[SinistraInRete] Maurizio Lazzarato: Perché la guerra?

Rassegna 10/10/2024

Maurizio Lazzarato: Perché la guerra?

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Perché la guerra?

La congiuntura economico-politico-militare

di Maurizio Lazzarato

0e99dc 011b25816ce842ef8ad768c08e4d0e39mv2.pngPubblichiamo il primo di una serie di articoli scritti per noi da Maurizio Lazzarato, volti a fare il punto sulla «guerra civile mondiale» in corso. Nella prima parte, l’autore si sofferma sul «centro che non tiene», come direbbe il poeta, ovvero sulla crisi negli Usa, cuore del potere capitalistico contemporaneo. Le crisi e le guerra che stanno distruggendo il mondo sono figlie proprio delle strategie di potere del paese a stelle e strisce.

Ricordiamo che su questi temi Maurizio Lazzarato ha scritto un libro recentemente edito da DeriveApprodi, Guerra civile mondiale?

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Il fallimento economico e politico degli USA

Un doppio, contraddittorio e complementare, processo politico ed economico è in corso: lo Stato e la politica (statunitense) affermano con forza la loro sovranità attraverso la guerra (anche civile) e il genocidio. Mentre, allo stesso tempo, mostrano la loro completa subordinazione al nuovo volto che il potere economico ha assunto dopo la drammatica crisi finanziaria del 2008, promuovendo un’inedita finanziarizzazione, altrettanto illusoria e pericolosa, come quella che ha prodotto la crisi dei mutui sub prime. La causa del disastro che ci ha portato alla guerra è diventata una nuova medicina per uscire dalla crisi: una situazione che non può essere che foriera di altre catastrofi e di altre guerre. Un’analisi di quanto sta accadendo negli Stati Uniti, il cuore del potere capitalistico, è fondamentale poiché è proprio dal suo seno, dalla sua economia e dalla sue strategia di potere, che sono partite tutte le crisi e tutte le guerre che hanno sconvolto e, tutt’ora, devastano il mondo.

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Roberto Iannuzzi: A un anno dall’attacco di Hamas, Israele spinge il Medio Oriente verso l’abisso

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A un anno dall’attacco di Hamas, Israele spinge il Medio Oriente verso l’abisso

di Roberto Iannuzzi

L’assassinio di Nasrallah e l’offensiva israeliana in Libano potrebbero innescare una spaventosa destabilizzazione regionale. I missili iraniani su Israele ne costituiscono solo la prima avvisaglia

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2048x1536Il 27 settembre 2024 ha segnato uno spartiacque nella storia mediorientale. L’uccisione di Hassan Nasrallah (guida storica e carismatica di Hezbollah) a seguito di un violentissimo bombardamento israeliano ha scosso gli equilibri regionali con conseguenze difficili da prevedere.

In questo sanguinoso episodio sono rimasti uccisi anche centinaia di civili – un bilancio preciso è reso difficile dall’impossibilità di recuperare corpi letteralmente polverizzati dalla potenza delle esplosioni.

A quasi un anno da quel fatidico 7 ottobre che vide l’attacco di Hamas ad avamposti militari e insediamenti israeliani, l’eliminazione di Nasrallah ha segnato un’ulteriore escalation in un conflitto che ha ormai assunto una dimensione regionale.

Nel quadro dell’irrisolto e dimenticato conflitto israelo-palestinese, e della durissima occupazione militare israeliana, l’inaspettata azione di Hamas del 7 ottobre (la cui dinamica rimane tuttora avvolta da misteri e interrogativi) fu all’origine della devastante reazione militare di Tel Aviv che ha portato alla totale distruzione di Gaza provocando oltre 41.000 morti.

Perfino una catastrofe di queste dimensioni era stata però trasformata in routine dalla copertura parziale e insufficiente dei media occidentali, e declassata a quarta o quinta notizia sui telegiornali (quando viene citata).

Ora vi è il rischio che anche la portata dell’operazione israeliana che segna il definitivo coinvolgimento del Libano nel conflitto venga sottovalutata in Occidente. L’uccisione di Nasrallah, in particolare, e la decapitazione della leadership di Hezbollah, è ciò che ha portato i missili di Teheran nei cieli israeliani.

