[SinistraInRete] Carla Filosa: Le cause finanziarie e valutarie del conflitto

Rassegna 29/02/2024

 

Carla Filosa: Le cause finanziarie e valutarie del conflitto

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Le cause finanziarie e valutarie del conflitto

di Carla Filosa

Dato l’attuale perdurare dello stato di guerra, proprio di questo sistema economico in crisi irresolubile, sembra fondamentale precisare anche sul piano concettuale cosa sia il denaro, per cui occultamente in vario modo si combatte, cosa si intenda per valuta, e conseguentemente per conflitto valutario. Il richiamo e ripristino di contenuti reali di un’apparente autonomia della sola misurazione tra forze militari, deve servire a spostare sul piano conoscitivo e cioè cosciente, l’indignazione e l’orrore per la distruzione e le inesauribili morti altrui. Non è una novità che le cause delle guerre vadano ricercate in ambito economico, sin dall’antichità ne parlò Tucidide (460 a.C. circa). La specificità delle guerre nel sistema di capitale, è però qualcosa che la grandezza dello storico greco non poteva ovviamente immaginare, come purtroppo molti osservatori, nostri contemporanei, per lo più distolti o distratti dalle narrazioni accademiche e mediatiche manipolate dai poteri che le gestiscono.

Sulle cause della guerra in Ucraina molto è stato già detto, e a queste si rinvia. Data però la rilevazione di obiettivi politici legati alla disgregazione territoriale degli assetti attuali, ma anche e soprattutto di egemonia valutaria e in particolare quest’ultima da parte del dollaro statunitense, è bene rammentare il contesto storico che in questo aspetto del confliggere si è sviluppato, per comprendere meglio l’importanza internazionale legata alla portata sociale. Contro la propaganda mainstream, quindi, che semplifica le date di inizio delle ultime guerre al 7 ottobre o al 24 febbraio ‘23, qui si farà cenno del lungo processo temporale in cui sono stati predisposti i vari conflitti da intraprendere, proprio per non perdere la memoria dei vantaggi agognati.

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Ilan Pappe: È il buio prima dell’alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine

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È il buio prima dell’alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine

di Ilan Pappe | mronline.org

Il professor Ilan Pappe ha parlato all’annuale Genocide Memorial Day dell’IHRC (Islamic Human Rights Commission), tenutosi a Londra il 21 gennaio 2024, sulla necessità di comprendere che il genocidio dei palestinesi a cui stiamo assistendo, per quanto brutale, è anche la fine del cosiddetto Stato ebraico. Dobbiamo essere pronti a immaginare un nuovo mondo al di là di esso.

GAZA 080124 2560x1440 1L’idea che il sionismo sia un colonialismo di insediamento non è nuova. Gli studiosi palestinesi che negli anni ’60 lavoravano a Beirut nel Centro di Ricerca dell’OLP avevano già capito che quello che stavano affrontando in Palestina non era un progetto coloniale classico. Non inquadravano Israele solo come una colonia britannica o americana, ma lo consideravano un fenomeno che esisteva in altre parti del mondo, definito come colonialismo di insediamento. È interessante che per 20-30 anni la nozione di sionismo come colonialismo di insediamento sia scomparsa dal discorso politico e accademico. È tornata quando gli studiosi di altre parti del mondo, in particolare Sudafrica, Australia e Nord America, hanno concordato che il sionismo è un fenomeno simile al movimento degli europei che hanno creato gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Questa idea ci aiuta a comprendere molto meglio la natura del progetto sionista in Palestina dalla fine del XIX secolo ad oggi, e ci dà un’idea di cosa aspettarci in futuro.

Credo che questa particolare idea degli anni ’90, che collegava in modo così chiaro le azioni dei coloni europei, soprattutto in luoghi come il Nord America e l’Australia, con le azioni dei coloni che arrivarono in Palestina alla fine del XIX secolo, abbia chiarito bene le intenzioni dei coloni ebrei che colonizzarono la Palestina e la natura della resistenza locale palestinese a quella colonizzazione. I coloni seguirono la logica più importante adottata dai movimenti coloniali di insediamento, ossia che per creare una comunità coloniale di successo al di fuori dell’Europa è necessario eliminare gli indigeni del Paese in cui ci si è stabiliti. Ciò significa che la resistenza indigena a questa logica è stata una lotta contro l’eliminazione e non solo di liberazione. Questo è importante quando si pensa all’operazione di Hamas e di altre operazioni di resistenza palestinese fin dal 1948.

