Rassegna 22/11/2024
Fabrizio Marchi: Perchè proprio Sahra Wagenknecht?
Perchè proprio Sahra Wagenknecht?
di Fabrizio Marchi
Relazione introduttiva di Fabrizio Marchi alla presentazione del libro di Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra neoliberale”, avvenuta a Roma sabato 16 Novembre 2024
Abbiamo scelto di presentare il libro di Sahra Wagenknecht perché è sostanzialmente un manifesto politico, il manifesto politico di quello che poi è concretamente diventato un partito che ha ottenuto anche un notevole successo alle scorse elezioni amministrative in Germania e tutto fa pensare che possa bissare se non aumentare significativamente i propri consensi anche alle prossime scadenze elettorali.
Trovo che questo libro/manifesto e il soggetto politico che di fatto ne è scaturito sia la sola vera novità emersa nell’ambito di quella che chiamiamo Sinistra da almeno trentacinque anni a questa parte. Dico subito che sull’utilizzo di questo termine – Sinistra – sarà necessario aprire una discussione specifica e approfondita sia dal punto di vista dei contenuti che ovviamente sotto quello nominale e linguistico e anche storico e storico-politico perché questo termine, concetto o questa categoria, potremmo dire, da almeno quarant’anni ha subìto una mutazione radicale perché definirsi di sinistra ha ormai assunto un significato che non ha più nulla a che vedere con quello che aveva fino a cinquant’anni fa. Al punto che alcuni fra noi sostengono che in seguito a tale mutazione genetica ormai non abbia più senso definirsi di Sinistra o di “sinistra”, fra virgolette, come uso dire io, perché si verrebbe immediatamente identificati con le attuali “sinistre”, siano esse liberali, radicali o anche (pseudo) antagoniste. Del resto, nonostante le differenze, alla fin fine le “sinistre” radicali e anche quelle cosiddette “antagoniste” finiscono per portare acqua a quella liberale e maggioritaria (nell’ambito della sinistra); una sorta di gioco di matriosche, basti pensare, per portare degli esempi, al voto per la Salis candidata con AVS (cioè la costola ancor più rosa e di sinistra del PD) da parte di formazioni come PaP oppure all’eroina della Linke, Carola Rackete, che ha votato al Parlamento Europeo per l’utilizzo delle armi dell’UE sul suolo russo. Per non parlare naturalmente della sfera ideologica (con particolare riferimento alle questioni di genere, a quella lgbtq, alla maternità surrogata e in generale a tutti i temi che riguardano la cosiddetta sfera dei diritti civili) che vede tutte queste sinistre accomunate sotto la bandiera dell’ideologia politicamente corretta.
Leonardo Sinigaglia: Il marxismo e l’era multipolare – Parte II
Il marxismo e l’era multipolare – Parte II
di Leonardo Sinigaglia
2- La prassi come criterio della verità, il materialismo dialettico come metodo
Attraverso l’evoluzione teorica descritta, il marxismo è passato dall’essere l’idea di pochi circoli d’avanguardia a essere la forza trainante di alcuni tra i più grandi partiti e Stati al mondo, una forza determinante nello scenario internazionale da almeno un secolo, e mai come oggi vitale e potente. Ciò è stato possibile non solo grazie agli sforzi di numerose generazioni di rivoluzionari, ma soprattutto per un metodo, quello dato dal materialismo dialettico, fondato su un costante confronto con la realtà materiale, applicato tanto all’analisi teorica quanto alla prassi politica. Questo metodo parte dalla realtà e alla realtà ritorna, mettendo al bando ogni soggettivismo e deformazione unilaterale. Il criterio prescritto dal materialismo dialettico per avvicinarsi sempre di più alla verità non è l’adesione a dogmi aprioristici, ipse dixit, identitarismi estetici o sofismi verbali, ma la prassi. Solo la prassi, solo i fatti reali permettono di risalire alla verità.
“La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teorica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero”[1]. L’esame della pratica è l’unico metro adeguato per valutare la verità di un pensiero. Non ne esistono altri, e il marxismo correttamente riconosce ciò. Il problema della definizione del criterio per stabilire la verità non casualmente è scomparso da decenni dallo scenario politico dell’Occidente, anche nella variopinta galassia della cosiddetta “estrema sinistra” locale.
Influenzati dall’ideologia neoliberale e dal pensiero postmoderno, i “marxisti” occidentali sostengono, apertamente o meno, che esistano le verità, con ogni singola persona portatrice di una, o più, visioni qualitativamente equivalenti e parimenti valide. La realtà oggettiva viene negata a favore di una molteplicità di verità relative fondate sul gusto personale, sull’opportunità, sulla volontà soggettiva, che riflettono nient’altro che pensieri e sensazioni dell’individuo, che sceglie di rappresentare se stesso e quello che fa in un dato modo, di “identificarsi” come qualcosa (o qualcuno).
