Rassegna 23/06/2024
Paolo Di Marco: Covid, l’ultima parola
Covid, l’ultima parola
di Paolo Di Marco
Premessa
Con un articolo sul NYTimes del 4 Giugno della biologa molecolare Alina Chan abbiamo finalmente e pubblicamente tutti gli elementi necessari a dire l’ultima parola sulla pandemia.
Dato che si presenta come un giallo colla classica lenta raccolta di indizi, la formulazione di ipotesi e i colpi di scena, per non dimenticare tutti i possibili depistaggi, ne seguiremo lo svolgimento lungo le tappe essenziali.
Le informazioni fondamentali sono riassunte in una sequenza di articoli, partendo dal Wall Street Journal poi da quello seminale di Wade sul Bulletin of the Atomic Scientists del 5/5/2021, passando all’intervento su Nature del Giugno ’20 con un articolo a primo firmatario Daszak, poi all’articolo sul Times di Tufekci del ‘22, poi quello di Wallace del ‘22 e infine questo di Chan.
A questo vanno aggiunti i dati sulla mortalità da pandemia raccolti sul Bulletin of the Atomic Scientists così come gli ultimi studi su Nature a altri giornali scientifici sui danni collaterali dei vaccini.
1- le origini: Wuhan
A Wuhan, epicentro della pandemia, c’è il grande laboratorio per la ricerca sui virus, WIV; dato che il virus più simile al COVID (96%) proviene dai pipistrelli, e la cava di pipistrelli più vicina (da cui proviene il simile) è a centinaia di km di distanza, qualcuno sospetta subito che l’origine dell’epidemia sia un incidente di laboratorio.
Pietro Terzan: Il fattore Malvinas
Il fattore Malvinas
di Pietro Terzan
Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli: Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas, ed. LAntiDiplomatico, 2024
«Il fattore Malvinas prevede l’incombere di una gravissima crisi economico-sociale all’interno degli Stati Uniti, collegata a un’evidente inefficacia nel contrastarla persino da parte della rete di protezione offerta dallo Stato e dalla parastatale Federal Reserve, che conduca come sua (evitabile) conseguenza alla vittoria dell’ala più oltranzista e reazionaria dell’imperialismo americano con il suo mantra: “Non abbiamo più niente da perdere. Meglio tentare di vincere ad Armageddon che avere le masse in rivolta armata a Los Angeles, Washington e in giro per tutto il Paese”. O tutto, o niente».1
Il parallelismo storico con le scelte della dittatura militare argentina che nel 1982, con la società in piena catastrofe economica e con il popolo sfinito pronto a rivoltarsi, preferì sfidare una potenza atomica, occupando le isole Malvinas sotto il controllo coloniale britannico dal 1833, piuttosto che essere colpita da un violento cambiamento interno, risulta brillante e fertile di ragionamenti. Facciamo però prima un passo indietro. Sta per scoppiare la Terza Guerra Mondiale? Si combatte ormai da qualche anno una guerra mondiale ibrida e a pezzi? Siamo già nella Quarta guerra mondiale, contando così nell’elenco la Guerra fredda? Come possiamo comprendere “i misteri della politica internazionale”? Sicuramente l’ultimo libro di Burgio, Leoni e Sidoli ci riempie la testa di spunti.
«I grandi stati, ricorda Mearsheimer, non sono né buoni né cattivi, non perseguono la virtù ma l’egemonia, non si conformano alle tavole della legge morale ma alle dure regole della sopravvivenza. Per muoversi nella giungla delle relazioni internazionali occorre aggrapparsi ad alcuni assunti fondamentali. Occorre ricordare che la società internazionale è anarchica; che le grandi potenze dispongono di una considerevole forza militare e sono quindi, nei loro reciproci rapporti, potenzialmente pericolose; che nessuno stato può essere certo delle intenzioni degli altri; che la principale preoccupazione di ogni stato è la sopravvivenza; che i comportamenti dei singoli stati sono tuttavia razionali e quindi attenti a calcolare, per quanto possibile, le relazioni altrui».2
Fulvio Grimaldi: OMS: di notte come i ladri
OMS: di notte come i ladri
Il cobra dimezzato… ma il veleno rimane
di Fulvio Grimaldi
“Spunti di riflessione”, Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
Trovo stupefacente il silenzio con cui è stata accolta la chiusura della 77ma Conferenza Mondiale della Sanità e grazie al quale ci sono scivolate addosso misure, pretestualmente sanitarie, ma che si propongono il da tempo accanitamente perseguito governo mondiale dei produttori di farmaci e relative malattie. Un proposito di dittatura, affiancato a quello congeniale dei produttori di armi e relative guerre, per ora realizzato solo in termini di progetto dotato di qualche gamba, ma tuttora privo dei cingoli che gli permettano di procedere sui corpi come gli Abrams sionisti a Gaza. .
