Rassegna 03/12/2024
Fabio Vighi: Prove tecniche di tempesta perfetta
Prove tecniche di tempesta perfetta
di Fabio Vighi
‘Noi siamo’ egli disse ‘pensieri nichilisti, pensieri di suicidio, che affiorano nella mente di Dio’ (Max Brod da una conversazione con Kafka).
In una delle scene più spesso citate del film Night Moves (Bersaglio di notte, 1975) di Arthur Penn,troviamo Gene Hackman (l’investigatore privato Harry Moseby) seduto nel suo studio davanti a un piccolo televisore in bianco e nero, mentre guarda svogliatamente una partita di football americano. Quando la moglie entra e gli chiede “Chi sta vincendo?”, lui borbotta, “Nessuno. Una squadra perde più lentamente dell’altra”. Il merito di Night Moves, e di altri film della New Hollywood, è stato l’aver intuito che la crisi degli anni ’70 era integrale al crollo terminale del modello di socializzazione capitalista: una debacle insieme socioeconomica, culturale e psicologica che da qualche anno è entrata nella sua fase più calda (che questa volta Hollywood ha deciso di rimuovere).
Dopo un paio di decenni di collasso al rallentatore, la turbo-accelerata implosiva degli ultimi anni prevede ora una condizione di destabilizzazione permanente – le forever wars. Si tratta, innanzitutto, di un cambio di narrazione che assomiglia al disturbo delirante-paranoico di chi vede ovunque un “nemico alle porte” e un’“invasione imminente”. In realtà, è banale e vigliacca ideologia. Quando i burocrati della Fortezza Europa sostituiscono decenni di promesse di eterno benessere con il kit di sopravvivenza per giovani marmotte (il patetico invito a prepararsi a “72 ore di autosufficienza”), i sudditi dovrebbero ribellarsi, in primis, contro la solenne presa per i fondelli.
Ora che la pantomima elettorale USA è finalmente terminata (con la vittoria del candidato preselezionato da Wall Street) probabilmente cominceranno i fuochi d’artificio – magari innescati da qualche missile occidentale a lungo raggio fatto lanciare su territorio russo. Nel frattempo, continua l’estasi speculativa: i mercati USA stracciano record su record, trainando Bitcoin e tutto il cripto-spazio sponsorizzato da Trump; che, ricordiamolo, è l’uomo dei tassi negativi, e che dunque farà qualsiasi cosa pur di inondare le banche di easy money e spingere la ricchezza sempre più in alto, alla faccia di quella working class impoverita che lo ha votato al grido di MAGA.
Pier Paolo Caserta: I tre livelli dell’ideologia. Contro la guerra tra i sessi
I tre livelli dell’ideologia. Contro la guerra tra i sessi
di Pier Paolo Caserta
Prima parte
Le ideologie possono essere analizzate facendo riferimento a tre livelli interfunzionali, che si chiariscono e si rafforzano a vicenda.
In primo luogo, tutte le ideologie hanno sempre avuto una vetrina attraente necessaria a compattare e aggregare attorno a sé, ingenerando persuasione. A questo livello esterno è affidato il compito di produrre e di diffondere le parole d’ordine.
Il livello più interno e profondo è formato dal nocciolo duro che costituisce la materia sulla quale le ideologie lavorano effettivamente, plasmando la coscienza degli individui e la loro rappresentazione della realtà.
La cintura esterna espone l’individuo-massa a contenuti palesi, mentre il nucleo interno ha carattere implicito, ma è proprio su questo che viene compiuto tutto il lavoro di modellizzazione dell’immaginario.
