[SinistraInRete] Chris Hedges: Come siamo arrivati allo stato totalitario

Rassegna 29/12/2024

Chris Hedges: Come siamo arrivati allo stato totalitario

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Come siamo arrivati allo stato totalitario

di Chris Hedges – chrishedges.substack.com

La democrazia americana è stata distrutta dai due partiti al potere che ci hanno svenduti alle multinazionali, ai militaristi e ai miliardari. Ora ne paghiamo il prezzo

image 65 2048x1732.pngPer oltre due decenni, io e una manciata di altri — Sheldon Wolin, Noam Chomsky, Chalmers Johnson, Barbara Ehrenreich e Ralph Nader— abbiamo avvertito che la crescente disuguaglianza sociale e la costante erosione delle nostre istituzioni democratiche, tra cui i media, il Congresso, il lavoro organizzato, il mondo accademico e i tribunali, avrebbero inevitabilmente portato a uno stato autoritario o fascista cristiano. I miei libri — “American Fascists: The Christian Right and the War on America” (2007), “Empire of Illusion: The End of Literacy and the Triumph of Spectacle” (2009), “Death of the Liberal Class” (2010), “Days of Destruction, Days of Revolt” (2012), scritto con Joe Sacco, “Wages of Rebellion” (2015) e “America: The Farewell Tour” (2018) sono stati una serie di appelli appassionati a prendere sul serio il decadimento. Non provo alcun piacere nell’avere ragione.

“La rabbia di coloro che sono stati abbandonati dall’economia, le paure e le preoccupazioni di una classe media assediata e insicura e l’isolamento paralizzante che deriva dalla perdita di una comunità, sarebbero stati la base l’innesco per un pericoloso movimento di massa”, ho scritto in “American Fascists” nel 2007. “Se questi diseredati non venissero reintegrati nella società tradizionale, se alla fine perdessero ogni speranza di trovare un buon lavoro stabile e opportunità per sé e per i propri figli – in breve, la promessa di un futuro più luminoso – lo spettro del fascismo americano assalterebbe la nazione. Questa disperazione, questa perdita di speranza, questa negazione di un futuro, hanno portato i disperati tra le braccia di coloro che promettevano miracoli e sogni di gloria apocalittici”.

Il presidente eletto Donald Trump non annuncia l’avvento del fascismo. Annuncia il crollo della patina che mascherava la corruzione della classe dirigente e la loro pretesa di democrazia. È il sintomo, non la malattia. La perdita delle norme democratiche di base è iniziata molto prima di Trump, è ha aperto la strada al totalitarismo americano.

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OttolinaTV: La grande trasformazione. I 10 eventi che nel 2024 hanno cambiato per sempre il mondo

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La grande trasformazione. I 10 eventi che nel 2024 hanno cambiato per sempre il mondo

di OttolinaTV

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784b2b6a f9dc 5f7d 8d52 75995470f5b6 8313402Dal trionfo elettorale di Trump all’allargamento dei BRICS che, per la prima volta, ha reso un’organizzazione multilaterale che non è emanazione diretta di potenze ex coloniali la più importante del pianeta; dal ritorno nell’Occidente libero e democratico del golpe come strumento per la risoluzione delle tensioni politiche interne al boom di droni e intelligenza artificiale che ha cambiato per sempre il modo di fare la guerra; dal trionfo di Israele contro l’asse della resistenza che ha sdoganato il ricorso al genocidio come strumento di risoluzione delle controversie internazionali al collasso definitivo dell’economia e delle classi dirigenti europee che ha definitivamente reso il vecchio continente un soggetto del tutto marginale della politica internazionale: e meno male che la storia era finita. Il 2024 è stato probabilmente l’anno più ricco di eventi di portata storica dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi; in questo video abbiamo provato a stilare la nostra top10. Il 2024 è stato l’anno dove è diventato chiaro anche ai muri che ormai siamo in guerra; e quindi non potevamo che iniziare da una notizia su come si fa oggi la guerra.

