Rassegna 14/09/2024
Enrico Tomaselli: Lo schwerpunkt è nel Dombass
Lo schwerpunkt è nel Dombass
di Enrico Tomaselli
La rovina dell’Ucraina è stata affidarsi alla NATO, credendo fosse davvero l’invincibile potenza che millantava di essere. Certo, questo ha consentito l’arricchirsi della sua leadership, e la corruzione diffusa a ogni livello ha favorito non solo l’accumulo di grandi fortune ma anche una più capillare redistribuzione del reddito, ma in termini collettivi, nazionali, questa scelta di campo è stata esiziale. La devastazione economica, sociale, demografica, è talmente evidente che non vale neanche la pena discuterne. Meno evidente, invece, è l’effetto deleterio che ha avuto la subalternità militare, ovvero l’imposizione alle forze armate di Kiev di un modello strategico, operativo e tattico ritagliato su quello NATO, al quale non solo erano impreparate (e inadeguate), ma che è risultato pericolosamente sbagliato.
Lo si è detto già numerose volte, la dottrina militare statunitense – quindi quella occidentale in generale – è ancora fondata su alcuni pilastri concettuali che però non trovano più riscontro nella realtà. Il primo di questi pilastri, è l’idea della propria assoluta supremazia tecnologica, che dovrebbe assicurare di per sé un dominio indiscusso. Il secondo è, conseguentemente, la capacità di infliggere perdite decisive già nella prima fase di un conflitto. Il terzo, anch’esso conseguente, è la convinzione di poter conseguire la vittoria in tempi rapidi.
Questi tre assunti convergono a delineare un modello di conflitto caratterizzato dall’assoluta asimmetria; non a caso, del resto, la dottrina strategica statunitense è a sua volta fondata sul principio di impedire il sorgere di una potenza con capacità equivalenti.
OttolinaTV: Trump, Le Pen, AFD: abbiamo finalmente un’alternativa?
Trump, Le Pen, AFD: abbiamo finalmente un’alternativa?
di OttolinaTV
Oh! Finalmente quando ci saranno Trump, Le Pen e Alternative fur Deutschland, quegli ipocriti dei progressisti globalisti la finiranno di fare guerre e di seminare il terrore in giro per il mondo; l’imperialismo dei finti buonisti è finalmente sconfitto e il popolo e la democrazia stanno per trionfare! Ce l’avrete sicuramente anche voi quell’amico un po’ speciale che, da una parte, si dichiara anti-sistema e dice di essere per la democrazia e gli interessi classi popolari e, dall’altra, esulta per tutte le vittorie elettorali della peggiore destra identitaria solo perché almeno non hanno vinto i Biden, i Macron o gli Scholz di turno (che culo!) o che, addirittura, vagheggia di improbabili alleanze tra le destre suprematiste del pianeta e le forze socialiste in nome della comune lotta al capitalismo e alla globalizzazione. Ora, se fino a qualche anno fa allucinazioni di questo tipo erano quantomeno scusabili – data l’assoluta egemonia culturale del progressismo liberale che poteva davvero far pensare ad un nemico comune – oggi invece potrebbero dimostrarsi dei deliri estremamente pericolosi perché, come si sottolinea anche in un recentissimo studio dell’istituto di scienze sociali tedesco Tricontinental, una nuova forma di destra sembra prendere sempre più piede nella politica occidentale; una destra tanto diversa dalla destra liberale e finto conservatrice a cui ci eravamo abituati negli ultimi decenni, quanto dalla destra fascista del ‘900, con la quale pure sembrare mostrare qualche inquietante analogia. Una destra, insomma, in gran parte inedita, ben rappresentata da Trump e dai suoi imitatori europei che oggi fanno il pieno alle urne e che, contrariamente al wishful thinking di qualche compagno sui generis, non sembra avere nessuna intenzione di mettere in discussione i rapporti di forza oligarchici nelle nostre società, né di porre fine alla volontà di dominio dell’Occidente sul resto del mondo. Insomma: proprio nulla di anti-sistema; una destra, anzi, che agli occhi delle tanto detestate élite transnazionali potrebbe rivelarsi particolarmente funzionale alla nuova fase storica che stiamo vivendo, tanto che potrebbe essere capace di imporre, nei prossimi anni, una vera e propria nuova egemonia culturale.
