Fulvio Grimaldi e le fandonie su Saddam «uomo degli americani»

Bureau d ‘information Alba Granada North Africa – 22/11/2024

Fulvio Grimaldi e le fandonie su Saddam « uomo degli americani » – Bureau d ‘information Alba Granada North Africa

 

Nota: Il reporter di guerra italiano, Fulvio Grimaldi, smentiva già nel 2006, tutte le menzogne della propaganda dell’ OTAN e dell’ imperialismo anglo- sionista contro la nazione irachena, con la complicità di praticamente tutta la sinistra europea. In questa prefazione del libro della ricercatrice italiana Valeria Polletti, smentisce una ad una, punto per punto le menzogne che i media mercenari hanno divulgato sul martire Saddam Hussein: « la dittatura sanguinaria di Saddam«, lo « sterminio » dei comunisti, il Saddam « gassatore delle proprie genti » nel villaggio curdo di Halabja«, « La Signora Anthrax » Uda Hammash, per avere denunciato gli effetti dell’ uranio sulla popolazione,… violenza imperiale contro la nazione araba e irachena per voler essere una nazione sovrana ad anti imperialista.

 

PREFAZIONE di Fulvio Grimaldi del Libro di Valeria Poletti « L’IMPERO SI E’ FERMATO A BAGHDAD », EDIZIONI Achab, 2006

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Estratto : Un rompighiaccio dell’informazione giusta di Fulvio Grimaldi*

….  “E qui mi sia consentito un ricordo personale e, peraltro, assai significativo. Allora inviato speciale al Tg3, alla mia direttrice, reporter ed editorialista prima e dopo di quelle che vengono definite le prestigiose testate nazionali e addirittura presidente della Rai, proposi intorno al 1997 di andare in Iraq per qualche reportage su un paese che, pur bombardato quotidianamente e strangolato da un embargo totale, non appariva da tempo in nessuna cronaca o inchiesta. La risposta, che riassume quanto andiamo scrivendo qui, fu: « Vai pure, ma guai a te se mi fai vedere un solo bambino iracheno ammalato di uranio o moribondo per fame. Mica voglio fare un favore a quel delinquente di Saddam e criminalizzare lOccidente ». Una deontologia, questa, peraltro condivisa da quasi tutti, che la pose in singolare sintonia con lallora segretaria di Stato Madeleine Albright quando, interrogata da studenti americani se fosse valsa la pena aver ammazzato mezzo milione di bambini iracheni con lembargo, rispose: « Si, mi pare che fosse un prezzo giusto ». Quando le ricordai lepisodio nella trasmissione di Michele Santoro, la direttrice se la cava rampognandomi: « Avresti fatto meglio a occuparti della frana di Sarno ».

Quella che Valeria Poletti narra , senza retorica e senza intenti apologetici, lepopea di una nazione che si  posta di traverso a un gigantesco tentativo di ricupero del dominio coloniale perduto grazie alle esemplari lotte del secolo scorso, riferita con il taglio scrupoloso del ricercatore di razza. Tale tentativo, esplicitato con chiara protervia nel Programma per un nuovo secolo americano (PNAC, Program for a new American century), formulato fin dagli anni ’90 dal gruppo cristiano-sionista pervenuto al potere con i brogli del 2001, con il concorso, se non su ispirazione, di un Israele che tale obiettivo racchiudeva ginelle sue carte fondanti, e poi racchiuso nei piani strategici ufficiali del governo Bush, ha oggi assunto la formula del « Grande Medio Oriente ».

Un progetto geopolitico e geostrategico che riesuma in chiave imperialistica e di capitalismo ultraliberista la politica colonialista delle potenze europee dei secoli scorsi, sradicando definitivamente quello che gia allora ne fu il nemico principale e alla fine vittorioso, negli anni che vanno dalla rivoluzione dei Giovani Ufficiali di Nasser all’affermazione di governi laici e progressisti nellarco tra Algeria e Iraq, passando per quello che rimasto il nodo centrale, simbolico e strategico, dello scontro: la rivoluzione nazionale palestinese.