 

Iniziamo quindi con la nostra decima notizia più importante dell’anno: l’affermazione definitiva dei droni come l’arma per eccellenza nelle guerre del ventunesimo secolo

A partire dallo spettacolare attacco contro Israele dell’aprile scorso durante il quale l’Iran ha impiegato in un colpo solo oltre 300 droni, è diventato chiaro che la capacità di impiegare il più ampio numero possibile di velivoli aerei senza equipaggio a basso costo sarebbe diventata, a stretto giro, la variabile fondamentale per determinare i rapporti di forza in un conflitto: nonostante i limiti del singolo veicolo, infatti, il loro impiego in numero massiccio è comunque in grado di saturare rapidamente sistemi di difesa pensati e sviluppati per altri sistemi d’arma e con costi unitari di diversi ordini di grandezza superiori; inoltre, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale permette da un lato di coordinare sempre di più l’azione congiunta di un numero sempre più ampio di velivoli e, dall’altro, di renderli autonomi nell’individuazione e nel raggiungimento dell’obiettivo, rendendo così sempre meno efficaci strumenti di difesa basati sull’interferenza elettronica.

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Mattia Cattaneo: Liberal-chic

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Liberal-chic

di Mattia Cattaneo

Una società profondamente “liberale” come quella Occidentale, che si vanta persino della capacità di esportare altrove i suoi valori (si pensi a Hiroshima e Nagasaki, ai Balcani, al medio oriente, all’Ucraina odierna), manifesta uno strano rapporto con la pratica della libertà: se da un lato, per le cose di poco conto, essa viene incoraggiata ossessivamente (penso al mercato globale e alle sue merci futili e obsolete), dall’altro, da un punto di vista più pragmatico, viene finemente attenzionata (si pensi alle ingerenze governative su Facebook[1] rispetto alla circolazione di certe notizie o all’arresto di Pavel Durov[2]). Tuttavia, al netto di qualche cortocircuito repressivo e para-totalitario (come la recente uscita di Ursula von der Leyen: «[…] la libertà per l’Europa non sarà gratuita»[3] ), nessuno oggigiorno potrebbe affermare che essa ci sia totalmente preclusa, bensì piuttosto – utilizzando una costruzione solo in apparenza contraddittoria – bisogna formulare questa ipotesi: siamo obbligati alla libertà. Ma quale? Se essa non è più quell’ideale egualitario e redistributivo da perseguire all’occorrenza con rivolte e rivoluzioni (liberté!), allora forse è piuttosto un modo tra i tanti, soprannominato “liberale”, di imporre alla società tutte quelle ideologie che il Potere reputa perseguibili.

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Fabrizio Poggi: Effetto Trump sulla Georgia? Gli scenari possibili dopo il 29 dicembre

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Effetto Trump sulla Georgia? Gli scenari possibili dopo il 29 dicembre

di Fabrizio Poggi

Domenica 29 dicembre, la presidente uscente (alle elezioni dello scorso 14 dicembre è stato eletto Mikhail Kavelašvili, candidato del partito di governo “Sogno georgiano”) della Georgia, Salome Zurabišvili, dovrà lasciare il proprio posto

Domenica 29 dicembre, la presidente uscente (alle elezioni dello scorso 14 dicembre è stato eletto Mikhail Kavelašvili, candidato del partito di governo “Sogno georgiano”) della Georgia, Salome Zurabišvili, dovrà lasciare il proprio posto. Ma ha detto di non aver intenzione di farlo e anzi ha dato sette giorni di tempo a “Sogno georgiano” e al suo leader Bidzine Ivanišvili perché indica nuove elezioni parlamentari. In risposta, il primo ministro Iraklij Kobakhidze ha minacciato di mandarla sotto processo, se per caso decidesse lei stessa di indire elezioni parlamentari o se non dovesse lasciare per tempo il posto che ormai non le spetta.

Tanto per chiarire, ha detto Kobakhidze, in Georgia le elezioni parlamentari vengono indette alla scadenza del mandato quadriennale, oppure nel caso in cui la Commissione elettorale o la Corte costituzionale annullino i risultati del voto o ancora nel caso in cui il Parlamento tolga la fiducia al governo. Punto.

Zurabišvili, però, per evitare la galera, non indice lei stessa nuove elezioni, ma invita a farlo il partito di governo e quest’ultimo non ci pensa nemmeno ad accogliere l’invito, così come la prossima ex-presidente non ci pensa a lasciare il posto il 29 dicembre. Dunque, cosa accadrà tra sette giorni?

