altra cosa. In questa guerra che molti definiscono “ibrida” le forme di lotta non si mescolano e non si fondono: sono stratificate e ognuna di esse ha una propria regia e autonomia che raramente si armonizza con le altre e talvolta diventa perfino contraddittoria e controproducente.

È il caso del ricorso al terrorismo che in Ucraina è iniziato molto tempo prima dell’invasione russa. L’ucraina di Poroshenko ha affrontato le istanze autonomiste (non ancora indipendentiste) come una guerra al terrorismo dei russofoni del Donbass. E così il contro-terrorismo su base linguistica o etnica si è qualificato come terrorismo di Stato. Dal 2014 le repressioni della polizia, delle milizie e delle forze armate ucraine nei confronti degli autonomisti di Lugansk e Donetsk, anch’essi ucraini, sono state considerate un problema “interno”, tanto per non scomodare i termini più appropriati di guerra civile o guerra d’insurrezione che hanno una propria tenue legittimazione anche nel diritto internazionale.

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Rosso Malpelo: Il dilemma

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Il dilemma

di Rosso Malpelo

L’impero USA sta morendo perché il capitalismo, motore economico del suo potere, è in crisi irreversibile. Già Lenin aveva identificato nell’imperialismo la fase suprema del capitalismo, che interagendo con la tendenza alla centralizzazione del capitale finanziario, realizzata attraverso “l’espropriazione del capitalista ad opera del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più grossi”, ha infine prodotto una forma neoplastica nell’economia della società, che per accrescersi incessantemente ha bisogno di sottrarre risorse ad ogni altra componente socio-economica, pena il suo degrado e scomparsa. Detto in parole semplici: il denaro deve generare altro denaro, anche senza l’appropriazione di plusvalore prodotto dal lavoro. Salta subito agli occhi il paradosso di tale esigenza, che tuttavia è divenuta vitale per l’esistenza stessa del capitalismo, a tal punto che per assecondarla le banche centrali hanno creato montagne di denaro dal nulla, il cui sottostante è anch’esso nulla, a partire dalla crisi del 2007-8. Tale denaro viene utilizzato dalla élite plutocratica per appropriarsi di qualsiasi bene possibile, con la conseguenza di impoverire la classe subordinata, che si vede progressivamente sottrarre beni reali e servizi faticosamente conquistati con il proprio lavoro.

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Gerardo Lisco: Il governo Meloni e l’assenza di alternativa

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Il governo Meloni e l’assenza di alternativa

di Gerardo Lisco

Ad oggi la Meloni sembra non aver sbagliato nessuna mossa, sia sul piano delle politiche economiche che su quello delle relazioni internazionali. È chiaro che questo “non sbagliare” è da contestualizzare e, soprattutto, non è da intendersi come condivisione, da parte di chi scrive, delle politiche della “melonieconomics” o anche della “meloniculture”.

La Meloni vince le elezioni al termine di un Governo tecnico sostenuto da tutte le forze politiche con la sola apparente opposizione di Fratelli d’Italia che si è posizionato sulla riva del fiume aspettando che gli eventi scorressero. La Meloni dopo aver vinto le elezioni ha ribadito la sua fedeltà agli USA e alla stessa U.E. sul piano delle relazioni internazionali. Dopo la Polonia quello della Meloni è il Governo più filo atlantista dell’Europa e il più servile in assoluto verso gli Stati Uniti. Sul piano delle politiche sociali, per ammissione dello stesso Conte, al di là della propaganda, ha di fatto riconfermato il Reddito di Cittadinanza limitandosi a cambiare solo il nome; per quanto riguarda il sostegno ai salari attraverso la riduzione del cuneo fiscale metterà nelle tasche degli italiani con redditi lordi sotto i 35.000,00 euro qualche decina di euro in più ed ha fatto la medesima cosa a favore dei redditi medio alti con la riforma fiscale e la riduzione del numero delle aliquote.

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Eliana Como: Le lotte in Francia: tra sciopero e sogno

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Le lotte in Francia: tra sciopero e sogno

di Eliana Como

A volte le parole sono importanti. In francese la parola sciopero si dice “grève”. La grève, perché in francese lo sciopero è femminile. La parola “grève” è bella, ma ne contiene un’altra più bella ancora: “rêve”, il sogno.

