Rassegna 20/12/2024
Enrico Tomaselli: Sulle prospettive per la Siria
Sulle prospettive per la Siria
di Enrico Tomaselli
L’evoluzione della situazione siriana è inevitabilmente destinata a introdurre elementi di novità, non necessariamente previsti – e che, probabilmente, possono aiutare a comprendere alcune posizioni attualmente assunte da parte di soggetti coinvolti.
Le questioni fondamentali sono essenzialmente due. La prima, è la partizione in atto nel paese, in almeno tre macro aree cantonali: quella occidentale, sotto il controllo dell’HTS, quella orientale, sotto il controllo delle forze curde, e quella meridionale, sotto controllo israeliano. Questa cantonizzazione della Siria fa ovviamente gioco sia agli USA che a Israele, perché non solo mina l’unità del paese arabo, ma rafforza la presenza politica e militare di entrambe nella regione. Ma taglia fuori dai giochi la Turchia, che si ritrova ad avere la stabilizzazione di un Kurdistan siriano ai propri confini, e per di più come protettorato statunitense.
Come risulta evidente dai primi passi, Al-Julani risponde chiaramente assai più agli interessi anglo-americani (suoi veri sponsor) che non a quelli turchi; i segnali pacificatori verso Israele da un lato (nonostante la massiccia campagna di bombardamenti in atto, che non accenna a finire), e l’apertura alla collaborazione, anche governativa, con le SDF, indicano chiaramente l’allineamento del potere islamista con i disegni americani.
Del resto, e per più di una ragione, Washington intende esercitare la sua influenza sul nuovo governo siriano, ma il suo alleato di riferimento restano (almeno per il momento) i curdi. I nodi da risolvere, in questo quadro, sono ovviamente i margini di autonomia che le SDF riusciranno a ritagliarsi, anche considerando che otterranno dei ministri nel governo nazionale (altra cosa destinata a irritare non poco Ankara…), e – parallelamente – come verrà risolta la questione del disarmo delle milizie (pretesa da Al-Julani). Considerato il prevalere degli interessi statunitensi, è probabile che entrambe le questioni siano risolte nel quadro di una qualche autonomia regionale, nell’ambito della quale le milizie curde diventano le forze armate territoriali.
Wolfgang Streeck: Globalismo contro democrazia
Globalismo contro democrazia
di Wolfgang Streeck
Con l’avvento del globalismo neoliberista, la democrazia, come mezzo per l’intervento politico egualitario nell’economia, è caduta in discredito. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, sono state le élite ad aprire la strada a questo processo. Vedevano la democrazia, tecnocraticamente, come “poco complessa” a fronte della “accresciuta complessità” del mondo; propensa com’era a sovraccaricare lo Stato e l’economia, oltre a essere politicamente corrotta a causa della sua riluttanza a insegnare ai cittadini “le leggi dell’economia“. Secondo tale linea di pensiero, la crescita non proviene dalla redistribuzione dall’alto verso il basso: da incentivi più forti al lavoro, ma dal basso verso l’alto: in quella che è l’estremità inferiore della distribuzione del reddito, attraverso l’abolizione dei salari minimi e la riduzione delle prestazioni di sicurezza sociale; e nella fascia più alta, per contro, attraverso migliori opportunità di profitto e di guadagno, sostenute da una minore tassazione. Il processo che sottendeva a tutto questo era una transizione verso un nuovo modello di crescita, hayekiano, destinato a sostituire il suo predecessore keynesiano, nell’ambito della rivoluzione neoliberista. Come avviene per ogni dottrina economica, queste idee devono essere intese come rappresentazioni camuffate di vincoli e opportunità politiche derivanti da una distribuzione storicamente contingente del potere, travestite da manifestazioni di leggi “naturali“. La differenza è che nel mondo hayekiano la democrazia non appare più come una forza produttiva, ma come una macina al collo del progresso economico. Per questo motivo, l’attività distributiva spontanea del mercato deve essere protetta dall’interferenza democratica di ogni tipo di muraglia cinese o, meglio ancora, sostituendo la democrazia con la “governance globale“. La disintegrazione del modello standard del capitalismo democratico nel bel mezzo dell’avanzare della globalizzazione, è stata molto analizzata. Nel corso di circa due decenni, dalla scomparsa del comunismo sovietico, il neoliberismo ha fatto un ritorno sorprendente: Hayek, a lungo ridicolizzato e deriso in quanto leader di un culto settario, ha eclissato figure importanti degli affari mondiali, come Keynes e Lenin.
