[SinistraInRete] Emilio Quadrelli: György Lukács, un’eresia ortodossa / 2 — Affinità elettive

Rassegna 01/12/2024

Emilio Quadrelli: György Lukács, un’eresia ortodossa / 2 — Affinità elettive

carmilla

György Lukács, un’eresia ortodossa / 2 — Affinità elettive

di Emilio Quadrelli

[Continua la pubblicazione di un lungo saggio di Emilio Quadrelli che il medesimo avrebbe volentieri visto pubblicato su Carmilla. Un modo per ricordare e valorizzare lo strenuo lavoro di rielaborazione teorica condotta da un militante instancabile, ricercatore appassionato e grande collaboratore e amico della nostra testata – Sandro Moiso]

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cyberpunk.jpgSe decliniamo, infatti, il tema della alienazione dentro l’ambito coloniale avremo la netta sensazione di come le argomentazioni lukácsiane abbiano ben poco di datato, e ancor meno di erudito, ma colgano esattamente la questione essenziale di un’epoca. Ciò apre qualcosa di più che un semplice ponte tra Lukács e Fanon poiché, tra i due, le affinità non sembrano essere secondarie. Il fatto che, nei nostri mondi, questa affinità non sia stata colta mostra, più che una disattenzione, la diffidenza che la stessa intellettualità radicale, con un occhio però sempre attento ai dispositivi posti in campo dall’ortodossia, abbia continuato a nutrire verso tutto ciò che continuava a essere in odor di eresia e, aspetto forse ancora più significativo, verso quella teoria politica, come nel caso di Fanon, che nel marxismo ortodosso individuava un non secondario tratto colonialista. Mentre l’oggettivismo imperante dentro il mondo comunista non poteva che essere un elemento di rafforzamento dello status quo, tanto a ovest come a est, l’umanesimo marxiano di Lukács apriva verso quel mondo colonizzato il quale, proprio nei suoi aspetti più radicali e rivoluzionari, si appropriava interamente della sovversione marxiana giovanile. Va da sé che, in un simile contesto, l’attualità della rivoluzione non può che essere l’attualità di una prassi. La riscoperta di Lukács coincide con la riscoperta della attualità della rivoluzione e di quel passaggio dalla preistoria alla storia che sempre fa da sfondo all’insorgenza dei subalterni. In fondo quel tratto escatologico che aveva contrassegnato la rivista eretica “Kommunismus” è proprio di tutte le ere rivoluzionarie, il riscatto è sempre alla fonte della lotta di classe. Ma torniamo al nostro pamphlet.

Il testo su Lenin è tanto più stupefacente se teniamo a mente che, nel momento in cui viene scritto, l’autore è ben distante dal conoscere gran parte della produzione leniniana, della quale ha, però, una profonda conoscenza empirica. È un Lenin conosciuto nella prassi, dentro quel turbinio di fatti che il treno della rivoluzione scandiva a ogni suo passaggio. Un treno dove le fermate e le ripartenze e la stessa velocità di crociera non poteva essere predeterminata. Solo il fuoco della lotta di classe, di tutte le classi sociali in lotta, offriva il combustibile alla locomotiva.

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Vladimiro Merlin: Rivolta sociale?

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Rivolta sociale?

di Vladimiro Merlin*

minatori disegno.jpgUn’ipotesi plausibile, viste le condizioni del lavoro in Italia ma, più che evocata, la rivolta sociale andrebbe praticata.

Il segretario della Cgil, Landini, l’ha evocata in relazione alla situazione che ha portato la Cgil e la Uil a proclamare lo sciopero generale per il 29 novembre.

In effetti, la condizione dei lavoratori italiani è tragica da tutti i punti di vista.

Gli stipendi, dal 1990 al 2020, in Italia sono diminuiti del 2,9%, in tutta Europa si è registrata una crescita, la più bassa, in Spagna, è stata del 10%.

Su 17 milioni di lavoratori del settore privato 7,9 milioni sono lavoratori discontinui, 2,2 milioni sono part-time, assieme sono il 60% dei lavoratori privati.