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Alessandro Scassellati: L’Europa di Draghi e l’economia di guerra

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L’Europa di Draghi e l’economia di guerra

di Alessandro Scassellati

Nel suo rapporto l’ex Presidente del Consiglio non propone una maggiore cooperazione a livello internazionale e un dialogo con le potenze emergenti, ma asseconda la deriva verso un mondo dominato da poli energeticamente e tecnologicamente autosufficienti, armati fino ai denti e disposti a entrare in guerra per risolvere eventuali controversie

bce draghi pix 890x395 c.jpgMentre l’Unione europea si è spostata a destra sia in Parlamento sia nella composizione della Commissione1 e si prepara a inaugurare una nuova era di austerità con il ripristino del Patto di stabilità (voluto dalla Germania e altri paesi cosiddetti “frugali”) che esclude solo le spese per le armi dal computo nel calcolo del deficit2, da mesi gli alti funzionari dell’Ue fanno dichiarazioni bellicose sulla necessità di essere pronti alla guerra. “Tutti, me compreso, preferiscono sempre il burro ai cannoni, ma senza cannoni adeguati potremmo presto ritrovarci anche senza burro”, ha affermato qualche settimana fa Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché presidente dell’Agenzia Europea per la Difesa (EDA), citando l’antico motto latino dei guerrafondai: “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). “L’invasione della Russia è stata un campanello d’allarme per l’Europa”, ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, — il primo presidente a invocare esplicitamente l’alba di una “Commissione geopolitica” e a sostenere che “dobbiamo ripensare la nostra base di difesa industriale”, spendendo 500 miliardi di euro nel prossimo decennio, lavorare per costruire un esercito europeo e avere come priorità principale “prosperità e competitività”.

Non a caso, circa un anno fa, von der Leyen aveva affidato a due dei maggiori esponenti della tecnocrazia europea, campioni della visione del mondo neoliberista, Mario Draghi ed Enrico Letta, la redazione/supervisione di due rapporti complementari che avrebbero dovuto delineare, da un lato, una strategia per il futuro della competitività europea (vedi qui e qui) e, dall’altro, una strategia per il futuro del mercato unico europeo (vedi qui). Il Rapporto Draghi incorpora le analisi e raccomandazioni del Rapporto Letta, per cui nell’analisi che segue ci concentriamo sulla strategia messa a punto da Draghi e presentata ufficialmente il 9 settembre scorso.

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Giorgio Agamben: La fine del Giudaismo

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La fine del Giudaismo

di Giorgio Agamben

Non s’intende il senso di quanto sta oggi avvenendo in Israele, se non si comprende che il Sionismo costituisce una doppia negazione della realtà storica del Giudaismo. Non soltanto infatti, in quanto trasferisce agli ebrei lo Stato-nazione dei cristiani, il Sionismo rappresenta il culmine di quel processo di assimilazione che, a partire della fine del XVIII secolo, è andato progressivamente cancellando l’identità ebraica. Decisivo è che, come ha mostrato Amnon Raz-Krakotzkin in uno studio esemplare, a fondamento della coscienza sionista sta un’altra negazione, la negazione della Galut, cioè dell’esilio come principio comune a tutte le forme storiche del Giudaismo come noi lo conosciamo. Le premesse della concezione dell’esilio sono anteriori alla distruzione del Secondo Tempio e sono già presenti nella letteratura biblica. L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra e l’intera tradizione ebraica, dalla Mishnah al Talmud, dall’architettura della sinagoga alla memoria degli eventi biblici, è stata concepita e vissuta nella prospettiva dell’esilio. Per un ebreo ortodosso, anche gli ebrei che vivono nello stato d’Israele sono in esilio. E lo Stato secondo la Torah, che gli ebrei aspettano all’avvento del Messia, non ha nulla a che fare con uno stato nazionale moderno, tanto che al suo centro stanno proprio la ricostruzione del Tempio e la restaurazione dei sacrifici, di cui lo stato d’Israele non vuole nemmeno sentire parlare.

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Fabio de Masi: Il programma del Partito di Sahra

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Il programma del Partito di Sahra

di Fabio de Masi

Redistribuzione del reddito, riconversione ecologica e maggiore controllo dell’immigrazione sono i pilastri del programma del nuovo partito tedesco BSW. Pubblichiamo qui la relazione di Fabio de Masi alla Scuola di formazione politica di Roma del 8 settembre

Cari compagni,

In questi giorni si sta scrivendo molto in Germania, ma anche in Italia, sull’alleanza Sahra Wagenknecht. Molti osservatori concordano su una cosa: siamo la nuova formazione partitica di maggior successo nella storia recente della Germania.