Stupefacente la tranquilla indifferenza in cui sono fatti trovare, all’annuncio degli esiti ginevrini, parziali rispetto alle intenzioni, ma pur sempre avanti sulla strada della dittatura sanitaria allargata all’universo mondo, coloro che ancora pochi mesi fa propugnavano mobilitazioni anti-OMS dal borgo al pianeta tutto, e consideravano coloro che intendevano privilegiare la lotta agli oceani di sangue in Palestina e in Ucraina, come inconsapevoli strumenti di distrazione di massa.
Fabrizio Poggi: Le mire brigantesche del capitalismo angloamericano in Ucraina e l’ammissione del Senatore Graham
Le mire brigantesche del capitalismo angloamericano in Ucraina e l’ammissione del Senatore Graham
di Fabrizio Poggi
Lo ammettiamo: il paragone fa acqua; come del resto quasi tutti i paragoni storici. Ma siccome i fattori del confronto – o, almeno, una parte di essi – continuano a battere il piratesco Jolly Roger in coffa, camuffato con Union Jack e Stars and Stripes, qualcosa si può ancora paragonare.
Passano i decenni, ma le mire brigantesche del capitalismo angloamericano in giro per il mondo e, nel caso specifico, nelle aree dell’ex impero russo, continuano a tener banco.
La guerra che qualcuno si ostina tuttora, in buona o malafede, a definire “russo-ucraina”, riveste oggi, essenzialmente, il carattere di un attacco euroatlantico a un pericolosissimo “attentatore” alla sacrosanta egemonia planetaria anglosassone: la Russia; attacco portato per tramite e sul territorio di quella che un tempo era la più sviluppata culturalmente, scientificamente e industrialmente Repubblica socialista sovietica d’Ucraina.
Ciò non toglie che, fatti ben bene i conti, il moderno whipping boy della corona britannica – vale a dire: il martoriato, imprigionato, mobilitato a forza e mandato al macello popolo ucraino; non certo la junta nazigolpista di Kiev – serva all’uopo non solo per la sua posizione e le sue caratteristiche (passate e attuali), ma anche per le sue notevoli risorse, che i pirati del XXI secolo non intendono lasciarsi sfuggire.
Fabio Marcelli: Per rilanciare la sinistra eliminare i bellicisti
Per rilanciare la sinistra eliminare i bellicisti
di Fabio Marcelli
Per cominciare va rovesciata totalmente l’affermazione del guerrafondaio Gori, esponente del PD vicino al complesso militare industriale italiano, secondo il quale l’unico discrimine per un fronte che vada dalla sinistra a Renzi è il sostegno a Kiev.
Affermazione da leggere insieme a quella resa da Giorgia Meloni dopo il fosco G7 di Borgo Egnazia e il misero fallimento della farsesca “Conferenza di pace” di Lucerna, secondo la quale pace oggi significa la resa dell’Ucraina.
E guerra sia quindi, tanto più che almeno per il momento il suo peso ricade sulle spalle della gioventù ucraina e russa e il complesso militare industriale prospera, ottenendo rese finanziarie sempre più cospicue ed esaltando i suoi valori di Borsa e di mercato.
La guerra è il migliore affare per il capitalismo morente e questo la furbetta di Palazzo Chigi l’ha capito molto bene e si suppone che farà di tutto per farlo capire alle destre emergenti cui vari popoli europei, disorientati dalle devastazioni del neoliberismo e spaventati, per l’appunto, dalla guerra, hanno voluto dare un certo spazio che deriva anche dai fallimenti e dall’ afasia di altri, si tratti di Macron, Scholz con annesso verdume crucco, ecc.