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Adam Entous e Michael Schwirtz: Come la Cia ha preso possesso dell’Ucraina golpista

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Come la Cia ha preso possesso dell’Ucraina golpista

di Adam Entous e Michael Schwirtz – New York Times

fjruyjkxlUn segreto strettamente custodito per un decennio.” Con un lungo reportage di Entous e Schwirtz, che come l’AntiDiplomatico abbiamo tradotto nella sua interezza per l’importanza, il New York Times svela esplicitamente come dopo il golpe di Maidan del 2014 la Cia ha preso possesso dell’Ucraina golpista e preparato tutte le scelte aggressive contro la Russia.

Quello che per il NYT era un “segreto custodito”, per chi ha fatto informazione senza le veline di Washington ma cercando di capire le dinamiche era palese dall’inizio. L’AntiDiplomatico ve lo ha raccontato sin dall’inizio. 10 anni dopo ci arriva anche il New York Times. Repubblica e il Corriere quando?

Segue la traduzione completa del testo del Nyt (per le foto e le fonti citate si rimanda al link originale)

* * * *

Immersa in una fitta foresta, la base militare ucraina appare abbandonata e distrutta, il suo centro di comando è una carcassa bruciata, una vittima di un bombardamento missilistico russo all’inizio della guerra.

Ma questo è quello rimasto sopra il suolo.

Non lontano, un passaggio discreto scende verso un bunker sotterraneo dove team di soldati ucraini tracciano i satelliti spia russi e intercettano conversazioni tra comandanti russi. Su uno schermo, una linea rossa seguiva il percorso di un drone esplosivo che si insinuava attraverso le difese aeree russe da un punto nell’Ucraina centrale a un obiettivo nella città russa di Rostov.

Il bunker sotterraneo, costruito per sostituire il centro di comando distrutto nei mesi successivi all’invasione russa, è un centro nervoso segreto delle forze armate ucraine.

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Gaetano Colonna: Due anni di guerra in Europa

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Due anni di guerra in Europa

di Gaetano Colonna

In questi due anni di conflitto fra Russia e Ucraina, non si è fatto altro che parlare di fake news e di disinformazione. Telegiornali e quotidiani, intanto, si sono ogni giorno riempiti di notizie che avevano ed hanno il sapore di pura propaganda: vivendo in un Paese occidentale, ovviamente, questa propaganda è stata sviluppata costantemente in senso anti-russo.

Abbiamo pensato sia giusto e necessario mettere semplicemente in fila alcuni punti che la propaganda del mainstream occidentale dimentica di ricordare, e che un buon europeo, invece, non deve dimenticare.

 

1. Motivazione della guerra

Secondo la propaganda occidentale, l’aggressione di Putin dimostra la volontà della Russia di conquistare l’Ucraina, e quindi rappresenta un minaccia diretta per l’Occidente.

Non è così: risulta oramai evidente che Putin ha concepito l’intervento militare come una operazione speciale il cui scopo era, in prima battuta, il rovesciamento del regime di Zelensky; contemporaneamente, l’acquisizione delle province russofone del Donbass, che l’Ucraina ha tenuto per lunghi anni in condizioni di guerra civile (2014-2022).

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Paolo Cornetti: Il mondo dopo il 24 febbraio

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Il mondo dopo il 24 febbraio

di Paolo Cornetti

Sono passati due anni dalla fatidica data. Prima che accadesse non avevamo intuito quanto il mondo che conoscevamo potesse cambiare da un momento all’altro, chiusi come eravamo nella nostra bolla che aveva le pareti composte di un equilibrio internazionale basato sulla potenza militare ed economica degli Stati Uniti.

Non ci si può nascondere, il 24 febbraio 2022 ha modificato la Storia. È intervenuto come un pugno a sfondare un muro ideale eretto da almeno tre decenni.

Quel giorno è il segno, infatti, dell’inizio della guerra alla pervasiva egemonia americana nel mondo. Il momento in cui gli Stati che si sentivano penalizzati dal peso di Washington hanno iniziato a elaborare strategie per liberarsene, anche con la forza.