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Davide Malacaria: NYT: la follia nucleare degli strateghi da salotto

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NYT: la follia nucleare degli strateghi da salotto

di Davide Malacaria

La guerra nucleare è entrata nell’orizzonte delle possibilità. La follia di una guerra atomica che può essere controllata e vinta

La guerra termo-nucleare, prima bandita dall’orizzonte delle possibilità, è ora entrata in tale orizzonte, con l’Occidente che ha sfidato più volte la Russia superando linee rosse un tempo giudicate invalicabili a motivo della Mutua distruzione assicurata che aveva reso la deterrenza atomica fattore di stabilità globale e costretto le potenze nucleari alla ricerca di compromessi.

Su questo tema, un articolo di William Langewiesche sul New York Times, nel quale spiega come la comunicazione non equivocabile tra antagonisti sia cruciale e fondamentale per gestire la sfiducia reciproca, oggi giunta al parossismo. Le comunicazioni riservate sono “parte integrante dell’arte della de-escalation, un’arte che è stata trascurata e ora sta pericolosamente naufragando”, scrive il cronista.

Ad accrescere i rischi, l’enfasi sulle atomiche tattiche, che taluni sostengono che si possano usare nell’ambito di guerre convenzionali. Così la sfida cruciale “ora non è come scongiurare un attacco a sorpresa, ma come controllare un’escalation che si verifica in bella vista [Ucraina ndr.], ad esempio, un conflitto convenzionale che va storto, portando al tintinnio di sciabole nucleari, al primo utilizzo di piccole armi nucleari, che innescherebbe una replica con armi nucleari similari, trascinando gran parte del mondo a scivolare in maniera incontrollata verso l’estinzione”.

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Davide Rossi: Andrew Spannaus racconta gli Stati Uniti che cambiano

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Andrew Spannaus racconta gli Stati Uniti che cambiano

di Davide Rossi

Leggendo la vasta produzione di Andrew Spannaus non solo ci si convince che sia tra i maggiori, più attenti e puntuali conoscitori della sua nazione, ma anche come l’intrinseco servilismo del sistema mediatico e culturale occidentale verso Washington porti spesso a non comprendere che cosa ci stia spiegando.

D’altronde Spannaus scandaglia con millimetrica precisione l’attualità degli Stati Uniti, in cui il trumpismo da un decennio sta portando fuori l’intero sistema politico dalla dittatura ideologica del globalismo iperliberista, il quale invece impera in Europa con un dogmatismo la cui rigidità ha pari solo nell’imbecillità con cui le classi dirigenti lo difendono.

Spannaus, in “Rivincita – L’enigma americano spiegato agli europei” per le edizioni Solferino, analizza come non lo sfrenato liberoscambismo, ma una oculata politica di protezione della capacità produttiva interna abbia portato nel XIX secolo gli Stati Uniti a diventare la potenza economica e militare che si è esplicitata nel corso del secolo seguente. Scrive: “Le figure che hanno impostato la direzione della nuova nazione, in aperto contrasto con il sistema inglese del libero scambio propugnato da personaggi come Adam Smith e John Locke, erano Benjamin Franklin e Alexander Hamilton e successivamente Henry Clay, Henry Carey e Abraham Lincoln. Per quasi tutto il XIX secolo, questa corrente si batté per utilizzare i poteri dello Stato centrale in modo da facilitare la crescita dell’economia privata, attraverso tre strumenti principali: la protezione, cioè i dazi sui prodotti da oltremare; gli investimenti nelle infrastrutture; e un sistema finanziario pubblico per indirizzare i capitali verso lo sviluppo delle manifatture.

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Roberto Fineschi: Leggere ancora Marx. Dialogo con Roberto Fineschi

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di vaucan

Leggere ancora Marx. Dialogo con Roberto Fineschi

Afshin Kaveh intervista Roberto Fineschi

L’intervista a Roberto Fineschi, attento studioso di Marx, prosegue con la serie di interviste a personaggi non direttamente legati alla Wertkritik ma che in qualche modo si pongono, o possono farlo, in un rapporto costruttivo con questa. In precedenza era stato intervistato Wolf Bukowski

marx fineschi.pngAfshin Kaveh: Potrebbe tracciare una breve storia della seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA 2) – annesse le differenze, per esempio con la MEW, Marx-Engels-Werke – e quali sono le prospettive aperte sinora dall’operazione di questa nuova edizione critica delle opere complete di Marx ed Engels?