Nico Maccentelli: Letture per sistemarvi per le feste
Letture per sistemarvi per le feste
di Nico Maccentelli
Nelle prossime settimane c’è chi avrà un po’ di tempo da passare per sé. Per questo ho pensato di consigliarvi alcune letture che spaziano dalla narrativa alla saggistica. Quattro opere non troppo impegnative, ma che squarciano il velo della narrazione mainstream su una serie di argomenti che sono d’attualità da decenni.
Iniziamo con un libro che è stato presentato a Villa Paradiso la scorsa settimana e che racconta delle torture che dei compagni del collettivo politico autonomo della Barona, un quartiere di Milano hanno subito dalla polizia, dell’ignavia complice della magistratura, a seguito delle indagini sull’uccisione del gioiellere Torreggiani, di cui come chi co segue sa bene è stato incolpato Cesare Battisti, che oggi sconta l’ergastolo nelle carceri italiane dopo essere stato catturato in modo illegale in Bolivia e deportato in Italia, mostrato come un trofeo da un ministro pentastellato e sotto il ludibrio dei media e di una politica bipartisan forcaiola.
Il titolo è: Sei giorni troppo lunghi, autore Umberto Lucarelli, edizioni Milieu 2024, 112 pagine, € 13,50.
Qualcuno penserà che la tortura e le esecuzioni sommarie come quelle dei brigatisti in via Fracchia a Genova, siano retaggio di quel passato. In realtà questo sistema di potere rimetterà in campo le stesse dinamiche repressive se la situazione lo richiederà. Questo è bene saperlo. Ma anche la pratica ordinaria di repressione della “devianza” è da sempre parte del dna di polizia e carabinieri. Nella prefazione di copertina si legge: “I fatti risalgono a quaratacinque anni fa, ma da allora nulla è cambiato. Si continua tranquillamente a torturare e a uccidere, sia nelle carceri sia nelle questure, come confermano le cronache recenti da Cucchi ad Aldrovandi” Aldo Bianzino, Riccardo Rasman e altri aggiungo io, in un rosario di pestaggi e abusi violenti da parte di secondini e poliziotti. L’ultimo episodio, proprio a Milano, riguarda l’inseguimento di due ragazzi e la strana morte per strada in scooter di uno di questi: Ramy Elgami, e di cui sono stati poi incriminati i carabinieri di una gazzella. Episodio che ha dato vita a una vera e propria rivolta popolare, spacciata dalla stampa come criminalità dello spaccio e il Corvetto alla stregua di una “pericolosissima” banlieu.
Carla Filosa: “Libertà” fascista
“Libertà” fascista
di Carla Filosa
Dal Data Room di Gabanelli – Battistini del 9 dicembre sulla TV 7, abbiamo appreso che esponenti destrorsi di varie nazionalità e caratteristiche si ergono a paladini della “libertà” – sans phrase si può aggiungere – contro “comunisti progressisti e sinistra che ucciderebbero le libertà individuali” (M. Le Pen a Pontida).
Dal florilegio raccolto riportiamo: le “toghe e zecche rosse” di Salvini; l’estrema destra austriaca che punta al cancellierato ritiene di dover “uccidere il comunismo climatico” (kill climate communist”); Orban che afferma che “non ci sono liberali, solo comunisti col diploma” (There are no liberals, only communists with university degrees); l’olandese Wilders, dopo l’abbraccio a Netanyahu, sostiene che “bisogna tutelare la libertà di parola di coloro che dicono la verità e sono odiati per questo”; ancora Salvini “In Europa siamo ormai alla censura, alla puzza di regime, viva la libertà di parola e di pensiero. Chi sarà il prossimo a essere imbavagliato?” (riferito all’arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, su cui gravano accuse di transazioni illecite, l’app di messaggistica sarebbe facilitatore di attività criminali!). Di rinforzo Meloni “In questi anni l’Europa ha messo in atto una limitazione di libertà degli stati nazionali da cui si deve tornare indietro”; Trump dalla Pennsylvania “Forze oscure vogliono toglierci la libertà e io sono l’unico ostacolo”. Tutte posizioni di leaders che poi altrove condividono espulsione di masse immigrate, negazione del cambiamento climatico, lotta al green deal, alla Ue, al “politicamente corretto”, al sistema giustizia, all’autonomia della stampa, attuando una variegata repressione nei confronti degli oppositori.