Non possiamo essere sicuri che Putin il giorno che ha dato l’ordine di invadere i territori ucraini partendo dalle zone autonome e filo-russe del Donbass avesse esattamente ciò in mente, ma questo è stato sostanzialmente l’effetto. Nella lunga onda del 24 febbraio 2022, che probabilmente ci porteremo dietro per molto tempo, va anche inserita senz’altro l’attuale situazione del Medio Oriente, dove vari attori hanno iniziato in maniera disordinata, dall’Arabia Saudita all’Iran, a pretendere chi maggiore autonomia, chi completa libertà d’azione rispetto agli Stati Uniti.

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Giorgio Agamben: La spada di Damocle

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La spada di Damocle

di Giorgio Agamben

È bene non dimenticare la leggenda di Damocle, che Cicerone racconta nelle sue Dispute Tusculane. Un giorno, Damocle, un cortigiano di Dionisio, tiranno di Siracusa, lo elogiava «per le sue ricchezze, per la maestà della sua potenza, per la magnificenza della sua reggia». «Damocle –gli rispose il tiranno – poiché ti piace questa vita, voglio dartene un assaggio e farti provare la mia sorte». Lo fece sedere su un divano ricoperto da un drappo finemente ricamato, gli mise davanti vasellami preziosi e mise al suo servizio giovani di straordinaria bellezza pronti a eseguire ogni suo cenno. Damocle si credeva felice, finché non si accorse che dal soffitto gli pendeva sul capo una spada acuminata sospesa a un crine di cavallo. A quel punto l’incauto encomiasta rinunciò a ricchezze e potere e scongiurò Dionisio di lasciarlo andar via, perché non voleva più essere felice in quel modo.

Oggi vediamo che la spada sospesa sul capo dei tiranni sta per cadere, il crine che sostiene quella sospesa sul capo di Zelensky è ormai liso e consunto e forse, domani, anche quella che pende su altri, a lui complici o avversi, potrà cadere.

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Paolo Ferrero: Due anni di guerra tra Russia e Ucraina: così i nostri governanti mentono e distorcono la realtà

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Due anni di guerra tra Russia e Ucraina: così i nostri governanti mentono e distorcono la realtà

di Paolo Ferrero

Dopo otto anni di guerra civile nel Donbass, due anni fa, il 24 febbraio 2022, è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina. In questi due anni è cambiato il mondo e, tra le altre cose, è cambiata la comunicazione pubblica in occidente. Non che i media prima fossero un esempio di obiettività e di informazione pluralista, ma in questi anni di guerra la situazione è peggiorata in modo clamoroso e la manipolazione dell’opinione pubblica è diventata la norma.

Ovviamente non tutta la manipolazione dell’opinione pubblica passa attraverso bugie. Sovente basta il non detto, oppure illazioni che vengono ripetute così tanto da apparire vere. In altri casi ancora ci troviamo dinnanzi a bugie che producono un grande impatto e che poi vengono smentite debolmente, ma solo molto tempo dopo. In questo modo nella memoria delle persone rimane il falso, ma il potere può sempre vantarsi di saper correggere i propri errori. Qui di seguito alcuni esempi giusto per segnalare il problema.

 

Informazioni pilotate

Due anni fa in occidente questa guerra è stata presentata come un fulmine a ciel sereno dovuto alle manie di grandezza del folle autocrate russo.

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Roberto Iannuzzi: Due anni di conflitto ucraino: la sconfitta dell’Europa

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Due anni di conflitto ucraino: la sconfitta dell’Europa

di Roberto Iannuzzi

La prospettiva di un’Europa teatro di una nuova guerra fredda con la Russia, sebbene al prezzo di diventare più insicura e impoverita, è quanto si augurano gli strateghi americani

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3000x2001Mentre si chiude il secondo anno di guerra in Ucraina, l’apparente stallo che caratterizza questo sfibrante conflitto di logoramento nasconde cambiamenti decisivi sul campo di battaglia e nel panorama internazionale.

Mosca ha riorganizzato le proprie forze, mobilitato nuovi uomini e mezzi, e preme su diversi punti del fronte. Dopo un estenuante assedio, la cittadina di Avdeevka, nell’oblast di Donetsk, è caduta in mani russe. Gli ucraini, fiaccati dalla carenza di soldati e munizioni, sono ormai nettamente sulla difensiva.

Nel frattempo, il fardello del sostegno economico e militare all’Ucraina è passato dagli Stati Uniti all’Europa. Tra aiuti finanziari e fornitura di armi, il contributo europeo è ormai il doppio di quello americano.

