[SinistraInRete] Matteo Nucci: La notte della ragione

Rassegna 18/11/2024

Matteo Nucci: La notte della ragione

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La notte della ragione

di Matteo Nucci

dlkjbnjreujgbftViviamo tempi di una mestizia atroce. Ci siamo collettivamente consegnati a un’interpretazione della realtà così priva del minimo senso critico che davvero mancano le parole. Si tira avanti mettendo da parte l’orrore pur di evitare la rabbia che scava negli intestini. Forse sarebbe anche sano rinchiudersi nella propria fortezza, se non fosse così pericoloso. Se il futuro non si facesse sempre più fosco. Gli episodi di Amsterdam sono un caso di scuola. Torniamoci sopra.

Le vicende degli scontri seguiti alla nota partita di calcio fra Ajax e Maccabi Tel Aviv hanno invaso le prime pagine dei quotidiani europei evocando lo spettro dell’antisemitismo. Ammetto di essere rimasto prima sconcertato, poi turbato dalla rabbia, e infine impaurito. Si tratta di una deriva pericolosissima, un gorgo inerziale a cui temo che non sarà semplice sottrarsi. Un pantano in cui miopia e ignoranza unite a un basso calcolo politico e ideologico, rischiano di riportarci davvero di fronte all’orrore.

La storia di questi giorni, infatti, potrebbe essere lasciata correre come uno dei classici casi in cui la superficialità dei resoconti dominante in questi tempi ha spinto le cose un po’ troppo in là. Purtroppo però si inscrive in un contesto che la rende significativa, anzi appunto esemplare. Ma andiamo con ordine. E cominciamo da quel che è accaduto. Ossia una storia del tutto diversa dai resoconti della stampa dominante. Non sto facendo riferimento a fonti alternative di una presunta controinformazione. Parlo dei rapporti offerti dalle autorità e in particolare dalla polizia di Amsterdam. I fatti sono stati spiegati più volte.

I tifosi israeliani del Maccabi, già noti per le posizioni razziste estremiste, sono sbarcati ad Amsterdam gridando slogan di questo genere “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini olé olé olé”, “Let the IDF fuck the Arabs”, “Morte agli Arabi” e via dicendo (circolano testimonianze video esaurienti). Poi, in una città in cui la sensibilità per il genocidio a Gaza è alta, divisi in gruppetti sparsi per le vie, hanno strappato bandiere palestinesi pacificamente appese alle finestre dei palazzi, per distruggerle o bruciarle (in questo caso, almeno due sono i video davvero imbarazzanti).

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Chris Hedges: Chris Hedges: Scheda di valutazione dei genocidi

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Chris Hedges: Scheda di valutazione dei genocidi

di Chris Hedges* – Scheerpost

ncajbyufklUn rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato di recente, descrive con agghiaccianti dettagli i progressi compiuti da Israele a Gaza nel tentativo di sradicare “l’esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina”. Questo progetto genocida, avverte minacciosamente il rapporto, “si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”. 

La Nakba o “catastrofe”, che nel 1948 vide le milizie sioniste cacciare 750.000 palestinesi dalle loro case, compiere più di 70 massacri e impadronirsi del 78% della Palestina storica, è tornata con gli stessi effetti. È il prossimo e, forse, ultimo capitolo di “un trasferimento e una sostituzione forzata a lungo termine, intenzionale, sistematica e organizzata dallo Stato, dei palestinesi”.

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, che ha pubblicato il rapporto, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale”, lancia un appello urgente alla comunità internazionale affinché imponga un embargo totale sulle armi e sanzioni a Israele fino a quando il genocidio dei palestinesi non sarà fermato. Chiede a Israele di accettare un cessate il fuoco permanente. Chiede che Israele, come richiesto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiri i suoi militari e coloni da Gaza e dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. 

Come minimo, Israele, non controllato, dovrebbe essere formalmente riconosciuto come uno Stato di apartheid e persistente violatore del diritto internazionale, afferma Albanese. Le Nazioni Unite dovrebbero riattivare il Comitato speciale contro l’apartheid per affrontare la situazione in Palestina e sospendere l’adesione di Israele alle Nazioni Unite. In mancanza di questi interventi, l’obiettivo di Israele, avverte Albanese, probabilmente si realizzerà.

Potete vedere la mia intervista con Albanese qui.

“Questo genocidio in corso è senza dubbio la conseguenza dello status eccezionale e della prolungata impunità che è stata concessa a Israele”, scrive l’ esperta. “Israele ha sistematicamente e palesemente violato il diritto internazionale, comprese le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e gli ordini della Corte penale internazionale.