A questi lavoratori con redditi stabilmente bassi andrebbero aggiunti tutti quelli in cassa integrazione, che hanno uno stipendio ridotto tra il 50 e il 60% del normale.

Ma, come abbiamo già visto, anche ai lavoratori stabili non è andata bene, in questi ultimi 30 anni il loro stipendio non solo non è cresciuto ma si è ridotto del 3%.

Da anni, varie fonti, dai sindacati alla Caritas, ma anche l’Istat, registrano un aumento progressivo della povertà anche tra persone che hanno un lavoro.

Una progressiva povertà che i ceti popolari misurano ogni giorno quando fanno la spesa.

Sulla situazione già tragica dei salari si è innestata l’impennata inflazionistica di questi ultimi anni, impennata che, nonostante i dati ufficiali manipolati, continua; infatti, i rincari dei generi di prima necessità, in primo luogo gli alimentari, sono ancora attorno al 9/10%.

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Luigi Alfieri: La guerra come atto impolitico

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La guerra come atto impolitico

di Luigi Alfieri

Ma a che serve separare concettualmente politica e guerra? In termini pratici, a nulla: questo non porrà termine alla guerra. Serve a un’igiene del pensiero, a non scambiare il disordine con l’ordine, l’abnorme con il normale, la morte con la vita

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spettrali.pngIl nesso forte, sostanziale, tra guerra e politica è uno dei (pochi) punti fermi del pensiero politico contemporaneo. Non esiste o quasi, oggi, filosofo o politologo che non dia per ovvio che la guerra sia un atto politico, se non l’atto politico per eccellenza, uno dei poteri che per antica tradizione definiscono il sovrano, cioè, oggi, lo Stato: lo ius gladii, il diritto di spada. Che non è solo il diritto sovrano di fare la guerra, ma il diritto sovrano di disporre della vita dei sudditi; tanto di mandarli a rischiare la vita in guerra, quanto di condannarli a morte. E ne risulta, anche nelle attuali forme democratiche dello Stato, il correlativo dovere dei cittadini di mettere la propria vita a disposizione dello Stato, o meglio, come più spesso si dice quando è questione di sacrificare la vita, a disposizione della Patria. Come fa anche la nostra Costituzione all’art. 52, parlando, in quest’unico caso, di “sacro dovere”.

Ripercorrere la teorizzazione di questo nesso, tanto dell’essere sovrano quanto dell’essere cittadini, con la guerra sarebbe contemporaneamente facilissimo e impossibile. Facilissimo perché basterebbe un poco di pazienza per accumulare una quantità indefinita di citazioni, a partire dalla Grecia antica, senza affatto escludere il cristianesimo; impossibile perché la sovrabbondanza sarebbe tale da impedire comunque di tracciare un quadro completo. Mi limiterò a tre rapidi sondaggi nel pensiero contemporaneo: ulteriori approfondimenti sarebbero tipici sfondamenti di porte aperte.

 

Hegel, Schmitt. La politica è guerra, la guerra è politica

Comincio da quello che è il massimo teorico dello Stato nel pensiero classico tedesco: Hegel. Nel § 324 dei Lineamenti di filosofia del diritto, citando una sua opera precedente, Hegel sostiene che la guerra è il momento di suprema unificazione etica dello Stato, perché è il momento in cui i diritti individuali dei cittadini, compresi quelli alla vita e alla proprietà, rivelano la propria accidentalità e vengono giustamente sacrificati al superiore bene dello Stato, che è l’universale oggettivo.