Alberto Giovanni Biuso: La trave e la pagliuzza
La trave e la pagliuzza
di Alberto Giovanni Biuso
Costituisce un caso unico la quasi totale impunità e immunità che la comunità internazionale contemporanea riserva a uno dei suoi Stati. Al di là infatti delle ormai ultradecennali, tradizionali e del tutto disattese ‘risoluzioni’ dell’ONU; al di là degli ‘ordini’ della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale che intimano di sospendere immediatamente le politiche genocidiarie; al di là dell’indignazione politico-morale che nonostante tutto si va diffondendo, le dichiarazioni e le pratiche dello Stato di Israele rifiutano in modo deciso, sistematico e sprezzante qualunque richiamo alla legalità e all’umanità. A quale altro stato, popolo e comunità sarebbe mai permesso un simile atteggiamento? Se non si risponde a questa domanda, se non la si pone, ogni analisi della questione palestinese rimane viziata alla radice. Ci si rassegna e amen. O persino, ed è il caso più frequente in Occidente, si trovano o si inventano tutta una serie di giustificazioni allo sterminio di uomini, donne, vecchi, bambini.
Sensibilissimi invece diventano gli operatori dei media e i loro decisori politici di riferimento quando si tratta di difendere i più fantasiosi desideri individuali (per lo più di natura sessuale, e quindi privata, ma non solo) di frange di cittadini occidentali, presentando tali desideri come sacrosanti diritti che vanno legalmente riconosciuti.
Gianmarco Pisa: Una cosiddetta “conferenza per la pace”, e il suo fallimento
Una cosiddetta “conferenza per la pace”, e il suo fallimento
di Gianmarco Pisa
A metà tra un’iniziativa politica di parte e un’operazione internazionale di offensiva mediatica, il vertice di Bürgenstock, un vero e proprio caso di “peacewashing”, si è concluso con un totale fallimento.
Si è conclusa con un clamoroso fallimento la cosiddetta “conferenza per la pace” in Ucraina, svolta presso il resort di Bürgenstock, in Svizzera, tra il 15 e il 16 giugno scorsi, e organizzata dalla Confederazione Elvetica, raccogliendo, in questo sforzo politico, la richiesta dell’Ucraina, che aveva avanzato una proposta contenente l’indicazione di un format di discussione decisamente “singolare”: una conferenza internazionale, sulle questioni della pace e del superamento della guerra nel Paese, sostanzialmente collegata alle iniziative del mondo occidentale e dei Paesi Nato nel supporto allo sforzo bellico del governo di Kiev, e che, sin dalla sua premessa, non prevedesse la partecipazione della “controparte”, vale a dire la Federazione russa. Come indica la piattaforma di questa iniziativa politica, pubblicata sul sito del Ministero degli Esteri della Confederazione, infatti, “il summit si baserà sulle discussioni che hanno avuto luogo negli ultimi mesi, in particolare sulla “formula di pace” ucraina e su altre proposte di pace basate sulla Carta delle Nazioni Unite. L’obiettivo del summit è quello di ispirare un futuro processo di pace. Per raggiungere questo obiettivo, il summit intende a) fornire una piattaforma per il dialogo sul percorso per raggiungere una pace globale, giusta e duratura per l’Ucraina basata sul diritto internazionale e sulla Carta delle Nazioni Unite; b) promuovere una comune intesa per un possibile quadro per raggiungere questo obiettivo; c) definire congiuntamente una tabella di marcia su come coinvolgere entrambe le parti in un futuro processo di pace”.
Carlo Formenti: Luciano Canfora. Uno storico “sovversivo”
Luciano Canfora. Uno storico “sovversivo”
Per una lettura tendenziosa del “Dizionario politico minimo”
di Carlo Formenti
Premessa
Luciano Canfora: Dizionario Politico Minimo, a cura di Antonio Di Siena, Fazi, 2024
Il dizionario politico è un genere che l’editoria specializzata in Scienze Sociali ha proposto con una certa frequenza negli ultimi decenni, un fenomeno che può essere interpretato anche come reazione all’horror vacui generato dalla progressiva rimozione della politica – intesa come prassi orientata a cambiare lo stato presente delle cose – dall’orizzonte della realtà postmoderna, a mano a mano che viene surclassata da altre sfere dell’agire umano, a partire all’economia. Si tratta di un genere che non amo particolarmente, perché praticato perlopiù da accademici – filosofi, sociologi e politologi – che tendono a neutralizzare il carattere antagonistico del politico, “inscatolandolo” in lemmi infarciti di categorie astratte e trans-storiche (se non anti-storiche).