Piccole Note: Kamala Harris, la candidata delle guerre infinite
Kamala Harris, la candidata delle guerre infinite
di Piccole Note
La dichiarazione di voto dell’ex vicepresidente di George W. Bush ha il pregio di sgombrare il campo dagli equivoci. Il partito delle “guerre infinite” sta con Kamala Harris
L’endorsement di Dick Cheney per Kamala Harris ha un alto valore simbolico. I neocon, infatti, riconoscono nella candidata democratica il presidente che perpetuerà le guerre infinite conservando il sogno, un incubo per il resto del mondo, di un ritorno all’unipolarismo Usa, che tale politica estera distruttiva dovrebbe conseguire.
Cheney e il partito delle guerre infinite che vota Kamala
Non un fulmine a ciel sereno quello del vicepresidente di George W. Bush, dal momento che il senso dei neoconservatori per Kamala era nei fatti e ne avevamo scritto già quando centinaia di collaboratori di Bush, McCain e Romney manifestarono la loro preferenza per l’ex magistrato prestato alla politica.
D’altronde anche il modo con cui Kamala è stata candidata alla Casa Bianca partecipa del senso dei neocon per la democrazia, che la loro agenda prevede che sia esportata a suon di bombe.
Gilbert Doctorow: Stupidi come sono: Scholz e Pistorius sull’acquisto di nuovi sistemi antimissile
Stupidi come sono: Scholz e Pistorius sull’acquisto di nuovi sistemi antimissile
di Gilbert Doctorow
Da oltre un anno sappiamo che il Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock è una vergogna per il governo che serve. La signora non è abbastanza intelligente per rivoltare hamburger da McDonalds, figuriamoci per sedere nel gabinetto federale e pronunciarsi su guerra e pace. Non riuscirà mai a far dimenticare alla gente di aver detto che Vladimir Putin avrebbe dovuto cambiare rotta di 360 gradi.
Tuttavia, ho sempre pensato al Cancelliere Olaf Scholz come a una volpe astuta. Naturalmente, ho sempre saputo che è un vero e proprio codardo, un venduto agli interessi americani a spese della sua stessa nazione. Il suo silenzio sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream ne è la prova. Quello che lui e il suo ministro della difesa Boris Pistorius hanno detto negli ultimi due giorni a margine del raduno di Ramstein degli sponsor dello sforzo bellico ucraino lascia pochi dubbi sul fatto che sia anche un dannato stupido.
Mi riferisco all’annuncio di Scholz secondo cui la Germania metterà a bilancio nuove capacità di difesa aerea e si unirà ad altri Paesi europei nei loro piani per costruire quello che potrebbe essere definito un Iron Dome, se possiamo prendere in prestito il lessico israeliano, per descrivere uno schermo impenetrabile contro gli attacchi missilistici.
Emiliano Brancaccio: Pupari e marionette di guerra
Pupari e marionette di guerra
Economia a Cernobbio
di Emiliano Brancaccio
Oggi Cernobbio, ieri Jackson Hole, domani Davos. Un tempo questi informali incontri al vertice del potere internazionale riuscivano a mantenere i toni glamour tipici delle leggiadre passerelle, delle armoniche serate di gala. Tra una foto in posa e un dinner ufficiale c’era anche da concordare qualche rilevante decisione politica, beninteso. Ma il tutto avveniva in piena serenità, dietro le quinte, lontani dal fastidioso vocìo dei parlamenti.
E sempre in un clima di sintonica allegrezza. Oseremmo dire, di amore capitalistico tra potenti.
Insomma, mostrare il bel volto di un potere unito, solo invidiabile e mai attaccabile: questa era un tempo la funzione dei cosiddetti incontri informali al vertice.
Da qualche anno, tuttavia, lo scenario è profondamente mutato. I sorrisi si fanno tesi, le strette di mano appaiono insicure. La vecchia dolcezza del bel mondo in posa appare sempre più inquinata da dissidi, controversie, nuove lotte materiali tra i potenti. Che pure cambiano postura e passo: sui delicatissimi prati delle ville ospitanti oggi è il tempo dei talloni di ferro.
Accade anche a Cernobbio, che inaugura il suo celebre forum dando la ribalta a Zelenskyj e a Orbán, due esemplari perfetti della nuova, feroce epoca di lotte al vertice.
