Per quelli che adorano i numeri, le più menti statistiche, c’è il macabro aggiornamento quotidiano – il più serio è quello che Mondoweiss pone all’inizio dei suoi articoli – ma le cifre dello sterminio, si sa, ormai scivolano via. Che differenza volete che facciano, viste da lontano, 23, 26 o 28mila morti? Per chi preferisce l’orrore del come si può essere uccisi, ci sono le esecuzioni a bruciapelo, prima delle mamme e dei papà davanti ai bambini, poi quelle dei padri davanti ai figli disabili e così via via crescendo nella scala delle atrocità. Le racconta Maha Hussaini su Middle East Eye tradotto da Pagine Esteri. Per le anime belle che si domandano se in ogni guerra, “purtroppo”, questo non sia inevitabile, c’è Nicola Perugini che spiega su Al Jazeera, tradotto da Invicta Palestina, come Israele abbia spinto deliberatamente la gente di Gaza in “zone sicure” per poi bombardarle. E infine, per chi arriva senza alcun cinismo a chiedersi se sia davvero preferibile una fine orrenda alla sopportazione di orrori senza fine, c’è Ayman Hamid, 40 anni, padre di otto figli, sfollato presso l’Università islamica di Gaza, che, in questo articolo che traduciamo da Ctxt, arriva a gridare: “Temevo la morte dei miei figli a causa dei bombardamenti israeliani, ma ora temo che moriranno a causa dell’epidemia e della mancanza di assistenza sanitaria. Israele cerca di ucciderci con ogni mezzo possibile”. Questa è la fotografia di Gaza cui non si deve pietà ma giustizia, quella che ci sembra abbia il diritto – senza ipocrisie e senza alcuna retorica – di chiedere a chi su Comune ha la forza di leggere tutto questo: per favore non tollerate che, in attesa di tempi migliori, vinca ancora una volta l’abitudine all’orrore. Perché in quel caso è ben più che probabile che tempi migliori non arriveranno
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