Sotto la cortina fumogena della « democratizzazione » degli Stati della regione, il progetto si propone di smantellare ogni realta statuale araba, a partire da quelle non rimaste, dalle loro origini post-ottomane, nella sfera di dominio anglo-franco-americana come lo sono rimasti Arabia Saudita, Emirati, Oman, Kuwait, Qatar, Marocco e da quelle successivamente non ancora ricuperate come lo sono stati Egitto, Yemen e, tra contraddizioni, Algeria, Libia e Libano. Cio eminentemente Iraq, Siria e Sudan.

Lo scenario che ne dovrebbe emergere sarebbe una nazione araba frantumata in microrealta pseudostatali lungo linee etniche e confessionali. Una realt araba che, immemore della millenaria unita culturale, linguistica e religiosa di popoli rimasti relativamente omogenei e sinergici sotto gli ottomani, ma arbitrariamente frazionati dal colonialismo europeo dall’ accordo Sykes-Picot, si presti docilmente a essere terra di rapina, di mercato e di manodopera a basso costo per le transnazionali occidentali e piattaforma militarizzata euroamericana in vista della penetrazione verso i grandi rivali Russia e Cina.

Inevitabilmente, nel piano israelo-euro-statunitense un destino analogo non potra non spettare all’ Iran, contro il quale il ricorrente agitar di sciabole imperialista si deve considerare in buona misura virtuale finche Teheran restera, con le sue formazioni politico-militari sciite in Iraq, il collaboratore e garante principale della permanenza degli occupanti in quel paese.

 Al di la di ogni dubbio, a dispetto delle fandonie su Saddam « uomo degli americani », che l’ostacolo principale a tale progetto era costituito dall’ Iraq. Un paese che, dall’ esaurirsi del ruolo egiziano e dalla rivoluzione anticolonialista del 1958, salvo una breve interruzione filo-angloamericana sotto il dittatore Aref negli anni 60, fino allattuale sbalorditiva resistenza di popolo, civile e militare, ha rappresentato un polo nazionale e progressista la cui influenza si estendeva ben oltre lo spazio arabo e diventava punto di riferimento per i popoli in lotta in misura paragonabile a Palestina, Cuba e Vietnam.

Forza demografica, posizione geostrategica di cerniera tra i due continenti emergenti Africa e Asia, travolgente sviluppo economico, industriale, agricolo, culturale, potenza militare sostenuta dal campo socialista e collaudata nella lunga guerra contro lIran, un avanzatissimo assetto sociale che fungeva da magnete ideologico per milioni di diseredati e senza-diritti dei paesi circostanti, nonche il ruolo politico di coagulo delle istanze progressiste e nazionali, antimperialiste e antisioniste, facevano dellIraq baathista la mina letale sul cammino dell’espansionismo israeliano, degli appetiti egemonici iraniani e, soprattutto, della riconquista imperialista.

Le aggressioni militari ed economiche, succedutesi ininterrottamente dal 1991 attraverso l’embargo genocida e gli ininterrotti bombardamenti sulle no-fly zones, fino all’attuale repressione stragista della Resistenza e della popolazione in genere, con l’impiego costante di armi di distruzione di massa e degli squadroni della morte sponsorizzati dai fratelli sciiti al potere in Iran, hanno dovuto essere accompagnati da una guerra psicologica senza precedenti nella storia, superiore perfino alla demonizzazione di ogni cosa serba o, prima, comunista. Il fatto tanto stupefacente quanto desolante è che a questo bombardamento mediatico, che ha poi escluso addirittura dalla curiosità professionale degli informatori e studiosi ogni pur minima attenzione alle voci che provenivano dal campo opposto, hanno completamente ceduto anche le forze di sinistra, con particolare ignavia quelle italiane.

Tragicamente, non meraviglia piu da tempo che, per esempio, sull’esplosione di proteste, ben pianificate in Occidente dai lucidi fautori dello « scontro di civilta », contro un’islamofobia planetaria (vignette, magliette, propaganda denigratoria dei musulmani e del loro profeta) al cui confronto il tanto deprecato antisemitismo fa la figura del sedicesimo, si abbiano nel principale talk-show televisivo italiano titoli come « La persecuzione del cristiani nel mondo ». O si faccia governare il dibattito della rubrica radiofonica Rai di massimo ascolto da noti corifei di Israele come Giuliano Ferrara e Gad Lerner, finti contradditori sotto la compiaciuta conduzione di un sodale dell’ « ultraisraeliano » e postfascista ministro degli esteri Fini.

