Rassegna 31/10/2024
Le notizie:
Genocidio a Gaza
Beit Lahia è una zona disastrata per mano dei generali israeliani. Da 27 giorni la popolazione è assediata, bombardata e priva si cibo, acqua, servizi sanitari e ogni tipo di soccorso, con l’ordine perpetuo da parte dell’esercito di occupazione di evacuare. Nella giornata di ieri, sono stati 102 gli uccisi e 287 i feriti. È uno sterminio calcolato e intenzionale.
Dall’alba di oggi, sono 41 ii civili assassinati dalle bombe di Israele.
l nostro commento quotidiano fisso: Ci sono ancora coloro che obiettano che non si tratti di genocidio, basandosi su congetture
storiche e non guardando la realtà delle cifre e delle intenzioni dichiarate dai politici e generali israeliani. Chiudono gli occhi e dicono: “Dire che Israele commette genocidio è una bestemmia”.
Pronunciare una frase simile è la vera bestemmia nei confronti della memoria dei sei milioni di ebrei assassinati dal nazismo tedesco.
Situazione umanitaria
Stamattina l’esercito israeliano ha bombardato l’ospedale “Kamal Adwan” a Beit Lahia, nel nord della Striscia. Secondo testimoni oculari, i caccia ed i droni israeliani hanno preso di mira il terzo piano dell’ospedale, dove sono immagazzinate le medicine. Il deposito ha preso fuoco e tutto il materiale sanitario è andato perso. In tutto il nord di Gaza adesso non ci sono più ospedali per far fronte all’alto numero di feriti, che arrivano tutti i giorni in seguito ai continui bombardamenti.
È l’ultimo atto di distruzione della sanità palestinese a Gaza. È stata una condotta criminale fissa quella di devastare gli ospedali bombardandoli, occupandoli e demolendoli, a partire dall’ospedale Shifà di Gaza città, distrutto con il pretesto dei tunnel, un falso che è stato rivelato dall’ex premier Barak, sostenendo che le infrastrutture sotterranee dell’ospedale erano state costruite dal suo governo negli anni ’80 durante l’occupazione di Gaza. Il portavoce dell’esercito, per confondere le idee alla stampa internazionale, aveva allora presentato quei reparti sotterranei come tunnel di Hamas. E molti giornalisti scorta mediatica del genocidio ci sono cascati.
Libano
Un’altra giornata di guerra guerreggiata israeliana contro il Libano. Bombardamenti a tappeto contro il sud e su tutta la linea di confine con la Siria. Particolarmente intensi sono stati i bombardamenti sulla città storica di Baalbek. Caccia, droni e artiglieria hanno versato sulle città e villaggi libanesi un fiume di fuoco, che ha lasciato distruzioni e morti. Secondo il ministero della sanità di Beirut, sono 2729 le persone uccise e 12.772 quelle ferite dall’inizio dell’invasione.
Sul fronte diplomatico, prosegue la missione sbilenca del mediatore statunitense, Hockstein, che dopo i suoi incontri a Beirut si dovrebbe recare oggi a Tel Aviv. Il suo piano è stato dettato da Netanyahu e rappresenta per il Libano una resa e cessione di sovranità. Stati Uniti e Francia invece di condannare l’invasione contro uno Stato sovrano e ordinare il ritiro di Israele, si sono messi a chiedere ai libanesi di eleggere un presidente della Repubblica, una carica vacante da due anni, e di far entrare l’esercito nel sud Libano cacciando Hezbollah. In pratica di combattere per conto degli occupanti.
Il ministro della guerra israeliano Gallant ha ripetuto anche ieri che in Libano, come a Gaza, la trattativa va portata avanti sotto la pressione delle armi. La risposta del nuovo segretario di Hezbollah è stata categorica: “Nessuna trattativa sotto il fuoco; per trattare va fermata l’invasione”.
Il piano statunitense-israeliano prevede il ritiro dell’esercito di Tel Aviv entro 7 giorni e una tregua di 60 giorni con l’entrata di 10 mila soldati libanesi nella regione meridionale per disarmare Hezbollah e l’applicazione della risoluzione ONU 1701 del 2006. In questa fase, l’esercito israeliano avrà il diritto di entrare nella regione, se ci fossero pericoli che minacciano la propria sicurezza. Condizioni capestri che il governo di Beirut sembra sia disponibile ad accettare, con il rischio di importare la guerra civile al proprio interno.
