[SinistraInRete] Geminello Preterossi: Astensione di massa e vincolo esterno

Rassegna 15/06/2024

Geminello Preterossi: Astensione di massa e vincolo esterno

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Astensione di massa e vincolo esterno

di Geminello Preterossi

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25c5141cebdb.jpgIl vero dato politico delle elezioni europee, per quello che riguarda l’Italia, è la vastissima astensione: non era mai successo in queste proporzioni. È il segno di una crisi radicale di legittimazione, le cui cause profonde andrebbero indagate, invece di fermarsi alla superficie (come avviene nei talk show televisivi, ma anche in quello che resta dei giornali, tranne rarissime eccezioni). Il minimo che si può dire è che il popolo italiano nella sua maggioranza non ha raccolto l’appello di Mattarella a “consacrare” la “sovranità europea” nel rito elettorale. Un invito retorico, emotivo, perciò forzato e precario in quanto non fondato sul piano concettuale e dottrinale: l’UE non è uno Stato (né nazionale né federale), quindi non può possedere alcuna sovranità. L’UE è una strana costruzione tecnocratica, finanziaria e giurisdizionale, vocata prevalentemente ai dogmi mercatisti neo- e ordoliberali, frutto di accordi internazionali i cui “signori” continuano a essere, logicamente, gli Stati (i quali infatti possono recedere da quegli accordi, come si è visto con la Brexit). Un’istituzione a bassa intensità politica, dominata dai particolarismi, senza una visione unitaria (ma subalterna alla NATO); un costrutto “hayekiano”, funzionale a presidiare il vincolo esterno mercatista (e atlantista), a disciplinare i più deboli ma in generale i riottosi, che si ostinino eventualmente a credere nell’autonomia della politica, nella legittimità del conflitto sociale, nella sua proiezione democratica. L’UE ha nel Consiglio dei Capi di Stato e di governo (statali) la propria camera di compensazione politica degli interessi nazionali, e nella BCE il proprio custode dell’ortodossia monetaria ordoliberale, simboleggiata dall’euro (una moneta senza Stato: cioè un paradosso che non può funzionare, perché alla lunga ha costi sociali e democratici insostenibili).

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Aldo Barba, Massimo Pivetti: Dai bassi tassi di interesse all’alta spesa militare

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Dai bassi tassi di interesse all’alta spesa militare

Crisi di egemonia e pulsioni belliche degli Stati Uniti d’America

di Aldo Barba, Massimo Pivetti

1709289785001.jpegI. Domanda effettiva e crescita dei consumi delle famiglie

La spesa per consumi personali è stata la componente più dinamica della domanda aggregata negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ‘70. Tra il 1951 e il 1980, il suo rapporto con il PIL è stato in media intorno al 58%, per poi crescere costantemente di 10 punti percentuali, stabilizzandosi dal 2003 al livello più elevato di circa il 68%. A partire dall’inizio della seconda metà degli anni ‘70, la crescita sostenuta della spesa per consumi personali ha compensato sia l’andamento sfavorevole della bilancia commerciale, sia il rallentamento dei consumi pubblici e della spesa lorda per investimenti (la crescita degli investimenti privati ​​è rimasta allineata a quella del prodotto, grazie al peso in rapido aumento degli investimenti in prodotti di proprietà intellettuale che ha controbilanciato un marcato rallentamento degli investimenti in strutture e attrezzature non residenziali). Con la crescita della spesa per consumi, il tasso di risparmio personale è sceso dal 15% nel 1975 a meno del 2% nel 2005. Il calo del tasso di risparmio si è verificato nonostante un massiccio spostamento della distribuzione del reddito dai salari ai profitti. A causa dell’influenza del mutamento distributivo sul tasso di risparmio personale, quest’ultimo avrebbe dovuto aumentare, non diminuire. Le ragioni della sua caduta vanno quindi ricercate altrove, ponendole in connessione con la politica di lungo periodo di riduzione dei tassi di interesse.