Salvatore Bravo: Guerra e Pace
Guerra e Pace
di Salvatore Bravo
Volodymyr Zelensky ha affermato che presenterà al Presidente americano Joe Biden e ai candidati alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump, un piano di pace per porre fine alle ostilità con la Russia. I giornali hanno riportato la notizia ponendo in rilievo la volontà ucraina di perseguire la pace. Sembra di leggere un episodio del testo di Collodi Pinocchio. Il leader dell’Ucraina chiede armi e ribadisce che la guerra è voluta dall’Ucraina per difendere l’integrità del proprio territorio. Dunque è l’Ucraina a condurre la guerra, è qui che viene in mente Pinocchio con le sue bugie; se è l’Ucraina a combattere sul campo la guerra e a volerla, perché mai il piano di pace dev’essere vidimato dagli Stati Uniti?
La necessità dell’assenso americano dimostra in modo lapalissiano e incontrovertibile che la guerra è degli Stati Uniti; l’oligarchia ucraina è solo lo strumento docile e dipendente dei disegni americani. La verità che tutti hanno sempre saputo è ora dichiarata con spavalderia da Volodymyr Zelensky. La dipendenza dagli Stati Uniti, ormai padroni dell’Ucraina, è resa ancora più evidente dalla disponibilità del Presidente dell’Ucraina a condividere il piano di pace anche con i candidati alla Casa Bianca a prescindere dal colore politico. Se la pace dipende dal consenso statunitense, è inevitabile che anche la guerra dipende dagli Stati Uniti.
Eros Barone: La morale rigorosa e scomoda di un grande eretico italiano: Piero Martinetti
La morale rigorosa e scomoda di un grande eretico italiano: Piero Martinetti
di Eros Barone
La verità è il bene umano più alto e comprende in sé anche la forza e la giustizia; possiamo noi concepire una giustizia fondata sul falso? Perciò anche la dove il vero e il falso sembrano essere indifferenti al bene privato e pubblico, ciò realmente non è; la verità compendia sempre in sé, anche se pel momento sembra straniera a ogni interesse umano, una giustizia superiore e universale che riflette gli interessi più profondi dell’umanità.
P. Martinetti, Breviario spirituale.
Del filosofo piemontese Piero Martinetti (1872 – 1943) cadeva l’anno scorso l’ottantesimo anniversario della morte. Ma chi era Martinetti?
Si può rispondere che fu una singolare figura di intellettuale eretico, estraneo alla tradizione cattolica così come ai contrasti politici che caratterizzarono la sua epoca (ad esempio, non aderì né al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce). Memorabile fu, tuttavia, nel 1931 la sua decisione, originata da motivazioni essenzialmente etiche, di rinunciare alla cattedra per non prestare il giuramento di fedeltà al fascismo (è da notare che soltanto diciotto furono i professori che fecero questa scelta su un corpo accademico che ne contava allora 1225).
Da vero moralista aveva il dono dell’indignazione morale. Lui stesso aveva scritto: «Disgraziato l’essere che non sa trovare in sé, in dati momenti della vita, una santa collera! Chi è senz’ira non pensa».
Cédric Durand: Capitalismo digitale e stagnazione economica
Capitalismo digitale e stagnazione economica
di Cédric Durand
I giganti della Silicon Valley rivendicano il loro ruolo di distruzione creatrice all’insegna della crescita economica. Ma la produzione digitale, sconfinata e immisurabile, sta rallentando il Pil e fermando l’economia
Se il «nuovo spirito del capitalismo» analizzato da Luc Boltanski ed Ève Chiapello dovesse essere identificato con un luogo, sarebbero gli edifici luminosi e moderni riservati ai creativi della Silicon Valley. La sede centrale di Google ci vende un sogno con le sue sessioni di yoga, i ristoranti gratuiti e le palestre aperte 24 ore su 24. Mostra il mondo innocente e aperto che l’azienda intende realizzare.
Questo tipo di spazio di lavoro è un’illustrazione magistrale della riorganizzazione delle soggettività avviata dall’«epitumogenesi neoliberista» identificata da Frédéric Lordon:
Il desiderio di trovare un impiego non dovrebbe più essere semplicemente un desiderio mediato per i beni che i salari consentono indirettamente di acquistare, ma un desiderio intrinseco per il bene stesso dell’attività… desideri di un lavoro felice o, per prendere in prestito direttamente dal suo stesso vocabolario, desideri di ‘realizzazione’ e ‘autorealizzazione’ nel e attraverso il lavoro.
Promettendo che lo «spirito innovativo della Silicon Valley è più forte che mai», Google propone «un ambiente in cui ogni individuo può condividere le proprie idee con i colleghi in qualsiasi momento e chiedere il loro contributo». E in effetti, «prendersi cura dei Googler» sembra un modo efficace per innescare l’innovazione. Lasciare ampio spazio ai cicli virtuosi e al libero gioco della complementarietà e della collaborazione incoraggia l’emergere di ciò che, per definizione, deve ancora essere scoperto.
