[SinistraInRete] Giorgio Grimaldi: Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

Rassegna 24/11/2024

Giorgio Grimaldi: Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

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Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

di Giorgio Grimaldi

Introduzione a Domenico Losurdo, La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, Carocci 2021

01625998.jpg§1. Perché La questione comunista?

Nella genesi di un’opera agiscono le questioni, le esigenze che all’autore si presentano come elementi che decidono del movimento del proprio tempo. Possono occupare una posizione più o meno centrale, o appariscente, nel dibattito riservato a determinati circoli culturali o anche agli occhi dell’opinione pubblica, e compito dell’autore è quello in primo luogo di individuarli, isolandoli dal materiale che, seguendo la logica delle mode, è avvertito come argomento “del momento”, e che “nel momento” si esaurisce. L’opera che la moda (oppure la mera contingenza) detta non presuppone un’analisi degli aspetti decisivi del proprio tempo, ma ne riflette, con maggiore o minore eleganza, le decisioni.

Per un filosofo come Domenico Losurdo, che non ha mai seguito o assecondato le mode ma ha sempre mantenuto libero e coerente lo sguardo su un obiettivo – «l’emancipazione politica e sociale dell’umanità nel suo complesso» (infra, p. 178) –, la prima domanda che occorre porsi di fronte a questo testo inedito (il primo lavoro monografico a essere pubblicato dopo la scomparsa, avvenuta il 28 giugno del 2018) è il perché abbia scelto di proseguire nel progetto di ripensamento del marxismo che ha animato l’ultima fase del suo pensiero. Non si tratta, come invece il titolo di lavoro del volume (La questione comunista a cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre) potrebbe suggerire, di un testo che prende avvio da un’occasione, da una contingenza. Certo, si innesta nelle discussioni nate a partire dalla ricorrenza del centenario della rivoluzione del 1917, ma, fuori da ogni intento celebrativo e apologetico, La questione comunista intende articolare un bilancio storico dell’esperienza sovietica e del marxismo nel suo complesso. Non solo: Losurdo osserva il marxismo negli elementi che in esso confluiscono e in ciò che è capace, in un futuro prossimo o remoto, di produrre.

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Sergio Cesaratto: La nuova governance fiscale europea fra mezze verità e metafisica

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La nuova governance fiscale europea fra mezze verità e metafisica

di Sergio Cesaratto (Unisi-Deps)

Anche a scopo didattico, pubblico alcune note sul Piano strutturale di bilancio che il governo sta discutendo con la Commissione Europea. Una sintesi è apparsa su Il Fatto del 31 ottobre 2024

01625998.jpgCon il voto del Parlamento europeo e del Consiglio della UE, nell’aprile 2024 sono stati adottati i testi legislativi che delineano la nuova governance economica dell’Unione [1]

 

Obiettivi

L’obiettivo generale è portare il rapporto fra il debito e il PIL su una traiettoria plausibilmente discendente o mantenerlo su livelli prudenti, nonché per portare o mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento del PIL nel medio termine.

Allo scopo ciascun paese deve presentare un Piano strutturale di bilancio (PSB ) che definisca il percorso di consolidamento necessario per realizzare gli obiettivi.

Al centro del nuovo assetto vi sono le analisi di sostenibilità del debito pubblico nel medio termine e il confronto tra ogni Stato membro e la Commissione per la definizione di una politica di bilancio appropriata, anche in relazione a piani di riforme e di investimenti. In tal modo si intende superare la logica delle regole valide per tutti (vedremo che non è poi così).

 

Obiettivi specifici

Il PSB deve assicurare che per gli Stati con un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL o con un disavanzo superiore al 3 per cento del PIL (come l’Italia) alla fine del periodo di consolidamento:

(i) il debito pubblico in rapporto al PIL si deve collocare su una dinamica plausibilmente decrescente nel medio termine o mantenersi su livelli prudenti al di sotto del 60 per cento;

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Eros Barone: Un’intervista impossibile, ma plausibile, con Alessandro Manzoni