 

II. Bassi tassi di interesse e distribuzione del reddito

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Andrea Fumagalli: Verso uno stato di guerra permanente?

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Verso uno stato di guerra permanente?

di Andrea Fumagalli

Recensione a Che cosa è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo di Andrea Pannone

0e99dc d986e8348dc14e9dba781776895078cdmv2Andrea Fumagalli si confronta con il libro di Andrea Pannone, recentemente uscito per i tipi di DeriveApprodi. Eccesso di capacità produttiva, ripensamento della globalizzazione, nuovo paradigma tecnologico, inflazione e aumento dei tassi d’interesse, tentativo di rilancio della supremazia USA e di riorganizzazione dei paesi del Sud globale sono gli elementi che caratterizzano questa fase di transizione egemonica – o meglio, di più transizioni egemoniche – in cui ci troviamo. E proprio queste sono le fasi in cui, storicamente, la guerra si acuisce. Il rischio, ci dice l’economista, è che questa transizione non veda la fine in tempi brevi e ci trascini in uno stato di guerra permanente: un regime di guerra in cui essa non è più un fatto eccezionale ma diventa un nuovo modo di produzione.

* * * *

Il tema della violenza è intrinsecamente legato all’economia politica. Esso si dipana su vari livelli e si manifesta in modi tra loro diversi e anche contraddittori. Non sempre è stato così. Quando la condizione economica non dipendeva da un qualche potenziale elemento di autonomia dell’agire umano ma era essenzialmente dipendente dalla condizione socio-politica di appartenenza e dalla natura, l’agire economico non implicava necessariamente forme di violenza, poiché la costrizione della violenza era già predeterminata dalla religione, dal genere, dall’etnia, dalla casta, dalla governance politica e dalla natura stessa.

È dunque con la nascita del capitalismo e il «libero» scambio sul mercato del lavoro che comincia a delinearsi il connubio tra economia politica e violenza. Capitalismo e guerra sono due facce della stessa medaglia e si alimentano a vicenda.

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Giacomo Marchetti: Francia: “tutto è possibile”

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Francia: “tutto è possibile”

di Giacomo Marchetti

Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte del Presidente Macron, la sera di domenica 9 giugno ha aperto un nuovo ciclo politico in Francia e forse nella UE.

Con lo stile che l’ha sempre contraddistinto, Macron ha comunicato la decisione poco prima ad una strettissima cerchia di collaboratori e, con lo spoglio ancora in corso, ha deciso di procedere in quel modo per azzerare ogni possibile dibattito post-elettorale all’interno delle file della sua formazione e cercare di monopolizzare l’attenzione mediatica a discapito dell’estrema-destra uscita vincitrice dalle urne.

Questa mossa però ha attivato, suo malgrado, un processo di repentina riconfigurazione politica nell’Esagono sullo sfondo di mobilitazioni anti-fasciste che hanno costellato la Francia anche nella serata di lunedì.

Un esempio da manuale di “eterogenesi dei fini”, verrebbe da dire.

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Andrea Zhok: L’analisi più sbilenca di tutte sulle europee

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L’analisi più sbilenca di tutte sulle europee

di Andrea Zhok*

Tra le varie analisi sbilenche del voto europeo c’è n’è una, diffusissima, che lega il (relativo) progresso dei partiti di destra o nazionalisti nel panorama politico all’atmosfera bellicista, secondo la logica che associa la destra alla temperie guerrafondaia.

Si tratta di un’analisi che oltre a esprimere una preoccupante cecità alla realtà, risulta particolarmente dannosa. Essa infatti fornisce l’ennesimo alibi ai molti benpensanti, che continuano a leggere la politica con categorie binarie di cent’anni fa (sinistra – destra, progresso – reazione, pacifismo – bellicismo, ecc.). Ora, se c’è una cosa chiara è che le forze politiche che più hanno alimentato il bellicismo nel panorama europeo sono state forze di centro (i “moderati per la nuclearizzazione”, tipo la Von der Leyen) e forze sedicenti progressiste, di sinistra o centro sinistra (dall’SPD di Scholz, a Renaissance di Macron, ai Verdi della Annalena Baerbock.)