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Salvatore Bravo: Filosofia della storia

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Filosofia della storia

di Salvatore Bravo

71nSDxgVYCL. AC UF10001000 QL80 .jpgSperanza e futuribile

Il nostro tempo storico segnato da tragedie e da conflitti ha smarrito con la speranza la dimensione del “futuribile”. Per cancellare dalla dimensione politica il futuro il capitalismo utilizza una miriade di mezzi e strumenti, uno di questi è la cancellazione della cultura classica. Il deserto avanza con la polverizzazione della tradizione filosofica rea di conservare e trasmettere l’eccellenza della natura umana: il bene da rendere universale mediante la cura e la pratica sociale. Il futuro è possibilità esclusivamente umana ed esso prende forma solo con la definizione della natura umana mediante la quale si sottopone a giudizio onto-assiologico il presente storico. Il tempo è la dimensione del “senso”. La definizione di natura umana si esplica nella storia, pertanto essa non può che configurarsi secondo tonalità politiche. Il tempo presente è informe, perché non conosce la dimensione del bene-verità verso la quale orientarsi. Ciò che è informe non conosce il senso del limite e pertanto predispone al crimine. La tecnica contemporanea con le sue capacità di sorvegliare, condizionare e annichilire i dissenzienti trasforma il crimine relazionale in tragedia collettiva e prassi genocidiaria. Nel clima di normalizzazione legalitaria della violenza rileggere i Greci ci consente di acquisire concetti e strutture con cui valutare il presente per riorientarci verso il futuro.

Il testo di Luca Grecchi La filosofia della storia nella Grecia classica può esserci d’ausilio per emanciparci dalla barbarie del tempo presente e per consolidare la consapevolezza che senza il passato non c’è futuro. Comprendere la Grecia classica nella sua complessità-profondità veritativa ci consente di ricostruire la “dimensione di senso”, di cui siamo stati saccheggiati: il futuro conforme alla natura umana solidale e relazionale. A tal fine è necessario oltrepassare letture sclerotizzate e stereotipate della cultura greca antica secondo la quale la filosofia greca non conobbe che il tempo naturale circolare. La lettura documentata di Luca Grecchi dimostra che tale ermeneutica del tempo non esaurisce la problematizzazione e la teorizzazione greca della storia. Pregiudizi e letture semplicistiche non hanno consentito di cogliere il futuribile nella cultura greca.

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Piccole Note: La rivoluzione di Trump e le guerre infinite

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La rivoluzione di Trump e le guerre infinite

di Piccole Note

Le nomine di Trump indicano che si sta tutelando dai nemici interni, iniziativa necessaria per far cambiare rotta all’America. La guerra Ucraina finirà, il Medio oriente resta un’incognita

Le prime nomine di Trump segnalano le prospettive della sua presidenza. Il nuovo capo della Cia, John Ratcliffe, ha difeso strenuamente Trump sul Russiagate, polpetta avvelenata confezionata dallo Stato profondo e dal partito democratico (e dell’intelligence inglese, dal momento che era fondato su un dossier dell’ex agente britannico Christopher Steele, ma questa è un’altra storia).

Tale nomina corre in parallelo a quella del nuovo ministro della Giustizia, Matt Gaetz, anch’egli strenuo difensore di Trump nei confronti dello Stato profondo, e della ragionevole Tulsi Gabbard a presidente dell’Intelligence nazionale, che coordina le varie agenzie Usa, altra antagonista del deep state.

 

Contrastare il deep state

È evidente che Trump voglia anzitutto contrastare il nemico interno che lo ha bersagliato con inchieste e operazioni di disturbo e non lo ha protetto da possibili attentati.

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Dante Barontini: Quella gabbia di matti chiamata Unione Europea

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Quella gabbia di matti chiamata Unione Europea

di Dante Barontini

Vista da fuori, appare come una gabbia di matti. E lo è, come comportamenti.

L’Unione Europea, di fatto, risulta incapace di darsi un “governo” – la Commissione – a cinque mesi dalle elezioni. E non è detto, a questo punto, che il “von der Leyen 2” prenda davvero il via.

Ieri tutte le contraddizioni interne, tra paesi e maggioranze politiche diverse, sono esplose facendo saltare mediazioni che sembravano blindate.

La miccia è arrivata dalle vicepresidenze, ben sei, da concedere in modo da accontentare tutti (paesi e famiglie politiche). Anche questo allargamento numerico – in precedenza erano sempre state soltanto cinque – era sembrato un capolavoro democristiano tessuto dalla “cavallerizza” tedesca, piombata in politica dopo i 40 anni e subito investita di incarichi pesanti (ministro della difesa in Germania).

