Forum Italiano dei Comunisti – 26/11/2024
UN NUOVO MODO DI INTENDERE IL SINDACATO E
LA RAPPRESENTANZA ORGANIZZATA DEI LAVORATORI
Lo sciopero generale del 29 ha messo ancora una volta in evidenza le incongruenze di una situazione sindacale che, nonostante i decenni passati dagli anni ’80, non ha ancora sciolto i nodi della riorganizzazione, dell’autonomia, dei criteri di rappresentatività dei lavoratori italiani e del modo di gestire le vertenze e le lotte.
L’operazione consociativismo, messa in opera a partire da Luciano Lama con la sua teoria del salario come variabile dipendente, ha fatto scuola e ha avuto la sua puntuale applicazione nei modelli contrattuali, nelle normative di controllo dei conflitti sociali e nelle modalità di contrattazione stabilite di fatto dalla parte padronale.
Questo modo di intendere il sindacato ha indebolito fortemente i lavoratori e la loro capacità contrattuale e, insieme ai grandi e continui processi di ristrutturazione, in particolare decentramento produttivo, delocalizzazione, precariato, ha reso difficile la resistenza modificando in negativo i livelli di vita dei lavoratori.
Il sindacalismo di base è stato un tentativo di impedire che le organizzazioni confederali considerate maggiormente rappresentative continuassero nell’andazzo inaugurato da Lama, ma la parzialità delle esperienze, e spesso anche il minoritarismo con cui si è inteso questo modo di rispondere al consociativismo e alla subordinazione agli interessi padronali, non ha consentito di modificare sostanzialmente la situazione. E non poteva essere altrimenti dal momento che non era pensabile una risposta immediata e globale e quindi ci sono stati sì momenti significativi di lotta fuori degli schemi confederali, ma le proteste sono state riassorbite senza che si modificassero i rapporti di forza a favore di una completa e totale autonomia organizzativa dei lavoratori.
Nonostante queste difficoltà però l’esperienza di questi decenni qualche risultato a casa lo ha portato. Intanto ha insegnato ai lavoratori che si può rispondere con la lotta anche quando i sindacati confederali dimostrano la loro inerzia o inadeguatezza nel rappresentare i loro interessi. Ma ancora più importante è stato il fatto che si è imposto il principio costituzionale della libertà di organizzazione sindacale. Questo riconoscimento sembra scontato, ma di fatto all’epoca delle prime esperienze di organizzazione indipendente, pensare che si potesse agire al di fuori dell’ambito confederale sembrava un’eresia e come tale veniva considerata soprattutto dalla parte imprenditoriale, ma anche a sinistra. Su questo punto però alla fine, e non senza resistenza, l’esistenza almeno formale di organizzazioni sindacali non confederali è diventata una realtà, (va detto però che a destra è stato sempre tollerato un sindacalismo giallo, prevalentemente del pubblico impiego, ma questa è un’altra storia).
La domanda che si pone dunque oggi, rispetto anche allo sciopero generale del 29 novembre, è questa: in che modo va intesa la dialettica tra volontà e necessità di lotta e rapporti di forza sul campo e rispetto all’organizzazione dei lavoratori?
Le teorie cosiddette antagoniste propongono un modello di azione che prevede una separatezza che di fatto permette il mantenimento degli steccati e soprattutto divide e depotenzia le lotte. Bisogna invece partire dal principio che una lotta è efficace se parte con una forza adeguata e capace di durare, come si usa dire, un minuto più del padrone.
Lotte avanguardistiche e simboliche non hanno nessuna possibilità di incidenza e i settori di avanguardia devono invece riuscire a influenzare la massa dei lavoratori e condizionare anche il comportamento dei confederali, coi quali bisogna comunque fari i conti, ma non solo sul piano delle parole e della polemica: bisogna in altri termini affermare, con il protagonismo e la partecipazione di chi lotta, la necessità di rompere gli steccati e gli ingabbiamenti. Uniti si vince non è solo uno slogan, è anche un’indicazione politica per chi vuole organizzare i lavoratori: un percorso difficile da praticare, ma ineludibile, e non ci sono scorciatoie.