OttolinaTV: Musk, Trump e Buffet si stanno preparando per la più grande rapina del secolo?
Musk, Trump e Buffet si stanno preparando per la più grande rapina del secolo?
di OttolinaTV
Immaginati di investire 2.000 euro e, dopo 6 mesi, ritrovartene 500 mila: è esattamente quello che è successo a Elon Musk da quando ha fondato, nel maggio 2024, il comitato di azione politica a sostegno di Donald Trump America PAC; nei quattro giorni che hanno seguito l’oceanica vittoria di The Donald, solo le azioni Tesla sono passate da 231 a 331 dollari (+ 45%) ed è solo la punta dell’iceberg. Ieri, infatti, Trump ha annunciato la nascita di un nuovo ministero ad hoc: il Department of Government Efficiciency, il dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE, per gli amici). Un nome, un programma: manco fossimo in un remake di Idiocracy, DOGE infatti è il nome della criptovaluta più amata da Elon Musk, l’unica che da 2 anni può essere utilizzata per fare acquisti sui negozi online di Tesla e che nell’arco di 48 ore è più che raddoppiata, raggiungendo una capitalizzazione di oltre 60 miliardi di dollari. A guidare il nuovo dipartimento, al fianco di Elon Musk ci sarà l’altro astro nascente delle oligarchie che si sono stufate di farsi rappresentare da politici – che, per quanto servili, risultano spesso troppo cauti e timidi – e hanno deciso di prendersi direttamente il governo del Paese; si chiama Vivek Ramaswamy e deve la sua popolarità, in particolare, a un best seller uscito nel 2021: Woke, Inc.: all’interno della truffa sulla giustizia sociale delle multinazionali americane. Come Musk (e come Trump), Ramaswamy ha capito una cosa fondamentale: nell’era del declino dell’egemonia neo-liberale e del politically correct, affermare in modo sguaiato che i froci, i negri e le zecche rosse hanno rotto i coglioni è un lasciapassare a prova di bomba per rapinare indisturbati i cittadini comuni, con il loro sostegno; mentre Ramaswamy, infatti, conduceva la sua popolare crociata contro la dittatura dell’ideologia woke, raddoppiava (nel giro di pochi anni) il suo patrimonio personale, fino a sfiorare quota 1 miliardo. Da un lato replicando in piccolo il modello BlackRock e Vanguard con il suo fondo di risparmio gestito Strive Asset Management (a sostenerlo, in particolare, Peter Thiel, co-fondatore e presidente di Palantir, che vede come primi azionisti, con oltre il 25% delle quote, proprio BlackRock e Vanguard); dall’altro, mentre insieme a Musk e Trump conduceva una crociata contro i vaccini Pfizer, con la sua Roivant Science con Pfizer firmava un corpulento accordo per la formazione di una nuova società focalizzata sulle malattie infiammatorie.
Pino Arlacchi: Una imbarazzata, vile e indecente passività
Una imbarazzata, vile e indecente passività
di Pino Arlacchi
Una imbarazzata, vile, indecente indifferenza di fronte a un genocidio che si svolge davanti i nostri occhi sembra paralizzare la comunità internazionale da un anno a questa parte.
Con il pretesto di vendicare una strage di innocenti a sua volta subita, uno stato assassino sta sterminando senza ritegno la popolazione inerme di un altro stato con lo scopo dichiarato di volerla annientare fisicamente e farla fuggire dalla propria terra.
Non è la prima volta che ciò accade, ma è la prima volta che lo spettacolo di morte può essere gustato gratuitamente, stando seduti sul divano di casa invece che sulle gradinate del Colosseo. I media dominanti alternano gli aggiornamenti sulle partite di calcio a quelli sugli eccidi di Gaza senza mostrare alcuna empatia per le vittime. I due genocidi più vicini nel tempo, quello del Ruanda del 1994 e quello della Bosnia del 1995, non hanno goduto del privilegio di una copertura mediatica quotidiana.
Ma è proprio questa insolente evidenza che mette in risalto l’insensibilità dei governi e delle istituzioni globali di fronte a una catastrofe che poteva essere evitata fin dal suo inizio se non ci fossero stati di mezzo Israele e gli Stati Uniti. Non ci sono al riguardo valide giustificazioni.