Roberto Fineschi: L’edizione è detta seconda perché ci fu un primo tentativo di realizzare una Gesamtausgabe tra gli anni Venti e Trenta del Novecento a opera prima di Rjazanov e poi di Adoratsky. Questo secondo tentativo è tuttavia un progetto completamente nuovo, basato su criteri filologici e struttura diversi. Inizialmente a cura degli Istituti per il Marxismo-Leninismo rispettivamente di Mosca e Berlino est, con la fine della guerra fredda è adesso curata dalla Fondazione Internazionale Marx-Engels, con sede ad Amsterdam e principale centro operativo presso l’Accademia delle Scienze di Berlino e del Brandeburgo. A differenze della prima che prevedeva solo tre sezioni, la seconda ne presenta quattro: I) le opere e gli abbozzi (escluso Il capitale), II) Il capitale e i lavori preparatori (a partire dal 1857), III) il carteggio, IV) gli estratti/annotazioni. L’ultima sezione è una novità assoluta. Un’edizione critica si differenzia da una normale edizione di opere perché presenta tutti i testi editi e inediti, a tutti i livelli di lavorazione, nella loro forma/lingua originale. Una tale precisione e complessità è in genere impossibile in un’edizione di Opere che adotta criteri che mirano a una maggiore leggibilità e schematizzazione. Marx ha pubblicato in vita molto poco rispetto a quanto ha scritto; soprattutto alcune delle sue opere fondamentali sono state edite dopo la sua morte in maniera non sempre adeguata: per es. i Manoscritti economico-filosofici, L’ideologia tedesca, il secondo e il terzo libro de Il capitale li abbiamo conosciuti in forme pesantemente editate. L’edizione storico-critica mette a disposizione dei lettori e degli studiosi sia i testi editati (oramai diventati essi stessi dei classici, in particolare i libri de Il capitale), ma anche tutti i manoscritti preparatori in forma filologica, ovvero per quanto possibile neutrale. Si può dunque procedere a un confronto tra quanto fatto da Marx in persona e il lavoro dei suoi editori.

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Sergio Fontegher Bologna: La collana “Materiali marxisti” di Feltrinelli

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La collana “Materiali marxisti” di Feltrinelli

di Sergio Fontegher Bologna

Sergio bologna 1280x640.pngPenso valga la pena ricordare, sia pure per brevi cenni, una delle iniziative di Toni Negri che ha lasciato un segno nella storia dei movimenti rivoluzionari degli anni 70 e in particolare nell’evoluzione del pensiero “operaista”. In questa iniziativa Toni volle coinvolgermi in un momento in cui i nostri rapporti erano diventati complicati a causa della mia uscita da Potere Operaio avvenuta proprio nel momento in cui, grazie a Toni, ottenevo un incarico di insegnamento presso l’Istituto di Dottrina dello Stato della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, novembre 1970.

Il bisogno di riprendere una produzione teorica dopo la fase Quaderni Rossi-Classe Operaia si era fatto impellente una volta che il ciclo di lotte operaie, iniziato a Milano con lo sciopero dei 70 mila elettromeccanici del 1960-61, si era concluso alla fine del 1969. La costituzione materiale del Paese era cambiata ed erano cambiate con la strage di Piazza Fontana le regole non scritte del gioco politico. Le previsioni dell’operaismo di un’offensiva operaia di rottura si erano avverate del tutto, il soggetto protagonista di quella fase conflittuale era stato ben individuato nell’operaio massa, il lessico operaista ormai veniva utilizzato anche dai detrattori dell’operaismo. Era necessario riorganizzare l’intero bagaglio concettuale che aveva consentito di ottenere quei risultati ma al tempo stesso era necessario, preso atto che la costituzione materiale del paese era cambiata, aggiornare i dispositivi culturali e teorici che ci avrebbero permesso di affrontare la nuova fase. Dovevamo esplicitare il percorso che ci aveva portati al 68/69 e tracciare in anticipo quello che avremmo dovuto e voluto intraprendere.

Per Toni c’era un’esigenza in più, l’esigenza molto banale di trovare una sede dove mettere a disposizione di tutti i risultati del lavoro di ricerca che il Collettivo di Scienze Politiche aveva iniziato, una volta che l’organico dell’istituto era stato completato e che consisteva in una cattedra, quella di Toni, in quattro incarichi d’insegnamento e in una serie di figure di ricercatori-tecnici. I nomi dei titolari erano Luciano Ferrari Bravo, Ferruccio Gambino, Mariarosa Dalla Costa, Alisa Del Re, Guido Bianchini, Sandro Serafini, Sergio Bologna.

