Rassegna 26/11/2024
Luca Busca: È tutto loro quello che luccica!
È tutto loro quello che luccica!
di Luca Busca
Netanyahu e Gallant in realtà più che subire “conseguenze di non poco conto” sono stati “graziati”, non più rei di genocidio ma solo di “banali” crimini di guerra, d’altra parte commessi anche dalla controparte palestinese
E sì, non è un errore di stampa, “è tutto loro quello che luccica” è l’unica risposta sensata all’atavica domanda “è tutto oro quello che luccica?”. E il mandato di arresto di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant luccica parecchio. A prima vista sembra una piccola rivoluzione, il riconoscimento di una giustizia sana che tenta di fermare anche i potenti, gli intoccabili. Non solo ma come ha brillantemente scritto Jeffrey Sachs: “il mandato di arresto della CPI per Netanyahu è anche un’accusa alla complicità USA.”
Una luce completamente nuova, soprattutto se messa a confronto con il precedente di inizio millennio, che vide i crimini di George W. Bush, come Abu Graib, Guantanamo e un milione di civili iracheni uccisi, completamente ignorati. Di contro Saddam Hussein, reo di mancato possesso di armi di distruzione di massa, venne condannato a morte da un tribunale fantoccio. “A Bagdad si è invece celebrata, per i fatti di Dujail, una farsa. I giudici sono stati nominati dall’esecutivo (il Consiglio di governo) e da esso sostituiti quando non si allineavano sulle posizioni ufficiali delle autorità o si dimostravano scarsamente efficaci. Il tribunale sin dall’inizio è stato finanziato dagli Usa, che hanno anche elaborato il suo Statuto, poi formalmente approvato dall’Assemblea nazionale irachena, nell’agosto 2005. (studiperlapace.it)
La notizia del mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant ha suscitato immediate reazioni di entusiasmo e giubilo in tutte le tipologie di pacifisti che popolano l’articolato mondo del dissenso. Più pacate quelle dei governanti italiani con Crosetto ad affermare “la decisione della CPI, anche se sbagliata va applicata”. La Meloni con la sua consueta moderazione ha dichiarato: “Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte Penale Internazionale. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica”. Più determinato il “ministro degli Esteri Antonio Tajani cerca di trovare spiragli per non applicare la sentenza in Italia in caso di viaggio nel nostro Paese del primo ministro d’Israele accusato di crimini di guerra, mentre la Lega di Matteo Salvini definisce la sentenza della Corte internazionale addirittura «filo islamica».
Guido Ortona: Perché la sinistra non è all’altezza dei problemi che deve affrontare?
Perché la sinistra non è all’altezza dei problemi che deve affrontare?
di Guido Ortona
Osservazioni preliminari. L’autore di questa nota ha militato a sinistra per circa 60 anni; ed è stato ricercatore e poi professore di Politica Economica per più di 50. Scrivo questo perché le cose che leggerete potranno apparire banali, spero anzi che sia così; ma può essere utile sapere che queste banalità sono il risultato di decenni di pratica e di studio. Per “sinistra” intendo l’area a sinistra del PD, e una parte minoritaria di esso, la cui estensione non sono in grado di valutare.
1. Occorre affrontare i grandi problemi. La situazione politica generale in Italia (ma le considerazioni che faremo valgono anche per altri paesi) è grave e pericolosa, ma ha almeno un vantaggio: dovrebbe obbligare la sinistra a mettere al centro della propria proposta politica le grandi scelte, che invece preferisce trascurare, per vari motivi. Discutere di questi motivi e della loro importanza è il tema di questo articolo.
Le grandi scelte che non possono più essere eluse sono l’alternativa fra accettare le politiche europee o no, e quella fra tassare i ricchi o no. Chiamo queste alternative “grandi scelte” per questo: non è possibile proporre serie politiche di sinistra se non vengono affrontati questi nodi. Il motivo di ciò è che se non interviene con serie politiche di rottura su quei punti, allora mancheranno necessariamente le risorse per qualsiasi politica di sinistra di ampio respiro; il che renderebbe, e rende, impraticabile qualsiasi proposta di politiche economiche di sinistra che aspiri a incidere in modo significativo sulla nostra società.