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Pino Cabras: Missili e messaggi: Mosca non bluffa, l’Occidente sul ciglio dell’abisso

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Missili e messaggi: Mosca non bluffa, l’Occidente sul ciglio dell’abisso

di Pino Cabras

Stasera se n’è accorto tutto il mondo: Mosca non bluffa. Il missile balistico ipersonico di medio-lungo raggio a testate multiple indipendenti lanciato dalla Russia verso l’Ucraina chiarisce infatti molto bene le idee a un bel po’ di teste calde ma vuote che abbiamo da questo lato del mondo. A tutti gli irresponsabili che credono che Mosca si arrenderà davanti all’insistenza delle loro provocazioni, il lancio di risposta è arrivato assieme a un messaggio di Vladimir Putin. Il messaggio della sera del 21 novembre completa quel suo primo messaggio di qualche settimana fa, che i governanti sguatteri di Washington e il loro coro di giornalisti russofobi non avevano voluto prendere sul serio, nonostante non lasciasse margini a dubbi.

Tutto molto chiaro: il lancio dal suolo ucraino di una tipologia di missili a lungo raggio che può funzionare solo con l’assistenza tecnologica, satellitare e organizzativa di potenze esterne alle forze armate ucraine implica il coinvolgimento diretto in una guerra alla Russia di quelle stesse potenze, e a catena implica un adattamento della risposta russa. Dunque: un cambiamento della dottrina sull’uso dell’arma nucleare, un impiego di armamenti inediti che riequilibrino il nuovo livello della minaccia, la considerazione delle basi militari delle potenze che aggrediscono il territorio della Russia come obiettivi legittimi di una necessaria risposta.

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Pepe Escobar: Lo spirito BRICS in Sudafrica: la vera de-colonizzazione inizia ora

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Lo spirito BRICS in Sudafrica: la vera de-colonizzazione inizia ora

di Pepe Escobar – Strategic Culture

L’Africa ha ora bisogno essenzialmente di volontà politica per combattere i problemi infrastrutturali, il deficit di capitale umano e il deficit istituzionale

Johannesburg – Al vertice annuale dell’APEC a Lima, il compagno Xi Jinping è stato praticamente incoronato Re del Perù, mentre un vivace banchetto mobile celebrava la nuova Via della Seta Marittima Chancay-Shanghai da 1,3 miliardi di dollari attraverso il Pacifico.

Non poteva esserci una controparte più propizia all’azione in Sud America che riunirsi in Sudafrica, membro dei BRICS, per discutere dell’unità africana in un Mondo Multipolare, nonché delle piaghe perenni del razzismo, del fascismo, della russofobia e di altre forme di discriminazione. Gli incontri sono stati coordinati dal Mouvement Russophile International (MIR), che non è solo russofilo ma soprattutto multi-nodalo-filo (corsivo mio).

È come se si trattasse di un’estensione del memorabile vertice BRICS 2024 di Kazan.

A Kazan, il BRICS si è di fatto espanso da 9 membri, aggiungendo 13 membri-partner e raggiungendo 22 nazioni (l’Arabia Saudita, un caso immensamente complesso, rimane in bilico). Il BRICS+ ora supera ampiamente l’influenza – in declino – del G20, il cui vertice annuale è in corso a Rio, almeno incentrato su questioni sociali e sulla lotta alla povertà e alla fame, e non sulla guerra. Tuttavia, il G7/NATOstan, in crisi, ha cercato di dirottare l’agenda.

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Enrico Palma: Il netturbino della salvezza

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Il netturbino della salvezza

di Enrico Palma

È molto precisa e circostanziata la definizione che formula Gianluca Cuozzo dell’immondizia, della spazzatura o, detto in termini spregiativi e perciò richiamanti alla colpa, della munnezza. Il rifiuto è il «non-appropriabile per eccellenza», il «controcanto osceno della produzione e del consumo», esso «scardina l’immagine precostituita del mondo dato avanzando una riserva di senso – l’inadempiuto – che non aveva avuto spazio nell’orizzonte istituito dal progetto d’ordine» (G. Cuozzo, Filosofia delle cose ultime. Da Walter Benjamin a Wall-E, Moretti&Vitali, Bergamo 2013, p. 25). In questo senso, la spazzatura è portatrice sana e feconda di utopia, poiché intrinsecamente alla sua essenza giace una carica di senso eversiva in grado di scardinare il continuum storico del progresso, con la propria presenza scandalosa e peccaminosa, e di irrompere nelle strutture semantiche consolidate per prefigurare qualcosa d’altro, che poteva essere ma che non è più, che ha ancora qualcosa da significare ma che è strozzato, ridotto all’asfissia, peggio compattato e ridotto in poltiglia, mummificato nella terra stratificata e pressurizzato in discarica. È in quest’ultima che va trovata la chance della salvezza, va ricercata, diciamolo meglio, la ferita da rimarginare per il condono esistenziale dalla propria colpa, più esattamente dalla colpa della produzione e della scorificazione universale.