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Un’intervista impossibile, ma plausibile, con Alessandro Manzoni

di Eros Barone

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image 52940 1.jpgL’immaginazione può superare, se opportunamente controllata dalla ragione storica e dalla critica letteraria, i confini spazio-temporali che ci separano dalla figura e dall’opera di Alessandro Manzoni. Con l’aiuto di questi strumenti – immaginazione, ragione e critica – abbiamo avvicinato, a poco più di centocinquant’anni dalla sua morte, l’autore dei Promessi sposi, spingendoci in quella regione dell’aldilà dove egli si trova e dove, con il superiore permesso dell’Onnipotente, ci ha concesso la seguente intervista. Va detto che la conoscenza delle discussioni e dei problemi, anche recenti, che hanno contrassegnato la cultura italiana, europea e mondiale – conoscenza che traspare dalle sue risposte alle domande – non deve meravigliare se si tiene conto che egli è stato costantemente informato intorno a essi dai vari e qualificati ‘addetti ai lavori’ che della sua opera si sono occupati e che lo hanno via via raggiunto là dove egli si trova. Fra questi desideriamo citare, per affinità di orientamento e di sensibilità con l’intervistatore, almeno questi: Alberto Moravia, Italo Calvino, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti e Alberto Asor Rosa.

* * * *

– Signor conte…

– Ma che conte e conte. Coloro che mi chiamano conte mostrano di non aver letto le mie opere. Io non sono conte e nemmeno nobile. Sono Alessandro Manzoni e niente altro. 1 Chi è lei, che cosa vuole?

 

– Mi scusi se la disturbo, Maestro (mi permetta almeno di chiamarla così, per antica deferenza), ma, veda, io mi sono arrischiato fin qua per parlare un po’ con lei: avrei alcune domande da farle… e l’Altissimo mi ha autorizzato a conferire con lei. Sia compiacente anche in grazia del mio gravoso mestiere…

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Andrea Zhok: La realpolitik senza realtà

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La realpolitik senza realtà

di Andrea Zhok

A quanto pare negli USA, il presidente Biden, presidente uscente, sconfitto e rinnegato dal proprio stesso entourage come inadatto a proseguire nel ruolo di comando, ha dato il permesso all’Ucraina di utilizzare i propri missili a lungo raggio (300 km) ATACAMS per colpire obiettivi nel territorio russo.

A ruota la posizione americana è stata seguita dalla Francia, che consentirà l’utilizzo in profondità degli SCALP, e dal Regno Unito, che consentirà l’uso degli STORM SHADOW.

Dal primo giorno del conflitto russo-ucraino o “operazione speciale” che dir si voglia è stato chiaro a tutti coloro che non fossero in malafede che una sconfitta militare della Russia da parte dell’Ucraina + NATO non fosse concepibile se non in forma di Terza Guerra Mondiale. Nessuno poteva pensare neppure per un minuto che se la Russia si fosse trovata in grave difficoltà sul campo di battaglia in una guerra convenzionale avrebbe semplicemente accettato una sconfitta strategica sul proprio territorio. L’unica possibilità di una sconfitta della Russia che non passasse attraverso un olocausto nucleare era un collasso dell’economia a causa delle sanzioni, ma una volta che quella strada si è dimostrata impercorribile, la strada della sopraffazione militare era ovviamente preclusa. Un impero dell’estensione di quello russo non può mantenere un controllo centrale capillare su tutti i suoi territori.

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Il Pungolo Rosso: La politica economica di Trump: lacrime e sangue al cubo

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La politica economica di Trump: lacrime e sangue al cubo

di Il Pungolo Rosso

Sul Manifesto di domenica 10 novembre, l’economista Emiliano Brancaccio ha esposto in modo sintetico quella che sarà, con tutta probabilità, la politica economica del prossimo quadriennio trumpiano alla Casa Bianca: “dal fisco, alla spesa sociale, alla regolamentazione del lavoro, la “Trumpnomics 2.0” sarà quella di sempre: una politica economica al diligente servizio del capitale americano” (forse sarebbe stato meglio dire: all’ultra-aggressivo servizio del capitale americano).

Trump, infatti, ha promesso più volte che rafforzerà il suo “Tax Cuts and Jobs Act”. Nel 2017 aveva abbattuto l’imposta massima sui profitti delle imprese dal 35% al 23% (Brancaccio dice, però, al 21%) operando un taglio fiscale da 1.500 miliardi di dollari, che è andato a vantaggio delle 400 famiglie dinastiche più ricche sfondate d’Amerika – mentre l’aliquota fiscale media per il 50% delle famiglie statunitensi meno abbienti era, al 2018, del 24,2% – non era mai successo nella storia degli Stati Uniti che il lavoro salariato pagasse tasse con un’aliquota superiore a quella del capitale. Non contento di questo, Trump intende portare la tassazione del capitale al 15%, “nel tripudio dei grandi azionisti di Wall Street. Inoltre, il nuovo presidente ha annunciato tagli rilevanti al prelievo federale sugli straordinari e sulle pensioni più alte”.