Francesco Piccioni: L’Europa impossibile di Mario Draghi
L’Europa impossibile di Mario Draghi
di Francesco Piccioni
L’Europa è alla frutta. Potrebbe essere questa la sintesi dell’intervento di Mario Draghi al Simposio annuale del Centre for economic policy research (Cepr). A Parigi. E come sempre bisogna constatare che non modifica il suo tono oracolare nonostante che, del modello economico fin qui adottato, proprio lui sia stato un pilastro autorevole anche sul piano operativo (otto anni alla presidenza della Bce, nonché un passaggio rilevante da primo ministro italiano.
L’analisi è presto fatta: “Le politiche europee hanno tollerato una bassa crescita dei salari come strumento per aumentare la competitività esterna, aggravando la debolezza del ciclo reddito-consumo. Tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna, ma almeno fino alla pandemia hanno scelto deliberatamente di non utilizzare questo spazio. Complessivamente, la politica ha rivelato una preferenza per una particolare costellazione economica, basata sull’utilizzo della domanda estera e sull’esportazione di capitali con livelli salariali bassi. Una costellazione che non sembra più sostenibile“.
Inutile soffermarsi sull’uso eufemistico del linguaggio, tipo “Le politiche europee hanno tollerato una bassa crescita dei salari”, quando basta sfogliare a ritroso il web per trovate decine di migliaia di interventi – europei e nazionali – in cui “si impone” il congelamento dei salari in tutto il Vecchio Continente. Altro che “tollerare”…
Davide Miccione: Lo scemo etico
Lo scemo etico
di Davide Miccione
In una videointervista di qualche mese fa il filosofo Vincenzo Costa, con aria un po’ amareggiata, annotava come la classe medio-colta o pseudo tale, non fosse mai stata tanto lontana come oggi da una verosimile percezione della realtà e da una lettura vagamente sensata del mondo. Con una certa necessaria crudeltà intellettuale Costa entrava nel dettaglio e raccontava come, in un qualsiasi bar, uno di quelli in cui la gente che lavora passa a bere un caffè, si potessero ascoltare discorsi di maggiore buon senso e più vicini alla realtà della vita e della società rispetto alle conversazioni con un istruito lettore di quotidiani. È una cosa che da qualche anno colpisce anche chi scrive e la stesura e pubblicazione, nel 2024, di due libri rispettivamente sulla fine del pensiero nella società e sull’ignoranza, forse giustifica il tentativo di una spiegazione di questo strano fenomeno.
L’idea in verità non è del tutto nuova. Il dimenticato Rodolfo Quadrelli (che celebra quest’anno il quarantennale dalla morte) parlava spesso della mezza cultura (riferendosi a gente impastata di nozioni di sociologia e psicologia) che era la più lontana dalla comprensione della realtà. È il tema occhieggia da sempre nella cultura russa. Ma in entrambi i casi la constatazione seguiva o preludeva a una svalutazione della cultura “contemporanea” a fronte della grande cultura occidentale filosofica greca e cattolica oppure, nel secondo caso, a una svalutazione di una cultura occidentalizzata e razionalista a fronte della tradizione del popolo.
Carlo Formenti: Note sul marxismo sinizzato
Note sul marxismo sinizzato
di Carlo Formenti
A mo’ d’introduzione
Nei miei ultimi lavori – sia nei libri che in vari articoli pubblicati su questa pagina (1) – ho speso molte energie per contrastare il luogo comune – che accomuna destre e “sinistre” occidentali – secondo cui la Cina sarebbe un Paese capitalista, se non addirittura imperialista, la cui unica ragione di conflitto con gli Stati Uniti e l’Europa è la competizione per il dominio globale.