Le forze di destra premiate dalle elezioni sono quasi tutte (l’unica significativa eccezione è la nostra Meloni) contrarie alla guerra, contrarie a spedire armi all’Ucraina, contrarie alle sanzioni alla Russia (non per russofilia, ma perché consapevoli che danneggiano più noi che la Russia).

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Gigi Sartorelli: Il Consiglio di Sicurezza ONU approva il testo USA per il cessate il fuoco

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Il Consiglio di Sicurezza ONU approva il testo USA per il cessate il fuoco

di Gigi Sartorelli

Ieri il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la proposta per il cessate il fuoco in Palestina, presentata dagli Stati Uniti. Il testo è passato con 14 voti favorevoli (compreso quello della Cina) e l’astensione della Russia.

Il piano si divide in tre fasi, e prevede la fine dei combattimenti, il rilascio e lo scambio di prigionieri da entrambe le parti, il ritiro delle forze israeliane e il ritorno dei civili palestinesi alle loro case, la ricostruzione di Gaza. Si tratta del percorso che era stato annunciato in pompa magna da Biden qualche giorno fa.

L’ambasciatrice USA all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha dichiarato: “oggi abbiamo mandato un messaggio chiaro ad Hamas: accettate questo accordo sul cessate il fuoco che Israele ha già accettato, e i combattimenti potrebbero fermarsi oggi“. L’approvazione di Hamas è arrivata immediatamente.

I suoi vertici hanno ribadito la “volontà di cooperare con i fratelli mediatori per avviare negoziati indiretti riguardanti l’attuazione di questi principi (quelli della proposta statunitense, ndr)”. Siamo davvero arrivati a una normalizzazione della situazione in Palestina?

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Michele Manfrin: Covid, Fauci ammette: le regole su distanziamento e mascherine ce le siamo inventate

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Covid, Fauci ammette: le regole su distanziamento e mascherine ce le siamo inventate

di Michele Manfrin

Le misure adottate per il contenimento della pandemia da Covid-19, quali distanziamento sociale e mascherine, non erano supportate da alcun criterio scientifico. L’ammissione è stata fatta niente di meno che dall’immunologo Anthony Fauci, il quale, lunedì 3 giugno, ha testimoniato davanti alla sottocommissione sulla pandemia da coronavirus della Camera statunitense (a guida repubblicana), che indaga sulle origini del Covid e sulla risposta del governo in merito. L’udienza, nel corso della quale è emersa ancora una volta la divisione tra i due partiti sul tema, ha segnato la prima apparizione pubblica di Fauci a Capitol Hill da quando ha lasciato l’amministrazione del governo Biden, nel 2022. Nel corso dell’audizione, Fauci è stato anche interrogato circa le origini del virus e sui propri rapporti con la ONG EcoHealth Alliance.

Misure quali distanziamento sociale e mascherine sono state dunque adottate senza che vi fossero evidenze scientifiche a sostegno della loro utilità, come ammesso da Fauci in aula. Dichiarazioni che acquisiscono ancora più peso alla luce di quanto evidenziato da uno studio dell National Institute of Health (NIH), risalente al maggio 2022, che rilevava l’impatto «molto negativo» dell’utilizzo di mascherine sull’alfabetizzazione e sull’apprendimento dei giovani e come il distanziamento sociale avesse causato «depressione, ansia generalizzata, stress acuto e pensieri intrusivi».