Il livello esterno, come ho detto, è popolato delle parole d’ordine dell’ideologia. È, in altri termini, il livello delle sfere discorsive, al quale sono affidati persuasione e reclutamento. Tra queste sfere discorsive, particolare importanza rivestono gli “incipit”, cioè punti di avvio che assolvono al compito fondamentale di incanalare il discorso pubblico sui binari lungo i quali proseguirà nella direzione e con il formato previsti, in modo quasi automatico, seguendo stilemi discorsivi replicabili. Il catechismo dell’ideologia ha un bisogno fondamentale di questi “attacchi” rigidi. Sono, per esempio, tipici incipit dell’ideologia liberal e politicamente corretta: “C’è ancora molta strada da fare”, “è un problema di mentalità/culturale” ecc. Proprio in quanto avviano il discorso secondo logiche preimpostate e linee argomentative univoche, gli incipit hanno anche la funzione precipua di escludere altre sfere discorsive che si aprirebbero verso narrazioni alternative, e che devono essere inabissate nel silenzio, sprofondate nella notte dell’invisibilità e della non-rappresentanza. Per esempio, l’incipit discorsivo “è una questione di mentalità” serve a prevenire e obliare la tesi alternativa che il problema sia, invece, economico e di classe – e, quindi, sostanzialmente non di genere. I diversi tasselli delle sfere discorsive si tengono evidentemente insieme.
Dante Barontini: La cura del linguaggio/4. “Non si può equiparare Israele e Hamas”
La cura del linguaggio/4. “Non si può equiparare Israele e Hamas”
di Dante Barontini
Ogni tanto è indispensabile fermarsi e ragionare. Viviamo in tempi di guerra, non esiste più alcuna informazione “neutrale”, l’”obiettività” latita, la professionalità – tranne rare eccezioni cui proviamo a dar riconoscimento – è un lontano ricordo o un alibi.
La propaganda di guerra è una macchina potente, articolata, internazionale. Non è “geniale” – quelli che, “a sinistra”, piangono sulla presunta “scarsa capacità di comunicazione” dicono sciocchezze – ma è la potenza di fuoco a decidere, non la finezza dell’eloquio o dell’argomentazione. Se si controllano tutti i media principali (tv, quotidiani, ecc) il vantaggio strategico è evidente.
Consapevoli che anche queste nostre considerazioni saranno facilmente sommerse dal mare di merda che i media mainstream vomitano h24, proviamo comunque a fornire un piccolo contributo di chiarificazione che può essere utile a chi, nel discutere in mezzo alla classe, deve districarsi tra parole che sembrano aver un significato universale, ma in realtà sono sempre il contrassegno di un’ideologia posta a difesa di interessi e di un rapporto di forza che ha il terrore di esser rovesciato.
Non è la prima volta che lo facciamo, e i risultati in qualche misura ci confortano…
L’innovazione linguistica più usata in questi giorni è stata elaborata per minimizzare – se non rovesciare – l’impatto politico-mediatico dei mandati di cattura emessi calla Corte Penali Internazionale contro Netanyahu, Gallant e uno dei pochi capi militari di Hamas forse ancora in vita.
E’ fin troppo evidente che il dover considerare due “buoni” per definizione come “ricercati in tutto il mondo” costringe tutti i governanti e i gazzettieri occidentali a giri di parole molto simili alla lotta nel fango. anche perché viene a crollare tutto l’edificio narrativo eretto a garanzia della “superiorità morale” delle “democrazie occidentali”.
E quindi analizziamo la frase di moda, con le sue pochissime varianti.
Carla Filosa: Netanyahu il “semita”
Netanyahu il “semita”
di Carla Filosa
“Antisemitismo” è l’escamotage con cui ipocritamente si prova a liberarsi in versione vittimistica di ogni responsabilità penale e politica, in un ritornello reiterato contro chiunque attenti all’arbitrio impunitario del proprio potere garantito dall’unico dio: il Denaro.
Se fosse l’unico semita sulla terra, è vero, Netanyahu avrebbe ragione ad accusare di antisemitismo tutti quelli che lo incolpano di crimini di guerra, e di molto altro. Purtroppo per lui non è il solo, e soprattutto è solo lui il responsabile del sentimento di solidarietà mondiale nei confronti di popolazioni palestinesi, ora anche libanesi, arabe in genere, massacrate senza sosta proprio dai suoi ordini interessati.