Per rabberciare una maggioranza, infatti, aveva proposto una sesta vicepresidenza da affidare all’italiano Raffaele Fitto, a sua volta ex democristiano ma oggi membro influente del partito (post?)-fascista guidato a Giorgia Meloni, seppure con un mandato molto meno importante (“la coesione”) rispetto a quello lasciato da Paolo Gentiloni (gli affari economici).

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comidad: Il vero compromesso storico non era con la DC, ma con la NATO

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Il vero compromesso storico non era con la DC, ma con la NATO

di comidad

Al regista e all’interprete del film “Berlinguer, la grande ambizione”, Nanni Moretti ha rivolto la seguente battuta: “Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico”. Ma, prima di amare od odiare il compromesso storico, sarebbe stato utile capire di cosa si trattava, poiché a tutt’oggi non è affatto chiaro.

La linea del cosiddetto compromesso storico fu tracciata da Enrico Berlinguer nel 1973 in tre articoli consecutivi e complementari sulla rivista “Rinascita”; articoli che partivano da un’analisi della vicenda del golpe in Cile. Nel primo articolo Berlinguer affermava: “Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.” Dall’analisi di Berlinguer risulta quindi che l’ostacolo principale da superare per ogni politica socialista è la sopraffazione imperialista, in particolare quella statunitense, che si esercita sia con l’aggressione diretta, sia facendo da sponda all’eversione interna.

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Lucio Caracciolo: Gli ostacoli dietro la vittoria di Trump

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Gli ostacoli dietro la vittoria di Trump

di Lucio Caracciolo

Donald Trump è il presidente, non il padrone degli Stati Uniti. Tanto meno l’imperatore del mondo. Due premesse utili a interpretare il suo ritorno alla Casa Bianca oltre gli stereotipi. E a introdurre qualche bemolle nella notazione ricca di diesis con cui spesso si rappresentano le conseguenze di questa impresa.

La scena americana e quella planetaria sono in fase di accelerata mutazione, come sempre accade nelle transizioni egemoniche. Il sole a stelle e strisce sta tramontando senza che nessuno sia in grado di prenderne il posto. Ne deriva anarchia geopolitica ed economica, eccitata dal panico di chi abituato a orientarsi sulla stella fissa è senza riferimenti. Vale per amici e nemici del numero uno in panne. Per chi come noi è parte dell’ecumene occidentale in contrazione e per i suoi avversari sempre più numerosi e disinibiti.

Tre osservazioni invitano a considerare gli ostacoli contro cui Trump rischia di inciampare.

La prima riguarda i rapporti di forza nel sistema americano in decomposizione. Il presidente è stato eletto per causa di questa crisi, ma ora dovrà gestirla.

Impresa da far tremare i polsi. Lo storico conservatore Niall Ferguson paragona il crepuscolo degli Stati Uniti agli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Un breve elenco delle disfunzioni dell’ex strapotenza induce a riflettere. 

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Algamica: C’era una volta l’America

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C’era una volta l’America

di Algamica*

disfattausaLe elezioni americane erano molto attese quasi che esse avrebbero deciso le sorti del mondo su una serie di problemi in modo particolare in Occidente, ma – senza che ci nascondiamo la realtà­ ­– anche nel resto del mondo. Queste elezioni hanno eletto Trump. E ora?

Anticipiamo la nostra tesi: l’America non potrà più essere quella che finora è stata. Cerchiamo allora – brevemente – di chiarire ciò che è stata e perché non potrà più essere tale. Altrimenti parliamo del nulla.

 

Una prima considerazione

Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America appena consumatesi hanno rilevato un passaggio in avanti nella tendenza non lineare verso il crack degli Stati Uniti per come la storia moderna ha caratterizzato in maniera eccezionale l’America in relazione al resto del mondo contemporaneo che, recentemente, si affaccia sul comune mercato. Un passaggio, quello elettorale, che in Occidente dichiaravano essere storico e determinante per il futuro stesso delle democrazie occidentali.

Nell’aprile del 2023, in prefazione al libro di Michele Castaldo Modo di produzione e libero arbitrio, scrivevamo che negli ultimi 3 anni, «…nel cuore pulsante del capitalismo mondiale, gli Stati Uniti, abbiamo visto e sentito risuonare più volte l’infrangersi della cristalleria, mentre a Tel Aviv, in Israele, si assiste al persistere dei raduni di centinaia di migliaia di israeliani nelle proteste denominate “giornata della disgregazione”. Mentre scrivo questa prefazione, dalla California al cuore dell’Europa i capitali fuggono dalle banche, che inevitabilmente collassano e questa fuga non può più essere spiegata dallo schema delle bolle finanziarie che occasionalmente esplodono…».