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Domenico Moro: Che fare? Quali sono i fattori favorevoli e sfavorevoli allo sviluppo del socialismo

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Che fare? Quali sono i fattori favorevoli e sfavorevoli allo sviluppo del socialismo

di Domenico Moro

dfbcfcbh.jpgSecondo Marx ed Engels il socialismo – come fase intermedia tra capitalismo e comunismo – può affermarsi soltanto in virtù di un alto sviluppo economico del capitalismo che crei la base materiale per la sua instaurazione. Senza questo sviluppo, non si potrebbe procedere all’abbattimento della proprietà privata dei mezzi di produzione e alla affermazione della proprietà collettiva. Oggi siamo arrivati a una crescita immane della produzione capitalistica, grazie allo sviluppo esponenziale della scienza e della tecnologia. Nonostante ciò il movimento socialista, nei paesi dell’Occidente capitalista e avanzato, non è mai stato così debole e arretrato. Sorge a questo punto una domanda che non può essere elusa: perché, a fronte del prodursi delle condizioni oggettive della rivoluzione, la coscienza e l’organizzazione delle classi lavoratrici che dovrebbe guidarla è così poco diffusa? L’altra domanda che, giocoforza, dovremmo porci è la seguente: oggi nelle condizioni date che cosa possiamo fare?

Rispondere a queste domande è fondamentale ma è anche molto difficile, e sicuramente qui non possiamo che limitarci, in modo molto parziale, ad avviare il discorso, tracciando delle direttrici di interpretazione della realtà sociale attuale e quindi delle condizioni di realizzazione del socialismo. Per iniziare suddividerei la questione in quattro sezioni, premettendo, però, che l’analisi si incentrerà soprattutto sui Paesi occidentali e in particolare sull’Europa e sull’Italia e tratterà solo di sfuggita le condizioni dell’immensa periferia e semiperiferia del cosiddetto Sud-globale, dove le condizioni sono diverse e meritano una trattazione a parte.

Per comodità di analisi distingueremo tra fattori oggettivi, relativi alle condizioni strutturali, economiche e sociali, e i fattori soggettivi, relativi alle condizioni sovrastrutturali cioè allo sviluppo della coscienza e dell’organizzazione della classe lavoratrice.

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Eros Barone: Tra delegittimazione e ristrutturazione: la dialettica circolare dell’astensione

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Tra delegittimazione e ristrutturazione: la dialettica circolare dell’astensione

di Eros Barone

astensioneiluvby.jpgMotus in fine velocior”

“Il moto è più veloce verso la fine”: la frase latina ben si attaglia alla descrizione di questa tappa del processo che scandisce la crisi organica del parlamentarismo borghese. Queste sono infatti le prime elezioni della storia della Repubblica in cui i votanti sono meno del 50%, per l’esattezza il 49,7%, nonostante la partecipazione diretta di molti leader di partito a questo tipo di campagna elettorale. Prendendo in considerazione i soli votanti e guardando non i voti assoluti ma le percentuali (giacché in termini assoluti ha votato meno della metà del corpo elettorale e lo stesso primato di Fdi è stato conseguito perdendo 600.000 voti rispetto alle elezioni politiche del 2022), i tre partiti di governo (Fdi, Forza Italia e Lega) vedono rafforzati i propri numeri, che insieme li portano a sfiorare il 48%. Nell’altra ala del bipolarismo competitivo avanzano il Pd, che rispetto alle politiche cresce sia in termini di voti assoluti che di percentuali (24%), e Alleanza Verdi Sinistra che, sull’onda della “candidatura-civetta” di Ilaria Salis, raggiunge il 6,6%. “Deludente”, come ha ammesso Giuseppe Conte, è il risultato di M5S, che scende sotto la soglia del 10%. Ancor più deludente il risultato conseguito dalla cosiddetta “area riformista”: né Stati Uniti d’Europa (3,76%) né Azione (3,35%) superano la soglia del 4% necessaria per mandare eletti a Strasburgo. 

Sennonché la discesa in campo di molti leader (Meloni, Tajani, Schlein) e i toni radicali con cui alcuni partiti hanno cercato di vivacizzare una campagna elettorale caratterizzata dal silenzio, in parte indifferente e in gran parte ostile, della maggioranza del corpo elettorale, non sono bastati a convincere la maggioranza dei cittadini a recarsi alle urne. Tanto più sguaiato appare pertanto lo strepitio levato dai leader dei maggiori partiti nel magnificare le vittorie di Pirro conseguite in una campagna elettorale in cui ha votato meno della metà del corpo elettorale.