L’Italia dovrà pagare (almeno) 10 miliardi all’anno per ridurre il disavanzo pubblico onde rispettare i vincoli europei sul rientro dal debito. Ma non basta: questa somma si aggiunge al normale servizio del debito, per un totale, a quanto pare, compreso fra 80 e 100 miliardi all’anno. Una parte, circa un quarto, ritorna come interessi sulla quota di debito detenuta dalla Banca d’Italia; ma per quanto riguarda l’attivazione sull’economia del nostro paese il resto è sostanzialmente buttato via – si tratta di almeno il 3% del PIL.
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista*
di Carlo Di Mascio
La scelta di una filosofia dipende da quello che sei.
J. G. Fichte, Prima introduzione alla Dottrina della Scienza
1. La ricezione russo-sovietica di Hegel tra filosofia e politica
Nel 1931 Evgeni Pashukanis pubblica un saggio dal titolo ‘Hegel. Stato e diritto’1, dedicato al centenario della morte di Hegel. L’occasione era stata fornita dalla possibilità di partecipare, con alcuni scritti di filosofi e giuristi sovietici, allo Hegel-Kongreß tenutosi a Berlino nello stesso anno, partecipazione poi – come ricorderà Pashukanis – «comicamente» negata dagli organizzatori che, nel rifiutare gli scritti di provenienza sovietica, si limitarono solo alla ricezione di semplici comunicazioni «sulla portata e l’organizzazione degli studi hegeliani nelle istituzioni scientifiche russe». A ciò fece seguito, come ancora polemicamente riportato dal giurista sovietico, il commento di Georg Lasson, tra i promotori del congresso berlinese, per il quale sarebbe stato «assurdo scoprire la dottrina hegeliana dello Spirito assoluto nel materialismo inanimato del marxismo»2. Ora, non serve qui soffermarsi sulle ragioni di una tale esclusione. Essa non poteva che dipendere dal ritenuto stato «avanzato» degli studi hegeliani nell’Occidente europeo, in un contesto culturale e storico-politico molto particolare, connotato dall’avvento del nazi-fascismo in Germania e in Italia3, dal «ritorno a Hegel» e ai motivi più reazionari del suo pensiero riassunti in quel «neohegelismo»4 da impiegare come baluardo politico-filosofico allo stato «avanzato» della crisi, sociale ed economica, in una Europa segnata dal timore di una rivoluzione interna sull’esempio di quella sovietica – ma anche da una sostanziale debolezza della tradizione filosofica russa, già vent’anni prima riconosciuta da Lenin, secondo cui «Nelle correnti d’avanguardia del pensiero russo non c’è una grande tradizione filosofica come quella che per i francesi è legata agli enciclopedisti del XVIII secolo, per i tedeschi all’epoca della filosofia classica da Kant a Hegel a Feuerbach.»5.
Ascanio Bernardeschi: L’Unione europea a propulsione militare
L’Unione europea a propulsione militare
di Ascanio Bernardeschi
Di fronte al possibile disimpegno di Trump in Europa, l’Unione europea storna verso le spese di guerra i fondi di coesione sociale. Si tratta anche di una risposta in termini di keynesismo di guerra alla grave crisi in atto.
Trump ha promesso di provocare una pace rapida in Ucraina ma non è detto che possa o intenda mantenere la promessa. L’intento di Trump sembra piuttosto quello di sganciarsi e lasciare il cerino della guerra in mano ai Paesi europei. E l’Unione europea, da buon vassallo, si appronta a prenderne atto.
Per la verità, già prima delle presidenziali Usa era già sul tavolo la discussione sulle spese militari. Già Draghi, nel suo noto rapporto presentato qualche settimana fa a Bruxelles, aveva caldeggiato, col pretesto dell’innovazione tecnologica e della competitività, investimenti dell’ordine di 800 miliardi per sostenere le industrie tecnologiche, militari e dual use, avendo chiaro in anticipo che l’Europa avrebbe dovuto da sola pensare alla propria “difesa”, come se i Russi fossero prossimi a guadare il Danubio.