Alessandro Visalli: Agire al tramonto. Apprendere il proprio tempo all’ombra della guerra. Sahra Wagenknecht
Agire al tramonto. Apprendere il proprio tempo all’ombra della guerra. Sahra Wagenknecht
di Alessandro Visalli
Quello che segue è il testo del mio intervento all’evento organizzato da “L’interferenza”, il 16 novembre 2024, sull’agenda e il libro di Sahra Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale”, Fazi Editore, 2022
Il meno che si può dire del nostro tempo, qui in Occidente, è che si muove nell’ombra di un incipiente tramonto. I segni sono molti: il degrado probabilmente terminale della democrazia, che da tempo è schiacciata dal suo eterno doppio, l’oligarchia. La completa metamorfosi dell’universalismo, vanto della nostra tribù Occidentale, al suo punto zero del suprematismo imperiale. L’ormai assoluta, e omicida, cecità verso l’Altro da sé. La mobilitazione totale di coscienze, oscurate dalla paura. La democrazia ha alla fine vissuto una brevissima stagione, qui in Europa, stretta tra le guerre e il crollo di una speranza; l’universalismo è sempre stato accompagnato come un’ombra dal suprematismo, e questo dall’imperialismo; l’Occidente ha sempre visto solo se stesso; siamo nel regno della paura.
Siamo quindi al tramonto, e siamo sotto l’aspra necessità della guerra. Indispensabile, fatta e minacciata, spesso con servizievoli procuratori, per continuare a estrarre valore dal mondo pieno e coltivare il vuoto nel quale siamo precipitati. Un vuoto da tempo creato da un ‘essere sociale’ che non sa liberarsi dalle conseguenze di una libertà pensata come licenza e arbitrio solitario.
Paolo Cacciari: Saitō Kōhei, il comunismo della decrescita
Saitō Kōhei, il comunismo della decrescita
di Paolo Cacciari
Ad aprire crepe nel dominio della tecnocrazia sostenuta da enormi risorse finanziarie negli ultimi anni c’è un pensiero radicale di ecologia politica, costruito intorno a un’idea di società dei produttori che operano in cooperazione tra loro e in unione con la natura. Le tante e diverse esperienze di condivisione dei commons, cioè dei beni che le persone decidono di gestire collettivamente, indicano una strada, come racconta anche l’ultimo testo – di grande interesse e successo – di Saitō Kōhei.
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Le relazioni tra “rossi” e “verdi” non sono mai state idilliche. Nonostante vari tentativi di giustapposizione delle istanze sociali ed ecologiche in chiave di alleanze contingenti o elettorali fino a ora è prevalsa l’opinione che vi sia una inconciliabilità persino ontologica tra due corpi teorici e due modalità operative pratiche che rimangono e insuperabili. È noto che le formazioni green preferiscono collocarsi oltre l’assiologia destra/sinistra, mentre per la cultura politica che trova le sue radici nei movimenti operai, socialisti e comunisti le discriminanti con i partiti conservatori fanno parte della propria identità.
Carlo Rovelli: I buoni, i cattivi e la realtà
I buoni, i cattivi e la realtà
di Carlo Rovelli
È possibile che il risultato delle elezioni americane abbia allontanato lo spettro della guerra mondiale
I democratici dei Paesi occidentali si disperano per le elezioni Usa. Lo Spiegel titola «La fine dell’Occidente». Il motivo per tanta disperazione per questo capitolo dell’usuale alternanza in Usa, è l’idea di un conflitto fondamentale in corso nel mondo: un conflitto fra i buoni e i cattivi.
I buoni difendono i sacri valori democratici. Cattivo è chi mette in discussione i buoni: cittadini che non si sentono rappresentati; Paesi che votano per leader definiti illiberali o partiti che non sono alleati ai buoni; Paesi che a larga maggioranza preferiscono altre organizzazioni del vivere sociale, come la Cina. I buoni hanno un’idea alta della democrazia, che non si riduce alle elezioni. Il risultato delle elezioni è da condannare, quando non è loro favorevole. Se per esempio l’Algeria, l’Egitto, il Cile, o Gaza, votano per un partito che non piace ai buoni, allora i vincitori delle elezioni vanno fermati, anche con interventi militari, colpi di stato, appoggio a dittature. Se Paesi come Russia o Ungheria votano politiche che non piacciono ai buoni, allora non si tratta di «vera democrazia». In quei Paesi i media sono asserviti al potere. Lo sono anche nei Paesi veramente democratici, ma meno.
