Rassegna 28/11/2024
Flavio Del Santo: Genocidio per scettici
Genocidio per scettici
di Flavio Del Santo*
Israele sta bombardando Gaza da oltre 13 mesi: la crisi umanitaria in tutta la Palestina, così come nelle aree limitrofe del Medio Oriente, ha raggiunto livelli critici come mai prima d’ora. L’ONU stima che oltre 43.000 palestinesi siano stati uccisi, tra cui circa 17.000 bambini, e che più di 102.000 siano rimasti feriti, mentre 1,9 milioni siano sfollati, su un totale di 2,2 milioni di abitanti nella Striscia di Gaza! [1].
Sebbene si registri una tendenza positiva nell’opinione pubblica e nella partecipazione alle iniziative che condannano sempre più apertamente queste atrocità – come i movimenti studenteschi della scorsa primavera, che hanno visto la più grande ondata mondiale di occupazioni universitarie dai tempi della guerra in Vietnam – permane una forte reazione repressiva verso le critiche a Israele, che vengono censurate o, più spesso, grottescamente bollate come forme di antisemitismo, o violentemente sedate [2].
Proprio a causa di questa forte polarizzazione nell’informazione normalmente reperibile, sembra spesso di percepire una reticenza, uno scetticismo verso le differenti narrazioni, considerate faziose e strumentali, specialmente quelle a favore di Gaza, che da sempre sono appannaggio dei nostri ambienti di sinistra internazionalista, antimperialista e antisistema. Credo pertanto che molti delle nostre narrazioni nell’interesse della verità e della pace vengano spesso etichettate come ideologiche, poco obiettive e iperboliche, e quindi largamente ignorate, quando non apertamente avversate.
Questo articolo è un tentativo di raccontare una storia proprio a quegli scettici, confusi, o coloro che volutamente si arroccano su posizioni “neutrali”. È un pezzo scritto specificamente per i moderati, come chi, ad esempio per i motivi appena elencati, si irrigidisce quando sente la parola ‘genocidio’.
Sebbene sia in generale impossibile fornire dati oggettivi completamente privi di interpretazione, e lo dico da scienziato, sarà inevitabile, a un certo punto, riconoscere la competenza e l’autorità di alcune fonti, nonché la pertinenza di alcune analisi.
Leonardo Sinigaglia: Il marxismo e l’era multipolare – III parte
Il marxismo e l’era multipolare – III parte
di Leonardo Sinigaglia
Come ogni Venerdì, ecco il terzo dei 9 appuntamenti dove vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo “Marxismo e Multipolarismo”
3- La questione nazionale. Prima parte
“Gli operai non hanno patria”: queste parole del Manifesto del Partito Comunista scritte da Marx ed Engels spesso vengono citate con superficialità per dimostrare un preteso carattere “antipatriottico” del pensiero marxista e la sua incompatibilità con qualsiasi forma di orgoglio nazionale. Tali ricostruzioni non solo sono superficiali, ma dimostrano una profonda ignoranza dell’attività rivoluzionaria dei due fondatori del socialismo scientifico. Contestualizzare le parole del Manifesto nell’insieme del testo da cui sono tratte ne permette un’interpretazione scevra da deformazioni.
“Inoltre, si è rimproverato ai comunisti ch’essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch’esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia”: gli operai “non hanno patria” in quanto ogni paese era all’epoca controllato politicamente dalle classi possidenti, le quali privano il proletariato di ogni “cittadinanza”, impedendogli di godere pienamente dei frutti del proprio lavoro e della totalità delle attività sociali. Il proletariato “non ha patria” nella stessa misura in cui potevano non averla i perieci e gli iloti sotto il dominio spartano: non si tratta di negarne la Storia, la cultura, il carattere nazionale, ma di sottolinearne l’estraneità alla gestione del potere.