Nel giro di poche ore le geremiadi di presunto segno illuministico per la insensibilita islamica verso quella che una pubblicistica razzista, truculenta e ingiuriosa pretendeva di far passare per « liberta d’espressione », sullo sfondo da imbrattare della sacrosanta indignazione di masse gia sbeffeggiate, perseguitate, diffamate e aggredite al di la di ogni sopportazione, si muta acrobaticamente in vituperio ferocissimo nei confronti di chi, in una manifestazione per Palestina e Iraq, aveva osato impegnare la sua di « liberta d’espressione » in striscioni di sostegno alla resistenza di questi popoli.

Sarebbe stato piu facile scoprire un corano in tasca al ministro leghista Calderoli, truculento rilanciatore delle vignette anti-Maometto pubblicate in Danimarca e poi, lungo una ben elaborata catena di provocazioni, in vari altri paesi fino a giungere sulla biancheria intima del piu ardimentoso dei crociati padani, che trovare in una qualsiasi « libera espressione » dei media, da destra a manca, un pur flebile accenno a cio che questa operazione con ogni evidenza era. Cioè la mossa, tempestiva come tutte le volte che urgeva neutralizzare una delle ininterrotte debacles politiche, militari, etiche o umanitarie degli aggressori, che, partendo da una provocazione ben studiata, avrebbe scatenato, anche con l’uso di agenti in loco, quello che sugli schermi occidentali sarebbe stato presentato come la solita visione di turbe barbare dissennate, fanatiche, violente.

Con cio raggiungendo lo scopo strategico di rinfocolare lo « scontro di civilta », condizione decisiva per la continuazione della guerra globale e quello tattico di stornare l’ attenzione dall’ennesimo orrore angloamericano. In questo caso le nuove foto delle torture ad Abu Ghraib, il video del massacro di bambini a Basra per mano di lanzichenecchi di Sua Maesta, lo scandalo da impeachment delle illegittime intercettazioni di Bush. E chissa che altro.

Naturalmente tutto questo e la nota, deprecatissima « dietrologia » (e chissa se Valeria, sottraendo alle intossicazioni e agli occultamenti la storia dell’Iraq di Saddam, non diventi bersaglio della stessa stigmate). « Dietrologia » come lo quella che sospetta, tra le voragini e le toppe della versione ufficiale, come l’11 settembre possa aver a che fare qualcosa sia con la fragilissima posizione di Bush dopo i brogli in Florida che lo elessero presidente, sia con la necessita, per lanciare la famosa guerra globale e permanente e uno stato di polizia all’interno, di un « grande evento traumatico che scuotesse l’opinione pubblica statunitense » e le facesse metabolizzare mezzo trilione di spese militari in cambio della morte della pace e dello svaporamento di ogni sicurezza sociale. « Evento traumatico tipo Pearl Harbour » espressamente auspicato nei documenti PNAC e, pubblicamente, da Condoleezza Rice.

Ubbie, naturalmente. Proprio come quelle di chi mette in discussione i tableau gotici nei quali l’Occidente cristiano inserisce i leader suoi nemici, da Ho Chi Minh a Fidel, da Mao a Ben Bella, dal Saladino a Saddam. Cio che, pero, resta tuttora difficile da accettare, nonostante i deprimenti precedenti del « Milosevic dittatore » o di « Osama, autore dell’11 settembre », « Al Qaida, nemico globale degli USA », e il totale allineamento della sinistra tutta, politica e mediatica, a dispetto della ricchissima e inoppugnabile pubblicistica inversa, soprattutto statunitense, dei paradigmi delle centrali di disinformazione dei servizi occidentali. Una dimostrazione di subalternita che, insieme a quello di un provincialismo prono alle potenze, anche mediatiche, reca il segno della complicita oggettiva e di cui dovrebbero chiedere conto sia le popolazioni aggredite e sterminate, sia i partigiani delle nuove resistenze, sia coloro che avrebbero potuto e voluto, se informati, offrire a costoro la propria solidarieta, simultaneamente avanzando sul cammino della propria emancipazione.