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Fabrizio Verde: Oreshnik. L’obiettivo strategico dell’attacco e il messaggio all’occidente

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Oreshnik. L’obiettivo strategico dell’attacco e il messaggio all’occidente

di Fabrizio Verde

Il test di combattimento del nuovo missile balistico ipersonico russo “Oreshnik”, annunciato dal presidente Vladimir Putin, segna un’importante evoluzione tecnologica e strategica nel conflitto tra Russia e Ucraina. L’attacco, diretto contro un complesso industriale militare nella città ucraina di Dnepropetrovsk, è stato presentato come una risposta diretta agli attacchi ucraini su territori russi internazionalmente riconosciuti, effettuati con armamenti avanzati forniti da Stati Uniti e Regno Unito, come i missili a lunga gittata ATACMS e Storm Shadow.

 

Superiorità tecnologica russa

“Oreshnik” è un missile balistico a medio raggio con capacità ipersoniche, in grado di raggiungere velocità di Mach 10 (circa 3 km al secondo).

Con la sua tecnologia avanzata e la capacità di manovrare in modo imprevedibile, Oreshnik rappresenta una minaccia significativa per i sistemi di difesa statunitensi.

Uno dei principali vantaggi del missile ipersonico Oreshnik è la sua velocità. Viaggiando a velocità così elevate, può raggiungere il suo obiettivo in pochi minuti, rendendo inefficaci i tradizionali sistemi di difesa missilistica. Questa rapida velocità rende anche difficile per le forze nemiche rilevare e intercettare il missile prima che raggiunga la destinazione prevista. Ciò rende Oreshnik uno strumento inestimabile per la Russia in qualsiasi potenziale conflitto con gli Stati Uniti.

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Jacques Bonhomme: Lotte palestinesi in Italia

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Lotte palestinesi in Italia

di Jacques Bonhomme

Palestinesi in Italia.jpg1. La Palestina vista dall’Italia

Un’effervescenza di mobilitazioni, di assemblee, di manifesti, di dichiarazioni, accompagnati da tante, tante bandiere, in una coreografia spontanea e vivace di gesti e di discorsi nelle piazze: questa è la forma sociale in cui le lotte palestinesi attraversano l’Italia. La piazza non smentisce la rete attirando soltanto sparuti gruppetti, ma moltiplica gli effetti degli articoli, dei commenti e dei comunicati con cortei e raduni di massa trascinanti e combattivi. Sembra – e forse è ben più di un’impressione – che le resistenze sociali alle nuove discipline capitalistiche del lavoro, all’impoverimento sempre maggiore di ampi settori della società e alla militarizzazione della legislazione penale nel segno delle emergenze, abbiano finalmente trovato un collante capace di unificarne gli intenti e di concentrarne gli sforzi. Così, per quanto nessuna ricomposizione di classe possa essere intravista all’orizzonte, nelle fasce sociali dove il disagio e la sofferenza sono più acute e diffuse, ossia nelle fasce sociali più o meno proletarie o proletarizzate, l’avversione nei confronti dello “stato di cose presente” viene politicizzato attraverso differenti forme di coinvolgimento nelle azioni di massa costruite e animate dalle organizzazioni palestinesi.