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Wolf Bukowski: In principio era il cibo… Dialogo con Wolf Bukowski

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di vaucan

In principio era il cibo… Dialogo con Wolf Bukowski

Afshin Kaveh intervista Wolf Bukowski

IMG 4650 2048x1536.jpgAfshin Kaveh: Qual è il fil rouge che collega le tue ricerche critiche sull’industria alimentare? Dal racconto Il grano e la malerba (Ortica Editrice 2012) passando per il saggio La danza delle mozzarelle (Edizioni Alegre 2015) conducendoci, oggi, a La merce che ci mangia. Il cibo, il capitalismo e la doppia natura delle cose (Einaudi 2023) quali sono stati, nello scorrere irreversibile del tempo, i punti di contatto, le continuità e quali invece, sempre che vi siano, le divergenze, le svolte e le discontinuità tra queste opere?

Wolf Bukowski: La continuità è certamente quella di aver cercato nel cibo la manifestazione di tendenze generali. Nel racconto Il grano e la malerba si trattava della logica emergenziale, che era già allora matura; ne La danza delle mozzarelle al centro c’era la messa a reddito della vita urbana e delle “tipicità” alimentari. Come è stato possibile, per esempio, che gli amministratori di un’importante città, densa di storia e di vita, abbiano pensato di scrivere fogassa e pesto in lettere luminose sui carruggi? E cosa implica, socialmente, questo? La danza delle mozzarelle voleva essere un po’ un tentativo di spiegarmelo, e in ciò mi pare ben riuscito. Quello che il saggio sconta è invece la mia adesione di allora alle istanze di un certo “attivismo” e alla sua lettura monodimensionale della questione di classe. In quella fase storica tali istanze si riconoscevano in una sopravvalutazione delle manifestazioni sindacali dei cosiddetti “riders”, i ciclofattorini. A quella sopravvalutazione ho partecipato anche io, nonostante tra me e me continuassi a ripetermi: “queste persone certamente dovrebbero poter lavorare in sicurezza e guadagnare decentemente, ma quello della consegna a domicilio dei pasti rimane un lavoro assurdo, un lavoro che non dovrebbe esistere, e questa verità spiacevole andrà detta, prima o poi”.

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Michele Paris: Voto UE, ciclone su Parigi e Berlino

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Voto UE, ciclone su Parigi e Berlino

di Michele Paris

La pesantissima lezione impartita nel fine settimana dagli elettori francesi e tedeschi rispettivamente al presidente Macron e al cancelliere Scholz sono la diretta e inevitabile conseguenza delle politiche impopolari e, a tratti, oggettivamente suicide dei governi di Parigi e Berlino soprattutto negli ultimi due anni. I risultati delle europee nei due paesi di maggior peso dell’Unione riflettono la tendenza generale emersa da una quattro giorni di voto segnata, oltre che dall’astensionismo, dall’avanzamento dell’estrema destra populista e dalla flessione dei partiti moderati e, in particolare, dei Verdi.

Ci sono pochi dubbi che il messaggio uscito dalle urne sia di profonda sfiducia nei confronti di governi nazionali e istituzioni europee, percepite sempre più come espressione degli interessi dei poteri forti e impegnate in una vera e propria guerra contro lavoratori, classe media e piccole imprese. Anche dove i partiti di governo sono stati apparentemente premiati, come in Italia, la bassissima affluenza ha comunque confermato lo scarso entusiasmo complessivo. Sempre in Italia, i votanti sono scesi ad esempio sotto il 50% per la prima volta in una consultazione europea, ma i numeri sarebbero stati ancora più bassi se in concomitanza non si fossero tenute le amministrative.