Che ciò induca al semplicistico sentimento di avversione all’“ebreo” vicino di casa, è poi frutto di una sottocultura che identifica un soggetto politico con la sua identità nazionale, di gruppo sociale o etnico che si voglia chiamare, di appartenenza religiosa, ecc. In tale miopia intellettuale non si arriva a comprendere che un criminale è un criminale, e solo in quanto tale va politicamente perseguito, per la sua intrinseca pericolosità sociale. Se poi per assurdo Netanyahu fosse l’unico semita, mai dovremmo sentirci di essere antisemiti – che tra l’altro non ha alcun significato identitario di appartenenza genomica o altro – ma coscientemente partigiani contro la corruzione, l’inganno e l’abuso di potere, l’assassinio legalizzato, la tortura occultata, la guerra legittimante la predazione, la vendetta che giustifica l’arbitrio, l’impunità del privilegio, ecc., tutti ingredienti necessari che caratterizzano questo sistema.
Fulvio Grimaldi: Francia, Regno Unito, Italia e altri alla pugna
Francia, Regno Unito, Italia e altri alla pugna
di Fulvio Grimaldi
♦Guerra fatta capo ha
“CALEIDO”, Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=DzhWSZtJpOI
♦Fulvio Grimaldi
“ARRESTATE NETANIAHU E GALLANT!”
Regia di Leonardo Rosi
https://www.youtube.com/watch?v=oKiDnQ9B8yo
♦Qui Radio Londra TV – https://www.quiradiolondra.tv/live/ “Mondocane e… punto!”
Martedì e Venerdì alle 20.00
Le forze che manovrano il vecchio rintronato guerrafondaio, demente fin da quando risultava sveglio e si agitava a favore di ogni guerra dal Golfo in poi, la guerra la vogliono fare a tutti i costi. Ne va della sopravvivenza dell’ultimo impero, del suo avamposto genocida in Medioriente, della sua Casa del Piacere a Bruxelles.
Gregor Fitzi: Coalizione dei perdenti
Coalizione dei perdenti
di Gregor Fitzi*
Nonostante la crescente resistenza nel paese, il Presidente francese Emmanuel Macron stringe un’alleanza di fatto con il partito di estrema destra di Marine Le Pen. Cosa spera di ottenere?
Appena insediato, il nuovo governo francese guidato dal primo ministro Michel Barnier ha già subito un primo voto di sfiducia l’8 ottobre. A chiederlo è stato il Partito Socialista, a nome dell’alleanza di sinistra del Nouveau Front Populaire. Si conclude così la turbolenta fase politica iniziata con le elezioni anticipate del 30 giugno e del 7 luglio 2024. Contrariamente a tutte le previsioni dei sondaggisti, che avevano indicato come vincitore il partito di estrema destra Rassemblement National, l’alleanza di sinistra ha sorprendentemente vinto le elezioni, ottenendo la maggioranza relativa dei deputati.
In qualsiasi democrazia parlamentare, il Presidente della Repubblica avrebbe incaricato la candidata del Nouveau Front Populaire alla carica di Primo Ministro, Lucie Castets, di formare un nuovo governo. Se non avesse superato il voto di fiducia, si sarebbero potute cercare altre soluzioni. Non così in Francia, il cui sistema presidenziale conferisce al presidente ampie prerogative e gli consente di nominare un governo, senza tenere conto del risultato elettorale. Così il presidente Macron ha inizialmente preso tempo fino alla fine dei Giochi Olimpici. Poi, nel corso di lunghe consultazioni, si è reso conto che il Rassemblement National non era contrario a tollerare un governo di minoranza composto dal suo partito: Ensemble pour la République e dai resti del partito gollista Les Républicains.