“Non hanno patria” indica l’assenza di potere politico, non di nazionalità, come emerge chiaramente dalle frasi successive, con l’invito al proletariato a “elevarsi a classe nazionale” conquistando quel potere, uscendo da quello stato d’asservimento e alienazione in cui l’ordine borghese lo condannava. Il proletariato lottando per la conquista del potere scopre il proprio carattere nazionale, che ha un “senso diverso da quello borghese”, in quanto superamento dialettico di questo.
Luca Baiada: Bologna 1980. «La bomba, per me, scoppiò la sera»
Bologna 1980. «La bomba, per me, scoppiò la sera»
di Luca Baiada
Come titolo, Cento milioni per testa di morto, pubblicato nel 1989, fa pensare a un western. La veste tipografica è orrenda: imprecisa, disadorna. La carta sembra da razionamento: quasi da pacchi, tagliata male, e sa di polvere. La stampa è cattiva. La prosa è appesantita da ripetizioni e pignolerie. La punteggiatura è confusa (qui, nelle citazioni, l’ho modificata). Quanto al marchio editoriale, da trent’anni non pubblica nulla. Però.
Un libro formidabile. Il contrasto tra la forma scadente e la sostanza aurea insegna cosa conta davvero.
L’autore, Torquato Secci, durante la guerra mondiale torna dalla Grecia e si arruola nel Corpo italiano di Liberazione. Poi lavora come perito industriale. Il 2 agosto 1980, nella strage di Bologna, perde il figlio Sergio, ventiquattro anni.
È un uomo, un padre: «La bomba, per me, scoppiò la sera di quel tragico giorno al ritorno a casa da una passeggiata». La notizia che il figlio è fra le vittime si mischia ai primi commenti, al comportamento della città, alle reazioni. Sergio è ferito in modo spaventoso; morirà dopo qualche giorno. Il padre non nasconde la debolezza iniziale:
Non potevo credere ai miei occhi, la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. […] Sergio, malgrado stesse a occhi chiusi a causa delle gravi ustioni, aveva riconosciuto la mia voce, aveva capito che ero lì, quindi malgrado la gravità del suo stato era cosciente di ciò che era accaduto, di ciò che stava accadendo, e realisticamente non nutriva alcuna speranza di salvarsi. […] Dopo averlo visto me ne uscii precipitosamente dal reparto rianimazione, come se volessi fuggire per allontanarmi da un pericolo.
Torquato Secci, che voleva fuggire, invece si impegnerà, diventerà presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime, pubblicherà questo volume dopo la sentenza di primo grado del processo. Adesso seguiamolo in un segmento narrativo che ha la forza di certi racconti dell’occupazione nazifascista. Indimenticabile, la bambina muta nel film L’uomo che verrà, col suo andirivieni nella terra della morte:
coniarerivolta: La legge di bilancio in tre bugie
La legge di bilancio in tre bugie
di coniarerivolta
Il dibattito sulla manovra di bilancio per il 2025 presenta alcuni aspetti paradossali. Essendo impostato su una strategia del Governo consistente nel rappresentare una realtà che non esiste, la discussione oscilla fra il surreale e la confusione (voluta) nel trattare aspetti tecnici complessi.
Proviamo a sfatare almeno qualche elemento principale di mistificazione.
1) Prima bugia: dice il Governo che la manovra condurrà a una maggiore crescita. Ma affinché una manovra stimoli l’economia, è necessario che sia espansiva. L’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in realtà viene ridotto dal 3,8% del PIL nel 2024 al 3,3% nel 2025, dunque la politica di bilancio non è espansiva, bensì recessiva, ovvero avrà l’effetto di deprimere la crescita. Per di più, il 2025 è solo il primo anno di un percorso quinquennale, già individuato nel Piano strutturale di bilancio (PSB), che attraverso tagli successivi porterà l’indebitamento netto all’1,8% del PIL nel 2029, per rispettare le nuove regole europee. Lo stesso PSB lamenta il rischio che l’applicazione di politiche di riduzione del deficit in diversi paesi europei possa rendere l’impostazione delle politiche di bilancio dell’UE complessivamente restrittiva, mentre altrove ci si preoccupa di rispondere alle sfide tecnologiche e ambientali utilizzando ampiamente le risorse pubbliche. E, a conferma di questo “rischio” è la stessa Commissione Europea in questi giorni a dire che le stime di crescita dei Governi (a partire dall’Italia) sono troppo ottimistiche.
