[Sinistrainrete] Michele Castaldo: Il clima e le obiezioni di Gerardo

Rassegna del 30/05/2023

 

 

Michele Castaldo: Il clima e le obiezioni di Gerardo

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Il clima e le obiezioni di Gerardo

di Michele Castaldo

64667adc05991La discussione è partita parlando dell’ultimo disastro ambientale in Emilia Romagna, perché c’è da interrogarsi con serietà su un problema così gravoso.

Chi è Gerardo? Uno preso a campione fra i tanti militanti e simpatizzanti della sinistra, pensionato dopo anni di peregrinare tra collegi, seminari, Italia, Germania e Svizzera, di insegnamento e una vita spesa in cultura, che alle mie argomentazioni sul determinismo e la vacuità del libero arbitrio pone la domanda non priva di senso «ma allora siamo degli automi»?

Cercherò di rispondere a questa ed altre domande, ch’essa presuppone, senza ambiguità.

In premessa dico che la domanda di Gerardo presuppone l’uomo come soggetto esclusivo rispetto al movimento generale della materia, dunque alle altre specie della natura. Pertanto se è sbagliata la premessa tutto il ragionamento frammezzato di domande non può che seguire il percorso della premessa.

Distinguiamo due concetti fondamentali da cui partire: fatalismo e determinismo. Per fatalismo si intende una concezione filosofica per cui il mondo è governato da una necessità ineluttabile e del tutto estranea alla volontà e all’impegno dell’uomo. Mentre per determinismo si intende una concezione per cui tutto accade secondo rapporti di causa-effetto.

Il punto da aggredire, perciò, almeno per chi scrive queste note, è lo studio del rapporto causa-effetto in rapporto alla casualità che è anch’essa l’effetto di un rapporto. Dunque siamo in presenza di più fattori confluenti che contribuiscono a determinare un fatto, ovvero il participio passato del verbo fare.

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Agata Iacono: Liceo Albertelli di Roma e i fondi del PNRR: perché non è andata come ve la racconta Repubblica

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Liceo Albertelli di Roma e i fondi del PNRR: perché non è andata come ve la racconta Repubblica

di Agata Iacono

720x410c50mjuytfsLa notizia è stata ben censurata dai media di regime, che si concentrano sul caro affitti degli studenti fuori sede in tenda, come se per tutto il resto la scuola italiana non avesse altri problemi, e addirittura Repubblica prova maldestramente a manipolarla.

Tre giorni fa, infatti, Valentina Lupia su Repubblica scrive che il liceo classico Albertelli di Roma rifiuta i fondi del PNRR per il voto contrario di soli due genitori del consiglio d’istituto.

Risponde il liceo classico Albertelli con un comunicato stampa che riportiamo di seguito.

“COMUNICATO STAMPA

Insegnanti, genitori e studenti del Liceo Pilo Albertelli di Roma difendono la scuola pubblica.

Siamo genitori del Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma e abbiamo letto l’articolo a firma di Valentina Lupia apparso su la Repubblica di ieri, 15/05/2023, in cui la decisione del Consiglio di Istituto del 4 maggio scorso di non approvare i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Next generation – Labs e Classrooms viene descritta come il risultato di una scelta ideologica fatta da genitori contrari alla tecnologia e agli investimenti nella scuola: vi chiediamo lo spazio di una replica.

Innanzitutto sgombriamo il campo da una mistificazione: non sono stati due genitori a bocciare i progetti del PNRR, ma la maggioranza del Consiglio di Istituto, organo unitario di indirizzo della scuola in cui sono rappresentate tutte le componenti: a favore dei progetti hanno votato solo il dirigente scolastico e un genitore.