Paolo Perulli: Aresu: i signori delle macchine
Aresu: i signori delle macchine
di Paolo Perulli
“Il signore delle macchine è il servo. La sua sottomissione è il suo dominio. Non per organizzarsi politicamente per diventare signore. Figuriamoci. Tutto ciò serve per continuare a dominare, da servo. Tutto ciò serve per far giungere alla sua corte un numero sempre più ampio di clienti, che esercitano costantemente la loro creatività da progettisti, che sono soddisfatti della continua riproduzione, con la massima precisione e senza errori, di tutte le loro idee, pronte per essere impacchettate e spedite da Taiwan a qualsiasi angolo del pianeta. “Il miglior fabbro”.”
Dove siamo? Nelle pagine di Hegel rilette da Kojève? In un romanzo di fantascienza tipo Dune? In margine a una dedica colta, come quella di T.S. Eliot a Ezra Pound?
Un po’ in tutto ciò, e anche in altro. Siamo nell’ultimo libro sterminato, 560 pagine, di Alessandro Aresu. Il titolo, Geopolitica dell’intelligenza artificiale (Feltrinelli 2024) già colpisce perché mette insieme due mondi apparentemente distanti. Le potenze del capitalismo politico, USA e Cina, si scontrano per il dominio sui microprocessori, chiave di volta dell’industria moderna. Li faceva Intel, americana, li fa ora TSMC, taiwanese. I cinesi non stanno a guardare. Da quei microchips dipende il funzionamento di ogni macchina, anche delle macchine sapienti dell’Intelligenza Artificiale. Il libro ne traccia l’origine e il destino, l’approccio non è tecnologico ma filosofico. Allievo di Massimo Cacciari cui il libro è dedicato, Aresu ha lasciato la filosofia (anni fa un bel testo di filosofia della navigazione era stato il suo esordio) per la geopolitica, di cui è esperto consulente di Limes.
International Labour Organization: Palestina. La situazione dei lavoratori dei Territori Arabi Occupati: Gaza, Cisgiordania e Golan
Palestina. La situazione dei lavoratori dei Territori Arabi Occupati: Gaza, Cisgiordania e Golan
di International Labour Organization (ILO)*
Morti, feriti e devastazione: cosa significherà a lungo termine? Un durissimo Rapporto dell’International Labour Organization fotografa l’annientamento dell’economia e del mercato del lavoro a Gaza, in Cisgiordania e nel Golan e mostra come la distruzione non sia iniziata il 7 ottobre 2023 e non finirà con il cessate il fuoco: sono terre nelle quali Israele si è strutturato per rendere sempre più difficile la sopravvivenza ai palestinesi e spingerli ad andarsene
45.000 palestinesi morti e 95.000 feriti a Gaza, al 10 settembre 2024. Un bollettino tenuto costantemente aggiornato, insieme alla portata della distruzione causata dai bombardamenti e dalle incursioni via terra dell’esercito israeliano. Ciò su cui ci si focalizza meno è cosa significherà tutto questo a lungo termine. È quel che fa questo Rapporto dell’International Labour Office, presentato a giugno 2024, partendo dalla situazione del lavoro e dei lavoratori non solo di Gaza, ma di tutti i Territori Arabo/Palestinesi Occupati, ossia anche Cisgiordania e Golan. È una situazione di cui non si può avere contezza della portata se non si analizzano i dettagli e i numeri, e questo documento li contiene.