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Pierluigi Fagan: Tabula rasa

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Tabula rasa

di Pierluigi Fagan

In tempi normali, di solito, ci riferiamo allo stato di cose criticandolo, mettendoci a una certa distanza, segnando una distinzione più o meno antagonista. Ma oggi non sono tempi normali. Siamo in una Grande Transizione epocale nella quale un fenomeno che ci riguarda tutti in termini sistemici, è l’incipiente smarrimento dell’Occidente, la sua collocazione nei processi storici in corso, la sua stessa consistenza, il suo senso. Rispetto questo specifico sistema, si pone l’opportunità di non rimanere dentro la sua configurazione data, pur criticandolo anche violentemente, si pone più l’opportunità -o meglio- la necessità di pensare a un nuovo sistema. La nostra vasta e profonda subalternità ideologico-politica deve avere uno scarto e cominciare non più a lamentarsi di questo e di quello, di questa o quella inadeguata élite o ideologia dominante, deve saltare a prefigurare un sistema nuovo. Siamo in una di quelle fasi in cui Gramsci pensava si dovesse tentare la costruzione di una nuova egemonia sebbene le forze concrete sul campo fossero quanto più inadeguate. Quanto più sono inadeguate le forze concrete tanto più adeguato e tornito il discorso da portare avanti di modo che condivisione e diffusione di questo, possa creare i presupposti di una futura egemonia di fatto. Chiameremo questa costruzione “altra-egemonia”.

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Ottone Ovidi: Una disciplinata guerra di posizione

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Una disciplinata guerra di posizione

di Ottone Ovidi

Alessandro Barile, Una disciplinata guerra di posizione. Studi sul Pci, Franco Angeli, Milano, 2024, euro 33,00

È possibile comprendere la storia generale di un paese attraverso la storia particolare di un partito politico? È da questa sollecitazione gramsciana che parte Alessandro Barile nella sua ultima opera per ricostruire la fisionomia della cultura politica del Partito comunista italiano (Pci) e la sua politica culturale, a partire dalla Liberazione e fino all’esplosione del lungo Sessantotto. L’autore lo fa presentandoci una serie di episodi e questioni particolari accomunate dalla centralità della relazione tra politica e cultura nel comunismo italiano. Non una vera e propria storia del Pci, quindi, ma piuttosto una rilettura del partito attraverso la lente del rapporto tra comunismo, cultura e società italiana. Un rapporto, evidenzia l’autore, che mutò rapidamente negli anni del miracolo economico, entrando di fatto in crisi e lasciandoci in eredità numerosi interrogativi aperti che esulano la dimensione prettamente partitica dello studio: come ripensare i rapporti democratici tra politica e cultura al di fuori della separazione liberale? Quale la dimensione democratica della cultura “nazional-popolare”?

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Sergio Fontegher Bologna: Fasciarsi la testa

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Fasciarsi la testa

Appunti sulle elezioni europee

di Sergio Fontegher Bologna

Tutte e tutti a fasciarsi la testa, adesso. Però siamo ancora vivi.

Perché il primo punto è: per quanto saremo ancora vivi? La catastrofe nucleare ormai alle porte si allontanerà o si avvicinerà?

Una volta tolti di mezzo o fortemente indeboliti Macron e quegli orribili socialdemocratici e Verdi tedeschi, la guerra totale a Putin sarà più vicina o più lontana?

Avremo un altro dottor Stranamore come Stoltenberg alla guida della NATO? Ferma restando, ovviamente, l’incognita USA.

Nel campo dell’estrema destra si troveranno di fronte a qualche problemino, le tre donne: Giorgia Meloni, Marie Le Pen e Alice Weidel (AfD-Alternative für Deutschland). Innanzitutto il rapporto tra estrema destra francese ed estrema destra tedesca. Le Pen ha detto (certo, se lo può rimangiare): noi mai con l’AfD. Non credo sia stata solo una battuta elettoralistica. Che cosa ricorda ai francesi l’AfD? L’umiliazione subita nel 1940, l’armistizio con la Germania firmato da Philippe Pétain. Il partito RN-Rassemblement National di Marie Le Pen è in realtà impregnato di orgoglio francese, molto più vicino alla sciovinismo gollista che al servilismo petainiano.

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