Gian Marco Martignoni: “La sconfitta dell’Occidente”
“La sconfitta dell’Occidente”
di Gian Marco Martignoni
Con tutta probabilità l’ampia diffusione che il libro di Emmanuel Todd “La sconfitta dell’Occidente” (Fazi Editore, pagg. 354, euro 20) sta riscontrando a livello mondiale è da rintracciare nella intrigante molteplicità delle questioni trattate, che però hanno come scaturigine sia il fallimento della guerra per procura condotta dagli Stati Uniti e dalla Nato fino all’ultimo ucraino contro la Russia, che quello riguardante il regime delle sanzioni imposte dal blocco occidentale (che rappresenta il 12% della popolazione mondiale) contro il rublo.
Emmanuel Todd, storico, sociologo e antropologo proveniente dalla scuola francese dell’Annales, non è certamente un filo-putiniano, ma avendo letto sia Marx che Weber è in grado di demistificare la narrazione dominante, poiché mediante il supporto di alcuni indicatori di rilievo (la mortalità infantile e quella degli adulti, il tasso di omicidi, dei suicidi e della scolarizzazione, il numero dei detenuti, ecc…) individua gli elementi strutturali e sovrastrutturali essenziali sul piano comparativo per cogliere l’avanzamento o il regresso degli stati nazionali.
Semmai Todd è ascrivibile a quel filone del realismo geo-politico, sulla falsariga della rivista Limes, che nelle sue scrupolose e impietose disamine perviene a giudizi e previsioni che, come nel caso della vicenda dell’Ucraina, contrastano con quanto veicola il bombardamento mediatico quotidiano all’opinione pubblica, cavalcando una odiosa e devastante russofobia.
Piccole Note: Ucraina: i missili a lungo raggio e la terza guerra mondiale
Ucraina: i missili a lungo raggio e la terza guerra mondiale
di Piccole Note
Solo un mese fa il Comitato per l’intelligence Usa e il Pentagono avevano raccomandato di non dare luce verde a Kiev…
Venerdì la telefonata tra Scholz e Putin nella quale quest’ultimo ha ribadito la sua apertura ai negoziati (Antiwar), due giorni dopo i media Usa hanno riportato che la Casa Bianca avrebbe dato il placet all’Ucraina per l’impiego di missili a lungo raggio contro il territorio russo (notizia data per certa).
Secondo Axios il loro uso sarebbe limitato alla sola regione di Kursk, ma secondo il Washington Post tale limitazione sarebbe provvisoria, cioè la portata dei bersagli “potrebbe estendersi”. La luce verde sarebbe stata data in risposta all’arrivo dei soldati nordcoreani in Russia, pretesto talmente risibile che è inutile commentare.
Si gioca a carte scoperte: l’oligarchia iper-atlantista che ha gestito il mondo negli ultimi decenni sa che l’elezione di Trump può eroderne il potere e sta reagendo. Due, per ora, le direttrici di tale reazione: la prima è cercare di minare la sua vittoria impedendo che ai dicasteri della nuova amministrazione vadano le persone da lui nominate.
I nomi preannunciati, infatti, dovranno ricevere l’approvazione del Congresso e il sistema si sta organizzando in modo che ciò non avvenga. Ha già dimostrato la sua forza con la nomina del capogruppo dei repubblicani al Senato, di fatto il presidente dell’assise, carica alla quale è stato eletto John Thune, considerato dai sostenitori più stretti di Trump un RINO (repubblicano solo di nome), essendo stato per anni il vice del precedente capogruppo repubblicano Mitch McConnell, antagonista dichiarato del tycoon prestato alla politica.