L’11 novembre, sul «Financial Times» è uscito l’articolo di Paola Tamma, Bruxelles libererà miliardi di euro per la difesa e la sicurezza dal bilancio dell’Ue. Nell’articolo si afferma l’intenzione di Bruxelles di “reindirizzare potenzialmente decine di miliardi di euro verso la difesa e la sicurezza”. Secondo il «Financial», si tratterebbe di stornare verso la difesa circa un terzo dei fondi di coesione dell’Unione europea, corrispondente a 392 miliardi, nel periodo 2021-27. Una buona parte di questi fondi, cioè soldi che miravano a ridurre la disuguaglianza economica tra i Paesi dell’Ue cambierebbe destinazione.
Salvatore Bravo: Pensare il presente e immaginare il futuro
Pensare il presente e immaginare il futuro
di Salvatore Bravo
“La società non esiste, esistono solo gli individui” e ancora “L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima”.
Sono le parole di Margareth Thatcher, sono parole profetiche, poiché nel nostro tempo senza opposizione, in modo trasversale destra e sinistra sono in sintonia nel rendere reali una trasformazione antropologica assoluta di cui la Thatcher era la punto di diamante.
Ogni comunità deve morire, perché sorga l’uomo nuovo. L’uomo che sta prendendo forma nel nostro tempo storico è affetto da solipsismo crematistico e competitivo. Nessun legame e nessuna etica, l’uomo nuovo idolatra l’economia e pensa secondo calcoli orientati al solo valore di scambio. Un essere anempatico e orientato a perseguire i soli desideri personali è tra di noi. La furia omicida che riempie le cronache è la tempesta sollevata dagli stregoni della crematistica a cui rispondono con provvedimenti autoritari e sollecitando individualità sempre più libere da ogni limite e dalla realtà. Il ciclo produttivo delle violenze è così innescato. Per realizzare l’uomo nuovo il sistema si muove in modo coordinato. Stato e istituzioni svuotati da ogni senso comunitario ed etico sono erosi del loro “contenuto sociale”. Lo Stato è stato abbattuto dalla privatizzazione del suo apparato produttivo; è il gendarme e il garante delle oligarchie. I diritti sociali sono l’obolo che le classi al potere elargiscono ai dominati al fine di consentire la sopravvivenza dei subalterni.
Federico Giusti: Contributo alla discussione su guerra e imperialismo
Contributo alla discussione su guerra e imperialismo
di Federico Giusti
La prima domanda alla quale rispondere ogni qual volta si parla di guerra e di imperialismo dovrebbe essere di natura pratica ossia la valutazione delle iniziative messe in campo per contrastare i processi di militarizzazione delle scuole, dell’università, dei territori, quali iniziative reali abbiamo messo in campo per denunciare la natura imperialista della guerra e le sue ripercussioni sulle condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Nella nostra storia abbiamo sempre giudicato la guerra imperialista come una sconfitta per la classe operaia trasformata in carne da macello per rispondere agli interessi finanziari ed economici propri del capitalismo.
La differenza rispetto al passato è che oggi la guerra è arrivata direttamente nel vecchio continente, anzi era già arrivata nel 1999 con l’attacco alla ex Jugoslavia sostenuto dalla Nato anche con la complicità di parte dei comunisti che allora erano presenti nei governi di centro sinistra, in Italia e in altri paesi europei. E non ci sembra che negli ultimi 30 anni sia avvenuta una seria autocritica di quel nefasto operato adoperandosi direttamente, in casa nostra, per contrastare la guerra e l’imperialismo
Rispetto al 1999, o alle mobilitazioni di inizio secolo, la risposta dei movimenti contro la guerra è stata decisamente più debole, le principali organizzazioni sindacali e sociali si sono limitate a qualche passeggiata senza mai mettere in campo iniziative concrete, scioperi, proteste contro l’invio di armi, una costante opera di informazione sulle cause e sugli esiti del conflitto esterno anche sulla nostra società.