Nel caso delle destre, tale giudizio funge da argomento propagandistico, buono per scoraggiare qualsiasi simpatia nei confronti di una possibile alternativa nei confronti di un’economia, un sistema politico, una cultura e un modo di vivere che settori sempre più larghi delle popolazioni occidentali considerano intollerabile, come dimostrano il successo dei movimenti cosiddetti “populisti” e le altissime percentuali di astensione.
Nel caso delle sinistre occorre distinguere fra l’ala “progressista” neoliberale, di fatto allineata alle destre (fatta eccezione per l’impegno nei confronti dei diritti civili di individui e minoranze appartenenti alle classi urbane medio-alte), e l’ala radicale, che dedica ancora qualche attenzione agli interessi delle classi lavoratrici. La sinistra neo liberale ha definitivamente gettato la maschera votando nel Parlamento europeo l’infame delibera che equipara nazismo e comunismo. L’ala radicale, ormai priva di strumenti teorici per analizzare la realtà (l’ignoranza dei suoi quadri in materia di filosofia, storia ed economia, per tacere del pressoché totale oblio della teoria marxista, è disarmante), si limita ad annunciare che “un altro mondo è possibile” ma, non avendo la minima idea su cosa fare e come farlo per mettere in pratica tale slogan, disprezza i progetti politici che ci provano.
Rebus sic stantibus, non mi stanco di insistere sulla necessità di studiare l’unico esperimento (in verità non è il solo, ma è di gran lunga il più significativo, se non altro per le sterminate dimensioni geografiche e demografiche della nazione che lo sta attuando) che offra un esempio concreto del fatto che lo slogan della Tatcher (there is no alternative) è falso.
Roberto Passini: Economia, politica e diritto dell’imperialismo. Quale spazio per la democrazia
Economia, politica e diritto dell’imperialismo. Quale spazio per la democrazia
di Roberto Passini
1. La vecchia critica della statualità propria di un certo pensiero marxiano e radical-libertario del Novecento non ha in gran parte più senso nell’evo della globalizzazione dei grandi oligopoli del capitale transnazionale in assetto di guerra permanente.
Nella fase di disgregazione culturale, politica, economica e sociale in cui siamo immersi lo Stato nazionale e in special modo i suoi territori, in primis le autonomie locali, sono il luogo della convivenza civile reale tra le persone e tra queste e gli enti locali di riferimento, dove la democrazia è il modo in cui si vive la vita di ogni giorno. Non appare pertanto praticabile né opportuno scindere in locali e nazionali le diverse, e talvolta eroiche, istanze aspiranti alla ripubblicizzazione di molte attività, funzioni, beni che sono germogliati in alcuni Stati e territori, tra cui il nostro paese.
La scelta di fondo comune alle diverse istanze, più o meno esplicita, è quella per il rilancio del pubblico in tutte le sue articolazioni e declinazioni (statuale, locale, non statuale-sociale) in luogo dell’onnipervasivo privato, unico totem del liberal-capitalismo che si impone dall’alto del sovrastatuale fin nei più piccoli villaggi periferici: dopodiché è giusto verificare, volta per volta, quale sia la dimensione soggettiva e territoriale ottimale al fine di tutelare e valorizzare il bene della vita in questione (per esempio acqua, beni pubblici-comuni, lavoro, ambiente, energia, infrastrutture, opere pubbliche).
Si tratta, in sostanza, di porre in essere una strategia consapevole di difesa e rilancio della sovranità popolare e delle prerogative democratico-sociali all’interno degli Stati nazionali (lo Stato sociale di diritto, o lo Stato pluriclasse con una significativa tutela del lavoro secondo Costantino Mortati).
Piero Pagliani: Il caos siriano e la follia senza metodo
Il caos siriano e la follia senza metodo
di Piero Pagliani
Mentre i salafiti “liberatori” si stanno dedicando a saccheggi, massacri e vendette, così, tanto per mostrare il loro volto “moderato”, Ankara punta a conquistare le zone oggi occupate dal cosiddetto “Rojava” curdo sostenuto dagli Usa. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato che o il Pkk e l’Ypg in Siria si dissolvono o la Turchia li distruggerà.
Questo il commento di Larry Johnson, ex analista Cia ed ex funzionario dell’Antiterrorismo al Dipartimento di Stato:
«Resta da vedere se gli USA, che sono posizionati in territorio curdo, forniranno aiuti ai curdi, incluso il supporto militare, o si faranno da parte e lasceranno che i turchi li finiscano.