Occorre dissipare un possibile malinteso: non siamo di fronte a una delega triste e obliqua, a una falsificazione equivoca di compiti e di ruoli e, meno che mai, può essere maliziosamente sospettato uno spostamento sostitutivo di scopi, ascrivibile a fantomatiche dinamiche inconsce; quanto avviene è piuttosto il “riconoscimento” di una dimensione storico-mondiale della lotta dei palestinesi, di una radicalità in essa racchiusa, di una radicalità determinata da un’inevitabile frattura delle linee di espansione, di accumulazione e di conquista dell’imperialismo occidentale. La lunghissima, rinascente e multiforme guerra di popolo dei palestinesi contro le strategie concentrazionarie, le pulizie etniche e il terrore militare di Israele, è stata, infatti, l’ostacolo che ha spesso spezzato la traiettoria del riassetto neocoloniale del Medio Oriente, rendendo avvertibile la possibilità di una Rivoluzione socialista araba.

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Carlo Formenti: Le critiche d’un filosofo sovietico alle sinistre radicali occidentali

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Le critiche d’un filosofo sovietico alle sinistre radicali occidentali

Un dibattito del ’73 che aiuta a capire perché il capitale ha vinto

di Carlo Formenti

Filosofia della rivolta Prima.jpgAlcune settimane fa Alessandro Visalli, il quale era giunto a conoscenza della sua esistenza da un post su Internet, mi ha segnalato un libro del 1973: Filosofia della rivolta. Critica della sinistra radicale, del filosofo sovietico Eduard Jakovlevič Batalov. Il libro, uscito in edizione italiana qualche anno fa per i tipi della Anteo Edizioni, benché infarcito di refusi e tradotto malissimo (solo chi disponga di una buona conoscenza degli argomenti è in grado di afferrare il senso di certi passaggi al limite della incomprensibilità) è di indiscutibile interesse storico da vari punti di vista.

In primo luogo, perché questa analisi di un intellettuale russo dell’era brezneviana sulle sinistre radicali degli anni Sessanta in Occidente, permette di comprendere meglio con quali occhiali teorici e ideologici la cultura sovietica di allora osservasse la società tardo capitalista e i suoi conflitti di classe, le lotte del Terzo Mondo, le prospettive del movimento comunista e della rivoluzione mondiale, il tutto non molto prima di andare incontro alla propria dissoluzione. Poi perché, a mezzo secolo di distanza dalla sua stesura, il bilancio che Batalov traccia dei limiti della cosiddetta Nuova Sinistra e delle ragioni del suo fallimento (estendibile al fallimento dei “nuovi movimenti” che ne hanno raccolto l’eredità culturale e politica) anticipa una riflessione critica che, alle nostre latitudini, è maturata solo a partire dai primi del Duemila. Infine, perché è una lettura che aiuta a capire come i punti di vista dei soggetti criticati e il punto di vista di chi li critica, per quanto apparentemente opposti, condividessero una serie di elementi che hanno impedito a entrambi di prevedere e contrastare la controrivoluzione liberale che di lì a poco li avrebbe duramente sconfitti.

 

I bersagli critici di Batalov

Sul piano ideologico e filosofico, le critiche di Batalov puntano il dito in particolare contro il sociologo americano Wright Mills; contro i membri della scuola di Francoforte e il loro concetto di “dialettica negativa” (1),

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Andrea Sartori: Crescere su Marte. Su “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt

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Crescere su Marte. Su “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt

di Andrea Sartori

nvaeiougniJonathan Haidt è uno psicologo sociale che insegna alla Stern School of Business della New York University. La sua ricerca si concentra sugli aspetti psicologici del comportamento morale. Quest’ultimo è un campo d’indagine che riguarda quel che gli individui ritengono utile e di valore, e cosa essi fanno per vivere all’altezza dei propri orientamenti morali, ovvero di quel che gli individui ritengono utile e di valore, e di cosa essi fanno per vivere all’altezza dei propri orientamenti morali.