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Giorgio Griziotti: Equalize the world

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Equalize the world

di Giorgio Griziotti

L’altro giorno, sceso all’aeroporto di Orly in provenienza dall’Italia, stavo avviandomi con gli altri passeggeri verso l’uscita quando a un certo punto si forma una coda davanti a un cunicolo luminoso con porte che lasciavano entrare una persona alla volta. Un ulteriore sistema di controllo e rilevamento automatico, come se durante il viaggio aereo il passeggero, già controllato all’imbarco, potesse procurarsi armi, droghe o altri prodotti illeciti. Questa ennesima novità ansiogena aeroportuale è una delle tante manifestazione dell’ossessione securitaria onnipresente nel reale come nel virtuale accompagnata da una retorica che alimenta la percezione di pericolo continuo come promozione di una cultura della paura.

In realtà il pericolo spesso esiste perché fautori della narrativa securitaria e agenti di cyberspionaggio si trovano nello stesso campo e si alimentano a vicenda.

Equalize, la società oggi indagata di analisi di rischi aziendali – leggi spionaggio industriale e non solo industriale visto che fra i clienti si annoverano il Mossad e il Vaticano – è esemplare in questo senso: il suo titolare, oltre a essere presidente della Fondazione Fiera Milano, nominato nel 2022 dal leghista Fontana, e consigliere dell’università Bocconi, intratteneva stretti legami con alti esponenti del governo fra cui nientemeno che il presidente del Senato e la molto investigata ministra del turismo.

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Giulia Abbate: “Quale mondo…”. Note a margine, dopo un corteo per la Palestina

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“Quale mondo…”. Note a margine, dopo un corteo per la Palestina

di Giulia Abbate

Questo scritto risale esattamente a un anno fa: è stato composto subito dopo la partecipazione a un corteo a Milano, corteo organizzato dalle organizzazioni palestinesi contro l’aggressione israeliana alla popolazione di Gaza, contro la collaborazione italiana alla strage, e per la pace.

In dodici mesi, l’aggressione si è trasformata in un genocidio di estensione e crudeltà mai viste prima, e si è estesa: alla Cisgiordania con un’invasione; al Libano con bombardamenti sulla popolazione di Beirut; all’Iran con atti intimidatori da parte di Israele. Tutto nella quasi totale inerzia della scena internazionale (con eccezioni, come Irlanda e Sudafrica) e sempre con il vile appoggio degli USA, dell’Italia e del cosiddetto occidente.

Già un anno fa, l’autrice era in dubbio se pubblicare un resoconto personale, perché ritenuto limitato e “piccolo” rispetto alla misura della catastrofe in corso. Abbiamo deciso di ospitare questo articolo perché crediamo che proprio nel piccolo, nel personale, nella limitatezza della propria interiorità è necessario nutrire riflessioni che diano “reincanto”: ovvero lo slancio necessario alla ricerca di una vita e di una società diversa.

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Mimmo Porcaro: Perché Amerika si scrive con il kappa. Due libri di Salvatore Minolfi

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Perché Amerika si scrive con il kappa. Due libri di Salvatore Minolfi

di Mimmo Porcaro

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titolo 71.pngChe la guerra russo-ucraina sia soprattutto l’effetto di un insieme di scelte occidentali, e che queste siano l’esito di tendenze profonde presenti da decenni nelle due sponde dell’Atlantico, è cosa di cui tutti, compresi coloro che devono per mestiere negare l’evidenza, sono consapevoli. Ma non tutti si chiedono da quanto tempo tali scelte maturino e quanto siano profonde e irreversibili le tendenze che esse esprimono: domande cruciali per chi voglia contrastare le une e le altre.