Fulvio Bellini: Nichilismo fase suprema del servilismo
Nichilismo fase suprema del servilismo
di Fulvio Bellini
Premessa: non esistono presidenti americani buoni
In questo articolo non faremo un’analisi delle elezioni americane vinte da Donald Trump simile a quelle che vengono pubblicate copiosamente in questi giorni, ne faremo una da un particolare punto di vista, quello di eminenti esponenti della sinistra neoliberale italiana. Nonostante pronostici e sondaggi, per chi ancora non ha compreso che sono solo strumenti di propaganda e che tutto fanno tranne rilevare le reali tendenze di voto, Trump ha letteralmente trionfato su Kamala Harris, che invece veniva data in leggero vantaggio fino alla vigilia delle elezioni. In questo articolo non si prenderanno le parti di Donald Trump il quale, semplificando eccessivamente perché il comportamento dei tre poli elitari americani, bostoniani, texani e californiani, non è tema di questo scritto, è un oligarca destrorso che rappresenta se stesso, la sua cerchia e altri oligarchi ancor più potenti di lui, e ogni riferimento a Elon Musk è puramente voluto. Tantomeno si piangerà la sonora e meritata sconfitta di Kamala Harris, un burattino di poca qualità politica che sarebbe stata nelle mani di altri oligarchi che abitano Wall Street, il New England e i prestigiosi quartieri ebraici di New York. Abusando delle categorie morali “buoni” e “cattivi” che tanto piacciono ai propagandisti occidentali, con le loro doppie misure, e con la larghezza colla quale affibbiano aggettivi di fascista e nazista oppure democratico e liberale a vanvera e in evidente contrasto colla realtà, dobbiamo solo ricordarci che dal 1789, nomina di George Washington, non sono mai stati eletti presidenti americani “buoni”. Utile alla nostra analisi possono essere alcune osservazioni sulla tornata presidenziale americana. Donald Trump ha il merito di aver semplificato e chiarito cosa siano gli Stati Uniti oggi: una palese plutocrazia, dove un gruppo di oligarchi ben più potenti e privi di scrupoli dei famigerati colleghi russi, pagano milioni di dollari per mettere un loro rappresentante alla Casa Bianca. A differenza dell’Europa, dove la condizione di province imperiali impedisce di avere alternative politiche a neoliberismo e atlantismo, da qui il fenomeno del Partito unico evidente in molti Paesi della Ue, nella metropoli imperiale vi sono reali strategie diverse e poderosi scontri d’interessi.
Luca Busca: Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi: tre casi di propaganda emozionale
Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi: tre casi di propaganda emozionale
di Luca Busca
Negli ultimi anni la comunicazione mainstream si è fatta sempre più violenta e meno credibile. Il suo scopo sembra essere solo quello di dividere l’opinione pubblica in due fazioni, a loro volta frammentate in infinite frange, e di alimentare lo scontro in modo da rendere inconsistente il dissenso. Senza un’opposizione coesa e attiva, i crimini, come il genocidio palestinese, commessi quotidianamente contro l’umanità dai regimi propagandati da questo tipo di comunicazione diventano ammissibili, giustificabili.
Le occasioni per vedere all’opera questo sistema di comunicazione sono infinite. Per chi lavora nel settore riuscire a stare dietro a questa macchina propagandistica è un’impresa ciclopica, non si fa in tempo a disattivare una trappola che i media mainstream ne urlano un’altra all’unisono sulle loro prime pagine. Solo negli ultimi giorni è stato dato ampio rilievo a tre di questi inganni. Il primo, la netta vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, ha avuto grande risonanza in virtù della sua rilevanza internazionale. Gli altri due, la ragazza in biancheria intima che passeggia in un campus universitario in Iran e il pestaggio di tifosi del Maccabi in trasferta ad Amsterdam, pur incidendo molto meno sulla vita sociale occidentale, hanno avuto grande risalto nella propaganda di regime.
Nel primo caso la campagna elettorale della Harris è stata impostata, almeno in Italia dove comunque nessuno avrebbe potuto votarla, come l’ultima spiaggia per salvare la democrazia dal baratro trumpiano. Un po’ come nel Bel Paese i post-democratici del PD si presentano come baluardo contro il fascismo dilagante. Il risultato è stato identico in entrambi i paesi e ormai in buona parte del mondo Occidentale: i fascisti dipinti di rosso (chiamarli “sinistra” mi sembra una bestialità) vengono sistematicamente battuti dai fascisti di nero vestiti, nulla cambia e il Capitale trionfa sovrano.