Credo che i russi in questo momento siano seduti davanti a un bel fuoco scoppiettante, sgranocchiando un sacchetto di popcorn e osservando il caos che si dispiega» ([1] enfasi mia).
Sono d’accordo. In questo momento Mosca sta alla finestra a vedere come si evolve la complicatissima e drammatica situazione siriana da cui si è tirata fuori. La ragione dichiarata è, come ebbe modo di dire Putin già nel 2015, che “i russi non possono essere più siriani dei siriani”. Ovverosia la volontà di combattere doveva partire dalla Siria. Così non è stato e Damasco forte di 170.000 soldati e 100.000 territoriali, con carri armati, artiglieria e aviazione, si è arresa in soli 11 giorni a meno di 30.000 guerriglieri in pick-up e qualche blindato, in modo sorprendente e inaspettato perché aveva tenuto testa da sola per 4 anni fino all’intervento russo a una coalizione di eserciti proxy di mercenari, di bande di fuori di testa e di consiglieri militari provenienti da tutto il mondo, armati, finanziati e sostenuti da UE, Nato, Usa, Australia, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele.
Le ragioni non sono del tutto chiare, almeno a me. La corruzione, spesso citata, è un fattore. Ma non penso che basti (specialmente in un esercito complesso), occorrono ordini precisi. Ecco allora chi accusa al-Assad di essersi fidato troppo della Lega Araba, in cui la Siria era stata riammessa, e addirittura delle profferte di Washington di togliere le sanzioni in cambio di un mutamento di campo.
Alessandra Ciattini: L’atteggiamento dell’Iran dinanzi alla crisi siriana
L’atteggiamento dell’Iran dinanzi alla crisi siriana
di Alessandra Ciattini
La dissoluzione della Siria rientra nel vecchio progetto statunitense di distruggere sette Paesi islamici e ora sarebbe venuto il turno dell’Iran, che forse poteva fare di più per difendere il suo alleato.
Secondo quando viene riportato da Al Jazeera, nel settembre 2003 l’ex comandante delle forze Nato in Europa, Wesley Clark, dichiarò che un suo collega gli aveva comunicato nel novembre 2001 a Washington, dopo il controverso attentato alle Torri gemelle, che l’amministrazione Bush aveva intenzione di attaccare e distruggere sette Paesi musulmani: Iraq, Syria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan. Ricordo che, con la scusa priva di fondamento di catturare i responsabili del tragico evento, nell’ottobre del 2001 gli Usa avevano invaso l’Afghanistan, coinvolgendolo in una guerra disastrosa che sarebbe durata fino al 2021 e terminata con l’ignominiosa fuga dell’esercito americano. Allo stesso tempo, sottolineò che i principali alleati degli Usa in quella regione strategica sono ed erano Egitto, Pakistan e Arabia Saudita, i quali sarebbero stati anche i principali finanziatori dei gruppi terroristici di matrice islamistica. Tenendo presente quanto aveva affermato, a suo tempo, la spietata Hillary Clinton, che probabilmente ancora si rode il fegato per non essere diventata presidente degli Usa, in realtà il finanziamento a questi gruppi, oggi presentati semplicemente come ribelli, proveniva anche direttamente da questi ultimi, che colsero al balzo l’attentato (o lo organizzarono) per portare avanti la politica del cosiddetto caos creativo in quella regione strategica.
Francesco Cappello: Le frontiere della democrazia israeliana che qualcuno vorrà importare in Italia
Le frontiere della democrazia israeliana che qualcuno vorrà importare in Italia
di Francesco Cappello
Chi ricorda le leggi speciali antiterrorismo italiane o il più recente decreto sicurezza, ddl 1660, che mira a colpire ogni tipo di protesta pubblica, criminalizzando la lotta per le rivendicazioni sociali o contro la partecipazione dell’Italia alle guerre? Si può fare di peggio.