SENATO DELLA REPUBBLICA
VIII LEGISLATURA
(N. 2236)
D I S E G N O D I L E G G E
d’iniziativa del senatore PASTI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’8 APRILE 1983
Estensione delle norme previste dal titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, relative alle attività sindacali sui posti di lavoro
Presentazione del disegno di legge
La legge 20 maggio 1970, n. 300, nel corso di questi dodici anni di applicazione ha messo in evidenza alcuni limiti che contrastano sia con i princìpi ispiratori della legge che con l’articolo 39 della Costituzione che ne rappresenta la base di riferimento. Come è noto, la legge n. 300 in applicazione dell’articolo 39 della Costituzione dovrebbe assicurare il diritto dei lavoratori ad organizzarsi e ad esercitare liberamente l’attività sindacale nei posti di lavoro. Nella pratica invece la legge limita il diritto di assemblea, di organizzazione e di espressione della volontà dei lavoratori; non assicura inoltre ai lavoratori di esprimere un giudizio vincolante sugli accordi sindacali che hanno validità erga omnes.
Circa il diritto di organizzazione sindacale, l’articolo 14 della legge n. 300 precisa in effetti che «il diritto di costituire associazioni sindacali è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro»; tuttavia l’articolo 19 della stessa legge limita tale diritto alle sole organizzazioni che aderiscono alle confe-derazioni maggiormente rappresentative o a quelle associazioni sindacali che sono firmatarie di contratti nazionali o provinciali di lavoro. Nei fatti questa seria limitazione impedisce lo sviluppo e l’efficacia di organizzazioni sindacali che non abbiano già «in partenza» i requisiti richiesti dall’articolo 19 stesso.
L’articolo 1 del presente disegno di legge supera questa limitazione consentendo la costituzione di organizzazioni sindacali in ogni luogo di lavoro purché abbiano una adesione minima del 5 per cento per unità funzionali o produttive che hanno fino a 5.000 dipendenti, oppure di 300 lavoratori per unità funzionali o produttive con più di 5.000 dipendenti. Questi minimi servono a dare alle nuove organizzazioni sindacali una sufficiente capacità di attrazione per gli altri lavoratori e consentire quindi un possibile sviluppo.
Circa i diritti assicurati alle nuove associazioni sindacali, l’articolo 2 stabilisce che esse possono usufruire di locali per svolgere attività sindacali, che possono far circolare ed affiggere la stampa sindacale, che possono usufruire di permessi retribuiti, che possono convocare assemblee e possono indire referendum approvativi degli accordi sindacali. Tutti questi diritti sono regolati secondo le norme dei contratti di categoria o, in mancanza di tali norme, dalle disposizioni della legge n. 300 del 1970.
Circa il diritto di assemblea, l’articolo 20 della legge n. 300 del 1970 prevede che le assemblee possono essere convocate dalle «rappresentanze sindacali». Con questo il diritto di assemblea viene limitato alle sole rappresentanze sindacali di cui all’articolo 19 della stessa legge. Ciò rende impossibile la libera manifestazione di volontà dei lavoratori.
L’articolo 3 del disegno di legge sancisce il diritto di assemblea con la sola limitazione che l’assemblea venga richiesta da almeno il 5 per cento dei lavoratori interessati. Questa limitazione di carattere quantitativo e non qualitativo viene introdotta per assicurare un minimo di consistenza alla richiesta.
Circa il controllo, da parte dei lavoratori, degli accordi sindacali, si sono verificate in questi ultimi anni violazioni macroscopiche della volontà dei lavoratori. Gli accordi sindacali che hanno validità erga omnes debbono essere sottoposti alla verifica preliminare del consenso dei lavoratori.
L’articolo 4 sancisce l’obbligo di tale verifica.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
In ogni unità funzionale di enti pubblici o unità produttiva possono essere costituite, indipendentemente dal fatto che siano o no firmatarie di contratto nazionale o provinciale, organizzazioni sindacali aziendali, purchè‚ questo avvenga per iniziativa di almeno il 5% dei lavoratori interessati per le unità funzionali o produttive fino a 5000 dipendenti.