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Vincenzo Comito: La dimensione economica e ambientale dell’AI

sbilanciamoci 

La dimensione economica e ambientale dell’AI

di Vincenzo Comito

Esistono stime contraddittorie sul potenziale economico dell’Intelligenza Artificiale, che abbisogna di grandissimi investimenti. Secondo i Nobel Acemoglu e Johnson anche i riflessi sul Pil mondiale saranno scarsi. Con impatto devastante sull’ambiente

sakjbvbjPremessa

Le persone hanno certamente ragione nell’essere in generale colpite e interessate dai grandi progressi in atto nelle tecnologie digitali e dalle importanti promesse che comportano. Le nuove macchine e i nuovi programmi possono in prospettiva espandere in maniera massiccia le attività che possiamo fare e possono trasformare per il meglio le nostre vite, come ci ricordano due economisti statunitensi vincitori del premio Nobel per il 2024 nella loro categoria (Acemoglu, Johnson, 2023). 

Ma forse tali entusiasmi andrebbero un poco frenati, dovrebbero lasciare lo spazio a valutazioni più realistiche di quello che ci attende, certo con tutti i possibili importanti avanzamenti, ma anche con tutti i problemi che l’innovazione tecnologica comporterà. Ed è questo il secondo aspetto delle considerazioni generali fatte in proposito dai due economisti sopra citati. Il futuro della tecnologia appare ben vedere strettamente legato alle decisioni prese in merito dagli uomini e dalle loro istituzioni.

In tale quadro, le note che seguono tentano di dare una visione per quanto possibile realistica delle prospettive che si possono intravedere almeno per quanto riguarda la dimensione economico-finanziaria e ambientale di queste conquiste dell’ingegno umano.

 

I profitti del settore

I sistemi di IA hanno bisogno di grandi impegni finanziari perché comportano fortissimi investimenti in ricerca, impegnando stuoli di persone di profilo elevato, risorsa peraltro abbastanza scarsa; presuppongono grandi capacità di calcolo che solo le grandissime imprese si possono permettere, hanno bisogno di grandi quantità di energia e di acqua.

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Francesca Albanese: Perché quello israeliano è un genocidio

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Perché quello israeliano è un genocidio

Andrea Legni intervista Francesca Albanese

francesca albanese ansaNei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni.

* * * *

Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?

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Elena Basile: L’ottimismo della volontà

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L’ottimismo della volontà

di Elena Basile

Non ci sono molte alternative per chi oggi voglia dare un senso al proprio contributo al dibattito pubblico e non rinunciare alla dimensione collettiva nonostante i tempi cupi presenti. Bisogna denunciare la barbarie per poter sperare in una rinascita dell’umanesimo in Europa. Come avevo anticipato, vorrei concentrarmi oggi sul dover essere e fare appello al mitico ottimismo della volontà gramsciano.

I due conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese sono stati importanti in quanto hanno illuminato la corruzione dello spazio politico-mediatico occidentale e la commistione tra dollaro, oligarchia delle finanze e classi dirigenti europee. Il tradimento degli interessi dei popoli europei e degli ideali di pace e prosperità sono stati possibili in virtù del “hackeraggio” delle classi dirigenti, del ricatto dell’élites finanziaria europea i cui flussi di denaro verso i paradisi fiscali statunitensi sono tracciabili in internet, della creazione di una società dell’un per cento transnazionale che individua il proprio interesse nella militarizzazione del dollaro e non nella ricchezza nazionale. Ne abbiamo già abbondantemente scritto su questa testata e non vi ritorno. Questo spiega il comportamento dell’élites tedesca che insegue interessi statunitensi e ha messo il suo Paese in ginocchio. Il pericolo nucleare non è mai stato così vicino come nelle ultime settimane. Insieme al disastro ambientale ha aumentato il sentimento di precarietà. L’indignazione morale è emersa in una società civile dormiente, grazie alla diretta televisiva e social dello sterminio di innocenti in Palestina.

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Norberto Fragiacomo: Gli eventi di Amsterdam e un antisemitismo di comodo

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Gli eventi di Amsterdam e un antisemitismo di comodo

di Norberto Fragiacomo

Storie di ordinaria follia: una torma di hooligans in trasferta invade un centro urbano e commette violenze e altre nefandezze prima di buscarle di santa ragione da gruppi di residenti inviperiti. Bilancio: una mezza dozzina di feriti tra i forestieri, un tassista picchiato a sangue e alcuni arresti. È successo una settimana fa in Olanda, ma poteva succedere ovunque – e in effetti capita spessissimo: pochi giorni prima, a Trieste, gli ultras della squadra di basket varesina avevano teso un’imboscata all’uscita del palazzetto ai tifosi di casa, scatenando un parapiglia che ha causato, anche in quella circostanza, un certo numero di contusi.