Veniamo così a sapere, per citare appena alcune realtà fotografate dal Report, che a Gaza il PIL è crollato dell’81% e la disoccupazione è all’89%; che l’80% degli stabilimenti commerciali, industriali e dei servizi è stato danneggiato o distrutto, causando la chiusura delle attività economiche; che la produzione agricola è cessata perché Israele sta “radendo al suolo tutte le strutture, compresi i campi agricoli e le serre, e creando una zona cuscinetto lungo la recinzione di confine tra Israele e Gaza che dovrebbe essere larga fino a un chilometro e occupare circa il 16% della superficie dell’enclave”, mentre anche pesca e acquacoltura sono crollate perché “nessuna imbarcazione nel porto di Gaza è rimasta utilizzabile e le gabbie per la piscicoltura, le attrezzature per la pesca e gli impianti per la produzione di ghiaccio per preservare il pescato sono stati distrutti durante i bombardamenti all’inizio della guerra”: una condizione che ha contribuito alla carestia e all’attuale crisi alimentare.
Anche in Cisgiordania l’economia e il lavoro sono franati. Prima della guerra, 140.000 palestinesi della Cisgiordania erano impiegati in Israele e altri 40.000 negli insediamenti israeliani: la maggior parte ha perso il lavoro a causa della chiusura dei valichi di frontiera operata da Israele.
Danilo Silvestri: De-dollarizzazione, BRICS e il significativo esperimento cinese
De-dollarizzazione, BRICS e il significativo esperimento cinese
di Danilo Silvestri*
La decisione del Ministero delle Finanze cinese del 5 novembre scorso di emettere titoli di Stato denominati in dollari proprio in Arabia Saudita avviene in un momento storico significativo. Non solo perché segue immediatamente il XVI Summit BRICS di Kazan (22-24 ottobre) e coincide con le elezioni americane (5 novembre), ma anche perché questa decisione rivela alcune atipicità significative per il sistema internazionale nel suo insieme.
Partiamo dal contesto: durante il Summit di Kazan si è discusso ampiamente dei deficit strutturali del sistema finanziario globale, sono state avanzate alcune possibili soluzioni e si è anche fatto riferimento alla necessità di superare la centralità del dollaro statunitense quale valuta di riferimento per la comunità internazionale. La de-dollarizzazione, cioè il progressivo abbandono del dollaro, è una delle sfide più significative per la comunità internazionale, e vede i BRICS in prima linea in questo processo.
Per capire perché questo evento sia così interessante, procederemo a ritroso. Dopo aver illustrato le ragioni della sua atipicità, presenteremo alcune ipotesi per il sistema internazionale e la posizione che potrà assumere, in questo contesto, la Cina. Dopodiché, confronteremo la posizione cinese con il ruolo effettivo giocato dagli Stati Uniti nel sistema finanziario internazionale, per poi affrontare il problema da un punto di vista strutturale, soffermandoci sul significato della centralità del dollaro e sugli squilibri che ciò comporta per l’intero sistema. Infine, tenteremo di delineare quali scenari futuri potrebbero aprirsi a partire da questo fatto passato, per lo più, inosservato.
Cosa c’è di atipico?
Con la sua operazione, la Cina ha raccolto 2 miliardi di dollari emettendo, in Arabia Saudita, titoli di Stato con scadenza a tre e cinque anni, rispettivamente a uno e tre punti base (cioè: 0.01-0.03%) in più rispetto ai titoli del Tesoro statunitense. Per questa prima emissione di obbligazioni in dollari dal 2021, la Cina ha ricevuto offerte per oltre 40 miliardi di dollari, venti volte l’importo emesso, indicando una domanda estremamente elevata per i suoi titoli.
Giancarlo Scarpari: La Corte nel mirino
La Corte nel mirino
di Giancarlo Scarpari
Nel maggio del 1950, in un articolo dal titolo emblematico, Difendiamoci dal comunismo, don Luigi Sturzo aveva indicato alla Dc la linea da seguire per stabilire le modalità di nomina dei giudici della Corte costituzionale, la cui legge istitutiva era allora in discussione. Il messaggio era chiaro: «I comunisti, finché stanno all’opposizione non hanno diritto di partecipare all’amministrazione dello Stato e degli organi e degli enti» e, di conseguenza, non si potevano eleggere i cinque giudici di nomina parlamentare col sistema del Regolamento della Camera, che prevedeva l’assegnazione di due posti alla minoranza.