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Pietro Terzan: Riflessioni sull’identità degli opposti

lantidiplomatico

 

 

 

 

Riflessioni sull’identità degli opposti

di Pietro Terzan

Recensione l libro di D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli “Logica dialettica e l’essere del nulla” (L.A.D. GRUPPO EDITORIALE, 2024)

vmòpoasdurbhk“Questo è acuto e giusto. Ogni cosa concreta, ogni qualcosa concreto sta in rapporti diversi e spesso contraddittori con tutto il rimanente, ergo è sé stesso e un altro.”[1]

Dopo aver letto e riletto le “noiosissime pagine” della Logica dialettica e l’essere del nulla[2], l’ultima impresa di Burgio, Leoni e Sidoli, mi è girata la testa in un vortice di pensieri per giorni. Una tempesta creativa, perché le tesi di questo breve saggio sono così dense di significato da riuscire a far dimenticare la pesantezza. Questo testo è da studiare, analizzare, studiare e rianalizzare. Tanti sono gli spunti che può costruire, una serie di ponti per approfondire la realtà in cui viviamo e per tentare di cambiarla. Buttiamoci dunque nell’abisso ontologico illuminato tre secoli fa da Leibnitz: “Perché esiste qualcosa, e non il nulla?”. I fatti testardi della scienza sono corde che ci aiuteranno a calarci in questo oscuro meandro della vita. Il moschettone Hendrik Casimir ci permetterà di non cadere e perderci nel vuoto quantistico. Vari esperimenti hanno dimostrato appunto l’effetto Casimir: il vuoto quantistico è allo stesso tempo nulla ma anche qualcosa.[3] Non esiste soltanto la materia, ma la grandissima maggioranza “dell’oceano cosmico” finora conosciuto è composto dall’energia e dalla materia oscura. Come può tutto ciò non avere effetti sul nostro mondo? Come possono non esserci conseguenze sulla logica del pensiero e su tutta la filosofia? Siamo di fronte alla rinascita della dialettica, alla rivalsa del materialismo dialettico e di quello storico?

Principio fondamentale della logica aristotelica è quello di non contraddizione, quindi di conseguenza anche quello d’identità.[4] Sul solco tracciato da Hegel, Marx ed Engels, Lenin e mi permetto di aggiungere anche Mao[5], la logica dialettica ha svoltato bruscamente rispetto a questa tradizione.

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Elena Basile: La politica internazionale, l’occidente e i pregiudizi morali

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La politica internazionale, l’occidente e i pregiudizi morali* 

di Elena Basile

È strano rendersi conto che anche gli analisti più seri, come quelli della fortunata rivista di politica internazionale Limes, riescano a volte a confondere piani diversi. Con un certo grottesco orgoglio affermano di svolgere analisi prive di pregiudizi morali. In effetti la ricostruzione storica degli eventi e l’analisi realistica della politica internazionale impone la demistificazione dei travestimenti ideologici ed etici in cui la propaganda occidentale primeggia. Questo non significa affatto mettere l’etica in un cantuccio. La politica senza visione etica è soltanto la dimensione del potere. Per gli Stati la dimensione della potenza. I giovani sono oggi rassegnati a considerare i partiti europei strumenti di una oligarchia. Sono invece convinta che la visione umanistica è necessariamente presente nella politica intesa come strumento di governo dei popoli per il miglioramento del loro benessere, per la pace e la prosperità. Se non sono gli analisti, se non è l’intellighenzia a giudicare l’azione umana tenendo alti i parametri morali, a chi vorremmo mai affidare questo compito?

Diviene un obbligo morale stigmatizzare i crimini israeliani in Palestina e la complicità occidentale. Come afferma Kathleen Johnstone, vedere un bambino che con una gamba amputata trascina la sua esistenza in una tenda aiutandosi con un roller skate, giocattolo degli spensierati ragazzi occidentali, dovrebbe far rabbrividire di sdegno. L’Irlanda, fiero Paese che ha pagato un prezzo atroce al colonialismo inglese, indica la strada. I Paesi europei dovrebbero seguire: cessate il fuoco, riconoscimento della Palestina, agevolazione dell’azione del Sud Africa presso la Cgi, sanzioni contro Netanyahu. Il governo e l’opposizione dovrebbero essere uniti in questo cammino.

