Forum Italiano dei Comunisti – 05/11/2024
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ELEZIONI IN LIGURIA:
I ‘COMUNISMI’ ALLA PROVA
Questo non è un commento sui risultati generali delle elezioni regionali liguri anche se qualcosa in merito va detto. Lo scopo principale di questa nota riguarda in particolare le liste ‘alternative’ che, nel caso specifico, erano rappresentate nel simbolo con i loghi di Rifondazione, di Potere al Popolo e del PCI.
Sulla questione generale, il voto ligure in estrema sintesi ci dice che la destra, comunque collocata, riesce a tenere il suo elettorato, che il famoso campo largo è un progetto ancora inaffidabile e che il PD della Schlein è un partito che tenta di tenere alto il confronto con la Meloni, ma non riesce a cambiare i rapporti di forza. Su tutto incombe il convitato di pietra rappresentato dall’astensionismo che anche stavolta ha superato il 50%: i votanti sono stati meno del 46% degli aventi diritto al voto.
Meloni canta vittoria, ma anche questa volta mente perchè Orlando è stato battuto dalla Vandea di Scaiola e Bucci è risultato in minoranza nella città dove è sindaco, cioè Genova. E’ una vittoria di Pirro dunque che non dà stabilità ai vincitori e condizionata dall’ombra dei non votanti.
Questo sul piano elettorale generale. Ma, come si è detto, il commento vero che ci interessa è quello sulla sinistra ‘alternativa’ che nel caso della Liguria aveva la sua espressione nei simboli comunisti. Ebbene, i tre simboli, messi insieme, non hanno raggiunto neppure lo 0,9%. Un risultato incredibile se si considera che la cordata comunista, in presenza di liste legate alla precedente esperienza elettorale di De Magistris, senza il PCI aveva registrato quasi il doppio dei voti. Non era molto, ma pur sempre al di sopra dell’1%.
Su questi dati si può fare della facile ironia, ma il punto è un altro. Le considerazioni da fare sono difatti in particolare due. La prima riguarda i ‘comunismi’ italiani e la loro rappresentatività nella società. L’altra la questione elettorale e il futuro della sinistra che si definisce ‘antagonista’.
Per chi punta a un richiamo comunista all’elettorato si apre una riflessione seria. Non dimentichiamo che in Italia, all’epoca del PCI, quello vero, i voti al partito comunista avevano superato il 30% e ora si registrano risultati da decimali. Da che cosa dipende questo pesante risultato? Da chi ha gestito la ripresa di un movimento comunista dopo lo scioglimento del partito, o da una situazione oggettiva dovuta proprio alle conseguenze di quello scioglimento che ha prodotto la convinzione che la partita comunista in Italia era arrivata al traguardo? Nella risposta da dare bisogna considerare ambedue gli elementi.
La crisi del movimento comunista che ha investito tutta l’Europa e il crollo dell’URSS hanno avuto certamente, a livello di massa, un effetto devastante in termini di credibilità di una prospettiva comunista. Ma la situazione si è complicata con la gestione Cossutta e Bertinotti nella cosidetta ‘rifondazione’ del comunismo italiano. Nè i loro epigoni hanno fatto di meglio e questo ha permesso anche le avventure di personaggi come Marco Rizzo.
La domanda finale è questa: che cosa rimane del comunismo oggi in Italia? Se dovessimo giudicare dai risultati elettorali, dalla consistenza organizzativa e dalla capacità teorica e politica dell’esistente, dovremmo ammettere che oggi in Italia il simbolo della falce e martello è irrilevante e non ha futuro. Ma è nostra opinione che le cose non vanno giudicate solo da come si manifestano in questa fase, ma dal potere attrattivo di una teoria e di una pratica che sono parte del pensiero comunista e della sua forza storica nel contesto italiano. Riscoprire questa potenzialità è il compito preciso di quell’area di compagne e compagni che pure agiscono nella realtà quotidiana, ma ancora cadono nella strumentalizzazione dei cattivi maestri e vanno allo sbaraglio con le avventure identitarie.
L’inconsistenza elettorale dei ‘comunismi’ italiani è stata anche la dimostrazione che in generale la parabola delle liste alternative si è conclusa. Lo si è visto con l’Unione Popolare di De Magistris e poi con la lista Santoro di Pace, Terra e Dignità. Le ultime scelte di un ceto politico esausto che rincorrere il voto ‘alternativo’, mettono in evidenza che il retroterra sociale di questi tentativi, seppure è stato storicamente minoritario, non regge più alla prova dei fatti.
Oggi dunque bisogna fare i conti con la realtà e capire che cosa sta succedendo veramente negli orientamenti di massa, a partire dall’astensionismo, e come muoversi individuando gli obiettivi prioritari a partire dalla lotta al governo Meloni.
I comunisti, se vogliono emergere devono saper partecipare, in tutti i modi e in tutte le forme in cui si esprime, all’opposizione antifascista, democratica, costituzionale e contro la guerra ed evitare di dar vita alle solite liste posticce.
E pensare a come dar vita ad un fronte che esprima concretamente queste esigenze.