Due vicende abbastanza simili, e analoghe purtroppo a molte altre, che hanno suscitato tuttavia un ben diverso clamore. La notizia dell’aggressione gratuita ai sostenitori giuliani, fra i quali c’erano donne e bambini, è stata riportata dal GR regionale, gli scontri di Amsterdam sono finiti sulle prime pagine (e pure in quelle interne!) dei giornali europei e se ne parla ancora.

Perché mai, visto che per fortuna non si piangono morti né si sono registrati feriti gravi? La risposta “perché le (presunte) vittime erano supporters del Maccabi” in apparenza non spiega alcunché, e dà anzi la stura a ulteriori domande: sarebbe cambiato qualcosa se i facinorosi fossero stati al seguito del Rapid Vienna, dell’Atalanta o del Motherwell? Sì: perché quelle appena citate non sono squadre israeliane, e dunque i loro tifosi non hanno diritto a un’indulgenza che rasenta l’impunità.

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Ascanio Bernardeschi: Dio acceca chi vuol perdere

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Dio acceca chi vuol perdere

di Ascanio Bernardeschi

Dopo la batosta elettorale, i Dem italiani attribuiscono al popolo americano la confusione mentale che invece è in loro stessi, e pretendono di formulare una diagnosi psicologica. Basterebbe uscissero dalla Ztl per vedere che esiste anche un malessere economico frutto di decenni di liberismo. Altro che “piena soddisfazione dei bisogni materiali”!

Va bene che «HuffPost Italy» è fra i maggiori media sostenitori del disastrato mondo “dem”, va bene che la batosta subita richieda tempo per essere metabolizzata e ritrovare un briciolo di lucidità, ma l’articolo uscito oggi (10 novembre, Il capitalismo sta mangiando se stesso: l’indicibile origine della vittoria di Trump) a commento dell’esito delle elezioni statunitensi ha dell’incredibile.

Dopo aver sbuffato ed espresso “la sensazione” di una “diffusa inadeguatezza”, “mancanza di originalità”, traboccamento del “senno di poi” nei confronti dei tanti commenti e spiegazioni, prova a dare la sua spiegazione:

Vi sono due “enormità”:

1) “i democratici e Kamala Harris hanno osservato e applicato con buona solerzia tutte o quasi le pratiche, le tattiche e i trucchi da manuale su come si dovrebbe fare politica e vincere le elezioni. E Trump invece le ha infrante tutte”.

2) “il vero problema non sono i politici: sono gli elettori”.

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Edoardo Bellando: L’economia cinese contemporanea. L’ultimo lavoro di Alberto Gabriele

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L’economia cinese contemporanea. L’ultimo lavoro di Alberto Gabriele

di Edoardo Bellando

Una recensione al libro di Alberto Gabriele scomparso lo scorso febbraio, L’economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi, Prefazione di Vladimiro Giacché, Diarkos, Santarcangelo di Romagna 2024, 288 pp., €24

Il punto di partenza del libro di Alberto Gabriele è lo straordinario sviluppo economico della Cina. Alla fine degli anni Settanta il prodotto interno lordo cinese era simile a quello indiano e circa un ventesimo di quello degli Stati Uniti; nel 2022 era passato a essere quasi l’80% di quello degli Stati Uniti e più di cinque volte quello dell’India.

Questo successo è dovuto, dice Gabriele, al peculiare modello cinese – un inedito ed efficace sistema socioeconomico che fornisce un’alternativa al modello occidentale. Per Gabriele, la Cina rappresenta una “formazione socioeconomica mista”: sia il socialismo che il capitalismo coesistono insieme ad altri modi di produzione, in una combinazione complessa e in continua evoluzione, in cui il modo di produzione socialista è dominante, ma quello capitalista è presente e svolge una funzione indispensabile. La Cina è perciò il primo esempio – insieme al Vietnam – di una nuova classe di formazioni socioeconomiche in alternativa al capitalismo.

Il successo della Cina è dovuto, dice Gabriele, a due pilastri della sua economia che vengono esaminati in dettaglio: la struttura delle imprese produttive e il sistema nazionale di innovazione. La prima parte del libro analizza la natura e l’evoluzione delle imprese produttive, in particolare le trasformazioni della loro struttura proprietaria. La seconda esamina le principali caratteristiche del dinamico sistema di innovazione.

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