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Andrea Zhok: L’ingranaggio Effe

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L’ingranaggio Effe

di Andrea Zhok

La polemica sull’esclusione di Tony Effe dal Concerto al Circo Massimo e i finanziamenti pubblici a eventi di bassa qualità culturale. Trap, simbolo di intrattenimento commerciale, è declino del gusto pubblico e normalizzazione di disvalori sociali

In questi giorni è impossibile evitare di imbattersi nella vicenda dell’esclusione dal Concerto al Circo Massimo da parte dell’amministrazione Gualtieri del trapper Tony Effe.

Si è scomodato Mozart come “compagno in musica” del trapper.

Si è richiamata l’idea di “censura delle idee”.

Si sono levati alti lai sulla “libertà dell’arte”, sul ruolo delle “provocazioni che fanno pensare”, sulla funzione di “opposizione” della produzione artistica.

Ecco, lo so che a Natale si suppone siamo tutti più buoni, però anche basta.

1) Primo problema: perché un’amministrazione pubblica deve spendere soldi pubblici (gli stessi soldi di cui c’è maledetto bisogno in settori chiave e salvavita) per produrre “eventi” in cui viene invitata della mediocrità nazionalpopolare, pompata dalle case discografiche, roba che sta già benissimo “sul mercato” senza supporti pubblici? Perché il pubblico deve mettersi a finanziare quel tipo di “arte” che è nata e prodotta già al massimo ribasso di gusto per poter venire incontro alle famose “esigenze di mercato”?

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Fulvio Grimaldi: Cui prodest Magdeburgo?

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Cui prodest Magdeburgo?

di Fulvio Grimaldi

Dove è successo?

A Magdeburgo, città della Turingia, Germania Est, dove nelle recenti elezioni ha vinto il partito AFD, Alternativa per la Germania.

Chi l’ha fatto?

Un saudita immigrato, plurisegnalato come estremamente pericoloso dalle autorità saudite, che si dichiara antislamico e aderente all’AFD, vincitrice delle elezioni a scapito dei grandi partiti di sistema, tutti schierati per la guerra alla Russia e a fianco di Israele in tutti i suoi genocidi.

Chi è l’attentatore?

Non un estremista islamico, come non lo sono più i conquistatori di Damasco, ma, peggio, un estremista di ultradestra.

Quando è successo?

Sotto Natale, in ambiente di festività popolari natalizie, con chiaro intento di colpire il mondo e la civiltà del cristianesimo, come qui rappresentato dalla CDU, non più dal jihadismo islamico, ma dall’estrema destra:

Cosa succede ora?

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Vincenzo Comito: L’industria europea è senza futuro?

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L’industria europea è senza futuro?

di Vincenzo Comito

Nel 2023 l’Europa ha registrato il 6,7% degli investimenti industriali mondiali, contro il 54,5% dell’Asia e il 28,5% degli USA. La bassa crescita e l’alto costo dell’energia comprimono le risorse disponibili, che andrebbero impiegate in settori dove si è ancora competitivi collaborando con le nuove realtà asiatiche

Premessa

Il citatissimo rapporto Draghi ha certamente il merito di analizzare in dettaglio la profonda crisi in cui si dibatte l’industria europea, in particolare nel campo delle tecnologie avanzate. Per contro, alcune proposte dell’ex-banchiere per andare avanti ci appaiono veramente indigeste, quale quella di aumentare fortemente le spese militari, creando tra l’altro un fondo comune di finanziamento sulla base di uno schema grosso modo come quello del NextGenerationEU. Paradossalmente si tratta forse dell’unica proposta che del citato rapporto quelli di Bruxelles stanno prendendo seriamente in considerazione. L’idea invece, sempre di Draghi, di stanziare almeno 800 miliardi di euro all’anno per cercare di rincorrere la Cina e gli Stati Uniti nel campo delle tecnologie avanzate appare certamente impossibile da portare avanti per ragioni politiche, finanziarie e organizzative. Peraltro non è il solo Draghi a lanciare gli allarmi sullo stato di salute dell’industria del nostro continente; negli ultimi tempi altri esperti, molti politici, nonché la grande stampa si uniscono a quello che è ormai diventato un coro fragoroso.

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