Ricordo, da inviato speciale nella seconda guerra del Golfo nel 2003, le grasse risate e i termini spregiativi che rispondevano, dagli schermi della CNN e della BBC, ai resoconti del conflitto che faceva l’allora ministro dell’informazione iracheno Mohammed Saeed al-Sahaf.

Ma quando il buon ministro smentiva la caduta di Umm Kasr, il porto sul Golfo, vantato otto volte in otto giorni dai media embedded, era lui che aveva ragione. Quando annunciava che l’arrivo delle truppe dell’invasione a Baghdad avrebbe coinciso con l’inizio della loro sconfitta, era lui che aveva ragione e da ridicolizzare erano piuttosto coloro che avallavano le sparate di un presidente travestito da top gun, dichiaratosi vincitore il 1 maggio, quando gia ci si avviava verso il millesimo morto statunitense. Coerentemente il mio quotidiano, « Liberazione », spaventato dall’alterita delle mie corrispondenze rispetto a quanto raccontavano « affidabili inviate » come Botteri o Gruber, penso prudente minimizzare i miei articoli dal fronte sotto forma di « lettere al direttore ».

Non stupisce, quindi, per quanto umili, se, a parte qualche spiraglio ne « il manifesto » dellottimo Stefano Chiarini, rara avis, siano rimaste in Italia senza obiezione, addirittura senza la pi elementare verifica che ne avrebbe rivelato il carattere menzognero e strumentale, autentici stereotipi della criminalizzazione dellavversario come

 « la dittatura sanguinaria di Saddam, con il suo seguito grand guignol di fosse comuni, abitudini efferate del capo e dei suoi famigliari; lo sterminio degli sciiti nella rivolta del Sud (protagonisti terroristi iraniani); i militari iracheni che strappavano i neonati dalle incubatrici in Kuweit (bufala raccontata da una finta infermiera, vera figlia dellambasciatore in USA);

 –lo « sterminio » dei comunisti (al governo con il Baath fino al 1979 e, quando Mosca ordino al suo partito in Iraq di schierarsi con l’ integralista Khomeini, messi davanti alla scelta tra esilio e ingresso nel Baath; con 140 giustiziati per alto tradimento per aver combattuto al fianco del nemico); la repressione dei curdi (destinatari nel 1975, per la prima volta nella loro storia e in questo solo paese, di una piena autonomia, di autogoverno e di partecipazione al governo centrale, ma ribellatisi per istigazione di due feudatari, Talabani e Barzani, al soldo di Israele);

-e, crimine massimo, il Saddam « gassatore delle proprie genti » nel villaggio curdo di Halabja nel 1988 (strage dimostrata poi da testimoni oculari, come dai servizi segreti anche occidentali, incidente bellico degli iraniani, mai rettificato dalla stampa occidentale).

La piu insidiosa di queste operazioni di diffamazione, tanto classiche da poter essere individuate, volendo, a prima vista, è stata quella che aveva come evidente destinatario l’opinione pubblica di sinistra o, quanto meno, democratica. Quella che, in assenza di un’accusa tanto infamante, avrebbe potuto offrire una ben piu consapevole ed efficace opposizione alla guerra e al genocidio degli iracheni.

Una leggenda iniziata a circolare dopo linizio del conflitto tra Iraq e Iran, quando, con Henry Kissinger autore della frase « vogliamo che i due paesi, minacce a Israele, si dissanguino a vicenda », si volle far apparire Saddam come il vendicatore della sconfitta subita dagli USA con la cacciata dello Shah e, soprattutto, loccupazione delambasciata da parte dei Guardiani della Rivoluzione. Occupazione che umili e favori la sconfitta nelle presidenziali del moderato Carter a vantaggio dell’ultra Reagan. E a conforto di ci si addusse una singola fotografia in cui lallora inviato di Reagan, Donald Rumsfeld, stringe la mano a Saddam Hussein.