Complessivamente, però, l’appoggio occidentale mostra evidenti crepe. Chiare divisioni sono emerse nell’establishment statunitense, ma anche fra i diversi stati europei, e nel governo di Kiev.

Dopo mesi, il Congresso USA non ha ancora approvato il promesso pacchetto di 60 miliardi di dollari in aiuti militari. E in ogni caso, l’industria occidentale della difesa non è in grado di tenere il passo con l’intensità dello scontro bellico in Ucraina.

Da Washington giungono chiaramente pressioni, dirette e indirette, verso l’Europa affinché si assuma responsabilità ancora maggiori nella guerra, dando ossigeno finanziario a Kiev e aumentando le spese militari.

La zavorra del conflitto, e della riconfigurazione degli scambi commerciali e delle fonti di approvvigionamento energetico, dovuta alla rottura dei rapporti con Mosca, ha tuttavia inciso pesantemente sulle economie europee, in evidente difficoltà.

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Alessandro Barile: Le controversie di una “storia sociale” del lungo Sessantotto italiano*

materialismostorico

Le controversie di una “storia sociale” del lungo Sessantotto italiano*

di Alessandro Barile – Università “La Sapienza” di Roma

Sessantotto manifestazione.jpgNel secondo Novecento italiano gli anni Settanta occupano un posto di assoluto rilievo storico, per molteplici e ovvie ragioni. Sono gli anni dell’assalto al cielo1 o del «paese mancato»2, a seconda dei giudizi, delle sensibilità, degli obiettivi della ricerca storica che si intreccia con l’impegno civile. Sono anni, dunque, su cui si è scritto tanto. La lotta armata, che di quegli anni ne è un poco l’epitome, ha vissuto le alterne stagioni di una pubblicistica intrisa di attualità, e quindi di passioni ancora brucianti, di ferite non rimarginate nell’uno e nell’altro campo3. La ricostruzione si è avvalsa spesso della testimonianza del “reduce”, poi della testimonianza della “vittima”. Vi è poi stata la sua “funzionalizzazione” attraverso la categoria del terrorismo, e quindi della criminalità politica4. Un taglio storiografico che, insieme a una sempre più raffinata (talvolta esasperata) precisione documentaria, ha portato con sé lo sfocarsi progressivo dei motivi generali che hanno reso possibile la durata, la profondità e la radicalità del lungo Sessantotto italiano. Non vi è (più) un deficit di informazione, quanto un (nuovo) deficit di interpretazione. Lungo questa parabola ora ascendente ora discendente, si è inserita dapprima la storia sociale5, poi lo sguardo “microstorico”6 a complicare ulteriormente il quadro attraverso spiegazioni antropologiche, se non direttamente psicologiche. Il trascorrere del tempo e l’inevitabile distanziarsi dagli eventi ha comportato il paradossale indebolimento della dimensione compiutamente politica della vicenda. Un fatto che distingue non solo la storia degli anni Settanta, interpretata secondo le categorie della devianza (una devianza ora irrisa, ora intrisa di pietas), ma l’intera storia del movimento operaio organizzato. E quindi – almeno in Italia – anche la storia del Pci, che di fatto prosegue lungo la china funzionalista che la riduce, da tempo, all’interno di una “politologia delle élite” che fa aggio su ogni caratterizzazione ideologica.

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kamo: Verso tempi di chiarificazione

kamomodena

Verso tempi di chiarificazione

di kamo

0. Impercettibili sfrigolii nell’aria di elettricità statica. Vibrazioni di energia cinetica che rompono l’immobilità ristagnante. Attività elettrica che ionizza l’atmosfera, creando le condizioni per scaricarsi a terra.

Si sta muovendo qualcosa. I cani fiutano il temporale.

1. È la guerra. Non le guerre: d’Ucraina, di Palestina. La guerra, unica e indivisibile: operazione di senso non scontata. Sono i fronti di un unico conflitto, che ci vede già coinvolti, questa volta da vicino, questa volta non senza conseguenze. Non è il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq: sono l’Europa, il Mediterraneo – trincee più avanzate degli Stati Uniti. L’Italia al centro di entrambi: pedina dell’impero americano, legata industrialmente alla Germania, dipendente dalle rotte medioceaniche. In un conflitto ibrido che si combatte su più livelli, la cui posta in gioco sono i nuovi equilibri del sistema-mondo.