Piero Pagliani: Molti giorni a gennaio
Molti giorni a gennaio
di Piero Pagliani
Mentre la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, ha espresso “grande preoccupazione” per la risposta russa al primo lancio di missili Atacms, il 23 e il 25 novembre Kiev ne ha lanciati altri 13 sulla regione russa di Kursk (fonti non ufficiali russe riferiscono di vittime tra i militari e danni a un sistema antiaereo S400).
Mosca ha annunciato che sta preparando la risposta. Immagino che sarà più dolorosa di quella di cinque giorni fa.
Il problema è noto ed è grave: ammesso che fisicamente siano dei militari ucraini a spingere il bottone di lancio, gli attacchi coi missili Atacms sono comunque guidati dagli Stati Uniti. Ragion per cui gli USA e la Russia sono ora in guerra de facto anche se non de jure. Ce lo facciamo spiegare dall’analista dell’Intelligence militare statunitense Rebekah Koffler:
https://www.foxnews.com/video/6365135301112
Dunque «ci stiamo avvicinando a una guerra nucleare», secondo l’Intelligence Community statunitense.
Si noti che già precedentemente sono stati lanciati missili occidentali sul territorio russo, con le stesse modalità. Il fatto che ora il Cremlino decida di rispondere in modo duro sembra indicare la volontà sia di prevenire attacchi più pesanti sia di mettere la Nato con le spalle al muro.
Domenico Moro: Quali sono gli scenari futuri della presidenza Trump?
Quali sono gli scenari futuri della presidenza Trump?
di Domenico Moro
Definire gli scenari futuri della presidenza Trump è difficile perché le promesse e le dichiarazioni della campagna elettorale dovranno misurarsi con una realtà che per gli Usa è molto complessa.
Per capire perché Trump ha vinto elezioni dobbiamo rifarci al quadro generale. Gli Usa stanno attraversando da tempo una fase di declino, che è sia economico sia di egemonia. La Russia e soprattutto la Cina stanno sfidando il dominio storico degli Usa. Ma sono molti gli Stati del Sud del mondo che mettono in discussione il vecchio ordine mondiale risalente agli Accordi di Bretton Woods del 1944, che sancirono il dominio degli Usa e del dollaro a livello mondiale.
Per frenare tale declino gli Usa, spinti soprattutto dalla corrente neoconservatrice, negli ultimi decenni hanno adottato una politica imperialista aggressiva che non ha risolto la situazione ma ha accelerato il loro declino. Questa strategia aggressiva è stata propugnata dal blocco dominante in modo bipartisan. Ma, di fronte agli insuccessi della strategia adottata fino a ora, è cresciuta all’interno dell’élite dominante una tendenza che è orientata a cambiare rotta.
Di fatto, si è prodotta, a causa della crisi degli Usa, una spaccatura all’interno della classe dominante, che ha rotto il tradizionale consenso bipartisan che era in vigore specialmente nella politica estera. La frazione dell’élite che è per il cambiamento è ricorsa a un outsider fuori dai partiti tradizionali, Trump, e al populismo politico, sfruttando le contraddizioni economiche che hanno impoverito milioni di americani. La virulenza della campagna elettorale, con i suoi toni particolarmente accesi, e i tentativi di eliminare Trump per via giudiziaria e finanche fisicamente, sono il riflesso di una forte tensione politica all’interno della classe dominante statunitense come non si osservava da molto tempo. Trump è appoggiato da diversi di settori del capitale, a partire da quelli più innovativi delle criptovalute e delle big tech, rappresentati da Elon Musk, ma anche da Jeff Bezos, il patron di Amazon, che ha impedito al quotidiano di sua proprietà, l’autorevole Washington Post, di dare il tradizionale appoggio ai democratici e a Kamala Harris, facendo poi i complimenti, per nulla scontati, a Trump una volta che questi è stato eletto.