L’iter della legge era stato sofferto, perché, come ricordava Calamandrei su questa rivista[nota 1], vi erano stati quattro «viaggi di andata e ritorno» tra Camera e Senato per via degli emendamenti introdotti in relazione alla nomina dei giudici che dovevano essere scelti dal Parlamento e dal capo dello Stato.
Sulla base dell’indicazione di Sturzo, l’on. Riccio (Dc) aveva proposto che per l’elezione dei giudici eletti dal Parlamento fosse sufficiente la maggioranza semplice, per cui, scavalcando il Regolamento, tutti i giudici sarebbero stati nominati dalla coalizione di governo; poi per la massiccia opposizione dei partiti di sinistra e l’insostenibilità manifesta di questa posizione radicale, era stato deciso che la maggioranza necessaria doveva essere “qualificata”, almeno nella misura dei 3/5. Con i numeri allora esistenti in Parlamento, il governo non aveva la possibilità di eleggere tutti i giudici, ma con la prevista vittoria alle elezioni questo non sarebbe stato più un problema, vista l’entità numerica del premio.
Com’è noto, infatti, la legge elettorale varata in vista delle elezioni del giugno del 1953 prevedeva una distorsione dei principi della rappresentanza, in quanto stabiliva che la coalizione che avesse ottenuto il 50% più 1 dei voti avrebbe ottenuto il 65% dei seggi e cioè 380, mentre alle altre liste ne sarebbero spettati solo 209: per una simile maggioranza e con il contributo di alcuni volonterosi “soccorritori”, sarebbe stato perciò agevole raggiungere i 3/5 necessari dei parlamentari per nominare tutti i giudici di suo gradimento.
Alfonso Gianni: L’oligarchia tecnocratica al potere negli Usa. La risposta dei Brics
L’oligarchia tecnocratica al potere negli Usa. La risposta dei Brics
di Alfonso Gianni
La rivincita di Trump è stata brutale, per le modalità con cui è stata conseguita e per le sue dimensioni. C’è chi più cortesemente l’ha definita eccezionale, riferendosi soprattutto al fatto che solo un’altra volta un ex presidente americano è stato rieletto. Ma era accaduto più di cent’anni fa, precisamente nel 1893, un’altra epoca storica, quando il democratico Grover Cleveland ritornò nello studio ovale, dopo che per quattro anni vi si era insediato il repubblicano Benjamin Harrison.
Questa volta abbiamo avuto un ex presidente che non solo non ha voluto mai riconoscere l’esito delle elezioni del 2020, ma ha incitato all’assalto del Campidoglio a Washington nel giorno in cui il Congresso si apprestava a registrare la vittoria di Biden, lasciando sul terreno cinque morti (un agente e quattro manifestanti), spavaldamente sicuro della sua impunità; ha capitalizzato in campagna elettorale gli effetti degli attentati subiti – o ritenuti tali – esponendo il suo corpo leggermente ferito come una promessa di vittoria e una minaccia per i perdenti; ha rovesciato un numero incredibile di insulti sui suoi antagonisti e persino su settori dell’elettorato a cui pure sarebbe andato a chiedere il voto.
Eppure tutto questo è stato spazzato via come d’incanto dalla vittoria elettorale, così come sono stati ridicolizzati i sondaggi che fino all’ultimo prevedevano un testa a testa fra i due candidati, che non c’è mai stato. Insieme a tutto ciò sono state affossate le illusioni dei democratici, che le elezioni di Mid-term dell’8 ottobre del 2022 avevano tutto sommato premiato, permettendo loro di guadagnare quel seggio che gli dava la maggioranza al Senato e contenendo la perdita alla Camera, solo nove eletti in meno. Tanto più che si trattava di una cosa insolita, visto che quelle elezioni hanno avuto perlopiù esiti in controtendenza rispetto al partito del presidente in carica.
