nuovoPCI – La Voce (luglio 2024)
La Voce 77 – Contro ogni falsificazione del ruolo dell’URSS in Palestina (nuovopci.it)
Il grande sviluppo del movimento di solidarietà con la resistenza palestinese contribuisce ad accendere i riflettori e ad alimentare il dibattito sulle cause storiche della costituzione dello Stato sionista d’Israele, avvenuta nel maggio 1948, subito dopo la fine del dominio coloniale degli imperialisti britannici. Uno dei cavalli di battaglia che accomuna i denigratori di ogni risma della prima ondata mondiale delle rivoluzioni proletarie (1917-1976) è l’attribuzione all’URSS, all’Internazionale Comunista (IC) e quindi a Stalin della responsabilità della costituzione dello Stato d’Israele. Un esempio degli argomenti e del modo di procedere dei denigratori della prima ondata in tema di Palestina è costituito dal libro Perché Stalin creò Israele (1) del giornalista russo Leonid Mlecin, pubblicato in prima edizione nel 2008 a cura di Sandro Teti Editore, che ne ha rilanciato la diffusione dopo l’inizio del genocidio sionista a Gaza. In questo testo, analogamente a quel che avviene nella letteratura di organismi ed esponenti trotzkisti, bordighisti, anarchici o afferenti ad altre deviazioni nate ai margini del movimento comunista nel corso della sua storia, l’autore prende spunto da singoli passaggi e punti di approdo dell’azione svolta dall’URSS e dall’IC in Palestina per dimostrare il ruolo decisivo dell’URSS diretta da Stalin nella costituzione dello Stato sionista d’Israele e quindi nel determinare le conseguenze disastrose che tale evento comportò e comporta tuttora per la maggioranza delle masse popolari della Palestina e la deriva reazionaria degli immigrati ebrei insita in esso. Trasmettere una lettura della storia del movimento comunista che ha diretto e dato impulso alla prima ondata delle rivoluzioni proletarie come “storia di errori e orrori” è la linea dei diffusori di simili tesi. Denunciare il carattere denigratorio di simili tesi ed esporre il percorso dell’intervento condotto dall’URSS e dall’IC in Palestina è il compito dei comunisti, a contrasto del disfattismo e dell’attendismo diffusi anche in seno al movimento comunista, che traggono forza anche dall’ignoranza sulla storia della prima ondata e quindi dall’influenza delle sirene della sinistra borghese.
1. Il libro di Mlecin argomenta le proprie tesi con materiale desecretato da Putin sul finire degli anni ‘90: documenti del ministero degli esteri, telegrammi in cifra degli ambasciatori, verbali dei colloqui dei ministri degli esteri, rapporti indirizzati al Comitato Centrale del PCUS, memorie di politici e diplomatici sovietici, il tutto selezionato allo scopo di dimostrare che Stalin è stato l’artefice della creazione dello Stato sionista d’Israele, prendendo spunto dall’azione svolta dall’URSS in sede ONU nel promuovere lo schieramento che nel 1947 ne approvò la costituzione.
La ricostruzione delle tappe principali dell’azione svolta dall’URSS e dall’IC in Palestina dimostra, al contrario, che l’approvazione da parte dell’URSS nel novembre 1947 presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) della risoluzione 181 che legittimò a livello internazionale la costituzione dello Stato d’Israele, fu il punto di approdo, provvisorio e imposto dai rapporti di forza sul campo, di una linea d’intervento volta a conseguire due obiettivi politici:
1. porre fine al dominio coloniale degli imperialisti britannici che in Palestina erano associati alla borghesia ebrea sionista (patto Balfour-Rothschild, 1917), sulla quale essi si appoggiavano per soffocare la protesta delle masse popolari arabe,
2. costituire in Palestina uno Stato democratico bi-nazionale come esito di un processo rivoluzionario antimperialista (contro il dominio britannico), anticoloniale (contro la colonizzazione sionista e la relativa borghesia) e antifeudale (contro le classi dominanti nei paesi arabi).
Per conseguire questi obiettivi l’URSS e l’IC, analogamente a quanto fecero in numerosi altri paesi coloniali, diedero impulso alla formazione anche in Palestina di un partito comunista, che si costituì nel 1923 e fu riconosciuto nel 1924 come sezione dell’IC. Il radicamento del movimento comunista in Palestina dovette però affrontare – questa fu una sua particolarità – due ordini di problemi.