Quello che sta accadendo in Francia, visto da qui, è davvero un sogno. Un paese intero che, in massa, si ribella al proprio Governo contro una riforma delle pensioni imposta dall’alto, al grido di “NO a 64 anni! Non rubateci due anni di vita!”.

Non difendono solo il salario o i diritti. Difendono la vita. E da mesi, sotto questa rivendicazione generale e unificante, portano in piazza e allo sciopero categorie di lavoro, generi e generazioni diverse. Hanno dichiarato in tre mesi più scioperi generali che noi in dieci anni, portato in piazza milioni di persone, svuotato le fabbriche, bloccato il paese. Macron non si è fermato e ha imposto la riforma che porta l’età pensionabile a 64 anni. Ma, per la cronaca, non si sono fermati nemmeno loro. Il 1° maggio sono tornati a invadere le città e promettono nuove mobilitazioni. Macron sa di non avere il consenso del mondo del lavoro, che equivale a dire che ha il paese contro.

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lorenzo merlo: La mappa non è il territorio

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La mappa non è il territorio

di lorenzo merlo

Per merito della logica, della supremazia del razionalismo, della scienza analitica, della fisica classica, siamo individui separati dal cosmo e dall’infinito. Così non ci avvediamo dell’orrore di fondo di cui siamo preda

Capita, per strada, di chiedere informazioni sul posto a qualcuno. Gli mostri sulla mappa dove vorresti andare, lui l’afferra e inizia a farla girare, poi si ferma e guarda ancora il disegno e quindi, lasciandola perdere, indica cosa fare usando braccia e occhi e parole della sua lingua, per concludere con “non puoi sbagliare”.

La spiegazione si rivela poi del tutto insufficiente e il non puoi sbagliare mostra qualche difetto di verità. Stranamente, la storia si ripete nella maggioranza delle occasioni simili e anche il suo culmine conclusivo e rassicurante tende a non realizzarsi mai.

Tuttavia, è altrettanto certo che il nostro consulente d’occasione non era in malafede, tutt’altro. Voleva davvero darci una mano per raggiungere la nostra meta.

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Enrico Tomaselli: War games

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War games

di Enrico Tomaselli

carri armati russi scaled 1I giochi di guerra tra Russia ed USA si fanno sempre più pericolosi, ma è proprio dietro la volontà di evitare lo scontro diretto e, contemporaneamente, giocando al tiro alla fune, che si nascondono i pericoli maggiori. Ancora una volta, nessuno dei due avversari sembra comprendere del tutto l’altro, e questo può avere conseguenze terribili. Rischiamo di trovarci sul serio in guerra, senza che nessuno lo volesse davvero.

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I moderati del Kremlino

Si è molto discusso, anche su queste pagine, sugli obiettivi che Mosca si prefiggeva di raggiungere, avviando l’Operazione Speciale Militare, e su come questi si siano assai velocemente dimostrati irraggiungibili. Cosa che ha costretto ad un radicale cambio anche della strategia militare.

Ma un elemento è sicuro: nonostante la propaganda occidentale lo abbia dipinto come un pazzo sanguinario, il nuovo Hitler – Putin (ed il gruppo dirigente che lo affianca, a partire da Lavrov) è, al contrario, un uomo prudente, per certi versi si potrebbe dire un moderato. Di sicuro, la strategia politico-militare sviluppata via via dal 24 febbraio 2022 è stata ed è caratterizzata da un elevato autocontrollo, che cerca costantemente di evitare l’escalation del conflitto.

Questa scelta, precipuamente politica, e di cui gli europei dovrebbero essergli eternamente grati, non è il frutto di un possibile timore verso la NATO (la sua potenza militare), ma di un preciso calcolo.