Unrwa
Il commissario dell’Unrwa, Lazzarini, ha spiegato che la decisione israeliana di vietare le attività dell’organismo ONU per i rifugiati palestinesi ha una motivazione politica: quella di cancellare la questione dei profughi palestinesi e far dimenticare gli effetti della Nakba, provocata nel 1948 cacciando i palestinesi. “L’attacco sistematico contro il nostro lavoro di soccorso vuole far ripetere la Nakba senza osservatori”. La decisione del parlamento israeliano è stata condannata dall’Onu, dall’UE, dalla Lega Araba e da molte diplomazie internazionali. “Una sfida alla legalità internazionale”, l’ha definita il segretario generale dell’ONU. Il consiglio di sicurezza ha rivolto ad Israele l’ammonimento che “le leggi nazionali non possono eludere gli impegni internazionali” ed ha paventato il ricorso alla Corte di Giustizia internazionale.
Arabia Saudita
Una delle vie di mediazione statunitense con Israele, per convincere Netanyahu a lavorare per un accordo di cessate il fuoco, è stata quella di promettere il riconoscimento reciproco con Riad. Le visite di Blinken nella regione vertevano su questo punto: premiare Israele per i suoi crimini, invece delle sanzioni. I sauditi, guidati dal Mohammed bin Salman, erano arrivati, nel 2023, sul punto di fare quel passo, per ottenere l’appoggio di Washington al loro programma nucleare. Ma la ferocia del genocidio in corso a Gaza, l’aggressione al Libano e soprattutto le umiliazioni ricevute nei discorsi del premier israeliano, come quelle di qualche giorno fa sul fatto che “loro capiscono soltanto il discorso della forza”, hanno fatto riflettere i politici di Riad a non fare quel passo che potrebbe destabilizzare la regione e il loro potere. Il ministro degli esteri saudita, Bin Farhan, ha dichiarato che non ci sarà nessun riconoscimento di Israele prima della nascita dello Stato di Palestina con Gerusalemme capitale. Il ministro ha anche condannato le persecuzioni di Israele contro le istituzioni dell’ONU e sta lavorando ad una conferenza internazionale a Raid per l’isolamento e le sanzioni contro Israele. In preparazione di questa conferenza internazionale, il regno ha convocato per l’11 novembre un vertice arabo-islamico a Riad.
Trattative
Il premier israeliano, in merito alle trattative per lo scambio di prigionieri, fa dichiarazioni pubbliche che sono in contraddizione con le sue posizioni all’interno del governo e del suo partito, il Likud. La stampa israeliana riporta un’indiscrezione registrata di un suo discorso nella riunione del gruppo parlamentare del partito durante la quale ha affermato di “non essere disponibile a pagare un prezzo per il raggiungimento dell’accordo”. Tradotto dal politichese, ciò significa nessun cessate il fuoco permanente e nessun ritiro da Gaza (altrimenti cade il suo governo per defezione dell’ala dichiaratamente fascista di Ben Gvir e Smotrich). Nel suo discorso pubblico al parlamento invece aveva dichiarato: “Li riporterò tutti, sono sicuro che li riporterò uno ad uno”, riferendosi agli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Il commento dei familiari è stato drastico: “Non ha chiarito se intende riportarli vivi oppure nelle bare. Noi li volgiamo vivi”. I loro presidi continuano in forma permanente davanti alle sedi istituzionali a Tel Aviv e Gerusalemme, ma i media internazionali non prestano loro molta attenzione.
Siria
Israele, Turchia e Isis sono uniti contro il popolo siriano. Ieri, l’Isis ha colpito nella Badia siriana, la regione desertica nel centro del paese. Un civile e 7 soldati sono stati uccisi in un agguato nella provincia di Raqqa. Il gruppo di jihadisti ha teso un agguato con una mina che è esplosa sotto il primo veicolo e poi sono usciti dai nascondigli sul ciglio della strada e hanno sparato con i loro mitra contro gli altri veicoli in coda.
Questo è il 204esimo attacco dell’ISIS contro le forze governative dall’inizio dell’anno. In totale le persone uccise sono state 576, tra i quali 47 miliziani e 58 civili. 471 invece sono soldati o miliziani filo governativi di nazionalità straniere, libanesi, iracheni e iraniani.