Il primo ordine di problemi atteneva alle caratteristiche del nucleo originario del Partito Comunista Palestinese (PCP). Esso era costituito da organismi proletari di ebrei immigrati in Palestina e provenienti dall’Europa orientale e dalla Russia.(2)
2. L’immigrazione sionista in Palestina tra la fine dell’800 e gli anni ‘30 del ‘900 era prevalentemente composta da ebrei provenienti dall’Europa orientale e dalla Russia, influenzati anche dai movimenti della II Internazionale e dalle organizzazioni di massa che essa aveva costituito. Se i forzieri del sionismo erano detenuti dalle famiglie di capitalisti ebrei europei e nordamericani (la famiglia Rothschild era un caso esemplare), i quadri e la massa di manovra del sionismo sul campo, in Palestina, era composta per lo più da elementi con esperienza pregressa nel movimento socialista, come nel caso dell’ebreo polacco David Ben Gurion, fondatore d’Israele e principale architetto della cacciata dei nativi palestinesi dalle loro case dopo il maggio 1948 in quella che passò alla storia come la “Nakbah”, ovvero la catastrofe palestinese. Allo stesso tempo l’immigrazione era organizzata in cooperative di produzione di soli ebrei (kibbutz), sindacati per soli ebrei (Histadrut), partiti politici di orientamento socialdemocratico per soli ebrei e altre forme mutuate dal movimento socialista europeo. La presentazione dell’insediamento sionista in Palestina come avveramento della società socialista era tra le formule di propaganda adottate per stimolare un alto numero di ebrei ad aderire al progetto. Per questi motivi il movimento sionista in Palestina, benché fondamentalmente reazionario, fu costantemente attraversato da una lotta interna tra una corrente di destra e una corrente di sinistra che rendeva l’immigrazione ebrea in Palestina permeabile alle idee del movimento comunista internazionale. Per scissione di sinistra dalle organizzazioni di massa del sionismo sorsero i circoli che nel 1923 in Palestina, divenuta colonia degli imperialisti britannici a seguito della Prima guerra mondiale e alla dissoluzione dell’Impero ottomano, diedero vita alle prime cellule del PCP.
Si trattava dunque di organismi composti da elementi che
– si identificavano nel movimento rivoluzionario che in Russia aveva portato alla costituzione del primo paese socialista e che a vario titolo, prima di emigrare in Palestina, vi avevano preso parte,
– erano influenzati dalla mentalità separatista (“noi ebrei dobbiamo muoverci per conto nostro”) che costituiva un tratto specifico delle comunità di ebrei in Europa e in Russia, derivante dalle persecuzioni cui gli ebrei erano stati sottoposti da parte del clero delle religioni cristiane e manipolato dalla stessa borghesia ebrea che, con l’avvio del movimento sionista sul finire dell’Ottocento, fomentò su larga scala il separatismo finalizzandolo al proprio progetto di colonizzazione della Palestina.
Il secondo ordine di problemi atteneva alla scarsa presa del PCP alla sua nascita tra le masse popolari arabe. Queste erano la base da attivare per lo sviluppo del movimento rivoluzionario antimperialista, anticoloniale, antifeudale che l’IC voleva promuovere. Tuttavia l’arretratezza dei rapporti sociali vigenti in Palestina rendeva le masse arabe soggette all’influenza del clero musulmano e dei clan feudali arabi, che erano i principali portavoce della loro resistenza anticoloniale. Allo stesso tempo la mentalità separatista diffusa tra gli ebrei che avevano dato i natali al PCP ostacolava la raccolta di forze tra le masse arabe.