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Alberto Baffigi: Paolo Baffi: la moneta europea e “il crepuscolo degli esperti”

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Paolo Baffi: la moneta europea e “il crepuscolo degli esperti”

di Alberto Baffigi*

Paolo BaffiAbstract: Il lavoro affronta una questione centrale nella storia del pensiero economico: quella del rapporto fra teoria economica e scelte politiche. Lo fa studiando il pensiero economico di Paolo Baffi (1911-1989), Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979, còlto in un momento particolare della storia europea e italiana: quello che precede immediatamente l’avvio del Sistema monetario europeo (SME), nel 1978, e gli anni successivi. Sono i primi passi dell’integrazione monetaria europea. Il ruolo di Baffi nel negoziato sullo SME è centrale, ma ne esce sconfitto. Allora come ora, gli esperti erano criticati in nome della democrazia. Lo fu anche l’esperto Paolo Baffi, per le perplessità pubblicamente espresse sulla costruzione di un sistema monetario a guida tedesca che avrebbe comportato l’adesione a una politica monetaria di alti tassi di interesse. Una riflessione sul pensiero e sull’azione istituzionale di Baffi può essere utile nella ricerca di una sintesi fra tecnica e politica, oggi quanto mai urgente.

Per uso pubblico della propria ragione io intendo quello che un individuo può esercitare in quanto esperto della materia di fronte al pubblico intero del mondo dei lettori. Chiamo, invece, uso privato quello che è consentito a un individuo in quanto gli è stata affidata una determinata carica civile o funzione pubblica.

Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (Kant, 1997, pp. 26-27)

1. Paolo Baffi e l’uso pubblico della ragione

Quello del rapporto fra i tecnici e la politica è un tema centrale nel dibattito pubblico odierno. Lo è in particolare in relazione al progressivo scollamento fra i due ambiti, della crescente sfiducia reciproca. Non è una novità.

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Francesco Santoianni: Arsenale ucraino di Khmelnitsky. Proseguono le menzogne dell’occidente sull’uranio impoverito

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Arsenale ucraino di Khmelnitsky. Proseguono le menzogne dell’occidente sull’uranio impoverito

di Francesco Santoianni

Uranio impoverito? Nessun problema, secondo i media mainstream, tutti intenti a smentire il comunicato del Consiglio di sicurezza della Federazione russa su una nube radioattiva ertasi sopra l’arsenale ucraino di Khmelnitsky dopo la distruzione di missili britannici, con ogiva a uranio impoverito, lì custoditi.

Smentite irresponsabili considerando che arrivano ad affermare che, essendo l’uranio impoverito un elemento pesante, «non può causare fenomeni radioattivi nell’aria» e che «il nome stesso, impoverito, suggerisce come sia un materiale molto meno radioattivo dell’uranio. Così poco da emettere solo (sic!) raggi alfa, particelle in grado di viaggiare solo per pochi centimetri in aria e rilevabili solamente in loco. Inoltre, sono pericolosi per la salute solo (sic!) se la loro sorgente viene ingerita o inalata». E a queste farneticazioni ci sarebbero da aggiungere sorprendenti vaneggiamenti, come quelle di Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera: «(le armi ad uranio impoverito) vengono usate in tutte le parti; sono solo alcune delle tante armi usate».

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Fabio Mini: Kiev e le trappole della “vittoria”

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Kiev e le trappole della “vittoria”

di Fabio Mini

Il viaggio nei principali Paesi europei e in Italia del presidente Zelensky ha confermato quanto da tempo sanno e dicono gli analisti non imbrigliati dalla propaganda. Gli Stati Uniti sono stati chiari: non sono convinti che la controffensiva ucraina, se e quando avverrà, possa essere conclusiva.

La vittoria non potrà coincidere con la ripresa di parte del territorio occupato o con una tregua temporanea. Gli Stati Uniti sosterranno Kiev fino all’ultimo ucraino ma non più di tanto; l’Europa deve sbrigarsela da sola. La loro priorità è la partita globale con la Cina e ora che il fronte militare euro-atlantico è compattato a parole, gli europei devono dimostrarlo con i fatti. Non possono cavarsela soltanto con l’invio di armi nuove o scassate. Devono rendersi conto di essere in guerra e di dover combattere per la propria sicurezza. Il presidente Zelensky si è perciò mosso per accertarsi che i governi europei garantiscano per prima cosa le armi e munizioni necessarie per la prevista controffensiva, poi l’ingresso dell’Ucraina nell’unione e infine l’accesso alla Nato. La prima garanzia dovrebbe essere già sicura, ma l’Ucraina ha bisogno di armi in maggior numero, migliore qualità e più in fretta.