Domenico Moro: La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la de-dollarizzazione
La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la de-dollarizzazione
di Domenico Moro
Sui mass media si è dato molto risalto alle dichiarazioni di Trump secondo le quali gli Usa avrebbero portato i dazi sull’import dalla Cina al 60%. Pochi, però, hanno ricordato che già Biden aveva alzato i dazi per tutta una serie di prodotti, quadruplicandoli per le auto elettriche (102,5%), e aumentandoli notevolmente per le batterie al litio (25%), e per i chip e i pannelli solari (50%). Di fatto, quindi, siamo in piena guerra commerciale tra Usa e Cina.
Ma la guerra commerciale è solo un aspetto della guerra economica che coinvolge non solo Usa e Cina, ma anche altri paesi tra cui quelli che appartengono ai Brics+, a partire dalla Russia e dall’Iran, colpiti dalle sanzioni Usa. Un aspetto di questa guerra, persino più importante dei dazi, ruota attorno alla cosiddetta dedollarizzazione.
La dedollarizzazione è il processo attraverso il quale la valuta statunitense, il dollaro, viene scalzata dal suo ruolo di moneta di riserva e con la quale avvengono gli scambi di merci a livello internazionale. Infatti, fino ad oggi, ogni compratore che voglia acquistare sul mercato internazionale delle merci quotate in dollari deve aprire un conto presso una banca statunitense, la correspondent bank, per procurarsi dollari. Così facendo, però, il compratore in questione si sottomette alla legislazione statunitense e, quindi, al controllo del governo americano. Per questa ragione il dollaro è anche una importante arma di guerra da parte degli Usa che lo impiegano per sanzionare, bloccandone le transazioni commerciali, i paesi con cui hanno contenziosi politici aperti.
Carlo Formenti: I popoli africani contro l’imperialismo 3. Amilcar Cabral
I popoli africani contro l’imperialismo 3. Amilcar Cabral
di Carlo Formenti
Amilcar Cabral è l’ultimo intellettuale rivoluzionario africano di questo trittico in cui ho già presentato le idee di Said Bouamama e Kevin Ochieng Okoth. Nato in Nuova Guinea da genitori capoverdiani nel 1924, quando il Paese era ancora una colonia portoghese, nel 1945 ottenne una borsa di studio che gli consentì di frequentare l’Università di Lisbona dove conseguì la laurea in agronomia e dove rimase fino al 1952, ma soprattutto dove conobbe quelli che sarebbero diventati, assieme a lui, i leader delle guerre di liberazione delle altre colonie portoghesi, fra i quali l’angolano Mario Pinto de Andrade e il mozambicano Eduardo Mondlane. Rientrato in patria con l’incarico di agrimensore, si mise alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale che si concluse vittoriosamente nel 1973 pochi mesi dopo la sua morte (nel gennaio di quell’anno venne assassinato da agenti portoghesi). Il suo contributo teorico, politico e culturale alla rivoluzione anticolonialista e antimperialista e allo sviluppo della teoria marxista, è di ampio respiro e resta un punto di riferimento obbligato per capire le dinamiche della lotta di classe in Africa. Per presentarne il pensiero, ho utilizzato qui un’antologia che raccoglie testi di discorsi tenuti nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo per raccogliere solidarietà alla lotta del popolo guineano (“Return to the Source”, Monthly Review Press). Alla fine trarrò le conclusioni di questo percorso in tre tappe.
* * * *
1. Teoria e prassi come momenti di un unico processo di apprendimento
Fulvio Grimaldi: Il colpo di coda del serpente demente – Picchiare (filo) palestinesi ma compiangere (falsi) semiti – Destre bicefale e sinistre acefale
Il colpo di coda del serpente demente – Picchiare (filo) palestinesi ma compiangere (falsi) semiti – Destre bicefale e sinistre acefale
di Fulvio Grimaldi
“CALEIDO” Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=QOvrv7ix4O4
QuiradiolondraTv: “Mondocane e Punto”: martedì e venerdì, ore 20.00
https://www.quiradiolondra.tv/live/
Byoblu (canale 262) “Le interviste”, Michele Crudelini intervista Fulvio Grimaldi: Gaza, Libano, Netaniahu sotto processo, missili sulla Russia e contro Trump. Mercoledì 20 ore 16.00 e 21.30 https://www.byoblu.com/2024/11/20/netanyahu-passeggia-da-padrone-a-gaza-ma-senza-guerra-ha-le-ore-contate-fulvio-grimaldi/
I missili che la schizzata schiatta bipartisan (ma essenzialmente Democratica) dei Neocon ha fatto lanciare contro la Russia dal più rintronato dei suoi epigoni, più che ai russi, che non ne risentiranno più di tanto, intendono provocare danni al nuovo presidente e ai suoi spaventosi (per gli armaioli) progetti di evitare la cosiddetta terza guerra mondiale (quella in Medioriente, invece, gli risulterebbe digeribile: la fanno altri, come d’abitudine).