Xavier Niel tenta di guidare questo stesso spirito di innovazione attraverso il divertimento negli uffici flessibili e nella zona relax di Station F, il suo campus di start-up a Parigi. La flessibilità che facilita il lavoro creativo sembra ricordare la rivolta antiautoritaria degli anni Sessanta e sarebbe certamente bello credere per un secondo che questo potrebbe essere davvero il nuovo volto del lavoro.
Silvia Guerini: Dalla negazione del trascendente all’umanità cibernetica e transumana
Dalla negazione del trascendente all’umanità cibernetica e transumana
di Silvia Guerini
Oggi siamo innanzi a una guerra totale senza precedenti ai corpi, alla vita, alla natura, all’umanità. Una guerra su tutti i fronti con sviluppi tecno-scientifici che aprono scenari senza precedenti. Concetti cardine come libertà, verità, giustizia, etica, realtà si sgretolano, ovvero vengono stravolti per essere riformulati in un modo che va a negare il loro stesso senso.
Siamo innanzi alla metamorfosi dell’umano e della sua esistenza, in cui tutto muterà irreversibilmente e, con l’avvento del transumano, non rimarrà nemmeno traccia dell’umano.
Gli sviluppi tecno-scientifici si innestano molto più in profondità di quello che potremmo immaginare, le élite tecnocratiche e transumaniste, grazie alle varie soglie di volta in volta abbattute da questi sviluppi, mirano a trasformare radicalmente il modo di pensare, di interpretare il reale, di relazionarsi, mirano a trasformare anche il così detto sentire comune delle persone per creare una precisa forma mentis, una precisa mentalità che si generalizzerà e che si radicherà diventando quella che si penserà si sia avuta da sempre o, comunque, quella giusta, buona, migliore.
Si andrà a perdere l’aderenza alle cose, l’aderenza al mondo reale per una dissociazione dai propri corpi, dalla realtà, dalla natura. Si andrà a perdere quel percepire che qualcosa stride con le narrazioni emergenziali che vedremo susseguirsi una dopo l’altra. Si andrà a perdere l’autodifesa della propria salute, integrità, dignità, l’autodifesa del proprio corpo e dei propri cari. Quell’autodifesa a tratti magari un po’ confusa, senza adeguati strumenti per comprendere un piano più ampio, ma che è stata necessaria per le opposizioni ai sieri genici.
Roberto Finelli: Lucio Colletti: marxismo dell’alienazione contra marxismo dell’astrazione
Lucio Colletti: marxismo dell’alienazione contra marxismo dell’astrazione
di Roberto Finelli*
§1. Scienza contro dialettica
È all’indistinzione tra marxismo della alienazione-contraddizione e marxismo dell’astrazione che si lega a mio avviso la rapida parabola del marxismo filosofico in Italia nella seconda metà del ‘ 900.
Con tale denominazione s’intende infatti quel marxismo che, caratterizzato soprattutto dai nomi di G. della Volpe, L. Colletti, M. Rossi e N. Merker, ha provato nella seconda metà del Novecento, dopo l’impresa di Labriola alla fine del secolo precedente, a far valere il marxismo, non solo come teoria politica dell’emancipazione e della rivoluzione, ma, insieme e soprattutto, come scienza del presente storico e sociale, dotata di una sua autonoma e autosufficiente fondazione logica e teoretica. Ovvero propriamente quale scienza della storia, lontana dalle fumoserie e dai misticismi della dialettica, e omologa, quanto a metodo conoscitivo, a quello delle scienze esatte della natura. E valida in tal modo a proporsi come filosofia egemone del nostro tempo, in quanto capace di coprire sia il campo e la legittimazione del conoscere che il campo e la legittimazione dell’agire.
Secondo Della Volpe e i suoi allievi, Marx andava infatti letto come il Galileo delle scienze storiche, come uno scienziato cioè che aveva indagato solo la fattualità concreta ed empirica dell’esperienza sociale e che aveva elaborato, fin dal suo scritto giovanile del 1843 Per la critica della filosofia statuale hegeliana, una logica materialistica della conoscenza storica radicalmente critica della logica speculativa e astratta del sistema di Hegel1.