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Clara Statello: La censura rende liberi: Youtube e il caso “Referendum”

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La censura rende liberi: Youtube e il caso “Referendum”

di Clara Statello

YouTube ha eliminato il documentario sui quesiti referendari, pubblicato sul canale dell’Antidiplomatico. Qualsiasi opinione si abbia sui referendum contro l’invio di armi o sul regista Michelangelo Severgnini, si tratta di un atto gravissimo di censura, anche se la rimozione fosse solo temporanea.

Una compagnia privata extranazionale ha la capacità di limitare alcuni diritti costituzionali: la libertà di pensiero e di stampa, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione, il diritto ad esercitare e promuovere l’iniziativa referendaria, prevista dall’art. 75. Il ban al docufilm “Referendum”, dunque, ci riguarda tutti perché è un’ulteriore compressione dello spazio democratico e dei nostri diritti di cittadini italiani, è una minaccia ai principi e valori antifascisti su cui si fonda la nostra repubblica nata dalla Resistenza.

 

I precedenti

Non si tratta purtroppo dell’unico episodio di censura sulle piattaforme internet e social.

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Salvatore Bravo: Totalitarismo implicito

sinistra

Totalitarismo implicito

di Salvatore Bravo

Nella società del consumo senza freno e della libertà da ogni vincolo etico si teme il Rosario. La maestra della provincia di Oristano sospesa per venti giorni per aver recitato preghiere in classe ci parla della verità nascosta in cui siamo: il totalitarismo implicito. Bisogna dare un nome alla condizione attuale, se non nominiamo il male non vi può essere terapia per la guarigione. Il capitalismo nella sua fase apicale si presenta ai popoli come la nuova religione, si tratta del monoteismo del plusvalore, ogni attività che assedia il dio geloso e onnipresente del capitale dev’essere punita. La grande colpa della maestra è aver evocato con le preghiere una divinità superiore al capitale, è questa, probabilmente, la sua dolorosa infrazione al “politicamente corretto”.

La religione è ammessa solo se passivizzata e resa superflua, essa dev’essere un mezzo con cui il capitale si dichiara democratico e plurale, la polifonia delle voci è tollerata se i loro vocalizzi non producono prassi trasformativa.

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Giuseppe Masala: Il particolare taciuto sugli F-16 e l’escalation (nucleare?) scelta dalla Nato

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Il particolare taciuto sugli F-16 e l’escalation (nucleare?) scelta dalla Nato

di Giuseppe Masala

Durante il vertice del G7 il presidente americano Joe Biden ha dato il tanto agognato (dagli ucraini) nulla osta al trasferimento di cacciabombardieri americani General Dynamics F-16 Fighting Falcon. Una mossa che tutti capiscono sarà foriera di conseguenze e che gli analisti e i commentatori delle maggiori testate occidentali si sono affrettati a commentare.

Innanzitutto tutti capiscono l’importanza di questo nulla osta perché fa fare un ulteriore salto di qualità all’assistenza che la Nato, gli USA e l’Occidente Allargato stanno dando all’Ucraina nel conflitto con la Russia.

Siamo partiti con le armi leggere, con i missili anticarro portatili tipo Javelin e con i missili antiaerei spalleggiabili tipo Stinger, siamo arrivati ai cacciabombardieri F-16. E in mezzo siamo passati attraverso, carrarmati prima di produzione sovietica (T-70, T-80, ecc.) poi di produzione occidentale (dai Leopard tedeschi, ai Challenger britannici, fino agli Abrams americani), ai sistemi antiaerei costosissimi come i Patriot PAC-3 e i franco-italiani Samp-T, per non parlare poi dei missili da crociera micidiali di produzione britannica Storm Shadow.

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Alberto Bradanini: Biglobalizzazione, Ma è proprio così?