Come se la stretta di mano a Parigi tra Le Duc To e Kissinger avesse avuto un significato superiore al mero convenevole diplomatico. D’altronde nessuno dette un peso altrettanto politico alle fotografie della distruzione di Osiraq, centrale nucleare civile irachena, ad opera di pirati aerei israeliani che cos colpivano « l’uomo degli americani ».

L’Iraq sovrano ed antimperialista ha avuto quel che ha avuto perchè durante quasi mezzo secolo, pi di ogni altro paese arabo, ha sostenuto materialmente e politicamente la Resistenza palestinese. Ricordo che due giorni prima dellarrivo degli invasori a Baghdad, il 9 aprile, vidi a Baghdad i mandati firmati da Saddam per il consueto pagamento di 20.000 dollari a ciascuna delle famiglie di martiri palestinesi.

Perchè, unico governo ad aver resistito su tale posizione, nazionalizzo i suoi idrocarburi cacciando dal paese i monopolisti angloamericani.

Perchè non si è mai fatto ricattare da offerte di consegne militari statunitensi (mai un’arma pesante nordamericana ha raggiunto l’Iraq). Perch nel 1979, dopo la resa di Sadat a Begin con laccordo di Camp David, che abbandonava la Palestina al suo destino, riusc a costruire il Fronte del Rifiuto che raggruppa13 va non meno di 17 Stati arabi su 21 e impegnava tale fronte alla resistenza contro Israele.

Perchè aveva promosso un modello sociale, una distribuzione della ricchezza, unemancipazione delle donne, una sanità, un istruzione, una dignità e un’autostima che non avevano paragoni nella regione e oltre è che, già per questo, rappresentavano un pericolo mortale per il progetto del Grande Medioriente costruito nel segno del pensiero unico.

Perchè, infine, in tutti quegli anni Baghdad era il centro di raccolta, progettualità, coordinamento, organizzazione delle forze progressiste e antimperialiste delarea e al di là dell’area.

Quanto al Saddam « armato dagli americani », si pensi piuttosto agli stanziamenti del Congresso USA a Teheran per tutta la durata dello scontro Iraq-Iran, o ai piloti e agli armamenti israeliani offerti in aiuto all’ Iran all’ inizio della guerra e con il cui ricavato una banda criminale potè, all’ ombra di Reagan, sostenere i contras contro il legittimo governo del Nicaragua.

Si deve dedurre da tutto questo che Saddam era un governante ineccepibile e democratico ai sensi di quello che in Occidente, grazie a elezioni neppure piu tanto trasparenti, si opina essere democrazia? Certamente no.

Saddam ha governato in coalizione con altri partiti progressisti finchè assedi e conflittualità fomentate dall’esterno non hanno infranto questo pluralismo. Poi l’Iraq è diventato uno Stato monopartitico e con un rigoroso controllo sociale, matrice anche di repressioni e di vittime, ma non certo nella misura di massa propalata in Occidente.

Del resto, come Cuba insegna e come mi ripete Uda Hammash, biologa e membro del Consiglio di Comando della Rivoluzione, diffamata come « Dottoressa Antrace » per aver rivelato gli spaventosi effetti dell’uranio USA, rimane assai difficile aprire porte e finestre di un Paese, lasciare illimitate libertà individuali, quando un nemico mortale, oltremisura cinico e possente, lavora incessantemente a infiltrarti, sovvertirti, sabotarti, affamarti, ucciderti, mettendo cosi a rischio la prosperità e il futuro dell’intero popolo.

In quasi mille anni di dominio assoluto ottomano, gli arabi hanno imparato a difendere spazi di autonomia e di identità mediante la loro struttura tribale. Una struttura di cui il membro piu autorevole, saggio, valente era il capo riconosciuto. Altro, ieri e subito dopo, non datura.

E noi postrinascimento, postriforma, postilluminismo, postrivoluzione francese e russa arriviamo , belli belli, e come il grillo parlante dall’alto della parete nella bottega di Geppetto, esigiamo « democrazia! ». Quella di Bush e Berlusconi, magari.