La generazione ansiosa del suo libro più recente, The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness (Penguin, New York, 2024) – in italiano per Rizzoli con il titolo La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli – è quella di chi si è affacciato all’adolescenza nei primi anni 10 del ventunesimo secolo (la cosiddetta generazione Z). In quegli anni, i social si sono imposti come imprescindibile e privilegiato veicolo del rapporto con gli altri, plasmando sul proprio codice comunicativo la mente dei giovani utenti, il modo in cui essi fanno esperienza del mondo e degli affetti – ecco il great rewiring a cui fa riferimento il sottotitolo dell’edizione inglese del libro, dalla cui versione ebook citiamo nel seguito di questo articolo.

Essere bambini e poi adolescenti negli anni dei social, sostiene Haidt, è come «crescere su Marte» (pp. 1-16), ovvero in un mondo non solo completamente diverso da quello a cui si era abituati, ma anche pericolosamente incline a flirtare con l’irrealtà, e con ideali tossici di comportamento e bellezza. È vero che l’industria tech – a partire dalla TV negli anni 50 – ha sempre cambiato la vita tanto degli adulti quanto dei bambini. Già nel 1965, ad esempio, Antonio Pietrangeli aveva diretto Stefania Sandrelli in un film, Io la conoscevo bene, che in maniera riflessiva e quasi meta-cinematografica si soffermava sui possibili pericoli rappresentati dai role models veicolati dal cinema e dalla pubblicità.

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Elena Basile: Un’Europa piccola piccola

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Un’Europa piccola piccola

di Elena Basile

Il corrispondente eterno da Bruxelles, una cariatide che ci diletta da decenni con articoli in cui si fa portavoce del politichese in grado di seppellire valori e ideali europei, sostenitore dell’austerità e dell’agenda Draghi, di tutti cioè i madornali errori commessi da una organizzazione internazionale piegata dalle logiche di potere, ci spiega ancora una volta quale sia il bene da perseguire. Il Commissario Fitto va votato anche se in questo modo si sdogana l’alleanza con la destra, si allarga il perimetro della Von der Leyen, perché il vero pericolo è costituito dalla Russia imperialista e dalla politica commerciale di Trump.

Naturalmente non offre ai lettori alcun dato e neanche un argomento per spiegare perché la Russia sia una minaccia imperiale. Sono dettagli questi! I progressisti non hanno bisogno di ragionare. Abboccano all’amo. Hanno bisogno di nemici per compattarsi nell’ottica di difendere la giusta via che va da Meloni alla Schlein.

La Russia in effetti ha un tasso demografico discendente, territori immensi e materie prime. Non ha alcun bisogno di conquiste territoriali. La guerra in Ucraina è stata provocata dall’espansionismo aggressivo della NATO, dal colpo di Stato di Piazza Maidan, dalla non applicazione degli accordi di Minsk, dalle provocazioni militari, con spedizioni punitive nel Donbass da parte dell’esercito ucraino che include il battaglione neo-nazista Azov.

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Gianandrea Gaiani: IRBM su Dnipro: la risposta di Mosca agli attacchi anglo-americani

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IRBM su Dnipro: la risposta di Mosca agli attacchi anglo-americani

di Gianandrea Gaiani

Non si è fatta attendere la risposta russa agli attacchi missilistici effettuati nei giorni scorsi dalle forze ucraine con il supporto anglo-americano con missili ATACMS e Storm Shadow su obiettivi situati nelle regioni di Bryansk e Kursk.

Ieri Mosca ha attaccato il territorio ucraino con una salva di missili diretti contro l’area industriale di Dnipro impiegando 7 missili da crociera KH-101, un ipersonico Kh-47M2 Kinzhal e un missile balistico a medio raggio (IRBM) inizialmente identificato dagli ucraini come un missile balistico intercontinentale (ICBM) RS-26 Rubez.