Spedendo questi bonbon a casa di Putin, tra la sua gente, per la prima volta nella Storia (dopo i missili a Cuba, subito svaporati) gli USA rischiano di vedersi arrivare tra i piedi la ritorsione, in forma di bonbon equivalenti.
Carla Filosa: Il rapporto capitale-lavoro non esiste veramente più?
Il rapporto capitale-lavoro non esiste veramente più?
di Carla Filosa
Non è sicuramente impresa facile affrontare il rapporto capitale/lavoro, dopo che un intellettuale come Cacciari ne ha negato l’attualità (intervista a Ottolina tv, 1.09,’24) nel presente momento storico in cui la cultura in genere, e quella ispirata all’analisi marxista ancor più, è stata gettata alle ortiche. Non si tratta di difendere Marx dalla demonizzazione che il neo-liberismo ha finito di compiere, ma di capire l’iter scientifico di certi stimati intellettuali, da sempre schierati in una sinistra dichiaratasi comunista, ma che poi se ne discostano con una ibridazione di pensiero che sembra superare l’alienazione capitalistica dominante, attraverso un percorso essenzialmente volontaristico. Indubbiamente ha buon gioco l’approdo al nihilismo di Nietzsche e alla Tecnica heideggeriana, seppure da lui rivisitata con senso critico. Il fascino per Gödel, scientisti e antidialettici deve aver spostato l’attenzione dai rapporti storico-sociali all’illusione di una scienza libera dalle condizioni della sua esistenza e sviluppo, invece appropriate dal capitale.
Ciò è particolarmente importante se si pensa a quanto tali mutamenti di rotta possano interferire con gli orientamenti sociali di persone che non dispongono di strumenti né di tempo per costruire le proprie scelte politiche e culturali. Marx ci ha lasciato un patrimonio conoscitivo che è stato relegato nelle ristrette maglie di risicate élites intellettuali, invece di essere – come sarebbe stata sua intenzione – disponibile per l’emancipazione di una classe di lavoratori dal dominio dello sfruttamento capitalistico.
Ricardo Martins: La Germania sta collassando. Costo del conflitto in Ucraina e crollo politico interno le cause
La Germania sta collassando. Costo del conflitto in Ucraina e crollo politico interno le cause
di Ricardo Martins – New Eastern Outlook del 17.11.24
Al centro della disputa che ha portato al crollo della coalizione di governo c’è Christian Lindner, il ministro delle Finanze licenziato dal cancelliere Olaf Scholz per essersi rifiutato di accettare un nuovo bilancio che prevedeva ulteriori spese per l’Ucraina.
Mentre la Germania lotta contro una crisi politica ed economica senza precedenti, il suo impegno a sostenere l’Ucraina resta sotto un intenso controllo pubblico. L’economia stagnante, che porta a una riduzione della riscossione delle entrate, è aggravata da un freno costituzionale all’indebitamento. Le infrastrutture e gli investimenti sociali sono le aree principali colpite dalla tensione economica; stanno sopportando il peso, aggravato da 37 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina.
Tutto questo solleva questioni fondamentali sul futuro della Germania. La caduta della coalizione di governo è stata la prima vittima.
Da leader europeo e potenza economica a un futuro incerto
La Germania, un tempo considerata la potenza d’Europa, sta ora affrontando un profondo disastro politico ed economico, esacerbato dal suo coinvolgimento nel conflitto ucraino. Le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale prevedono che l’economia tedesca ristagnerà senza alcuna crescita prevista entro la fine di quest’anno, dopo un calo dello 0,3% l’anno scorso. Tali fosche proiezioni indicano che la ripresa non è all’orizzonte.