In Italia, i giornalisti de “La Repubblica” e di altri organi di stampa si sono messi d’accordo per diffamarci come “rosso-bruni”, Paolo Gentiloni ci ha addirittura definito la “peggiore sinistra” e in Germania ci accusano di essere vicini a Putin. Nulla di tutto ciò è vero, ma tutto ciò dimostra quanto siano nervosi i centri di potere.

Personalmente vorrei fare un commento: Mio nonno italiano era un partigiano in Piemonte. Perché gli stessi giornalisti che usano questi insulti come rosso-bruni in realtà scrivono ritratti amichevoli della signora von der Leyen, che a volte ha dato l’impressione di essere un po’ innamorata di Giorgia Meloni?

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Marco Cattaneo: I soldi del deficit pubblico

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I soldi del deficit pubblico

di Marco Cattaneo

Chi segue questo blog mi ha visto molte volte spiegare che il deficit pubblico non è un impoverimento del paese, in quanto la differenza tra spese del settore pubblico e incassi fiscali (il deficit pubblico) rimane in tasca al settore privato. Se lo Stato spende più di quanto incassa, il settore privato incassa più di quanto spende. Questa è un’identità contabile su cui c’è poco, anzi nulla, da discutere.

OK, mi sento a volte replicare: sarà così, ma i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico sono in parte stranieri. Per cui è vero che il deficit pubblico si trasforma, o meglio genera, risparmio privato: ma questo risparmio privato finisca in parte in mano a residenti esteri, quindi fuoriesce dal paese.

Le cose stanno un po’ diversamente. 

Il deficit pubblico alimenta automaticamente risparmio privato e non ha bisogno che vengano emessi titoli per finanziarlo. I titoli del debito pubblico sono un’opportunità offerta ai risparmiatori per impiegare, appunto, il risparmio.

Il risparmio fuoriesce dal paese se il saldo commerciale, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi, è negativa. Se è positiva, al contrario, il risparmio non defluisce dal, ma affluisce nel, paese.

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Chiara Brusini: Artoni: “Nel nuovo Patto di stabilità resta un’ossessione insensata per il debito. I tagli del governo faranno ristagnare consumi e pil”

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Artoni: “Nel nuovo Patto di stabilità resta un’ossessione insensata per il debito. I tagli del governo faranno ristagnare consumi e PIL”

di Chiara Brusini

Parla il professore emerito di Scienza delle finanze alla Bocconi ed ex commissario Consob

“I modelli utilizzati sono assurdi. E l’ossessione per il calo del debito pubblico confermata dal nuovo Patto di stabilità è da psicanalisti, visto che praticamente tutte le crisi finanziarie sono state originate da scompensi della finanza privata con la parziale eccezione della Grecia”. Roberto Artoni, professore emerito alla Bocconi ed ex commissario Consob, ha scritto i manuali di Scienza delle finanze su cui hanno studiato generazioni di studenti. Conti pubblici, tassazione, equilibrio del sistema pensionistico e sostenibilità del debito sono il suo pane da almeno 50 anni. Nella nuova governance economica europea negoziata per più di un anno da Commissione, governi e Parlamento e approvata in via definitiva in primavera non vede una logica, considerato che in passato rigidi paletti numerici e parametri discutibili come il prodotto potenziale (a cui è appesa la stima del saldo strutturale di bilancio) sono stati del tutto inefficaci nel contenere i rapporti tra debito e PIL.

Dietro l’”ossessione” sembra esserci piuttosto, spiega, il portato di un’eredità storica. Quella della Germania, “che ha avuto un controllo rigido della finanza pubblica e buoni tassi di sviluppo puntando sul surplus commerciale e sui buoni rapporti con l’est europeo”.