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Biglobalizzazione, Ma è proprio così?

di Alberto Bradanini

globalizzazione 867x487Secondo la teoria delle relazioni internazionali nota come realismo (o neorealismo), che ad avviso dello scrivente più di altre consente di decifrare gli accadimenti in corso, protagonista della scena internazionale è lo Stato e il conflitto, politico o militare ne costituisce il carattere dominante. Essendo il potere la posta in gioco, ogni stato mira ad accrescere forza e influenza a danno di altri. Si tratta di una teoria in essenza a-valoriale, che a dispetto dello stupore dissenziente del cosiddetto Occidente non fa distinzione alcuna tra sistemi democratici (liberalismo politico/economia di mercato) e autocrazie o dittature. Secondo tale ermeneutica, i canoni di condotta dei soggetti internazionali sono costanti, a prescindere da tempi e luoghi, i momenti di cooperazione rari e instabili e le difformità da contesto a contesto toccano solo aspetti minori.

In seno a tale scuola di pensiero le leggi identificano le tendenze, le invarianze e le possibili associazioni, mentre le teorie spiegano le ragioni di tali associazioni. Per i realisti, in sostanza, la storia tende a riproporsi ovunque sulla scorta di simili modelli e canoni di comportamento.

Diversamente, per la scuola idealista il mondo procede costantemente in direzione del progresso, come lo storicismo in filosofia. L’essere umano è al centro dell’azione dello stato e la pace perpetua costituisce il fine da perseguire tramite le istituzioni internazionali, l’interazione bilaterale e l’impegno valoriale. Tale obiettivo presuppone l’impegno etico a battersi contro il cinismo e l’indifferenza, anche quando il successo è faticoso e la battaglia un’apparente scelta d’ingenuità.

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Alvise Marin: Un commento a: Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia

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Un commento a: Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia

di Alvise Marin

Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale, Rosenberg&Sellier, 2022

Schermata 2023 05 22 alle 23.28.10 1140x641Il nuovo libro di Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale (Rosenberg & Sellier, 2022), ci pone di fronte a un problema quanto mai attuale, quello di quale sia il modo più adeguato di rapportarsi alle nuove tecnologie digitali, per poterne utilizzare le straordinarie opportunità che mettono a disposizione dell’uomo, senza che quest’ultimo ne diventi una mera appendice. E’ del resto plausibile, dal mio punto di vista, quanto tali tecnologie stiano inducendo, soprattutto nei più giovani, una trasformazione del rapporto con la realtà, delle relazioni sociali e finanche della mente, del corpo e della psiche umane. In particolare, la connettività planetaria, attraverso “l’automa cognitivo globale” della rete, come ci ricorda Franco Berardi, porta con sé conseguenze su diversi piani: “c’è un legame tra connettività e prossemica sociale, c’è un legame tra connettività e perdita dell’empatia, c’è un legame tra connettività e precarietà del lavoro, e dissoluzione del sentimento sociale della solidarietà […] c’è un rapporto tra connettività e suicidio”[1]. Sembra quindi si stia realizzando una sorta di cablatura digitale dell’essere umano, una “modellazione biosociale della sensibilità, ovvero un’incorporazione di automatismi cognitivi nella percezione, nell’immaginazione, nel desiderio”[2].

Lo sviluppo più recente dell’intelligenza artificiale (AI), dal canto suo, comincia a nutrire l’ambizione di poter duplicare le funzionalità fisico cognitive dell’essere umano, attraverso replicanti robotizzati la cui anima è un algoritmo evoluto che autoapprende (learning machine), il cui corpo è composto da materiali sintetici e la cui alimentazione è a base di sterminate basi di dati[3].