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Massimo Ilardi: Mutamento e continuità

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Mutamento e continuità

di Massimo Ilardi

0e99dc 2639e2823e52455f98ae254db0fe422fmv2È di recente uscito il volume Anni Ottanta. La grande mutazione, curato da Emiliano Laurenzi e Fabrizio Violante (manifestolibri). Fin dal titolo e nei saggi raccolti, presenta varie analogie con il nostro progetto di cartografia dei decenni smarriti, a conferma dell’importanza di un ripensamento genealogico di questo periodo per impostare l’analisi del presente. Nel suo contributo al volume Massimo Ilardi afferma che, alla domanda se gli anni Ottanta rappresentino una continuità o una grande trasformazione, risponde che sono stati entrambe le cose. Da un lato, è avvenuta una forte mutazione antropologica, con il formarsi di nuovi attori sociali e nuove soggettività; dall’altro lato, sostiene l’autore, questa mutazione è stata possibile proprio perché figlia della «famigerata» e «vituperata» stagione di conflitti, di innovazioni culturali e dell’emergere di inconsuete soggettività degli anni Settanta del Novecento. L’incontro/scontro tra libertà e politica resta il nodo irrisolto che ci è consegnato in eredità dal decennio Ottanta.

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Apriamo il romanzo di Arthur Koestler Buio a mezzogiorno, pubblicato nel 1940 (trad.it. Mondadori 1946), alle pagine, forse le più drammatiche del romanzo, del dialogo tra Rubasciov, esponente della vecchia guardia rivoluzionaria sovietica che stava per essere liquidata dalle epurazioni staliniane del 1937, e il suo accusatore Ivanov, funzionario del partito: «In quel tempo, proseguì Rubasciov, eravamo chiamati il Partito della Plebe. Che sapevano gli altri della storia? Lievi increspature, vibrazioni fuggevoli, ondine rompentisi. Si soffermavano a guardare le forme mutevoli della superficie e non sapevano spiegarle.

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Dante Barontini: Ora Kiev minaccia: “se non ci date altre armi ci saranno attentati in Europa”

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Ora Kiev minaccia: “se non ci date altre armi ci saranno attentati in Europa”

di Dante Barontini

Sembra abbastanza chiaro che tutto l’Occidente neoliberista, dopo quindici mesi di guerra, stia cercando un’idea, una proposta, qualcosa che possa – se non mettere fine al conflitto in Ucraina – almeno fermare l’escalation. L’inferno nucleare è sempre meno sullo sfondo…

Possono aiutare in questo senso le mosse del Papa e quelle della Cina, anche se nessuno – nelle capitali euro-atlantiche – ammetterebbe mai pubblicamente che sta almeno “sperando” in un cessate il fuoco.

Le ragioni di questo tardivo “pacifismo”, come abbiamo altre volte ricordato, non sono affatto nobili, ma semplicemente “oggettive”.

Ci sono problemi seri nel rifornire di armi e munizioni l’esercito ucraino, con i paesi Nato ormai a corto di mezzi per una “guerra simmetrica” di vecchio tipo, dopo essersi specializzati in armamenti per quelle “asimmetriche”, ossia contro paesi debolissimi, in cui bastava bombardare dai cieli per qualche settimana e poi far avanzare truppe tutto sommato di piccola entità senza incontrare una immediata resistenza significativa.

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Il Chimico Scettico: Nuovi millenarismi

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Nuovi millenarismi

di Il Chimico Scettico

C’è chi continua ad aspettare il ritorno di un nuovo virus a letalità significativa come in antico c’era chi aspettava la seconda venuta di Cristo. In modo che di nuovo siano separati i giusti (che hanno fatto tutto quanto prescritto e anche di più) dagli ingiusti, destinati a morire intubati in ospedale. Hanno vissuto nella pandemia un momento di cristallina chiarezza, che rinsaldava la loro fede nella luce dell’ascienza (non è un typo), che garantiva la salvezza ai fedeli e la dannazione ai reprobi.

C’è chi predica l’apocalisse climatica prossima ventura: quattro anni fa era già l’ultimo momento utile per fare qualcosa e oggi continua ad esserlo (“un momento” è un’unità di misura estremamente flessibile). Solo un’altra setta apocalittica che dice “scienza” quando invece si tratta di fideismo esaltato (una qualsiasi disamina della questione ambientale e climatica che non parta dalla critica dei meccanismi del capitale è solo fumo negli occhi   https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/04/perche-la-green-chemistry-non-tira.html  ).