Dario Lucisano: Più fondi e meno burocrazia per i produttori di armi: il piano Draghi per la nuova Europa
Più fondi e meno burocrazia per i produttori di armi: il piano Draghi per la nuova Europa
di Dario Lucisano
«L’industria comunitaria della difesa si trova ad affrontare sfide strutturali in termini di capacità, competenze e vantaggio tecnologico; l’UE non riesce a tenere il passo con i suoi concorrenti globali». Così recita un breve estratto del nuovo “Rapporto Draghi” sulla competitività europea, commissionato al banchiere dalla Presidentessa della Commissione UE Ursula von der Leyen. Il documento è stato visionato in via esclusiva dal quotidiano statunitense Politico, che riporta che secondo l’ex Premier italiano le industrie della difesa dovrebbero avere pieno accesso ai fondi europei e che le fusioni tra aziende non dovrebbero essere bloccate, indipendentemente dalle questioni sulla concorrenza. «Con il ritorno della guerra nelle immediate vicinanze dell’UE», scrive Draghi, l’Europa «dovrà assumersi una responsabilità crescente per la propria difesa e sicurezza», ma per ora non sta facendo abbastanza. Dopo un’intensa stagione di dibattito su armi da inviare a Kiev e fondi da stanziare per il comparto bellico, l’Europa torna insomma a parlare di industria della difesa e militare, e lo fa, su sua stessa ammissione, nell’ottica di un potenziale allargamento del conflitto ucraino.
Francesco Galofaro: La crisi dell’economia tedesca e le elezioni in Turingia e Sassonia
La crisi dell’economia tedesca e le elezioni in Turingia e Sassonia
di Francesco Galofaro*
Un’analisi dei risultati delle consultazioni nei due Länder della Germania, che ha visto l’affermazione dell’estrema destra con Afd e l’esordio positivo di Bsw, il movimento di Sahra Wagenknecht
Le recenti elezioni nei Länder federali della Turingia e della Sassonia hanno visto la vittoria della formazione di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd), arginata solo dai popolari della Cdu. I partiti al governo nella Repubblica federale tedesca (Socialdemocratici, Verdi e Liberali) vengono sonoramente sconfitti, al punto da non riuscire, in alcuni casi, nemmeno a superare la soglia di sbarramento per eleggere.
Circolano spiegazioni molto fantasiose circa la vittoria dell’estrema destra. Si è letto addirittura che, essendo la Turingia la prima regione tedesca in cui i nazisti si affermarono, un secolo fa, la vittoria di oggi segnerebbe il riemergere di legami politici occulti e mai sopiti. Si direbbe che anche i liberali, quando il loro potere è minacciato, ricorrano volentieri al complottismo pur di non ammettere il fatto che le loro politiche escludono di fatto un buon terzo della popolazione dal novero dei cittadini rappresentati.
Redazione Contropiano: Da Poltava in poi, decine di caduti della Nato in Ucraina
Da Poltava in poi, decine di caduti della Nato in Ucraina
di Redazione Contropiano
La guerra in Ucraina continua, ma la narrazione è totalmente cambiata. La certezza occidentale che Kiev avrebbe comunque indebolito al massimo la Russia si è rovesciata nel suo contrario. Lo stesso Zelenskij oggi parla solo di far finire presto la guerra, addirittura “entro la fine dell’anno”. E anche sull’inevitabile scambio tra territori perduti (il Donbass e la Crimea, fin dal 2014) è passato da “la Russia si deve ritirare” a un più modesto “il 30% del nostro territorio è troppo” (su cifre minori, invece…).
Uno dei pochi elementi di novità della guerra combattuta, negli ultimi giorni, sono stati alcuni bombardamenti di centri di addestramento che, come a Poltava, hanno fatto strage… di militari. Su questo episodio più noto, per un paio di giorni tutta l’informazione occidentale aveva preso per buona la prima versione ucraina (“una scuola e un vicino ospedale”).
Poi – girando per notiziari più di dettaglio, sia dentro che fuori dall’orbita dello Sbu di Kiev – si è capito che si trattava di una struttura decisamente importante, il 179° Centro di Formazione interforze delle forze armate ucraine situato in via Zinkovskaya, in cui istruttori Nato formavano soldati addetti a qualcosa di più della guerra in trincea (droni, comunicazioni, guerra elettronica, ecc).