Per le unità funzionali o produttive con più di 5000 addetti, il numero minimo di aderenti richiesto per la formazione di nuove strutture sindacali è di 300.
Le organizzazioni sindacali costituite sulla base del primo e del secondo comma, hanno pieno titolo a contrattare tutte le questioni sindacali che hanno attinenza al rapporto di lavoro dell’unità produttiva o funzionale di riferimento.
Esse, inoltre, possono costituire coordinamenti nazionali e di settore e acquisiscono in rapporto a ciò il diritto ai relativi livelli di contrattazione.
Gli organismi dirigenti delle strutture sindacali di cui al primo comma possono essere eletti sia dagli associati, sia tramite elezione da parte di tutto il personale impiegato nell’unità produttiva o funzionale. Per le quote associative valgono i criteri previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 2.
Alle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 1 sono concessi gli stessi diritti previsti dalla legge 20 1970, n. 300, in ordine;
a) alla concessione di locali da parte del datore di lavoro per svolgere attività sindacali;
b) al diritto di affissione e di circolazione della stampa sindacale;
c) ai permessi retribuiti per i dirigenti;
d) al diritto di convocare assemblee dei lavoratori;
e) all’indizione di referendum approvativi degli accordi sindacali.
Per quanto riguarda il monte ore disponibile per le assemblee e i permessi sindacali di cui alle lettere c) e d) valgono le norme relative ai contratti di categoria o, in mancanze di una regolamentazione, le disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 3.
Indipendentemente dall’iniziativa delle organizzazioni sindacali costituite in ogni unità produttiva o in ogni entità funzionale di ente pubblico, i lavoratori hanno diritto a riunirsi in assemblee su questioni di ordine sindacale, purchè‚ l’assemblea sia richiesta da almeno il 5 per cento dei lavoratori interessati.
Le assemblee possono essere tenute sia per l’intera unità produttiva o funzionale, sia per reparti di esse.
Le modalità relative sono quelle previste dalla legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 4.
Per avere validità, gli accordi sindacali nazionali, provinciali o aziendali, sia per il settore privato che per quello pubblico, debbono essere sottoposti a referendum, con votazione segreta.
Il referendum deve essere indetto dalle organizzazioni firmatarie degli accordi entro quindici giorni dalla loro firma.
L’organizzazione del referendum è demandata ad una commissione composta da un eguale numero di esponenti di tutte le organizzazioni sindacali costituite nell’unità produttiva o nelle unità funzionali degli enti pubblici.
Il referendum approvativo degli accordi sindacali può riguardare anche soltanto una parte di tali accordi, ove gli interessati in misura di almeno il 10 per cento ne facciano richiesta.
CHI ERA NINO PASTI
Nato a Bologna nel 1909, ha ricoperto in qualità di generale di aviazione incarichi importanti come quello di Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aereonautica militare, Presidente del Consiglio Superiore delle Forze Armate e Vicecomandante Supremo NATO in Europa per gli affari nucleari.
Eletto come indipendente di sinistra al Senato nel 1976, entrò in rotta di collisione con i dirigenti del PCI relativamente al giudizio equidistante o positivo che questi davano della NATO proprio mentre la strategia militare USA si faceva sempre più chiaramente aggressiva.
Con la sua attività pubblicistica, con le iniziative del gruppo dei «Generali per la Pace e il Disarmo» e con l’attività del Movimento per la Pace e il Socialismo, da lui fondato nel 1985, Pasti dedicò tutte le sue energie alla denuncia circostanziata e professionalmente ineccepibile delle decisioni di escalation riarmista, dei preparativi di guerra e dei ricatti militari con cui l’occidente cercava di spezzare la resistenza dei paesi socialisti, anche prima di trovare al loro interno insperati alleati.
Altre informazioni su Nino Pasti: https://www.aginform.org/pasti-i.html