2. Come retrovie, siamo già in guerra. Prima ce ne rendiamo conto meglio sarà. Loro, quelli che decidono e comandano, lo sanno. È la guerra dei nostri tempi, che scuote, rimescola, mobilita tutto: processi di polarizzazione sociale sono già in atto, altri di radicalizzazione politica bussano alle porte, mezze classi e ceti medi – barometri sociali che registrano il cambiamento delle correnti nell’atmosfera – entrano in agitazione: recentemente, in tutto il Vecchio Continente, col trattore in tangenziale.

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Fulvio Grimaldi: Assange per noi, Navalny per loro e Regeni per l’MI6

mondocane

Assange per noi, Navalny per loro e Regeni per l’MI6

di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=lmaf7rSqlHY

https://t.me/debitoedemocrazia/3137

https://youtu.be/zZrYXZ3xyZ0

Byoblu-Mondocane 3/15: “DEMOCRAZIA, MA CHE, DAVVERO?!”. In onda domenica 21.30. Repliche, lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00 (e poi provate a dire che non capita un giorno utile!)

Un Mondocane corredato da qualche mia riflessione video in occasione del presidio all’ambasciata britannica in difesa e per la salvezza di Julian Assange, della Palestina e della verità.

Che sollievo per i gazzettieri embedded della nostra (Occidente politico) stampa potersi armare e partire, al comando del demente senile Biden, contro l’assassino Putin – apoditticamente tale, a prescindere – del più importante, amabile, maestoso, invitto, oppositore dello zar. Oltre alla malvagità intrinseca del tiranno, se ne poteva rilevare anche la cretinaggine per aver ucciso uno che, da morto, gli si sarebbe ritorto contro mille volte più di quanto non abbia mai fatto in vita.

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Daniele Ioannilli: Come immaginiamo una dittatura sanitaria?

comedonchisciotte.org

Come immaginiamo una dittatura sanitaria?

di Daniele Ioannilli

Come immaginiamo una dittatura sanitaria?

Come ci viene sovente proposta, ovvero personale medico in tuta anticontaminazione a ogni angolo di strada che impone controlli fisici aiutato dall’esercito, coprifuoco e divieti di parlare con altre persone per la strada? Forse trent’anni fa, oggi la dittatura moderna si modella sulla necessità, vuole essere richiesta, vuole essere vista come portatrice di sicurezza e libertà.

Dal Covid in poi il Potere sta preparando il terreno affinché questo succeda. Piccoli passi, dettagli che “sì vabbè è sempre la stessa cosa”… Guardiamo i passi fatti:

  • Nuovo virus dato per estremamente mortale;
  • Propaganda affinché tutti se ne convincano;
  • Si dà un unica soluzione, pena la morte certa. L’obbiettivo è quello di far vaccinare quanta più popolazione possibile;
  • C’è troppa confusione, gli Stati nazionali non sono in grado di coordinarsi tra loro e lavorare in sinergia. Bisogna spostare tutta la gestione di futuri virus mortali a un unico organo con poteri sovranazionali. In questo caso l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità);

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Giorgio Agamben: Tramonto dell’occidente?

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Tramonto dell’occidente?

di Giorgio Agamben

Nei testi pubblicati in questa rubrica è spesso questione della fine dell’Occidente. È bene qui non fraintendere. Non si tratta della rassegnata – anche se lucida e amara – contemplazione dell’ultimo atto di un tramonto che Spengler e altri pseudoprofeti avevano annunciato fin troppo tempo fa. A costoro non interessava null’altro che quel tramonto, ne erano in fondo complici e persino compiaciuti, perché nei tascapani e nelle casseforti del loro spirito non era rimasto proprio niente, quella era per così dire la loro unica ricchezza, della quale non volevano a nessun costo essere defraudati. Per questo Spengler poteva scrivere nel 1917: «io ho il solo desiderio che questo libro possa stare vicino senza esserne completamente indegno alle imprese militari della Germania».

Per noi, al contrario, la morte dell’Occidente è la felice utopia, qualcosa come la gleba smossa e il deserto di sabbia, di cui la nostra speranza ha bisogno non per trovarvi qualche nutrimento, ma per poggiarvi sopra i piedi, in attesa di gettarla alla prima occasione negli occhi dei nostri avversari.

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