Ciò premesso, per i tipi di Fazi è appena uscito il “Dizionario politico minimo” di Luciano Canfora (a cura di Antonio Di Siena) (1), che ho invece decisamente apprezzato: in primo luogo, perché non si tratta di un “vero” dizionario, nel senso che il curatore, come spiega nella Introduzione, ha realizzato una lunga intervista a Luciano Canfora, articolandola su una cinquantina di parole chiave che, più che vere e proprie voci, sono “stazioni” di un percorso attraverso l’attualità storico-politica (2); in secondo luogo perché lo sguardo di Canfora, in quanto storico, si concentra sui fatti invece di perdersi in disquisizioni astratte; infine perché, grazie al lavoro del curatore (che pure attribuisce il merito alla chiarezza espositiva dell’intervistato), il testo risulta scorrevole e di gradevole lettura e – grazie anche alla lunghezza contenuta – si divora in poche ore.
Davide Sali: Dall’indignazione all’azione
Dall’indignazione all’azione
di Davide Sali
«La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori.»
«Quella rapida successione e quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori […] sollecita costantemente i nervi a reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire.»
G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito
Quante volte capita di sentire, all’interno del soverchiante flusso di informazioni a cui siamo impietosamente sottoposti tutti i giorni, frasi come “le immagini della guerra indignano”, “è opportuno condannare con fermezza le infelici uscite del tal ministro”, “si deve stigmatizzare senza ambiguità il terribile episodio” o, infine, l’immortale “è polemica!”. Queste espressioni si trovano nel linguaggio giornalistico quando si deve riportare brevemente una vasta reazione dell’opinione pubblica, per esempio legata al clamore scaturito da certi fatti. Ma si trovano altresì nel linguaggio istituzionale: sono cioè gli stessi politici o personalità pubbliche che le utilizzano direttamente al di là della mediazione giornalistica. Questo fatto, lungi dal rappresentare un semplice vizio di forma volto magari a rendere fruibile brevemente un pensiero complesso, è sintomatico dell’atteggiamento prevalente con cui si affrontano tematiche di attualità e non nasconde nessun pensiero complesso: è, al contrario, tutto il pensiero. Ciò significa che oltre la presa di posizione, la condanna a parole, la stigmatizzazione estemporanea non c’è nient’altro. A titolo d’esempio, cos’è la richiesta ripetitiva e pedante del PD affinché l’attuale esecutivo “condanni” esplicitamente il fascismo se non una genuina espressione del loro modo di pensare e una effettiva indicazione dell’unica differenza che li separa da FdI?
Francesco Sidoti: Belgrado, Xi Jinping e le bombe americane
Belgrado, Xi Jinping e le bombe americane
di Francesco Sidoti* – Pluralia
Durante la guerra del Kosovo, nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1999 l’ambasciata cinese a Belgrado fu bruciata da bombe americane che uccisero tre persone, ferirono gravemente altre venti, e furono ritenute intenzionali, rivolte contro chi aveva contrastato apertamente quella guerra in tante sedi e in molti modi. Nel corso del suo recente viaggio in Europa, arrivando a Belgrado esattamente nel venticinquesimo anniversario di quel bombardamento, il presidente cinese lo ha ricordato con una lettera al giornale serbo Politika. Ha scritto Xi Jinping: “L’amicizia fra la Cina e la Serbia è stata forgiata con il sangue dei nostri compatrioti. Essi resteranno nella memoria condivisa dei nostri due popoli.
Quel bombardamento costituisce uno spartiacque, perché, unitamente ad altri “incidenti” (come, due anni dopo, la vicenda di un aereo spia sull’isola di Hainan) sembrò non soltanto un chiaro avvertimento sugli stretti limiti del rapporto totalmente subordinato della Cina con l’Occidente, ma una metodologia di rappresaglia che non aveva eguali nel trattamento riservato agli altri paesi occasionalmente dissenzienti rispetto alle direttive della Nato.