Mauro Armanino:Lettere dal Sahel XVI
Lettere dal Sahel XVI
di Mauro Armanino
Censure di polvere nel Sahel
Niamey, agosto 2024. Sono sparite in sordina da un giorno all’altro. Le bandiere dei Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale non sono più in vendita. Negli affollati crocevia della città di Niamey, tra semafori claudicanti, vigili per regolare il disordinato traffico del rientro si vende di tutto. Datteri, pura acqua potabile in sacchetti di plastica, ciabatte di fabbricazione artigianale, guinzagli per cani inesistenti, giocattoli cinesi di plastica, gabbie per i canarini e persino copie in formato gigante del Corano. Le uniche bandiere ammesse sono quelle degli Stati dell’ AES, il Mali, il Burkina Faso e il Niger e, da qualche mese, bianca, blu e rossa a bande orizzontali, quella della Federazione Russia. Sulla altre si è applicata, senza alcune legge scritta, l’auto- censura commerciale.
L’ordinanza del governatore della regione di Niamey ha recentemente annunciato una serie di misure per contrastare l’accattonaggio crescente nella capitale del Paese. I mendicanti saranno suddivisi e ricondotti ai villaggi di provenienza. Nei casi di recidiva questi ultimi saranno portati nelle zone di grande irrigazione del Paese e obbligati a lavorare, seppur non in modo ‘forzato’. In effetti il generale governatore spiega la mendicità, nazionale e internazionale dei bambini e donne soprattutto, con la pigrizia e la ricerca di soluzioni facili. La censura dei poveri non data d’oggi, purtroppo. Sembra una delle costanti della storia umana. Censurare i poveri, renderli invisibili invece di lottare contro le cause che producono la miseria è una strategia senza futuro. Nel frattempo si coltivano i talibé nelle strade.
Nicoletta Pirotta: Contro la sinistra liberale. Riflessioni sul tema
Contro la sinistra liberale. Riflessioni sul tema
di Nicoletta Pirotta
In Germania, dopo la rottura con il Partito della Sinistra (Die Linke), Sahra Wagenknecht ha intrapreso un proprio percorso politico che l’ha portata a dare vita a un’associazione e poi, nel gennaio di quest’anno, a un partito vero e proprio: il BSW che sta per “Bündnis Sahra Wagenknecht” (“Coalizione Sahra Wagenknecht”). Con questo partito si è presentata alle elezioni regionali in Turingia e in Sassonia e lo scorso settembre in Brandeburgo piazzandosi al terzo posto in tutti e tre le regioni, rispettivamente con il 15,8, l’11,8 e il 13,5% dei voti. Voti raccolti soprattutto nelle periferie e nei quartieri popolari.
Per dare conto dei fondamenti teorici di un partito, in grado fin dalla sua fondazione, di ottenere non pochi consensi, Wagenknecht ha scritto un libro pubblicato anche in Italia, con la prefazione di Vladimiro Giacché, dal titolo Contro la sinistra neoliberale.
Su di lei si è detto tutto e il contrario di tutto, anche nel nostro Paese.
Già questo fatto mi ha incuriosito perché quando i pareri divergono così profondamente vuole dire che un po’ di ciccia c’è. Ma il motivo per cui ho voluto leggere il libro di Wagenknecht è un altro.
Esso ha a che vedere con lo spaesamento e l’impotenza che provo nel constatare, contemporaneamente, l’avanzata, non solo sul piano politico, di una destra sempre più aggressiva e la mancanza di alternative condivise capaci non tanto di modificare i rapporti di forza ma nemmeno di fare da argine a questa avanzata.
Questo è vero particolarmente in Italia vista la mancanza di un soggetto politico in grado di rappresentare un punto di vista alternativo al neoliberismo, autonomo ma al contempo non autoreferenziale. L’ultima esperienza politica che ha avuto un senso in tale prospettiva era stata Rifondazione Comunista almeno fino al 2008. Ho partecipato con slancio e convinzione a questo percorso che poi, però, mi ha lasciata orfana di una “rifondazione” mai compiuta fino in fondo.