A fronte di questa situazione l’URSS e l’IC dispiegarono un intervento per fare del PCP un partito che fosse effettivamente in grado di porsi alla testa del movimento di liberazione dall’occupazione britannica della Palestina, obiettivo inseparabile dalla lotta contro il progetto di colonizzazione sionista della Palestina, di cui gli imperialisti inglesi si servivano per reprimere e mantenere soggiogate le masse popolari arabe. A questo fine l’IC operò per liberare gli ebrei che avevano aderito al PCP dalle influenze del sionismo. Questo obiettivo fu raggiunto soltanto parzialmente nel 1924, con l’ammissione del PCP nell’IC come sezione dell’IC in Palestina, dietro condanna del sionismo come movimento reazionario e facente gli interessi degli imperialisti britannici da parte del gruppo dirigente (che era ebreo) del PCP. Ma questo non fu risolutivo. Nonostante la condanna del sionismo, tra i primi comunisti palestinesi di provenienza ebrea permaneva un atteggiamento semi-sionista: da un lato essi condannavano il sionismo come movimento reazionario che faceva gli interessi dell’imperialismo britannico, ma dall’altro lato sostenevano che per potersi emancipare e lottare per il socialismo il proletariato ebreo doveva costituire proprie organizzazioni specifiche e lottare per la costituzione di uno Stato di soli ebrei. La diffusione di simili concezioni pose il neonato PCP in una posizione di debolezza, soggetto all’infiltrazione e alle influenze del sionismo che, forte dei finanziamenti della borghesia ebrea statunitense ed europea, aveva grandi mezzi e capacità di persuasione tra i proletari ebrei immigrati in Palestina.
L’URSS e l’IC affrontarono i problemi sopra illustrati conducendo una campagna durata un decennio per formare un corpo di quadri ideologicamente uniti all’IC, per conquistare al PCP numerosi elementi avanzati delle masse arabe e per epurare la componente ebrea del partito dagli elementi semi-sionisti e dagli infiltrati del sionismo. L’IC riuscì in questo compito soltanto in parte. In primo luogo selezionò e poi formò a Mosca, presso l’Università Comunista dei Lavoratori dell’Oriente, un corpo di giovani quadri per lo più di provenienza araba, da porre alla direzione del PCP. Sulla base di questo lavoro l’IC riuscì a rigenerare il Comitato Centrale e le principali cariche direttive nel PCP. L’ascesa nel 1934 di Radwan Al Hilu a segretario generale segnò un cambio di passo del partito. Sotto la sua direzione esso iniziò a fondersi con le rivendicazioni antimperialiste e antisioniste delle masse popolari arabe e intervenne attivamente a sostegno della rivolta araba del 1936-1939, operando per indirizzarla verso l’obiettivo della cacciata degli imperialisti britannici e della fine della colonizzazione sionista della Palestina. In questo contesto il PCP agì anche per contrastare le dinamiche settarie tra masse popolari arabe ed ebree che l’imperialismo britannico fomentava in ogni modo per deviare la rivolta antimperialista e antisionista in una mobilitazione reazionaria di masse contro masse. L’orizzonte politico che l’IC e l’URSS hanno sistematicamente promosso in Palestina consisteva nella costituzione di uno Stato democratico bi-nazionale, espressione degli interessi delle masse popolari palestinesi (composte in grande maggioranza da arabi e solo in parte minore da ebrei) e affrancato tanto dall’imperialismo britannico quanto dalla borghesia sionista e dai clan feudali arabi.
Tuttavia a questa linea mancarono le gambe per marciare dal momento che le buone prospettive che la direzione di Al Hilu lasciava intravedere si infransero nel 1937 con l’arresto e la deportazione, da parte degli imperialisti britannici, di Al Hilu e di altri dirigenti che l’IC aveva messo a capo del Comitato Centrale del PCP.
Venne così meno il ruolo di avanguardia che il PCP aveva assunto nella grande rivolta araba, si interruppe il processo di conquista degli elementi avanzati delle masse popolari arabe al partito e ripresero piede le idee separatiste diffuse tra i membri ebrei del partito.
