Forum Italiano dei Comunisti – 27/12/2024
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I COMUNISTI COME AVANGUARDIA DI CLASSE
Pubblichiamo nel riquadro sottostante una lettera del compagno Federico Giusti di Pisa in cui dice che dubita fortemente che i comunisti abbiano azzeccato qualcosa di giusto sulle questioni di classe negli ultimi decenni.
La domanda è: di quali comunisti parla? Di quelli che stando in Rifondazione comunista si sono accontentati di una posizione subalterna, ma redditizia, nella CGIL? O parla di come alcuni gruppi che hanno preteso di rappresentare in Italia il comunismo hanno tentato di dare lezioni, peraltro inascoltate, alla classe operaia limitandosi a una funzione di intervento cartaceo?
Se parla di questi comunisti il nostro giudizio concorda col suo, ma è bene ricordare anche che altri comunisti hanno scelto una via diversa: si sono misurati nel concreto delle contraddizioni con le questioni che scaturivano dalla liquidazione del PCI e dalla politica consociativa dei sindacati confederali, e in molti casi sono stati protagonisti di lotte autonome e hanno anche concorso alla creazione di strutture sindacali di base che hanno recepito istanze rivendicative e di lotta dei lavoratori.
Non è giusto pertanto pensare che i comunisti non abbiano dato un contributo allo sviluppo dell’autonomia di classe dei lavoratori e delle lavoratrici, al contrario.
Ad esempio i promotori delle Rappresentanze sindacali di Base negli anni ’80 non solo erano comunisti, ma nel fare quella scelta hanno anche impostato politicamente il percorso delle nuove strutture, le cui caratteristiche erano essenzialmente due: da una parte si apriva la battaglia per impedire al consociativismo confederale il monopolio della contrattazione e rivendicarne il controllo da parte dei lavoratori e, dall’altra, si prendevano iniziative di lotta di fronte all’inerzia di CGIL-CISL-UIL. Queste scelte presupponevano la rivendicazione della libertà di organizzazione nei posti di lavoro, del diritto di assemblea e di rappresentanza, secondo i dettami costituzionali. Tutte queste richieste furono sancite in un progetto di legge presentato al Senato della Repubblica e dimostrano la maturità con cui il progetto era partito.
Alla fine però sono stati proprio i non comunisti a dare un indirizzo sbagliato al movimento che si andava sviluppando per il recupero dell’autonomia contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici. Attorno agli anni ’90 è cominciata così la deriva del neoconfederalismo e della divisione di quello che doveva essere un sindacato di base che per definizione non può che comprendere tutti i lavoratori e non basarsi sulla divisione in tanti sindacatini.
Non solo, ma oltre al neoconfederalismo, che da un certo punto in poi ha caratterizzato il nuovo sindacalismo di base, si è arrivati alla declinazione delle lotte in termini di avanguardismo, rendendole puramente dimostrative e minoritarie, a partire da ‘scioperi generali’ che di fatto si riducono a manifestazioni meticce.
Probabilmente spetterà ancora una volta ai comunisti riaffrontare in termini politici la questione sindacale in Italia. Ovviamente non parliamo dei comunisti che si limitano a dare volantini e a incitare i lavoratori alla lotta. Parliamo di comunisti capaci di analizzare in termini concreti lo sviluppo del conflitto lavoro-capitale e quindi di definire potenzialità, rapporti di forza e crescita dell’autonomia di classe. Non in astratto, ma nel concreto della realtà italiana che impone di tener conto di varie questioni che condizionano il quadro del conflitto nei posti di lavoro.
Questa discussione va portata fuori dal terreno anarco-sindacalista e di stampo sessantottino che oggi purtroppo va per la maggiore.
La questione di fondo è come si possa ricostruire l’effettiva rappresentanza organizzata degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici in presenza di Confederazioni consociative come CGIL-CISL-UIL che controllano gran parte del lavoro dipendente, con l’aggravante delle limitazioni del diritto di sciopero e del sostanziale mantenimento del monopolio della contrattazione. Né l’entrismo sindacale né il sindacalismo di base, così come oggi si va esprimendo, hanno sciolto questo nodo, (e sono passati dall’inizio circa tre decenni). Questo spiega anche la condizione salariale e normativa del lavoro dipendente in Italia che deriva appunto dal fatto che ci si è attardati in azioni dimostrative e propagandistiche di sigla invece di capire meglio come procedere. Si è guardato insomma più il dito (le tessere) che la luna (l’unità e la forza contrattuale dei lavoratori).
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Lettera di un delegato della CUB
13 dicembre 2024
Cari\e, io credo che oggi parlare di intervento nel mondo del lavoro sia ridurre, si fa per dire, la questione al conflitto.
Dubito fortemente che i comunisti abbiano azzeccato qualcosa negli ultimi anni, sono partiti dalla pretesa di costruire un’area di minoranza in CGIL alla idea di controllare il sindacalismo di base o identificandosi settariamente in una sigla dello stesso per poi finire con lo scrivere dei volantini che i lavoratori manco leggono e comprendono.
Altri, invece, hanno scelto di mettersi a disposizione di alcune vertenze dove per altro svolgono ruoli di mera manovalanza.
Posso solo dire che, a parte la indispensabile analisi dei cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro, con grande umiltà dovremmo stare dentro vertenze e far riprendere ai nostri esigui militanti il conflitto che non è la chiacchiera sul lavoro.
Cordialità
Federico Giusti delegato CUB