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Enzo Rullani: Fordismo, postfordismo, digitalizzazione: l’orizzonte strategico del capitalismo

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Fordismo, postfordismo, digitalizzazione: l’orizzonte strategico del capitalismo

Antonio Alia intervista Enzo Rullani

0e99dc 68ec65d43a73443c9b6fa2d6c26b5e6emv2Quando si tratta di comprendere le trasformazioni del capitalismo, non si può fare a meno della ricerca e dello sguardo teorico di Enzo Rullani. Economista e Senior Researcher alla Ca’ Foscari, autore di molti e importanti volumi, è stato tra i primi e tra i più acuti studiosi ad afferrare i nodi sociali, economici e politici del passaggio, a cavallo degli anni Ottanta, dal paradigma fordista a quello postfordista. In questa intervista, che ci ha gentilmente concesso e che va collocata all’interno della ricerca sui decenni perduti inaugurata da Machina, Enzo Rullani ripercorre quella transizione che, per le organizzazioni rivoluzionarie dell’epoca, rappresentò un problema irrisolto con cui ancora oggi abbiamo la necessità di confrontarci. Per quali ragioni il capitale riuscì a integrare, a loro discapito, quegli stessi operai che fino a poco tempo prima avevano dato vita al più importante ciclo di lotta di classe del Novecento in Europa, ed espresso tra le più radicali forme di rifiuto del lavoro? Perché il protagonismo rispetto al proprio destino, da rifiuto di classe del destino capitalistico, si è trasformato in sua entusiastica accettazione individualistica? Una pista che può valere la pena di seguire è quella che Enzo Rullani indica con il concetto di «ri-personalizzazione delle imprese e del lavoro», un processo che segna ancora oggi il rapporto con il lavoro di una fetta consistente della composizione sociale. La ricerca di una risposta a queste domande non va però intesa come un semplice esercizio storiografico, bensì come la condizione per uscire, oggi, dall’impasse politica in cui ci troviamo, pur con la consapevolezza che altre trasformazioni (come la digitalizzazione), nel frattempo, sono sopraggiunte. Di fronte a esse, la ricostruzione della loro genealogia e l’individuazione di un orizzonte strategico sono le due condizioni per evitare il rischio del «presentismo», come viene sapientemente chiamato nell’intervista, e per rovesciare le tendenze dello sviluppo che, come scrive ancora Rullani, non hanno nulla di necessario.

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Giacomo Gabellini: “Terziarizzazione” dell’economia: tutti i fattori che spiegano il default Usa

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“Terziarizzazione” dell’economia: tutti i fattori che spiegano il default Usa

di Giacomo Gabellini

 

La delocalizzazione e i suoi effetti negli Usa

Come è noto, gli Stati Uniti, prima società “post-industriale”, sono stati i primi a subire gli effetti della delocalizzazione, indotta dalle politiche neoliberiste portate avanti dai governi Reagan, Bush senior, Clinton e Bush junior, con la sottoscrizione di accordi di libero scambio quali il Nafta e la rimozione progressiva di tutte le barriere a protezione del mercato interno. Da avanguardia capitalistica quali erano, gli Usa tracciarono quindi il sentiero che avrebbero progressivamente percorso tutti gli altri Paesi industrializzati, facendo sì che nell’arco di trent’anni (1980-2010), gli investimenti esteri della Francia crescessero dal 3,6 al 57% del Pil, quelli della Germania dal 4,7 al 45,7%, quelli dell’Italia dal 6 al 28%. Secondo alcuni calcoli, se quella ricchezza fosse rimasta entro i rispettivi confini nazionali, la Francia avrebbe creato 5,9 milioni di posti di lavoro, la Germania 7,3 milioni e l’Italia 2,6 milioni – non è un caso che tutti i Paesi che hanno fatto massiccio ricorso alla delocalizzazione siano stati scavalcati nelle classifiche internazionali.

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Andrew Korybko: Cosa viene dopo la vittoria della Russia nella battaglia di Artyomovsk?

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Cosa viene dopo la vittoria della Russia nella battaglia di Artyomovsk?

di Andrew Korybko

Questo pezzo valuterà la situazione attuale con l’intento di farsi un’idea più precisa di ciò che potrebbe accadere in seguito.