Leandro Cossu: Nichilismo della forma politica e logica dell’insorgenza
Nichilismo della forma politica e logica dell’insorgenza
In margine a un testo di Carmelo Meazza
di Leandro Cossu
La tragedia a cui sembra essersi consegnato il Politico negli stati europei negli ultimi trent’anni – tragedia egualmente composta tanto di impotenza verso i problemi strutturali posti dalla vittoria temporanea della globalizzazione, quanto afasia per l’incapacità di tematizzare, e persino di nominare, i suddetti problemi – sembra avere origini ben precedenti al crollo del muro di Berlino e l’affermazione, apparentemente assoluta, di un capitalismo anomico e di un individualismo sfrenato, entro cui sembra confinata ogni risposta possibile e ogni caduco tentativo di insorgenza. In effetti, il nichilismo del postmoderno sembra trovare luogo già in alcune figure teoriche della modernità. È quindi impreteribile urgenza capire che l’origine di questi mali è da identificare negli strumenti della cattiva metafisica. E, senza che questo sia un momento speculativo separato o consecutivo, pensare e nominare quelle nuove categorie che costituiranno non solo lo spazio teorico, ma anche, e soprattutto, lo spazio di agibilità politica per la prassi del XXI secolo.
Questo è il tentativo che prova a fare il prof. Carmelo Meazza, ordinario di filosofia morale a Sassari, in una delle sue ultime monografie: Il nichilismo della forma politica. Nell’eredità del comunismo im/possibile di Jean-Luc Nancy (Orthotes, Napoli 2024). Come dice il titolo, il saggio non è una monografia integralmente dedicata al filosofo francese, ma si rifà ad alcune sue intuizioni, portandole alle estreme conseguenze teoretiche.
Per capire cosa intenda Meazza con “nichilismo della forma”, dobbiamo ricostruire quello che, nei primi capitoli del saggio, viene individuato come vizio strutturale di ogni fondazione. Ogni ente, in quanto de-limitato, è già consegnato costitutivamente alla propria scomparsa, in quanto depositato nella possibilità della propria stessa negazione. La mela è fissata in ente perché in quanto ente è imminente la possibilità della sua negazione: che marcisca, germogli in melo, che venga mangiata et similia. Ma se io edifico qualcosa su un ente tutto quanto ciò che v’è sopra – il fondato – oscilla nella possibilità della nientificazione insieme al fondamento.
Lelio Demichelis: Non sapere aude!
Non sapere aude!
di Lelio Demichelis
Leggere la mente grazie alle neuro-tecnologie e alle neuro-scienze, manipolarla ben oltre quanto fatto dai totalitarismi del ‘900 e della pubblicità e dalla propaganda; e la libertà e la democrazia messe a rischio da una oligarchia di imprenditori del Big Tech, tra anarco-capitalisti e transumanisti ed Elon Musk, che qualcuno si ostina a chiamare visionari; e scienziati che invece di lavorare per accrescere e diffondere il sapere lo azzerano incorporandolo e soprattutto centralizzandolo in macchine/algoritmi/intelligenza artificiale, creando un uomo sempre meno sapiens e sempre più macchina. E su tutto, la tecnologia, che avanza a grandi passi, sempre più veloci, realizzando ben altro che il Grande Fratello orwelliano.