Alessandro Visalli: Poche note, e provvisorie
Poche note, e provvisorie
di Alessandro Visalli
I tempi cambiano, e con essi la concreta analisi. Muovendo dalla genesi del movimento che va in esaurimento in questi tempi, si deve richiamare il contesto emotivo e sentimentale determinato dalla sconfitta della prassi militante, in uno con la perdita di fiducia nella possibilità di un ‘Altro’ dall’Occidente trionfante, che ha trascinato con sé negli ultimi quaranta anni, e via via in forme sempre nuove – tuttavia identiche -, ogni prospettiva di mondo che non fosse imperniata sul capitalismo trionfante con le sue appendici consumistiche e il suo vuoto interno. In vece di tale prospettiva, sempre più concepita come vuota utopia, sono stati prodotti sostituti sempre diversi, tra questi: il ‘fascismo in assenza di fascismo’ denunciato da Costanzo Preve; le altre e sempre diverse forme di guerra civile simulata, tutte le ‘cultural war’ che almeno dagli anni Novanta, partendo dai Campus americani, si sono spinte in ogni luogo; i rituali scontri, esibiti e spettacolarizzati, tra le Destre e Sinistre politiche; più di recente e crescentemente, le costanti, ripetute e ossessive, tempeste che su ogni tema sono prodotte e amplificate nel nuovo ambiente sociale artificiale e controllatissimo del social; in generale ogni e diverso intrattenimento che spinge alla formazione di soggettività sempre più mobili, fragili, istantanee, cangianti. Tutta alimentazione di quella che un recente libro di Richard Sennett chiama “la società del palcoscenico”[1].
Leo Essen: Il carattere di feticcio dello Stato e il suo arcano
Il carattere di feticcio dello Stato e il suo arcano
di Leo Essen
Wagenknecht mette in fila una serie di fatti sul declino della Germania e dell’Europa sui quali non si può non essere d’accordo. Non si può negare il declino della classe operaia, la povertà diffusa, lo svuotamento dello stato sociale, la sanità e la scuola che fanno schifo, il dumping salariale, l’industria portata in Cina e i cinesi a fare gli schiavi a Milano, lo Stato territoriale come ultima difesa. Dopodiché non si può nemmeno negare che confonde gli effetti con le cause, che di economia non capisce una cippa, e che il suo librone, che si fa fatica a finire, è un discreto manuale di Marketing elettorale. Quando guarda con nostalgia allo Stato dei Gloriosi Trenta non solo mostra una saudade sciocca, ma trasforma lo Stato in un feticcio. E ciò avviene, come dice Marx nell’Ideologia tedesca, se si prende la politica come base della storia empirica. Si proietta su un terzo, che non è più il Mercato e il Denaro, ma lo Stato, un Terzo che diventa uno specchio e restituisce l’immagine della società. Solo in questo specchio Wagenknecht riesce a vedere la comunità, cioè l’immagine del rapporto sociale tra produttori del lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale tra oggetti esistenti al di fuori di essi produttori.
Geraldina Colotti: I becchini della memoria e la “simmetria anti-totalitaria”
I becchini della memoria e la “simmetria anti-totalitaria”
di Geraldina Colotti
“Fascisti, carogne, tornate nelle fogne”, si è gridato per molti anni nelle piazze italiane. “Crs, SS”, scandivano i giovani manifestanti francesi, per denunciare i metodi brutali della polizia (la Compagnies Républicaines de Sécurité – CRS-), paragonata alle SS naziste. E tanti altri erano gli slogan che, sempre in Italia, ricordavano ai fascisti che il loro destino era quello di finire a testa in giù: come Mussolini, ucciso e appeso in questo modo a Piazzale Loreto, a Milano. Per non parlare, poi, degli slogan di sostegno alla resistenza palestinese, che oggi sarebbero bollati come “antisemiti”. E così pure erano consuete le minacce profferite in piazza contro i padroni e la borghesia, con tanto di riferimenti espliciti alla violenza rivoluzionaria e alla “vendetta del proletariato”, e di bare che ne indicavano la destinazione finale.
Contenuti analoghi venivano declinati nelle canzoni di lotta contro i guardiani delle carceri e quelli del sistema, e contro la proprietà privata, “perché non è un delitto rubare quando si ha fame”, cantava Fabrizio De André. Erano anni in cui il comunismo si era preso la metà del mondo e aveva vinto mediante rivoluzioni popolari: in Russia, in Vietnam, in Cina, a Cuba, ispirando e sostenendo le indipendenze anticoloniali. Creare “dieci, cento, mille Vietnam” era la consegna lasciata dal Che, morto combattendo in Bolivia, il 9 ottobre del 1967.