Pierluigi Fagan: La postura americana
La postura americana
di Pierluigi Fagan
Trump sembra voler dar seguito a quanto ha accennato in campagna elettorale, ricostruire la temibilità americana. Trump si è più volte lamentato del fatto che nessuno prendeva più sul serio l’America, tutti se ne approfittavano erodendone il potere. Da qui anche l’idea di non impelagarsi più direttamente in guerre e guerrette in prima persona, non un pacifismo isolazionista, semmai la consapevolezza che quando l’America va “boots on the ground” tutto fa meno che paura terrorizzante, oltre a costare un sacco di soldi.
La minaccia scava più a fondo in termini di paura poiché risuona nella mente dell’impaurito.
In questi giorni assistiamo alla classica ventata brividosa di “timore e tremore” con i missili a lunga gittata americani e Putin che sfoggia ipersonici, scandinavi che mandano avvisi alla popolazione di comprare ragù in scatola e pillole allo iodio e delirio pre-atomico a cui, tutti, un quarto d’ora credono tanto e un quarto d’ora dopo, meno.
Analizzando la questione con sangue raffreddato, pratica consigliata nel trattare le questioni internazionali, di Biden si poteva dire con certezza che: 1) aveva perso la Camera; 2) aveva perso il Senato; 3) aveva perso la Presidenza. Certo, la legge americana prevede più di due mesi di transizione in cui l’ex-Presidente ha i poteri di routine ma per tradizione di buonsenso e senso sostanziale politico, non dovrebbe certo prendere una decisione così grave e pesante come quella che ha preso (e che ha rimandato e non voluto prender per mesi quando ancora pienamente in carica) sui missili, sostanzialmente de-legittimato, sapendo benissimo come intendeva sviluppare la questione russo-ucraina il suo successore. Anche dopo le più di due ore di affettuoso colloquio tra i due alla Casa Bianca dopo le elezioni.
Luka Petrilli: La vittoria di Trump non deve sorprendere
La vittoria di Trump non deve sorprendere
di Luka Petrilli
La vittoria di Donald Trump non dovrebbe essere letta come un evento isolato o eccezionale, ma come il prodotto di una trasformazione profonda che attraversa l’Occidente, una metamorfosi culturale, politica ed economica di cui bisogna comprendere i meccanismi e le implicazioni. Al centro di questa trasformazione si trova una nuova narrazione della destra, capace di raccogliere il consenso di chi si sente escluso dalle promesse del progresso e della globalizzazione, ma anche di proporre un mito alternativo che sfida le fondamenta delle democrazie liberali moderne.
In questo contesto, il libro Elegia Americana[1], di J.D. Vance, – vicepresidente della futura amministrazione Trump – assume un significato che va oltre il suo semplice contenuto autobiografico. Il libro, manifesto dell’America dimenticata, rappresenta uno strumento per comprendere l’ascesa di Trump e la direzione verso cui la nuova destra sta orientando il dibattito culturale. Ma la questione non si limita al racconto di Vance: è necessario analizzare anche il substrato intellettuale e strategico che alimenta questa destra, incarnato da figure come Peter Thiel, Curtis Yarvin (alias Mencius Moldbug) e Nick Land.
Solo così è possibile tracciare un quadro critico e delineare la necessità di una narrazione alternativa.
Piccole Note: Ucraina: la guerra per procura è finita, inizia la guerra globale
Ucraina: la guerra per procura è finita, inizia la guerra globale
di Piccole Note
In risposta ai missili a lungo raggio, la Russia usa il missile ipersonico Oreshnik. Putin ha avvertito che la guerra ora è globale. Il Segretario della Nato Rutte vola da Trump
“Ci consideriamo nel diritto di usare le nostre armi contro le strutture militari di quei paesi che consentono l’uso delle loro armi contro le nostre strutture”. Questo il passaggio più importante del discorso con cui ieri Putin ha commentato il lancio del missile ipersonico Oreshnik contro un impianto industriale di Dnipro, che secondo i russi produceva missili. Un vettore che non può essere intercettato da nessun sistema difensivo del mondo, ha precisato lo zar per far comprendere meglio il messaggio.