A molti, tutto questo sembra fantascienza, ma è la realtà già di oggi. E dunque, è tempo di rivendicare un nuovo diritto, quello alla libertà cognitiva, come lo definisce Nita Farahany – che insegna Diritto e Filosofia alla Duke University – in questo suo libro da poco tradotto in italiano e dal titolo programmatico se non imperativo di Difendere il nostro cervello (Bollati Boringhieri, pag. 482, € 27.00). Ma come rivendicare questo diritto alla libertà cognitiva – concetto e diritto bellissimo e soprattutto urgente – se da tempo abbiamo già rinunciato (come richiesto dal capitale, che necessitava dei nostri dati) al diritto alla privacy e che era il presupposto per la libertà individuale; se ogni giorno produciamo appunto dati che servono a toglierci la libertà di pensare (e il lavoro prossimo venturo), delegando tutto alle macchine/algoritmi/i.a.? Forse per avere le risposte prima ancora di avere fatto le domande – nella neolingua aziendalistica dominante si chiama efficientare? Perché siamo feticisti della tecnica? Perché abbiamo paura della libertà? Forse stiamo entrando nel transumano, senza rendercene conto? O perché siamo governati da tecno-crazie e imprenditori e non più dalla politica e dal demos, realizzandosi in pieno il programma del positivismo ottocentesco? Ma su tutto: siamo capaci di fermare le macchine e i neuro-scienziati se i rischi per l’uomo e la libertà stanno diventando – e lo stanno diventando – troppo grandi?
comidad: Perché non c’è un Musk per l’energia nucleare
Perché non c’è un Musk per l’energia nucleare
di comidad
Il gossip ha attribuito le sortite di Elon Musk contro i magistrati italiani alla sua infatuazione per Giorgia Meloni. Perché no? In fondo sono entrambi personaggi costruiti su archetipi fiabeschi. Lei è la Cenerentola della Garbatella, perseguitata dalla sorellastra invidiosa Elly Schlein, ma che riesce comunque a farsi invitare al Gran Ballo dove tocca il cuore dei potenti e magari trova pure il Principe Azzurro. Elon Musk può rivestire i panni del Principe Azzurro, ma vanta soprattutto una carriera da ibrido mitologico: come padrone di Tesla dà vita e forma a uno dei feticci preferiti dal politicamente corretto in vena di emergenzialismo climatico, cioè l’auto elettrica; come padrone di “X” cavalca il politicamente scorretto seminando battute impertinenti quanto irrilevanti, ma che sono comunque sufficienti a gratificare quella parte di opinione pubblica che crede di potersi opporre alle oligarchie facendo il tifo per qualche oligarca più scavezzacollo. Pur essendo un personaggio mediaticamente controverso, la miliardariolatria in versione Musk trionfa nel talk-show, riuscendo a mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, infatti Marco Travaglio e Italo Bocchino concordano nel definire Musk un “genio”. Il concetto di genialità risulta piuttosto dilatabile, tanto che, volendo, potrebbe essere applicato persino ad Antonio Tajani.
In una cosa però Musk è sicuramente bravo, cioè nel percepire sussidi governativi, quindi a farsi assistere dal contribuente.
Dante Barontini: Cresce il pericolo nucleare, “ma non vi preoccupate”…
Cresce il pericolo nucleare, “ma non vi preoccupate”…
di Dante Barontini
La decisione di Putin di firmare, e quindi rendere pienamente operativa, la revisione della “dottrina nucleare” russa, nelle stesse ore in cui l’Ucraina lanciava missili statunitensi Atacms nella regione di Bryansk, va analizzata sia dal punto di vista militare che da quello politico-diplomatico.
Una “dottrina”, infatti, non è un algoritmo che ne rende automatica l’applicazione nei casi lì indicati, ma delinea il quadro di condizioni in cui il responsabile ultimo (Putin, ovviamente) può decidere di utilizzare le atomiche e anche di quale tipo (strategiche o tattiche), e contro chi.
Sul piano puramente militare cambia parecchio, perché la “minaccia esistenziale per l’integrità e sovranità del paese” – necessaria per prendere in considerazione l’uso delle atomiche – si allarga ora anche all’eventualità che questa minaccia venga da un paese senza atomiche ma che viene sostenuto operativamente da altre potenze nucleari.
E’ evidente che l’Ucraina è il primo “sospettato”, visto che c’è una guerra in corso da quasi tre anni e che Kiev viene supportata da ben tre potenze nucleari: Usa, Gran Bretagna e Francia.