A tutto questo il lavoro di Valeria pone ampio rimedio. Anche se non si pone l’ obiettivo di rivalutare.

La rivalutazione sta nella verità della sua accuratissima ricostruzione storica. Una ricostruzione in parte a ritroso che, partendo da quanto ai contemporanei è relativamente noto, i tre lustri delle guerre, percorre la vita, le vicende di questo popolo e delle sue istituzioni lungo un filo che, sorvolando a bassa quota la fase coloniale, successiva all’estinzione dell’impero ottomano, via via ricostruisce una storia nazionale nell’autenticità dei fatti, delle politiche e dei personaggi.

Nulla viene trascurato in questa ricostruzione se non, necessariamente visto lo scopo del libro, il racconto dell’Iraq erede cosciente e non filologico di una civiltà quadrimillenaria e di una rinascita culturale che, nel Terzo Mondo, ha per parallelo solo quella della Cuba postrivoluzionaria. Potrà essere il tema per un futuro impegno, di Valeria o di altri.

Nel frattempo abbiamo abbastanza da fare e da guadagnare seguendo Valeria nella sua traversata irachena delle rivoluzioni, della costruzione nazionale, del petrolio, delle guerre e delle alleanze, dei conflitti interni, dei complotti, delle menzogne e delle verità. Per arrivare a quel riscatto che la piu proterva delle operazioni di mistificazione vorrebbe ora spacciarci come mero terrorismo, cercando di confondere la Resistenza con le squadre della morte create dal noto John Negroponte (di centroamericana sanguinaria memoria), chiamate al Qaida e reclutate, oltrechè tra i mercenari delle forze occupanti, tra i seguaci piu obnubilati della gerarchia sciita filo-iraniana a fini di guerra civile e di spartizione del Paese.

Sembrerebbe incredibile, alla luce di un Paese che vanta una storia di grande solidarietà con le forze della liberazione in tutto il mondo, ma è la triste e anche turpe realtà: da oltre tre lustri l’Italia e intimamente legata al destino di un paese che è un vero ombelico della geopolitica e della geoeconomia mondiale.

Da oltre tre lustri i suoi governi, le sue società e ora anche suoi cittadini in armi sono direttamente e sanguinosamente, da quando partecipammo ai bombardamenti del 1991, coinvolti nelle vicende di un popolo i cui antenati ci hanno dato il diritto, la scrittura, la ruota, la città, la musica e i cui contemporanei hanno fornito al mondo degli sfruttati uno degli esempi meno discutibili di liberazione e emancipazione.

Da oltre tre lustri la nostra informazione, di ogni segno, ripete superficiali, falsi e criminogeni stereotipi su quel Paese, su quel popolo. Per il resto lo annega nel silenzio. La nostra opinione pubblica, da oltre tre lustri, si vede negare la verità. A quel popolo sono stati negati la nostra conoscenza, il nostro rispetto. Eppure il nostro futuro ne dipende in una misura che nessun sa immaginare. Ora Valeria Poletti ha posto, per prima in Italia, rimedio a tutto questo.

E credo che vada anche ricordata una presenza in rete che le è stata di prezioso ausilio e che, seppure vox clamantis in deserto, con i suoi precisi resoconti e commenti sull’Iraq di oggi, è in grado di gettare enormi fasci di luce nel buio.

L’opera di Valeria e il rompighiaccio dell’informazione giusta. Un giorno, quando l’Iraq avrà sicuramente vinto, meriterà un’insegna a Baghdad, in piazza Al Tahrir. Il « Cavalierato della Repubblica » lo lasciamo ad altre.

Source: Fulvio Grimaldi, 2006, Fulvio Grimaldi stato corrispondente di guerra per varie testate e giornalista RAI, Article nr. 5747http://www.uruknet.info

@albagranadanorthafrica

Foto: Saddam Hussein: L ‘homme , le militant , le penseur- Amir Iskander

 

Il villaggio dove è nato Saddam Hussein, Tikrit, e sua madre, molto poveri, essendo rimasto orfano in tenera età
 

 

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