Alberto Toscano: Trump, o della bancarotta globale del progressismo neoliberale
Trump, o della bancarotta globale del progressismo neoliberale
di Alberto Toscano
La clamorosa disfatta dei Democratici e la reincorazione di Trump sanciscono l’impossibilità di archiviare l’ascesa planetaria della politica reazionaria come un fenomeno transitorio. Al contempo, sollecitano l’urgenza di un’analisi approfondita, che non si limiti all’invettiva ma permetta di comprendere il perché siamo arrivati a questo punto, e dunque come sia possibile invertire la rotta. Alberto Toscano – autore dell’illuminante Tardo fascismo, dal 29 novembre nelle librerie – individua le origini del trumpismo nel fallimento del «progressismo neoliberale», politica che va da Macron a Harris. Una politica antifascista, conclude l’autore, non può perciò limitarsi a declamare continuamente il fascismo dell’avversario, ma necessita la costruzione di una logica diversa da quella del solo calcolo elettorale [1].
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La clamorosa sconfitta di Kamala Harris, quella che Benjamin Netanyahu e Viktor Orbán hanno salutato come una storica rimonta politica[2], spegne ogni speranza sull’idea che l’ascesa planetaria della politica reazionaria sia un fenomeno passeggero. Una campagna elettorale che celebrava la sua continuità incondizionata con il Partito democratico dei Clinton, di Obama e di Biden si è sgretolata di fronte a un candidato che ha sguazzato nelle accuse di fascismo con un’allegria ancora maggiore rispetto alle sue precedenti campagne elettorali, invocando la fucilazione dei rivali, giocando con la dittatura e soprattutto annunciando deportazioni di massa degli immigrati come suo principale obiettivo politico. L’imminente falò dei diritti e dei benefici sociali delineato dal Project 2025 non ha scatenato nelle urne una resistenza sufficiente. E nemmeno la dichiarata simpatia di Trump per i generali di Hitler o il carnevale di volgarità razziste al Madison Square Garden.
Andrea Zhok: La scommessa degli stati “trasimachei”
La scommessa degli stati “trasimachei”
di Andrea Zhok*
Di fronte a un genocidio in diretta mondiale che va avanti da mesi non si capisce mai bene se sia più sensato parlarne costantemente, con il rischio di ottundere le coscienze che così si abituano all’orrore, o tacerne, con il rischio di far cadere il male nel dimenticatoio.
È uno di quei casi in cui è anche davvero difficile mantenere una disposizione costruttiva, atta a redigere un testo, senza sfociare nel semplice turpiloquio. Quale giudizio articolato, infatti, può dar conto in maniera ragionevole di: uno stato occupante, in violazione del mandato ONU che ne legittima l’esistenza, armato fino ai denti, che ogni singolo giorno che Dio manda in terra bombarda aree civili, cecchina giornalisti, rade al suolo moschee, demolisce interi quartieri, massacra uomini disarmati, vecchi, donne e bambini, che arresta indiscriminatamente gente che nominalmente sarebbero propri cittadini (ma dell’etnia sbagliata) detenendoli a tempo illimitato, torturandoli, spesso facendoli semplicemente sparire, che impedisce l’arrivo di aiuti internazionali e condanna a una morte per stenti e infezioni centinaia di migliaia di civili, che rapisce e uccide persone al di fuori dei propri confini e di ogni diritto internazionale, che fa terra bruciata di case e proprietà altrui e lo fa in almeno quattro paesi diversi?
Paolo Bartolini: Cosa ci sarà scritto sui libri di storia
Cosa ci sarà scritto sui libri di storia
di Paolo Bartolini
Dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il capitalismo neoliberista fu considerato l’orizzonte ultimo per l’umanità egemonizzata dagli Stati Uniti. In realtà già si preparava un nuovo tornante della storia. Il mondo unipolare seguente alla fine della Guerra Fredda non sarebbe durato a lungo. L’ascesa inarrestabile della Cina e la forza militare della Federazione Russa furono considerate pericoli intollerabili per il mantenimento dei privilegi angloamericani ed europei. Mediante un uso spregiudicato della NATO, alleanza difensiva che sarebbe dovuta scomparire ma rimase in vita grazie alla demonizzazione di nuovi Stati Canaglia e al fenomeno del terrorismo islamico, le forze occidentali in declino destabilizzarono i quadranti dell’est Europa e del Medioriente (e non solo). L’inarrestabile passaggio dalla modernità all’era complessa (segnata da fattori ecologici, demografici e geopolitici di enorme portata) produsse ovunque forme ibride di governo, di taglio oligarchico e più o meno autoritarie. Lobbies, centri finanziari, super-ricchi influenzarono le elezioni in Occidente, mentre altrove si affermarono regimi guidati da uomini forti. L’adesione quasi totale delle ex-sinistre al neoliberismo e l’assenza di politiche ridistributive adeguate, aumentò il divario tra ceti popolari, medi e classe lavoratrice da una parte, e borghesia predatrice dall’altra.