Fuori del linguaggio teorico, se qualcuno in Occidente pensa (ed è evidente che sia stato pensato) di utilizzare una media potenza “convenzionale” per logorare la Russia e poi, eventualmente, portare colpi direttamente, quel qualcuno deve sapere che prima di arrivare a quel punto le armi nucleari passeranno dalla pura “deterrenza” al lancio concreto. Sui “mandanti di Kiev”, oltre che sull’Ucraina…
Finian Cunningham: Perchè Putin dovrebbe ignorare la patetica provocazione degli Atacms di Biden
Perché Putin dovrebbe ignorare la patetica provocazione degli Atacms di Biden
di Finian Cunningham per Strategic Culture Foundation
Il gesto provocatorio è più simbolico che una minaccia sostanziale. La Russia dovrebbe ignorarlo e concentrarsi sulla demolizione del regime proxy della NATO a Kiev
Per quanto riguarda le provocazioni, l’ultima del Presidente Joe Biden, che autorizza l’uso di missili a lungo raggio contro la Russia, è certamente spregiudicata. Ma, alla fine, nella pratica, è un gesto patetico di un presidente zoppo che non avrà alcun impatto sulla prevista vittoria militare della Russia contro il regime di Kiev armato dalla NATO.
La decisione di Biden, secondo quanto riportato, è un ultimo tentativo disperato per provocare un’escalation con la Russia e sabotare i piani del Presidente eletto Trump di porre fine al conflitto in Ucraina. La mossa di Biden è sconsiderata, riprovevole e odiosa. Ma non dovrebbe essere considerata una minaccia seria.
La Russia farebbe meglio a ignorarla. Naturalmente, la Russia deve difendersi da ogni potenziale minaccia al suo territorio che tali armi potrebbero rappresentare. Tuttavia, Mosca dovrebbe continuare a esercitare la moderazione strategica per la quale il Presidente Putin è famoso, e non reagire alla provocazione.
Comprensibilmente, i politici e i media russi hanno reagito furiosamente alle notizie dei media statunitensi secondo cui Biden avrebbe dato il via libera all’esercito ucraino per schierare gli ATACMS di fabbricazione americana per colpire in profondità nel territorio russo. I missili supersonici Mach-3 lanciati da terra hanno una gittata fino a 300 chilometri.
Giorgio Agamben: Tra attori e burattini
Tra attori e burattini
di Giorgio Agamben
Teatro e politica, come gli antichi sapevano, sono strettamente legati ed è improbabile che la scena teatrale sia viva quando quella politica muore o si eclissa. Eppure, in un paese in cui la politica sembra ormai fatta soltanto da mummie che pretendono di dirigere la loro esumazione, è stato possibile nei giorni scorsi assistere in un piccolo teatro veneziano a una rappresentazione così piena di vita e di intelligenza che gli spettatori – come dovrebbe sempre avvenire a teatro – ne sono usciti più consapevoli e quasi fisicamente rigenerati. Un simile miracolo non è avvenuto per caso. Piermario Vescovo, nella sua esemplare conoscenza della storia del teatro, è lucidamente ricorso a una tradizione apparentemente minore, ma in verità, soprattutto in Italia, certamente maggiore, quella dei burattini. Ma lo ha fatto – e qui è la novità – coniugando la presenza del corpo di sei attrici a quella dei burattini che esse impugnano e muovono, in modo che tra i vivi e i morti, tra i corpi imponenti delle attrici che recitano e quelli sparuti ma non meno presenti dei burattini avviene uno scambio incommensurabile, in cui la vita trascorre incessantemente nei due sensi e non è chiaro alla fine se siano le attrici a muovere i burattini o questi a scuotere e animare le attrici. Nunzio Zappella, uno degli ultimi grandi guaratellari napoletani, mostrando il suo piccolo, ormai logoro Pulcinella ha detto una volta: «è mio padre!».