Un vettore sviluppato negli ultimi 20 anni, derivato dall’ICBM RS-24 Yars (che è più grande) e che sarebbe entrato da poco in servizio. Al suo primo impiego in contesti reali è stato concepito per imbarcare testate atomiche multiple (MIRV – Multiple Independently targetable Reentry Vehicles) e manovrabili ma sarebbe stato impiegato a Dnipro equipaggiato con testate esplosive convenzionali o forse addirittura privo di testata bellica, quindi a puro scopo dimostrativo.

Il missile sarebbe quindi stato utilizzato per mostrare i muscoli e una deterrenza che evoca il possibile impiego di armi atomiche in risposta ai missili anglo-americani che cadono sul territorio russo, in ossequio all’ultima revisione della dottrina nucleare russa.

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Antonio Castronovi: In morte della sovranità

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In morte della sovranità

di Antonio Castronovi

Dopo aver esalato l’ultimo sospiro in Ucraina, le spoglie della sovranità nazionale e costituzionale sono oggi trascinate nella polvere, private della sua anima e mercificate. Mentre assistiamo attoniti alla sua agonia e morte, i suoi carnefici, infatti, gonfi di “servo encomio”, la lodano e la utilizzano ad “usum delphini” in omaggio ai loro padroni. Cosa rappresenta infatti la levata di scudi del Presidente della Repubblica contro Elon Musk in difesa della nostra sovranità contro le ingerenze, più o meno inopportune, di un privato e ricco cittadino statunitense? Se non un omaggio del servo agli antichi padroni spodestati dal voto popolare negli USA? No. Questo non è un atto di coraggiosa difesa della nostra sovranità che ha ben altre minacce da cui difendersi e da cui non è difesa proprio dai suoi più illustri esponenti, garanti del vincolo esterno che ci rende succubi di istituzioni sovranazionali antidemocratiche e guerrafondaie come la NATO e la UE, e da trattati che hanno abrogato la nostra sovranità politica e nazionale, e in materia di sicurezza militare ed energetica.

E che dire degli esponenti del PD, vero “agente straniero”, al servizio dell’establishment euro-atlantico che riempe di vergogna la storia, pur con tutti i suoi limiti, del PCI di cui si dichiara erede? E che dire poi della sinistra psichiatrica che si strappa le vesti per la sconfitta di Kamala Harris e per la vittoria di Trump? Per non dire della sinistra pacifinta refrattaria al riconoscere le vere cause della guerra e delle ragioni della Russia, prigioniera della soviettofobia e russofobia non per difetto di comprendonio ma per pregiudizi ideologici?

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Eduardo Bellando: “L’economia cinese contemporanea”: l’ultima ricerca di Alberto Gabriele

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“L’economia cinese contemporanea”: l’ultima ricerca di Alberto Gabriele

di Eduardo Bellando

Il punto di partenza del libro di Alberto Gabriele* è lo straordinario sviluppo economico della Cina. Alla fine degli anni Settanta il prodotto interno lordo cinese era simile a quello indiano e circa un ventesimo di quello degli Stati Uniti; nel 2022 era passato a essere quasi l’80% di quello degli Stati Uniti e più di cinque volte quello dell’India.

Questo successo è dovuto, dice Gabriele, al peculiare modello cinese – un inedito ed efficace sistema socioeconomico che fornisce un’alternativa al modello occidentale. Per Gabriele, la Cina rappresenta una “formazione socioeconomica mista”: sia il socialismo che il capitalismo coesistono insieme ad altri modi di produzione, in una combinazione complessa e in continua evoluzione, in cui il modo di produzione socialista è dominante, ma quello capitalista è presente e svolge una funzione indispensabile. La Cina è perciò il primo esempio – insieme al Vietnam – di una nuova classe di formazioni socioeconomiche in alternativa al capitalismo.

Il successo della Cina è dovuto, dice Gabriele, a due pilastri della sua economia che vengono esaminati in dettaglio: la struttura delle imprese produttive e il sistema nazionale di innovazione. La prima parte del libro analizza la natura e l’evoluzione delle imprese produttive, in particolare le trasformazioni della loro struttura proprietaria. La seconda esamina le principali caratteristiche del dinamico sistema di innovazione.

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