In questa situazione il PCP finì con l’implodere e scindersi in due correnti:
– una composta dai dirigenti e dai membri fedeli alla linea fino a quel momento promossa dall’IC, che tuttavia scontava la decapitazione del gruppo dirigente (Al Hilu e altri) principale promotore della linea dell’IC e finì con l’essere sopraffatta dagli eventi;
– l’altra composta dagli aderenti ebrei (che sul finire degli anni ‘30 si organizzarono in sezione ebrea del PCP), fautori di un riposizionamento del PCP nei rapporti con le organizzazioni di massa del sionismo, concepite come forze progressiste con cui allearsi in funzione antimperialista (contro i colonizzatori britannici) e antifascista (contro le forze nazionaliste arabe, alcuni dei cui esponenti, come il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni, coltivavano rapporti con il regime fascista e con quello nazista in funzione anti-britannica). Malgrado agisse in contrasto con gli indirizzi dell’IC, questa seconda corrente si sviluppò, favorita dal contesto internazionale della fine degli anni ’30. Per il movimento comunista era diventata infatti centrale la lotta contro i preparativi della terza aggressione imperialista contro l’URSS, dei quali l’Accordo di Monaco (stipulato dai governi di Regno Unito, Francia, Germania e Italia il 30 settembre 1938) fu chiara espressione.
Fin dal VII Congresso dell’IC del luglio-agosto 1935, con l’elaborazione della linea del Fronte Popolare Antifascista, l’URSS e l’IC avevano iniziato a creare le condizioni per lo sviluppo della resistenza al fascismo al quale la borghesia imperialista ricorreva nel tentativo di “soffocare il bambino ora che è ancora nella culla” (così Churchill indicava l’obiettivo delle aggressioni dei gruppi e delle potenze imperialiste contro l’URSS) e sbarazzarsi del movimento comunista internazionale. L’URSS diretta da Stalin si preparò per respingere l’aggressione che le potenze imperialiste andavano organizzando, aggressione in cui la Germania nazista aveva un ruolo di primo piano (era l’ariete che esse contavano di lanciare contro l’URSS). A questo scopo il PC(b)dell’URSS condusse, sia sul piano interno che a livello internazionale, una multiforme e spregiudicata politica tesa a mobilitare il fronte più ampio – comprensivo quindi anche di gruppi per altri versi reazionari – contro l’aggressione nazista e a sviluppare le contraddizioni tra le potenze imperialiste (il patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939 fu l’operazione esemplare in questo indirizzo). Tra le numerose manovre condotte, ci fu la mobilitazione della comunità di ebrei di tutte le repubbliche sovietiche (in particolare russi, bielorussi e ucraini) per mettere a contributo i loro rapporti con la rete internazionale del sionismo e influenzare, anche tramite questi, le classi dominanti delle potenze imperialiste (in particolare negli USA) affinché sostenessero la resistenza sovietica contro l’aggressione nazista. A questo scopo, sul finire del 1941, venne costituito il Comitato Ebraico Antifascista, che svolse un ruolo importante nell’incanalare la solidarietà verso l’URSS da parte delle comunità di ebrei nel mondo e nel metterne a frutto le entrature nella borghesia imperialista.
Dunque le manovre che l’URSS, l’IC e Stalin dovettero condurre su quello che tra la fine degli anni ‘30 e la metà degli anni ‘40 fu il fronte di lotta principale e decisivo (la difesa della sopravvivenza del primo paese socialista dall’aggressione imperialista) ebbero la conseguenza, in Palestina, di favorire il rafforzamento della corrente semi-sionista nel movimento comunista. Ma questo fu il risultato del sostanziale fallimento del tentativo dell’IC di impiantare in Palestina un partito comunista (il PCP si sciolse nel 1943) capace di mettersi a capo della rivoluzione antimperialista che non poteva prescindere dalla conquista al partito della parte avanzata delle masse arabo-palestinesi.
In questa situazione i comunisti palestinesi provarono a riorganizzare le loro forze (nel 1944 la corrente di sinistra diede vita alla Lega di Liberazione Nazionale), ma subirono l’iniziativa dei sionisti che subito dopo il 1945 accentuarono le pressioni sugli imperialisti britannici con una campagna di azioni militari su vasta scala. L’occupazione britannica della Palestina, già uscita claudicante dalla grande rivolta araba del 1936-39, giunse al suo epilogo.
Venne così raggiunto uno degli obiettivi politici per cui l’URSS e l’IC si erano fino a quel momento battuti (la fine del dominio coloniale britannico), ma non si realizzò l’obiettivo della costituzione di uno Stato democratico bi-nazionale, perché mancò un movimento comunista capace di incanalare la mobilitazione delle masse popolari arabe ed ebree in questa direzione. All’opposto si esacerbarono i contrasti settari tra maggioranza araba ed ebrei, fomentati dalla destra sionista radunata attorno a Ben Gurion e alle varie bande paramilitari ebree ma anche dai clan feudali arabi e dal clero musulmano.