E ieri l’altro c’era chi predicava la decrescita felice (felice per pochi, mica per tutti).

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Fabrizio Poggi: Dove sarà il nuovo fronte anti-russo dopo la sconfitta ucraina

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Dove sarà il nuovo fronte anti-russo dopo la sconfitta ucraina

di Fabrizio Poggi

Con l’attenzione giustamente concentrata sul “tritacarne Bakhmut”, sulle slinguate vespiane al nazi-capo ucraino a Roma, sulla declamata e rinviata di settimana in settimana “controffensiva ucraina”: insomma, con gli occhi puntati sulla guerra guerreggiata, cade un po’ fuori dal raggio visivo la preparazione di altri fronti su cui USA e NATO pianificano di impegnare la Russia, data ormai per inevitabile la fine ingloriosa della cricca nazi-golpista di Kiev.

E di potenziali e programmati fronti, anche limitandosi al quadrante europeo, ce ne sono. Orami da tempo si scrive delle ambizioni polacche di diventare il “centro di gravità” europeo e della conseguente corsa, oltre che a farsi hub gasiero nel Baltico per il gas americano, ad attrezzarsi sul piano militare. Si sono altre volte riportate le dichiarazioni del Ministro della guerra Mariusz Blaszczak sui piani di riarmo di Varsavia, con l’ambizione a divenire presto il più potente esercito di terra in Europa, con 300.000 uomini sotto le armi. Di più, oltre a puntare freneticamente all’acquisto di missili, carri armati, elicotteri d’attacco da USA, Corea del Sud, Gran Bretagna, Varsavia parla ora della futura realizzazione di un centro di produzione e manutenzione per missili HIMARS e carri “Abrams”, anche per altri paesi europei.

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Marco Cattaneo: Un equivoco sull’impatto inflazionistico dei deficit

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Un equivoco sull’impatto inflazionistico dei deficit

di Marco Cattaneo

Credo sia opportuno chiarire un equivoco in cui spesso si cade parlando del deficit pubblico e del suo impatto sull’inflazione

L’equivoco è pensare che il deficit abbia un impatto inflazionistico se è realizzato emettendo moneta, impatto che invece non esisterebbe, o sarebbe inferiore, in caso di emissione di titoli di Stato.

Dimostra di non avere le idee chiare su questi temi perfino un premio Nobel come Paul Krugman, e lo si comprende dall’affermazione che vedete qui di seguito.

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Il Pungolo Rosso: Il taglio del cuneo fiscale: una partita di giro. Anzi, una partita a perdere

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Il taglio del cuneo fiscale: una partita di giro. Anzi, una partita a perdere

di Il Pungolo Rosso

Il governo Meloni – piaccia o non piaccia – manovra per accrescere la propria popolarità con il taglio del cuneo fiscale, che sotto la ingannevole apparenza di un regalo dello stato ai lavoratori, è in realtà una “partita di giro”, anzi una partita a perdere. Il beneficio materiale e politico è tutto per i padroni, e per il governo che in questo modo legittima ulteriormente la sua ricetta fiscale rigorosamente anti-operaia: il cammino verso la flat tax. Un cammino avviato con il reaganismo e proceduto in avanti di tantissimo, sia nell’”Occidente collettivo” che nella Russia putiniana, che l’ha fissata al 13% per padroni e operai (dal 2001 al 2020 – salvo un piccolo ritocco al 15% dal 2021 per i redditi superiori ai 75.000 dollari).

Su questo tema pubblichiamo una nota di redazione e l’efficace volantino del SI Cobas di Genova. (Red.)

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Nella contabilità la partita di giro è mettere in bilancio una certa somma in entrata e contemporaneamente in uscita. La manovra del governo ha esattamente lo stesso effetto perché detassa una parte dei contributi a carico dei lavoratori e finanzia la minore entrata fiscale con uno stanziamento che verrà pagato dalla tassazione generale.

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