Nel suo recente, agile lavoro dedicato proprio al conflitto in corso, Salvatore Minolfi affronta di petto tali questioni e lo fa (anche sviluppando una sua precedente e più complessa ricostruzione del dibattito strategico statunitense post ’89) col metodo proprio dello storico: ossia attraverso l’attenta lettura dei documenti prodotti dall’amministrazione Usa e dall’affollato mondo di quegli “attori multiposizionati” (accademici, consulenti, think tank) che, variamente connessi sia alla politica che agli affari, codeterminano in maniera significativa le scelte dell’egemone mondiale[1]. E carta canta, verrebbe da dire: la chiarezza con cui in questi documenti vengono espresse le intenzioni delle élite Usa smentisce da sola qualunque teoria del complotto, mostrando come tutte le cose essenziali siano dette e fatte alla luce del sole.

Si vedano ad esempio, trai molti documenti citati dall’Autore, lo studio dell’influentissima Rand Corporation, significativamente intitolato Extending Russia, che riproponendo nel 2019 una versione aggiornata della strategia afghana anti-Urss, invita a costringere Mosca ad azioni militari talmente onerose da portare al collasso della Russia[2]; oppure il documento strategico 2021 della Casa Bianca dove si esplicita l’intenzione di dar vita a un nuovo ordine attraverso “distruzione e costruzione” anche riprendendo apertamente la strategia delle presidenze Bush: ossia la commistione tra merci, capitali e guerra[3].

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Antonio Cantaro: Narrare e insegnare l’Italia, le radici della questione identitaria

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Narrare e insegnare l’Italia, le radici della questione identitaria

di Antonio Cantaro

La relazione di Antonio Cantaro al Convegno di Proteo-Fare-Sapere e del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre (19 novembre 2024). Il tema dell’identità nazionale merita di essere preso sul serio. Problematizzato nella sua declinazione generale e criticato in quella di identità italiana proposta da Galli della Loggia e Loredana Perla

IMG 20241118 154929.jpgIdentità nazionale. Un significante vuoto?

L’espressione identità nazionale è una scatola vuota, un significante che può essere riempito di molteplici, opposti, significati. Tuttavia, come tante ‘formule magiche’ (populismo, resilienza, e così via), i significanti vuoti si prestano, proprio in virtù della loro indeterminatezza, a essere riempiti di significati pregnanti, ‘normativi’, lato sensu costituenti.

Quando? Quando, veicolano una domanda di senso alla quale viene attribuito, a torto o a ragione, un superiore significato.

La domanda alla quale ci riferiamo oggi quando parliamo di identità nazionale è una domanda di appartenenza a una comunità, la Nazione. Una comunità candidata a coprire le insicurezze e lo smarrimento degli uomini del mondo globalizzato, specie di quelli che si sentono esclusi dai suoi benefici. Gli orfani della belle époque della globalizzazione, da tempo esemplarmente incarnati da quegli americani che al grido di USA USA hanno nuovamente incoronato le scorse settimane Donald Trump capo della nazione americana.

È questo l’auspicio anche di coloro che oggi cantano le “magnifiche e progressive sorti” dell’identità italiana. Un tema, dunque, da prendere sul serio. Ma che per essere preso sul serio sino in fondo esigerebbe che i suoi provinciali ‘apostoli’ giocassero a carte scoperte, rivelando innanzitutto le fonti intellettuali e ideologiche del significante identità nazionale.

E invece no. I neo-apostoli dell’identità italiana si ‘astengono’ dall’indicare persino la fonte internazionale più autorevole, lo scrittore nippoamericano Francis Fukuyama, della riabilitazione del tema dell’identità nazionale. Preferiscono rifugiarsi in citazioni aneddotiche e fuori contesto sul nazional-popolare, tema che andrebbe rimeditato anche alla luce delle perspicue considerazioni di Massimo Baldacci sulla pedagogia gramsciana (https://www.ospiteingrato.unisi.it/wordpress/wp-content/uploads/2021/05/9.4.-BALDACCI-La-scuola-attraverso-Gramsci.pdf.).

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Roberto Iannuzzi: Viaggio alle origini della rivalità fra Israele e Iran

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Viaggio alle origini della rivalità fra Israele e Iran

di Roberto Iannuzzi

Gli eventi che hanno portato alla fusione di due questioni relativamente distinte, seppur legate dalla comune lotta anticoloniale: il conflitto israelo-palestinese e la questione iraniana

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38bd33a42602 2560x1766.jpgIl conflitto seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, all’inizio confinato principalmente a Gaza, si è progressivamente esteso al Libano, allo Yemen e al Mar Rosso, alla Siria e all’Iraq.