In questa situazione l’URSS tentò per via diplomatica, in sede ONU, di creare le condizioni per il subentro di uno Stato bi-nazionale al posto del decomposto regime coloniale britannico. Questo era l’orientamento dell’URSS all’ONU fino al maggio 1947,(3) pochi mesi prima della votazione della risoluzione 181 che sancì la divisione della Palestina e la costituzione dello Stato sionista d’Israele. Allo stesso tempo il volgere della situazione rendeva molto probabile l’affermarsi della via della partizione della Palestina e della costituzione di due Stati, come rivendicavano i sionisti. Questo era reso possibile dalla forza che i sionisti avevano acquisito in Palestina e dal vasto appoggio di cui godeva in Europa e negli USA il progetto della creazione di una patria che accogliesse le masse di ebrei europei sopravvissuti allo sterminio nazista, molti dei quali spossessati di ogni loro avere e ridotti a profughi. Vista la grande probabilità che questa opzione si realizzasse, l’URSS intraprese una politica estera tesa a espandere la propria influenza tra l’immigrazione sionista in Palestina, valorizzare la riconoscenza degli ebrei sopravvissuti al nazismo per l’URSS liberatrice nonché la simpatia che il primo paese socialista ispirava nelle correnti di sinistra del sionismo.
D’altro canto la campagna militare avviata dai sionisti contro gli imperialisti britannici subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, poneva i sionisti in una posizione di scontro diretto con un paese imperialista di primo piano (4) nella nuova cordata internazionale che la borghesia imperialista, con a capo gli USA, promuoveva contro l’URSS.
Questi e altri fattori, oltre alla già citata debolezza sul campo del movimento comunista, contribuirono all’approvazione da parte dell’URSS della risoluzione 181 sulla partizione della Palestina e poi, dopo il maggio 1948, al sostegno dato dall’URSS alla creazione dello Stato d’Israele e alla sua difesa (con la consegna di armi tedesche requisite ai soldati nazisti tramite alcuni paesi che favorivano il contrabbando dietro consenso sovietico, tra cui la Cecoslovacchia socialista) dall’intervento dei paesi arabi vicini che tentavano di impedire la costituzione dello Stato d’Israele e annettersi il territorio palestinese (alla fine del conflitto del ‘48, l’Egitto riuscì a occupare la Striscia di Gaza, mentre il regno di Giordania riuscì ad annettere la Cisgiordania).
3. Per leggere il discorso di Andrei Gromyko all’ONU del maggio 1947, digitare il seguente link: www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custof04-027250.htm
4. Se da una parte batteva in ritirata dalla Palestina e da altri possedimenti coloniali, dall’altra l’imperialismo britannico si era messo a capo della guerra civile scatenata da tutte le forze reazionarie contro i comunisti che avevano diretto la liberazione della Grecia dall’occupazione nazi-fascista.
Di pari passo l’URSS si oppose frontalmente alla rivendicazione del gruppo dirigente dello Stato sionista d’Israele che l’URSS acconsentisse all’emigrazione degli ebrei russi in Palestina, come forma di appoggio dell’URSS al nascente Stato ebraico. Ciò a conferma del fatto che, sebbene transitoriamente l’URSS avesse optato per la partizione della Palestina, non era mutato il suo orientamento rispetto al sionismo e alla necessità della costituzione di uno Stato bi-nazionale.
Il tentativo condotto dall’URSS per volgere a favore del campo socialista la partizione della Palestina e la costituzione dello Stato sionista d’Israele fallì. La borghesia sionista nel giro di pochi anni si posizionò nettamente e definitivamente sotto l’ala degli imperialisti USA, a cui era già legata in vari modi (provenivano anzitutto dai ricchi ebrei degli USA i fondi con cui venne eretto lo Stato sionista d’Israele e gestito il crescente flusso dell’immigrazione sionista in Palestina dal 1948 in poi tramite l’Agenzia Ebraica guidata da Ben Gurion).
Armando R.