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Alessandro Volpi: Elezioni USA, una guerra interna al capitalismo finanziario

fuoricollana

Elezioni USA, una guerra interna al capitalismo finanziario

di Alessandro Volpi

Alle presidenziali USA la sfida tra Harris-Walz e Trump-Vance andrebbe più adeguatamente definita come uno scontro tra il capitalismo finanziario delle “Big Three” e quello che ne vuole indebolire il monopolio. Senza scomodare la contrapposizione “Sinistra” – “Destra”

Capitalismo americano figur 2.jpgIn seguito all’annuncio del ritiro di Biden dalla corsa presidenziale è emerso, con sempre maggiore chiarezza, uno scontro in corso all’interno del capitalismo finanziario statunitense. Provo a sintetizzarlo e forse anche a semplificarlo. Dopo la scelta di Vance come vicepresidente, dopo le prese di posizione di Musk, sta infoltendosi la schiera dei sostenitori – e finanziatori – di Trump. Si tratta di soggetti riconducibili a un capitalismo che prova ad arginare lo strapotere delle Big Three, cioè dei superfondi ,Vanguard, Black Rock e State Street, ormai decisamente legati ai democratici. Sia Biden sia Kamala Harris hanno avuto e hanno nel loro staff figure chiave che provengono da Black Rock. Un personaggio come Jamie Dimon, il CEO di JP. Morgan, la banca dei superfondi, blandito da Trump, è stato a lungo in procinto di essere candidato per i democratici. Il presidente della Fed, con il sostegno di Yellen, ha accompagnato le strategie degli stessi superfondi, comprando a piene mani i loro Etf [Exchange Traded Funds, fondi d’investimento quotati in borsa che seguono la performance di un in-dice: ndr].

 

La cordata dei trumpiani contro gli oligopoli finanziari targati “democrats”

Contro questa simbiosi ha preso corpo, come accennato, una cordata di figure che vuole utilizzare il potere politico della presidenza Trump per combattere o limitare proprio lo strapotere delle Big Three. In tale sequenza compaiono alcuni grandi fondi hedge, come quello di John Paulson, preoccupati per la progressiva emarginazione da un “mercato” normalizzato dai superfondi, alcuni petrolieri non legati direttamente ai colossi dell’energia in mano alle Big Three, come Timothy Dunn e Harold Hamm di Continental Resources, ma figurano anche miliardari di lunga tradizione come i Mellon, infastiditi dallo strapotere di Fink, e personaggi alla Bernie Marcus, il fondatore di Home Depot, un colosso da 500 mila occupati, ostile al modello fabless delle big tech che vede affacciarsi nella sua creatura, ceduta proprio a Vanguard, Black Rock e State Street.

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Carlo Rovelli: Cos’è la scienza? 

lantidiplomatico

Cos’è la scienza? 

Luca Busca intervista Carlo Rovelli

oaeinvabjvtNon ha ormai più bisogno di presentazioni il professor Carlo Rovelli, assurto all’Olimpo della fisica teorica con la teoria della “gravità quantistica a loop”. Oltre agli articoli scientifici che gli hanno dato lustro in ambito accademico, il fisico ha scritto libri di divulgazione in grado di spiegare i complessi meccanismi della meccanica quantistica, e non solo, anche a chi è privo delle conoscenze necessarie.  

Questa sua grande capacità esplicativa ha fatto sì che la rivista Foreign Policy lo inserisse tra i 100 «Global Thinkers» più influenti nel 2019. La sua vena “poetica” gli ha fatto valicare spesso le alte vette della scienza portandogli in dote innumerevoli premi letterari. Tra questi spiccano il Premio Galileo per la divulgazione scientifica vinto nel 2015 con il libro “La realtà non è come ci appare” e l’ultimo, nel 2024, il Premio Lewis Thomas per la “scrittura creativa”, istituto nel ‘93 dal Consiglio della Fondazione David Rockefeller.

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L.B. Una sfida quasi impossibile anche per te: in poche parole, cos’è la scienza?

C.R. La scienza…? Direi che è una cosa che fanno gli esseri umani, per cercare di capire meglio il mondo in cui sono. È una attività cresciuta lentamente, nei secoli, imparando una serie di metodi utili, come per esempio rimettere spesso in discussione le cose che crediamo di sapere, discutere, mettere le idee alla prova dei fatti, e altri.

 

L.B. Che rapporto hai con la fantascienza, ovviamente non mi riferisco a improbabili supereroi ma a scrittori come l’ultimo George Orwell, Isaac Asimov, Philip K. Dick, Ray Bradbury e J.B. Ballard?