In questo contesto, la rivalità fra Israele e Iran, per anni manifestatasi come uno confronto indiretto e combattuto “per procura” su numerosi teatri mediorientali, sta sfociando in un pericoloso scontro diretto fra i due paesi, che potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti e far deflagrare l’intera regione.

A prescindere dalla crescente espansione e intensificazione delle operazioni belliche nei teatri sopra citati, è stata la campagna israeliana di omicidi mirati a danno di esponenti di spicco del cosiddetto “asse della resistenza” filo-iraniano a provocare per la prima volta risposte dirette contro Israele da parte di Teheran.

Com’è noto, tale asse include Hamas e la Jihad Islamica in Palestina, Hezbollah in Libano, la Siria del presidente Bashar al-Assad, diverse milizie sciite in Iraq, il gruppo Ansar Allah (meglio noto come gli “Houthi”) nello Yemen, e naturalmente l’Iran.

Due episodi, in particolare, hanno rappresentato altrettanti punti di svolta in questa contrapposizione: il bombardamento israeliano del consolato iraniano a Damasco lo scorso 1° aprile, e quello violentissimo sulla Dahiya (il sobborgo meridionale) di Beirut del 27 settembre.

Nel primo sono rimasti uccisi tre generali della forza Quds della Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRGC, secondo l’acronimo inglese). Il secondo ha eliminato fisicamente Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, insieme ad alcuni dirigenti del gruppo e a un altro generale iraniano.

Entrambi questi attacchi hanno provocato una risposta missilistica iraniana diretta contro il territorio israeliano, evento mai verificatosi prima nella storia dei due paesi. La prima rappresaglia si è consumata nella notte fra il 13 e il 14 aprile, la seconda, militarmente più incisiva, in quella del 1° ottobre.

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Fabrizio Poggi: ATACMS e “Aegis Ashore”: la guerra tanto bramata dai vampiri di Bruxelles è servita

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ATACMS e “Aegis Ashore”: la guerra tanto bramata dai vampiri di Bruxelles è servita

di Fabrizio Poggi

A fronte della notizia del via libera concesso a Kiev tre giorni fa da Joe Biden a colpire la regione russa di Kursk con missili balistici tattici ATACMS americani, le “novità” provenienti dalla Polonia paiono passare in quart’ordine, sopravanzate anche da quelle secondo cui le stesse Francia e Gran Bretagna avrebbero autorizzato attacchi ucraini con missili tattici SCALP e Storm Shadow. Le informazioni da Varsavia, tra l’altro, non sono poi nemmeno freschissime e risalgono a quattro o cinque giorni fa, oltre a essere attese almeno dal 2018.

Ma, dati i tempi scanditi dalle decisioni UE-NATO di dirottare miliardi e miliardi dalle spese sociali a quelle di guerra e l’esagitazione bellica che infervora varie cancellerie europee, anche ciò che riguarda la Polonia merita di essere rimarcato, tanto più che rientra nel medesimo scenario da “voglia di guerra” euro-atlantica a tutti i costi.

Dunque, dopo una discreta serie di rinvii annuali, lo scorso 13 novembre, presenti il segretario NATO Mark Rutte e il presidente polacco Andrzej Duda, è stata solennemente inaugurata all’aeroporto militare polacco di Redzikowo la base che ospita il sistema (anti)missilistico americano Aegis Ashore”, che segue la base aperta in Romania nel 2016. Formalmente, la base è sotto controllo NATO; di fatto, gestione e manutenzione bellica sono affidate a personale militare yankee.

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Piccole Note: Scholz chiama Trump e Putin: la Germania si riposiziona

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Scholz chiama Trump e Putin: la Germania si riposiziona

di Piccole Note

La telefonata di Scholz segna uno no della Germania alle guerre infinite. Il coro dei soliti guerrafondai contro l’iniziativa del cancelliere tedesco

Dopo aver sciolto il governo per avviare un processo che porterà a elezioni anticipate, il cancelliere tedesco Olaf Scholz sembra sollevato, un po’ com’è accaduto a Biden dopo la vittoria di Trump. Probabile che non aspettasse altro, dal momento che solo un cambio di passo in Ucraina, cioè la fine del drenaggio delle risorse tedesche verso il conflitto, può impedire alla Germania di scivolare ancora di più verso la de-industrializzazione, di cui è simbolo la chiusura di alcuni stabilimenti della Wolkswagen.