Sabato la Russia ha dichiarato la vittoria nella battaglia di Artyomovsk dopo 224 giorni di combattimenti. Zelensky aveva già previsto all’inizio di marzo che i suoi avversari avrebbero potuto conquistare il resto del Donbass, motivo per cui il leader ucraino ha ordinato alle sue forze di combattere fino alla fine, nonostante le notizie secondo cui l’America gli avrebbe consigliato di ritirarsi da lì già a gennaio. Questo pezzo valuterà la situazione attuale con l’intento di farsi un’idea più precisa di ciò che potrebbe accadere in seguito:

1. Artyomovsk non è una città strategica in sé e per sé

Artyomovsk non ha nulla di speciale che la distingua da altre città di dimensioni simili nel Donbass, anche se il suo controllo, in un modo o nell’altro, può comunque facilitare l’accesso al resto delle posizioni strategiche della regione.

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Pierluigi Fagan: La caosificazione degli americani

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La caosificazione degli americani

di Pierluigi Fagan

Il doppio post recente sulla crisi della civiltà occidentale poneva come un sottosistema a sé le società anglosassoni, gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna ed altre tre minori. Riguardo gli USA, c’è da segnare come, finita la presidenza Trump, le notizie date qui su quel mondo sono semplicemente sparite. Sulla Gran Bretagna, talvolta, qualche europeista prova piacere a raccontare i significativi malesseri britannici addebitandoli alla Brexit, ma niente di più. Infine, col nuovo governo, siamo diventati “amici preferiti” tanto dell’uno che dell’altro. Nel caso americano ne va anche della coerenza di allineamento geopolitico con attualità nel conflitto ucraino, posizione super-partes nello schieramento politico italiano che per altro, secondo scarni sondaggi, non rifletterebbe per niente il sentimento maggioritario del Paese. Quindi sugli USA, dal punto di vista interno, non c’è niente da dire?

Nel 2022, una storica americana specializzata in conflitto civile (fondazione storica degli States), ha fatto clamore, sostenendo che in base alla letteratura di analisi storica generale, si potevano sintetizzare alcuni punti di crisi che potevano far prevedere l’imminente rischio di scoppio di una “stasis”.

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Gaetano Colonna: Osservando la bancarotta degli Usa

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Osservando la bancarotta degli Usa

di Gaetano Colonna

Avete per caso letto qualcosa sul default statunitense sui giornali in questi giorni? Sentito qualcosa ai telegiornali? Quello che ha fatto rinviare la partenza di Biden per il summit G8? Non sembra che i nostri super-autorevoli giornalisti se ne stiano occupando molto.

Eppure, se avete la pazienza di vedere i dati che presentiamo, un essere umano normale, anche se non espertissimo di economia, farà probabilmente un salto sulla sedia.

In questi giorni infatti, il parlamento statunitense si sta accapigliando per decidere se alzare o meno il cosiddetto “tetto” al di sopra del quale, a norma della costituzione Usa, il governo dovrebbe dichiarare default, l’italianissima “bancarotta”.

Già perché, ogni volta che questo tetto minaccia di essere superato, semplicemente il parlamento Usa alza il tetto, e il gioco è fatto: poco importa se il debito nazionale, come lo chiamano negli Stati Uniti d’America, continua a salire vertiginosamente.

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Fabrizio Casari: G7, la nave dei folli

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G7, la nave dei folli

di Fabrizio Casari

Riuniti a Hiroshima in un vertice autoreferenziale, i cosiddetti grandi della terra, il cui metro di grandezza ormai è soprattutto il rispettivo debito, hanno affermato che il mondo continuerà ad andare come vogliono loro e nei tempi che vogliono loro. Non è mancata l’ennesima parata di Zelensky, solito abbigliamento e simboli nazisti al braccio, solita interpretazione del testo redatto dalla Casa Bianca e solita telenovela intitolata “la controffensiva”.

Sull’Ucraina è stata lanciata una fatwa imperiale: niente negoziati, business per la ricostruzione, guerra a oltranza e nuove sanzioni, perché le migliaia passate finora non funzionano. Simbolicamente l’emissione del comunicato finale ha coinciso con l’annuncio ufficiale di Mosca della presa di Bakhmut, centro strategico per il controllo del Donbass.

Nuove sanzioni. Anche se solo 50 dei 193 Paesi della comunità internazionale applicano sanzioni contro Mosca, il G7 annuncia che ci saranno sanzioni anche per chi non le applica.

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