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Michael Roberts: La teoria del valore di Marx: collasso, IA e Petro

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La teoria del valore di Marx: collasso, IA e Petro

di Michael Roberts

Un sito, Marxism and Collapse (M&C) ha condotto un “dialogo” con un modello di Intelligenza Artificiale chiamato Genesis Zero (GZ) il quale include «un’espansione e una confutazione» della teoria del valore di Marx. La voce umana (M&C) pone delle domande e spinge il modello di intelligenza artificiale (GZ) a discutere le inadeguatezze della teoria del valore di Marx, e a raggiungere una nuova e migliore teoria. Il sito web Marxism and Collapse può essere trovato qui, e qui si trova la loro “dichiarazione di programmatica“. Mentre, le parti principali della discussione sulla Teoria del Valore di Marx, Genesis Zero – Gustavo Petro, si trovano qui

petro2.jpgM&C sostiene che nell’analisi di Marx c’è una debolezza fondamentale secondo cui, in una merce, la cosa riguarda il duplice carattere del valore d’uso e del valore di scambio. L’addestratore umano di M&C fornisce delle domande guida in modo da far sì che GZ, di conseguenza, risponda che nella teoria di Marx c’è davvero una debolezza: vale a dire, che essa lascia fuori la natura in quanto fonte di valore. Quindi, GZ concorda sul fatto che abbiamo bisogno di modificare la teoria del valore di Marx, trasformandola in una teoria “generale” del valore che incorpori in sé il valore della “natura“. Questo dibattito è stato distribuito principalmente in America Latina e in Spagna (ad esempio, nel giornale colombiano Desde Abajo), e ciò sebbene le precedenti versioni inglesi siano state ampiamente distribuite anche in diversi paesi di lingua inglese. Anche il presidente colombiano Gustavo Petro è entrato in questo dialogo, cosa che ha suscitato un notevole interesse. Petro non è solo il presidente della Colombia, ma è anche molto interessato alla teoria marxista, in relazione alla crisi ambientale e ai danni generati dal capitalismo a livello globale e in Colombia. Ed egli è desideroso di trovare un modo per poter applicare la legge del valore alla misurazione del danno ecologico e ambientale recato alla natura che viene causato dal capitale. Dal dialogo, si conclude che bisogna modificare la legge del valore di Marx in modo che essa incorpori la natura, la quale secondo lui è assente nella teoria del valore di Marx. Petro ha utilizzato le idee espresse in questo dialogo in diverse presentazioni orali.Prendiamo in considerazione l’idea che la teoria del valore di Marx sia inadeguata, incompleta e persino falsa poiché non considera la natura come fonte di creazione del valore. Però, ritengo invece che questa idea sia superflua, e che essa serva solo a indebolire la teoria del valore di Marx in quella che è la sua penetrante e convincente critica del capitalismo.

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Michelangelo Severgnini: I fili scoperti del 5 ottobre

lantidiplomatico

I fili scoperti del 5 ottobre

di Michelangelo Severgnini

 

In Italia abbiamo alcuni problemi di comprensione del reale, alcuni nodi che nel dibattito pubblico ci portiamo appresso da decenni, senza metterci d’accordo. E ho come il sentore che questo sabato, 5 ottobre 2024, alla manifestazione di Roma convocata presso Piramide alle ore 14, indetta da GPI (Giovani Palestinesi d’Italia), API (Associazione dei Palestinesi in Italia), UDAP (Unione Democratica Arabo Palestinese), Comunità Palestinese d’Italia, già vietata dalla Questura, questi fili scoperti entreranno in contatto creando il cortocircuito che è nell’aria da tempo.

 

Primo filo: la resistenza

Il primo filo è legato al concetto di Resistenza. Quando tra il 2004 e il 2006 produssi i due documentari girati in Iraq, Libano e Siria (“…e il Tigri placido scorre – istantanee dalla Baghdad occupata” e “Isti’mariyah”), allora come oggi era in corso una feroce battaglia sui termini, che ho anche di recente rievocato. Nel primo lavoro la battaglia linguistica la dovetti combattere intorno alla parola “occupazione” contenuta nel sottotitolo, la quale pregiudicava i finanziamenti europei della Ong che sosteneva il documentario e ne decretò pertanto la mancata distribuzione. In alternativa a quella parola, sul tavolo c’era l’opzione “operazione di pace”. Così gli standard della community sarebbero stato soddisfatti.