 

La chiamata di Scholz

Così, la nuova iniziativa dirompente: dopo aver chiamato Trump, in una conversazione nella quale si è fatto spiegare cosa intende fare in merito all’Ucraina, ha chiamato Putin, rompendo il muro di silenzio che finora ha impedito ai leader occidentali di interloquire con i russi.

Nel riferire la telefonata con Trump, Scholz ha detto che la posizione del nuovo presidente americano gli è apparsa “sfumata“, cioè meno assertiva delle sue dichiarazioni pubbliche, ma non poteva essere altrimenti, dal momento che il processo che porterà a chiudere il conflitto deve ancora aprirsi.

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Edoardo Todaro: Il tempo del genocidio

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Il tempo del genocidio

di Edoardo Todaro

Samah Jabr, Il tempo del genocidio, Ed. Sensibili alle foglie, 2024 pag 152 € 13

Dopo “DIETRO I FRONTI“ e “SUMUD”, le edizioni Sensibili alle foglie ci porta, attraverso Samah Jabr con “IL TEMPO DEL GENOCIDIO“, dentro ciò che l’entità sionista sta compiendo nei confronti del popolo palestinese. Dire che quanto avviene è un qualcosa di mai accaduto prima, che ci fa restare frustrati e inadeguati, che non possiamo accettare che ancora qualcuno possa dire: “non lo sapevo”; dire:“cos’altro deve accadere per scuotere la coscienza collettiva?”; voltarsi dall’altra parte, tutto questo è certamente giusto.

Allo stesso tempo leggere il contributo di Samah ci rende ancor di più consapevoli del fatto che la solidarietà internazionale verso i palestinesi è quanto mai necessaria e indispensabile; che la solidarietà verso il popolo palestinese è terapeutica per tutti noi, è un imperativo morale ed etico, che la loro resistenza è sostegno e aiuto anche per noi, e coniugare questi due aspetti può essere un percorso proficuo per mettere fine alla più lunga e sanguinosa occupazione attualmente in corso, la solidarietà rende i palestinesi consapevoli del non sentirsi soli.

La solidarietà ha un potere curativo reciproco. L’essere impegnata nel campo della psichiatria, Samah dirige l’unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese, fa sì che quanto descritto sia inserito in un contesto storico di quanto avviene.

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Alastair Crooke: Non ci sono più “guerre facili” da combattere, ma non bisogna confondersi col desiderio di averne una

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Non ci sono più “guerre facili” da combattere, ma non bisogna confondersi col desiderio di averne una

di Alastair Crooke – Strategic Culture Foundation

Trump potrebbe non rendersi conto di quanto Stati Uniti e Israele siano isolati tra i vicini arabi e sunniti di Israele

Gli israeliani, nel complesso, mostrano una rosea certezza di poter imbrigliare Trump, se non per la totale annessione dei Territori occupati (Trump nel suo primo mandato non ha sostenuto tale annessione), ma piuttosto per intrappolarlo in una guerra contro l’Iran. Molti (persino la maggior parte) degli israeliani non vedono l’ora di combattere l’Iran e di ampliare il proprio territorio (privo di arabi). Stanno credendo alle chiacchiere secondo cui l’Iran “giace nudo”, incredibilmente vulnerabile, prima di un attacco militare statunitense e israeliano.

Le nomine del team di Trump, finora, rivelano una squadra di politica estera di feroci sostenitori di Israele e di appassionata ostilità verso l’Iran. I media israeliani lo definiscono una “squadra da sogno” per Netanyahu. Sembrerebbe proprio così.

La lobby di Israele non avrebbe potuto chiedere di più. L’hanno ottenuta. E con il nuovo capo della CIA hanno ottenuto come bonus un noto ultra falco contro la Cina.

Ma nell’ambito nazionale il tono è esattamente l’opposto: la nomina chiave per la “pulizia delle stalle” è quella di Matt Gaetz come procuratore generale; si tratta di un vero e proprio “lanciatore di bombe”. E per la pulizia nell’intelligence, Tulsi Gabbard è stata nominata direttore dell’intelligence nazionale.

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