La guerra globale
Dopo l’utilizzo di missili a lungo raggio ATACMS e Storm Shadow contro il territorio russo, ha specificato Putin, “il conflitto regionale in Ucraina […] ha acquisito elementi di carattere globale”. Insomma, la guerra per procura dell’Ucraina sostenuta dalla Nato contro la Russia è finita ed è iniziato un conflitto diretto tra Mosca e la Nato.
D’altronde, Putin lo aveva detto chiaramente lo scorso settembre, mentre si stava decidendo di dare luce verde agli attacchi di Kiev in territorio russo con i missili a lungo raggio della Nato (richiesta allora negata).
Roberto Iannuzzi: Trump ha davvero una visione di pace?
Trump ha davvero una visione di pace?
di Roberto Iannuzzi
Trump ha promesso di porre fine alle guerre. Ma volersi sottrarre a un conflitto non è sufficiente a evitarlo. L’America è paralizzata dall’incapacità di rinunciare al ruolo di potenza egemone
Sarebbe fin troppo facile sparare a zero contro l’entrante amministrazione Trump, accodandosi ai grandi giornali della stampa americana che già hanno lanciato l’allarme sui disastri che essa provocherà.
Far ciò significherebbe ignorare sia il fallimento dei democratici, e più in generale dell’establishment politico degli ultimi decenni (i primi responsabili dell’affermazione del magnate repubblicano), sia le grandi aspettative che circa metà della popolazione statunitense nutre a seguito della sua vittoria.
Piaccia o meno, una consistente fetta di americani ha vissuto il trionfo di Trump come una liberazione da un regime oppressivo sul fronte interno nei confronti di tutti coloro che non vi si riconoscevano, e impegnato in guerre inutili quanto costose e fallimentari all’estero.
Costoro vagheggiano una sorta di rinascita americana che dovrebbe essere frutto del reindirizzamento delle energie e delle risorse del paese verso la rifondazione interna, lontano da avventurismi e da ogni ossessione egemonica all’estero.
Eleggendo Trump, essi hanno votato forse l’unica alternativa possibile all’establishment consolidato che un sistema elettorale datato e colmo di imperfezioni consentiva loro di scegliere.
coniarerivolta: Non è una manovra per donne
Non è una manovra per donne
di coniarerivolta
La legge di bilancio 2025 del Governo Meloni può essere descritta in maniera molto semplice: una serie di tagli feroci e politiche restrittive, mascherati da una fitta coltre di bugie e chiacchiere. Queste sforbiciate alla spesa pubblica, che superano gli 11 miliardi di euro nei prossimi anni, colpiranno direttamente servizi pubblici fondamentali come sanità, istruzione e welfare locale, compromettendo ulteriormente il benessere delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Impatto sugli Enti Locali
I tagli previsti per gli enti locali sono particolarmente significativi e superano i 4 miliardi di euro nel triennio. Non stiamo parlando qui di cifre su un foglio di bilancio, ma di minori risorse per regioni e comuni, i principali fornitori di servizi ai cittadini. Il settore scolastico subirà drastiche riduzioni, con una perdita stimata di oltre 5.600 posti di lavoro per docenti e circa 2.174 per il personale ATA. Nonostante l’inizio dell’anno scolastico sia ancora cosa recente, il Governo pare essersi dimenticato delle condizioni pietose del sistema di istruzione pubblico che i giornali denunciano ogni volta che arriva settembre. A rendere le cose ancora più odiose, occorre ribadire che i tagli in questo settore non rappresentano solo un assalto ai posti di lavoro, ma sono anche un attacco diretto alla qualità dell’istruzione di chi muove i primi passi nel suo percorso di formazione.