La Knesset ha approvato una legge che consente ai giudici dei tribunali distrettuali di imporre restrizioni alla libertà di movimento ed espressione dei cittadini sulla base di prove segrete fornite dalla polizia, autorizzata a utilizzare nuove tecnologie di sorveglianza, senza controllo dell’autorità giudiziaria. In pratica, detenzione amministrativa senza processo
La legge, proposta dal deputato Zvika Fogel del partito di estrema destra Otzma Yehudit, è intesa come una misura temporanea di due anni per consentire alle forze dell’ordine di affrontare “un aumento significativo dell’attività della criminalità organizzata in Israele”, in particolare nelle comunità arabe. Sulla base della legge, i tribunali saranno ora autorizzati a imporre misure basate su note informative dell’intelligence della polizia che includono “materiale di intelligence riservato, prove visibili e qualsiasi altro materiale relativo alla valutazione che una persona sia attiva in un’organizzazione criminale”, insieme al livello di minaccia rappresentato dall’individuo. Il tribunale distrettuale può concedere alla polizia di introdursi nel computer personale o nel telefono cellulare di qualsiasi cittadino ritenuto sospetto.
Pino Arlacchi: Siria, il rischio di un “catastrofico successo”
Siria, il rischio di un “catastrofico successo”
di Pino Arlacchi*
La fulminea caduta del regime di Assad ha consegnato alla Turchia e agli USA una vittoria tattica che potrebbe trasformarsi in un complesso rompicapo strategico. Gli Stati Uniti sono esposti al rischio di un “catastrofico successo”, come quello profilatosi dieci anni fa e non ottenuto durante la guerra civile per via dell’intervento di Russia e Iran a sostegno di Assad. Mentre Erdogan si trova nella delicata posizione di dover gestire il successo in modo da non compromettere i faticosi equilibri regionali costruiti negli ultimi anni, in particolare il recente asse Ankara-Mosca-Teheran.
Questo triangolo strategico, emerso negli ultimi anni come contrappeso all’influenza occidentale in Medio Oriente, si è consolidato attorno a interessi convergenti: la comune opposizione all’egemonia americana nella regione, la gestione coordinata delle risorse energetiche, e la condivisa preoccupazione per i movimenti separatisti. La partnership, pur non priva di tensioni, ha permesso ai tre attori di coordinare le proprie politiche su questioni chiave, dalla gestione dei flussi commerciali alle risposte alle sanzioni occidentali.
La questione curda emerge come il solito nodo spinoso. Il crollo del regime di Damasco ha creato un vuoto di potere nelle regioni settentrionali della Siria, dove le forze curde tenteranno di consolidare la propria autonomia. Una prospettiva inaccettabile per Ankara. Ma un intervento militare turco troppo aggressivo in queste aree rischierebbe di compromettere il delicato rapporto con Russia e Iran.
Davide Sabatino: La fine della storia o l’inizio della rivoluzione?
La fine della storia o l’inizio della rivoluzione?
di Davide Sabatino e L’Indispensabile
Da quanto tempo soffriamo le sorti del nostro Paese? Direi, come minimo, da decenni. Ci trasciniamo stanchi e senza forma fisica in un cammino privo di mete e di speranze. Per le persone cresciute in Italia negli ultimi settant’anni, questa situazione di logoramento dell’intera struttura politica, antropologica e culturale è diventata la norma, l’habitat naturale a cui doversi adattare. Nel 1960 un grande uomo politico-spirituale di nome Ernesto Balducci, scriveva che: “I giovani sono soli, perfino la scuola, per lo più, è vuota di attrazioni, perché troppo distante dalla vita vera. Il costume che sopravvive è stanco: chi ci sta dentro non ci crede più, e i giovani se ne accorgono. E ne fanno a meno con cinismo”[1]. Il dramma di questa sfiducia ha origini antiche, e non riguarda solo i “giovani”. Il cinismo, diceva Balducci: non è forse questo il grande orientamento emotivo che caratterizza il nostro tempo, dove noi tutti siamo in qualche misura sottomessi alla legge del più forte, incoscienti devoti del motto machiavellico “il fine giustifica i mezzi”? Non ci sembra anche a noi, oggi più di ieri, di dover fare a meno dell’idea di morale, del buonsenso comune, delle regole di convivenza civile, della civiltà dei diritti, degli ideali rivoluzionari e del senso religioso della vita interiore? Non è forse proprio il “fine” a non essere più così chiaro, e dunque ciò che rimane in superficie e soltanto il mero “mezzo”, che si traduce fatalmente in opportunismo politico?