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Stefano Fassina: Sahra Wagenknecht interroga la sinistra europea

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Sahra Wagenknecht interroga la sinistra europea

di Stefano Fassina

Qual è il carattere distintivo di BSW rispetto alle formazioni della sinistra ufficiale, “moderate”, “riformiste” o “radicali”? Rimettendo al centro le condizioni materiali di vita e la domanda di protezione identitaria, BSW raccoglie il favore delle classi popolari, ma desta scandalo sull’immigrazione e sulla conversione ecologica

Nella fase storica in corso, in confronto alle formazioni della sinistra ufficiale – moderate, riformiste, radicali – qual è il carattere distintivo dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (Bündnis Sahra Wagenknecht, in tedesco)? Per il movimento, ora partito, guidato dalla leader cinquantenne originaria della Germania dell’Est, è il ritorno ai “fondamentali”: l’assunzione del punto di vista della variegata e variamente sofferente classe lavoratrice, intesa in senso ampio, ossia lavoratrici e lavoratori dipendenti, autonomi, professionisti, micro e piccoli imprenditori subordinati a chi ha forza di mercato. In sostanza, BSW intende dare rappresentanza e risposte ai loro interessi e al loro smarrimento identitario. Nulla di originale: è l’impianto culturale e la funzione svolta dai soggetti politici di riferimento del movimento operaio. Oggi, risalta in quanto avviene in un campo progressista segnato, ovunque in Occidente, dalla trentennale egemonia di culture politiche post-materiali e prive di senso del limite.

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comidad: Destra e sinistra ossequiano le stesse gerarchie antropologiche

comidad

Destra e sinistra ossequiano le stesse gerarchie antropologiche

di comidad

In questi ultimi decenni è cresciuta, anche negli ambienti più insospettabili, l’insofferenza verso la cosiddetta “sinistra”, ritenuta foriera di pulsioni totalitarie. Sebbene le motivazioni di tanta insofferenza siano perfettamente comprensibili e condivisibili, l’approccio al problema appare invece completamente fuorviante. Per quanto l’astio tra “destra” e “sinistra” sia autentico e sincero, addirittura parossistico, ciò non toglie che le due sponde opposte facciano insieme sistema, o gioco delle parti, poiché si avviano dalle stesse premesse, cioè dalle stesse gerarchie antropologiche. La mitologia di destra si basa sul culto della forza, magari ribattezzata eufemisticamente “merito”, che andrebbe lasciata libera di esprimersi anche a scapito dei deboli, ma in definitiva a loro vantaggio, poiché ne verrebbero indirizzati e disciplinati. La “sinistra” pretenderebbe invece di porre alla “forza” dei limiti morali, da imporre attraverso la legge o l’educazione, o entrambe. La diatriba tra liberismo e socialismo si appunta su questo schema, che comunque non scalfisce il mito della “forza”.

Il successo delle fiabe pseudo-economiche “neoliberiste” di Milton Friedman è stato dovuto alla loro completa aderenza a questo schema mitologico.

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Fabio Frosini: Il fascismo non è mai morto?

fuoricollana 

Il fascismo non è mai morto?

di Fabio Frosini

In un recente pamhplet, Luciano Canfora sostiene che il fascismo è ancora vivo. Per sostenere questa tesi conduce il lettore in un gran numero di giravolte storico-geografiche. Più proficua per capire la situazione odierna, è la categoria di “rivoluzione passiva”. Molti elementi che seguirono la crisi alla fine della Grande guerra ricorrono anche oggi, altri sono assai differenti

Il “fascismo” è all’ordine del giorno? Dobbiamo temere il ritorno o l’avvento di regimi definibili come “fascisti”? Una domanda alla quale si può tentare di rispondere solo fornendosi di una definizione di “fascismo” e, su questa base, conducendo un’analisi dei processi in corso nel mondo, in una prospettiva storica sufficientemente ampia. Insomma, tutto il contrario o comunque qualcosa di molto diverso da ciò che si legge e si ascolta spesso in discorsi che in maniere più o meno affannate ed esagitate lanciano allarmi e definiscono “fascista” il proprio avversario. Anche George W. Bush presentava Al-Qaeda come «islamo-fascismo» (F. Finchelstein, From Fascism to Populism in History, University of California Press, 2017, p. 7) e da qui a definire l’avversario non solo come fascista, ma come il “Male Assoluto”, il passo è breve.

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