Enrico Tomaselli: Le chiavi della pace
Le chiavi della pace
di Enrico Tomaselli
Oggi si conclude la ‘sceneggiata per la pace’ tenuta in Svizzera, per volontà di Zelensky. Com’era prevedibile, non apporterà alcun cambiamento alla situazione conflittuale. Purtroppo, con due terribili scenari di guerra aperti (entrambe a un tiro di schioppo da noi) si continua a far finta di non vedere l’enorme elefante in cristalleria: le chiavi della pace, in Ucraina come in Palestina, stanno a Washington.
È evidente che su tutti e due i teatri di guerra sussistono interessi dei contendenti così contrastanti da rendere assai complicato il raggiungimento di una tregua, sia pure temporanea, per non parlare di una soluzione di lunga durata (la cosa più prossima all’idea di pace).
Per quanto riguarda il conflitto ucraino, sia i russi che gli ucraini hanno pagato un prezzo elevato in questa guerra, e nessuno dei due è così facilmente disponibile a buttarlo via, a renderlo vano. Tanto meno, ovviamente, chi la guerra la sta vincendo, ovvero i russi. È chiaro che le acquisizioni territoriali russe sono ormai fuori discussione; piaccia o meno ai nazionalisti ucraini, il ritorno di queste regioni sotto il regime di Kiev è semplicemente impensabile. E non solo perché Mosca non vi rinuncerà. La questione vera, quindi, riguarda in effetti il futuro dell’Ucraina, senza le regioni russofone.
Elena Basile: G7, Lucerna e l’illogicità orwelliana
G7, Lucerna e l’illogicità orwelliana
di Elena Basile
Avete provato a leggere il comunicato del G7? Un testo di 36 pagine, pieno di copia e incolla da altri documenti, una lingua burocratica che esprime il pensiero bivalente coniato da Orwell in 1984: l’affermazione illogica di tesi opposte. Si esprime sull’intero mondo: dalla Libia al Venezuela al Sahel. In Libia, dopo l’attacco anglo-francese sostenuto dagli Stati Uniti che ha rovesciato il regime di Gheddafi e dato origine allo Stato fallito odierno, si afferma di sostenere la stabilità del Paese. Un esempio della tipica illogicità che secondo Orwell era uno dei pilastri della dittatura.
Con grande scontento di Federico Rampini, per il quale l’esproprio finanziario dei 300 miliardi russi contrario al diritto internazionale e richiesto dagli americani andava eseguito “in nome della libertà e della vita”, il comunicato stabilisce che gli interessi sulla somma congelata siano la garanzia per un prestito di 50 miliardi all’Ucraina: altro pensiero logico ed economicamente coerente. Viene poi ribadita la solidarietà a Israele che deve tuttavia difendersi a Gaza adempiendo alle regole del diritto internazionale (una macabra risata seppellirà il G7 e il mondo, Nietzsche docet), ma si fa riferimento alla soluzione dei due Stati (altra risata).
Ascanio Bernardeschi: Un voto che delegittima l’Unione europea
Un voto che delegittima l’Unione europea
di Ascanio Bernardeschi
Il voto e soprattutto il non voto del 9 giugno hanno delegittimato le istituzioni europee. Il rafforzamento delle destre, prodotto dalle inadeguate risposte alla crisi, non produrrà cambiamenti importanti nelle politiche imperialiste e liberiste dell’Ue. Ci battiamo per una maggiore presenza e unità dei comunisti, all’interno di un ampio schieramento per la pace e i diritti sociali, quale elemento di resistenza contro i rigurgiti neofascisti.
L’Unione europea, fin dal trattato di Maastricht e dai suoi precedenti, si è caratterizzata come un tentativo di integrazione economica sulla base si un modello liberista e imperialista. È stata, per esempio, funzionale al colonialismo in Africa e, dopo la fine del campo socialista europeo, all’omologazione dei modelli sociali nei Paesi ex alleati dell’Urss, intossicando il continente di nazionalismo, razzismo e neofascismo, aderendo inoltre a tutte le guerre della Nato.
Le sofferenze sociali derivanti dalla crisi del capitalismo, l’assenza di ogni ipotesi alternativa alle politiche liberiste che hanno devastato i diritti sociali e richiesto un viraggio progressivo verso l’autoritarismo e la riduzione degli spazi democratici, hanno determinato un malcontento popolare che, in assenza – salvo pochissime eccezioni – di una sinistra forte e incisiva hanno avvantaggiato la lievitazione della falsa alternativa di destra.